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Telegiornaliste anno VIII N. 29 (331) del 17 settembre 2012
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TGISTE Alma
Grandin: il Tg1? Ve lo racconto in un libro
di Giuseppe Bosso
Ormai è una delle veterane del
Tg1, e forse anche per questo si è cimentata in questa interessante
iniziativa editoriale.
Incontriamo Alma Maria Grandin, che ha da poco
pubblicato il libro www.viraccontoiltg1.rai.it.
Alma, cosa ti ha spinta a scrivere questo libro?
«Un’idea. L’idea di poter raccontare l’esperienza di una start up come quella
del sito del primo telegiornale italiano. La storia del Tg1 va di pari passo con
quella dell’Italia, e si è evoluta nel tempo, secondo i ritmi e le esigenze del
paese. Ho cercato di ripercorre il valore degli strumenti di informazione,
storici ed innovativi, che si confrontano per raggiungere un risultato comune:
informare, aggiornando costantemente, e verificando comunque, come ogni
giornalista dovrebbe sempre saper fare».
Cosa hai raccolto delle tue esperienze?
«Tutte le esperienze professionali di questi vent’anni sono state utili,
formative e preziose. Vivo e lavoro con la curiosità di chi vuole continuamente
imparare e, nell’era digitale, i giovani la fanno da padroni».
Per te questo è un punto di arrivo o un nuovo inizio?
«Un inizio nuovo e avvincente, direi quasi una sfida. Un nuovo modo di lavorare
che continua ad arricchirmi giorno dopo giorno. Sono stata chiamata da Radio1
proprio per questo motivo: entrare a far parte della nuova redazione del Tg1
online. Per me è stata una sfida dopo oltre 20 anni di professione mi sembrava
di colmare quella parte giornalistica che ancora non avevo esplorato: il web, la
rete e internet».
Nell'era della tecnologia c'è ancora spazio per i libri?
«I libri non moriranno mai. Loro sono il nostro testamento per l’eternità.
Magari libri di carta ed e-book sempre più paralleli. Ma vuoi mettere l’emozione
nel toccare un libro, sentire l’odore della carta stampata e poi leggerlo
sfogliando delicatamente, o avidamente a seconda del testo, tutte le pagine fino
alla fine».
Qual è il tuo prossimo sogno nel cassetto?
«Ne ho tanti e riguardano soprattutto i giovani».
Ci sarà un seguito a questa esperienza?
«Spero di sì, ma deve arrivare l’idea giusta. E sono certa che arriverà presto». |
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NONSOLOMODA Una
nuova rubrica inno di Italianità! di
Francesca Succi
Telegiornaliste.com ritorna in gran forma dopo
questa lunga pausa estiva. Ritorna con le
storiche rubriche dedicate alle donne, e in
particolare alle telegiornaliste, con qualche
cambiamento.
La sottoscritta e la redazione (tutta!) ha
deciso di mandare "in pensione" la
rubrica denominata Cronaca in Rosa, poiché
troppo vaga, per dare spazio a qualcosa su
cui è fondato il nostro bel paese: moda,
bellezza, benessere e lifestyle.
Sulla moda gioco in casa e mi vedrete
spesso come autrice; uno degli argomenti che mi
appassionano e su cui è fondata la mia
professione. La moda, nell'immaginario
collettivo mondiale, è tutta made in Italy.
E allora perché non dedicare qualche riga
settimanale ad un nostro primato? Qualcosa che
ci rende ancora fieri di essere italiani!
La bellezza - fisica e immateriale - fa
parte del nostro Dna. Le più belle donne del
mondo sono italiane, lasciatemelo dire. La
maggior parte degli uomini più belli del mondo
sono italiani, lasciatemelo dire. I luoghi e le
tecniche di bellezza e benessere più apprezzati
al mondo sono italiani! E allora, anche qui,
perché non dare spazio a tutto questo sul nostro
magazine?
