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Telegiornaliste anno VIII N. 31 (333) del 1 ottobre 2012
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TGISTE Tgiste
style, lo stile in onda.
L'eleganza della Merlino in un tubino
di Francesca Succi
C'è chi dice che ci vuole poco per essere eleganti. Effettivamente una donna
quando è bella di suo, non deve perdere troppo tempo per poterlo essere.
È il caso di Myrta Merlino, volto noto de La7, che
ha fatto dell'eleganza il suo concetto di stile. Un concetto determinato dalla
sua bellezza e da un capo sacrosanto e basilare dell'abbigliamento femminile: il
tubino.
Sì, perché a quanto pare è l'elemento preferito della Merlino in conduzione.
Nella foto numero 1 la vediamo con il canonico little black dress
abbinato ad un paio di shoes dello stesso colore.
Nella foto numero 2 l'abito non è aderente, ma ampio e svasato nella parte
superiore. Un abito a tunica con cintura a dettaglio in vita.
Nella foto numero 3 e 4 una botta di colore con decolté a tono.
Il comune denominatore è sempre lo stesso: la linea dell'abito lascia
apprezzare ai telespettatori le (bellissime) gambe.
In linea generale non si può proprio contestare nulla a Myrta: il taglio dei
capelli, oltre ad essere comodo, le dona particolarmente. Il trucco è ben curato
e le scarpe sono abbinate in maniera impeccabile all'abito, e l'abito stesso,
non è mai scontato.
Una cosa però manca negli outfit: il bijou. Un pendente, un girocollo, un
bracciale importante, un paio di orecchini a chandelier, o addirittura un anello
chevalier, farebbero da cornice ad un quadro già bellissimo. Perché è il
dettaglio a fare la differenza.
Voto: 8 |
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NONSOLOMODA Essere
o non essere testimonial? Questo è il dilemma
di Francesca Succi
L'ultima settimana della moda milanese è stata
entusiasmante. Nelle passerelle abbiamo
potuto osservare l'ennesima espressione d'arte
caratterizzata da abiti e accessori per la
prossima spring/summer 2013.
Se fosse stato solo questo, però, non staremo
ancora a parlarne. Perché le fashion week -
soprattutto quella nostrana - sono degne di
essere ricordate anche per scivoloni (in
tutti i sensi), scelte non proprio azzeccate
in fatto di testimonial da sfilata e
macchiette gossippare.
Un tempo i testimonial erano persone che
rappresentavano i valori di un brand. Qualcuno
da fotografare, affiggere in bella vista in
tutto il mondo per farsi pubblicità e andarne
fieri; almeno per l'azienda rappresentata.
Questo un tempo. Perché un tempo, il target di
riferimento, sognava di essere quel testimonial
e lo emulava acquistando il prodotto o servizio
pubblicizzato.
Ma i tempi cambiano in fretta. In epoche non
troppo lontane non c'era tutta questa
comunicazione, voglia di partecipare,
condividere e la potenza mediatica di una
persona proiettata al mondo, sulla base di una
serie di scelte e comportamenti. Un tempo si
celava, si accecava e si sfumava come ora si fa
con lo strumento sfoca di Photoshop su una foto.
Era meglio farlo per avere rispetto da parte
dei consumatori: più c'era candore su un
personaggio, fittizio o meno, e più c'era
possibilità di vendere e conseguentemente essere
Star pubblicitarie.
Durante l'ultima settimana siamo stati
spettatori dell'ennesimo circo pagliaccesco.
L'ennesimo tribunale mediatico che ha inforcato
i testimonial e i loro compensi sul banco degli
imputati. Colpevoli, colpevoli, tutti colpevoli.
Vergogna, sana vergogna!
Ma fin dove, e come, i testimonial sono
colpevoli? Quelli da colpevolizzare sono
coloro che hanno suggerito, e continuano a
suggerire, azzardate scelte di comunicazione ad
un certo tipo di aziende che portano solo ad una
settimana di "gloria". O poco più.
Forse i tempi sono cambiati troppo velocemente e
gli obiettivi non sono più gli stessi, ma una
cosa è certa: nell'epoca della comunicazione
democratica, non ci si può più permettere di
percorrere la strada del "purché se ne parli".
Il rischio è una pioggia d'insulti, momenti di
gloria effimeri e il doppio della spesa per
risollevare il brand.
Contenti voi.
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TUTTO TV The
Apprentice, nuovi manager al fianco di Briatore
su Cielo di
Giuseppe Bosso
“Questo non è uno show. Non siamo
un’agenzia di collocamento. E io non faccio
sconti a nessuno!”. Le poche, semplici, parole
del suo protagonista assoluto potrebbero bastare
a sintetizzare l’essenza di The Apprentice,
la nuova, intrigante sfida del manager italiano
più discusso e famoso del mondo.
Accantonati momentaneamente (?) i box della
Formula 1, Flavio Briatore approda su Cielo
nella versione italiana del talent che negli
U.S.A. ha avuto come mattatore una figura
altrettanto carismatica e complessa quale
Donald Trump, affiancato dai tutor di
fiducia Patrizia Spinelli e Simone
Avogadro di Vigliano.
Talent? Forse fino a un certo punto. Non stiamo
parlando delle nuove aspiranti ugole della
canzone di X Factor o degli chef vagliati da
Gordon Ramsay. I concorrenti aspirano a
diventare protagonisti del business
(senza show) al tempo della più pesante crisi
economica della storia.
8 uomini e 8 donne si contenderanno il premio
finale, lavorare accanto a mr. Flavio. Ce n’è
per tutti i gusti, dal consulente marketing alla
studentessa in lingue, dall’assicuratrice alla
ricercatrice de La Sapienza.
Donne, già. Presenza costante e immancabile
nella vita di Briatore, che pure pare aver
messo, da quel punto di vista, la testa a posto
dopo il matrimonio con Elisabetta Gregoraci e la
paternità. Non per questo, siamo sicuri, una
particolare attenzione sarà dedicata alle otto
aspiranti nuove leve dell’economia, che hanno
colto l’occasione di mettersi in gioco ed
affermare la loro competenza con un personaggio
che, nel bene e nel male, ha fatto e farà ancora
parlare di sé nel mondo degli affari, e non
solo.
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HOT GIRLS Marilyn
Monroe, una diva senza tempo
di Fausto Piu
«Quando ero piccola, nessuno mi diceva mai che
ero carina; bisognerebbe dirlo a tutte le
ragazzine, anche se non lo sono».
A parlare era Norma Jeane Baker, conosciuta da
tutti come Marilyn Monroe, la più grande
diva del cinema. Un mix di bellezza, talento e
fascino, fonte di ispirazione per le grandi
attrici mondiali.
Nata il primo giugno 1926 al Country Hospital di
Los Angeles, Marilyn trascorre un’infanzia
triste: l’identità del padre non è stata mai
chiarita e la madre, con gravi problemi
psicologici e finanziari, non riusciva a
prendersi cura di lei. Passa l’infanzia negli
orfanotrofi, dove subisce maltrattamenti di ogni
genere fino a quando, a sedici anni, incontra il
primo uomo della sua vita, con cui si sposa. Un
matrimonio infelice che si conclude dopo
soli quattro anni. Casalinga, operaia, addetta
alla verniciatura: sono queste le prime
professioni della donna più bella del mondo.
È il 1946 quando una giovanissima Norma Jeane
inizia la carriera di modella nel mondo
dello spettacolo, lavorando con importanti
fotografi che fecero conoscere il suo volto a
tutto il pianeta. Una bellezza stravolgente
e una dote innata che la portano, il 24 agosto
1946, a firmare il suo primo contratto
cinematografico: in quest’occasione cambia il
suo nome in Marilyn Monroe per il tono
sensuale della doppia M.
Il fenomeno Marilyn esplode qualche anno
più tardi, nel 1953, grazie a tre film:
Niagara, in cui interpretava una vamp che
vuole uccidere il marito; Gli uomini
preferiscono le bionde, dove, sensuale più
che mai, intona la provocante Bye Bye Baby;
e Come sposare un milionario, commedia in
cui tre ragazze cercano di sposare degli uomini
ricchi per poter vivere nel lusso.