Poi entra il lifestyle. Lo stile di vita
italiano, lussuoso o meno (per via della crisi),
è un concetto che tutto il mondo c'invidia. E ci
imita! Tu vuò fa l'americano, ha lasciato
spazio al tu vuò fa l'italiano!
Il nostro desiderio è riportare in vita una
serie di valori che - per via della crisi e
altre problematiche su cui sono puntati i
riflettori - sono andati dimenticati. Attraverso
le parole e le esperienze di chi ancora è fiero
di essere italiano.
Un po' come noi di questa redazione: perché se
non fossimo fieri di essere italiani non ci
saremmo avventurati in nonsolomoda!
Buona lettura!
|
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TUTTO TV Morena
Salvino, la mia strada da attrice
di Giuseppe Bosso
Nel 2002 grande notorietà con lo spot tormentone
Buonaseera; poi un anno a Passaparola
come letterina e l’esperienza a
Centovetrine nel ruolo di Chiara Baldi;
quindi grande successo anche al cinema con
Principessa; incontriamo Morena Salvino.
Cosa stai facendo adesso?
«Al momento niente, in Italia, dopo la
partecipazione a Il restauratore su Rai 1;
all’estero sto lavorando in Danimarca e
Croazia».
Cogli l’attimo, il motto di quello spot che ti
diede grande visibilità: è così anche per te?
«Si, in effetti devo dire che mi ha accompagnata
in molte decisioni».
Ancora oggi ti vediamo spesso in spot e
televendite: per te la gavetta non è ancora
finita?
«Non finisce mai, fino a quando non compi il
grande salto, che per me potrebbe essere il
cinema ad alto livello. Mi piace fare spot, sono
il mio bancomat, la mia fonte di sostentamento.
Dietro pochi secondi di messa in onda ci sono
giornate di duro e impegnativo lavoro».
Ha fatto molto discutere, questa estate, il
programma Veline: da ex ‘letterina’ cosa
consigli a queste ragazze che cercano di
avvicinarsi al mondo dello spettacolo?
«Veline, in realtà, non è poi tanto diverso dai
concorsi di bellezza a cui ho partecipato
quando, sul finire degli anni ’90, iniziavo a
muovere i miei primi passi in televisione. Sono
un’importante vetrina, in cui hai la possibilità
di dimostrare anche cosa sai fare. A queste
ragazze consiglio solo di pensare bene a cosa
vogliono fare nella vita, di andare avanti solo
se sentono che è questa la loro strada, tenendo
presente che è un settore difficile, dove la
concorrenza è agguerritissima».
Com’è cambiata Morena dai tempi di
Passaparola ad oggi?
«Passaparola per me è stato in realtà la fine di
un percorso, quello della tv, che avevo
cominciato molto prima come ti dicevo; fin da
bambina, a 11 anni, avevo fatto teatro un po’per
gioco e poi, man mano, ho capito che era questa
la mia strada. Finito il programma con Scotti ho
iniziato il mio percorso da attrice, con Enrico
Bertorelli, ed è su questa strada che intendo
proseguire. E ho avuto una grande soddisfazione
a New York, vincendo un premio per il film
Principessa».
Guardando indietro, ci sono rinunce che non
ripeteresti o no che non diresti di nuovo?
«Forse nella vita privata, ma per quanto
riguarda l’ambito professionale no, sono sempre
stata convinta di quello che ho fatto; non è
stato un percorso facile ma ho sempre seguito il
mio istinto e ne sono sempre stata contenta».
Negli spot di oggi ti vediamo quasi sempre
nel ruolo di mamma. È un tuo desiderio?
«Si, comune ad ogni donna del resto. È l’apice
della soddisfazione sicuramente».
Hai mai pensato a un percorso giornalistico?
«No. Mi piace conoscere il mondo, viaggiare, ma
non sono incuriosita dalla vita degli altri».
Come attrice c’è qualcosa che non faresti
proprio mai?