La popolarità di Marilyn inizia a crescere tanto
da far sognare tutto il mondo maschile. Ma il
suo cuore batte solo per Joe di Maggio, un
giocatore di baseball statunitense, con cui
convola a nozze; un matrimonio molto breve che
si conclude dopo un solo anno. L’ennesimo
trauma per Marilyn che si consola con il
presidente Kennedy e suo fratello Bob.
E nel frattempo i suoi tanti amori finiti si
riflettono nella vita lavorativa. Una
combinazione di stanchezza e tristezza
che portano l’attrice a farsi licenziare dalla
20th Century Fox, uno degli studi
cinematografici più importanti al mondo.
È l’inizio della fine che porterà la diva di
Hollywood ad una serie di sedute da alcuni
psichiatri per sedare il ricordo della mancanza
paterna, ricercata nei tantissimi amanti, che
forse non l’aveva mai abbandonata. Fino al 5
agosto 1962 quando, a soli trentasei anni, viene
trovata morta nella camera da letto della sua
casa di Los Angeles.
Ancora oggi, a distanza di mezzo secolo, non si
è fatta chiarezza sulla sua morte. L’ipotesi più
accreditata è quella del suicidio perché,
la sera prima del decesso, la dolce Marilyn
aveva confidato al suo psichiatra: «Eccomi
qui: la donna più bella del mondo... E non ho
nessuno con cui uscire il sabato sera».
A noi, comunque sia andata quella tragica notte,
resta il ricordo di una donna, icona di bellezza
e stile, che tutti hanno provato ad imitare
senza mai riuscirci. Una donna che ci ha
insegnato che il denaro e la fama non
significano serenità; per usare le sue parole: «Vorrei
essere felice. Ma chi lo è? Chi è felice?» |
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DONNE "Mama"
Hawa: una donna da premio Nansen
di Giulia Fiume
Va ad Hawa Aden Mohamed, meglio nota
come "Mama" Hawa, il premio Nansen 2012. La
sua è una vita dedicata agli altri, un
impegno quotidiano per migliorare la realtà
di chi è meno forte, o meno fortunato.
Ogni anno il premio Nansen per i
Rifugiati, istituito dall’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i
Rifugiati, è assegnato ad organizzazioni,
gruppi o singoli individui che si
distinguono per «l'eccellente servizio alla
causa dei rifugiati» . Si tratta di una
medaglia, simbolo dell’impegno umanitario
e di un premio in denaro.
La vincitrice di quest’anno "Mama" Hawa è
un’ex rifugiata che, nel 1995, ha
scelto di far ritorno nel suo paese, la
Somalia, dopo un lungo periodo di
lontananza. Il suo desiderio era di poter
essere d’aiuto a chi, come lei, era stato
costretto a fuggire da una terra straziata
dall’impeto della guerra e della
siccità. Hawa voleva essere un sostegno
per le donne, i bambini e tutti coloro che
ogni giorno si ritrovavano ad affrontare la
dura realtà della Somalia.
Oggi quel sogno è diventato realtà.
Nella Somalia nord-orientale, nel 1999, Hawa
ha aperto il GECPD (Centro educativo
per la Pace e lo Sviluppo di Galkayo). Si
tratta di un luogo sicuro, dove i rifugiati
di guerra e le vittime di abusi, violenze e
ogni altra forma di disagio posso trovare
accoglienza, conforto e soprattutto
speranza. Il centro si occupa dei
rifugiati, ma porta avanti da anni anche la
lotta contro le mutilazioni dei
genitali femminili.
"Mama" offre ogni anno assistenza
sanitaria, psicologica e corsi di
formazione professionale a centinaia
di donne e ragazzi. Trasmette agli ospiti
del suo centro l’importanza dell’istruzione,
spiega loro come lo studio possa essere un
punto di partenza per costruire una vita
nuova, migliore. Ogni giorno le sue parole e
il suo impegno rappresentano, per tutti gli
ospiti del centro, un supporto e un aiuto
concreto.
«Un’azione umanitaria eccezionale ed
instancabile, fonte di ispirazione
per molti altri»: è così che viene definito
il suo impegno dall’UNHCR alla consegna del
premio e noi, d’altro canto, non possiamo
che ritrovare il nostro pensiero in queste
parole. "Mama" Hawa è davvero un esempio
per le nuove generazioni, una dimostrazione
tangibile d’impegno, coraggio
e altruismo senza tempo. |
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