«No. Il lavoro di attrice ti porta ad accettare
qualunque cosa ed io per entrare nel personaggio
non mi pongo limiti. Certo, magari, per le scene
di violenza è meglio sempre limitare qualcosa.
Ma se devo, per farti un esempio, ricevere uno
schiaffo, lo ricevo senza problemi».
Come ti vedi tra dieci anni?
«Spero con una famiglia, come dicevo. Quanto al
lavoro, se non dovessi continuare lungo questa
strada, spero in ogni caso di fare qualcosa che
non mi pesi, quando mi alzo la mattina; che mi
dia la gioia di farla».
A Centovetrine, per un periodo, ti
abbiamo vista nei panni di una conturbante
Catwoman: ti è capitato anche nella realtà di
‘vestire’, simbolicamente, i panni di un’eroina
per conquistare un partner?
«No, assolutamente. Fin da ragazzina i fidanzati
che ho avuto mi hanno sempre voluta e accettata
per quello che sono, senza alcuna costrizione o
travestimento, simbolico o reale (ride, ndr)». |
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HOT GIRLS Salute
e sesso, lui e lei: Angel, consigli utili di
Giuseppe Bosso
Una vita sessuale sana e piacevole, ma non solo.
Tanti dubbi sui temi, tante domande da confidare
a un esperto in rete. Nasce così
Salute Lui & Lei, il blog di Angel.
Come è nato il vostro sito?
«Il nostro blog nasce con lo scopo di offrire
contenuti ed informazioni valide sulla salute
sessuale, in veste del tutto informale rispetto
a
121doc, il sito a cui fa riferimento e
dietro al quale lavora uno staff sanitario con
cui collaboriamo. L’impegno speso dalla nostra
redazione nel proporre articoli sempre freschi
ed originali e quello nel rispondere ogni giorno
ai commenti degli utenti, hanno portato Salute
Lui & Lei a raggiungere in meno di 2 anni quasi
4.000 visite al giorno».
Salute e sesso: metaforicamente si potrebbero
definire una coppia talvolta un po’ litigiosa;
come farle andare d’accordo?
«Certamente salute e sesso sono, soprattutto tra
i giovani, una coppia alquanto litigiosa. I
metodi contraccettivi durante i rapporti
sessuali non vengono ad esempio sempre
impiegati, non pensando a quali potrebbero
essere le conseguenze: una gravidanza
indesiderata, come un’infezione genitale.
L’unico modo per fare andare d’accordo sesso e
salute rimane la corretta informazione, magari
resa più comprensibile ed accessibile ai giovani
attraverso un linguaggio chiaro, come quello di
Salute Lui & Lei».
“Parlare di queste tematiche è fondamentale
in un paese come il nostro dove di salute
sessuale si parla poco e male” è scritto nella
vostra presentazione: secondo voi perché è così?
«Per tante ragioni - sia culturali, sia sociali
– nel nostro paese quelli della salute sessuale
sono temi spesso trascurati o non affrontati
adeguatamente. Una politica sociale in questo
senso sarebbe il provvedimento che più in
assoluto potrebbe risolvere la situazione. Dal
canto nostro, noi ci preoccupiamo di dare
informazioni in materia e cerchiamo di farlo
senza inutili tabù».
Chi si rivolge a voi principalmente, uomini o
donne?
«Riceviamo commenti ed email da entrambe le
parti, ma soprattutto in tema di contraccezione
le donne si rivolgono a noi molto più di
frequente rispetto agli uomini».
La rete può sopperire alle carenze che scuola
e famiglia non forniscono ai giovanissimi sul
tema?
«La rete non può essere vista come un sostituto
di scuola e famiglia, ma non possiamo non essere
sensibili ai cambiamenti della società. È un
dato di fatto che non solo i giovani, ma in
generale la popolazione utilizzi sempre più
spesso internet per reperire informazioni. La
nostra società - attraverso il sito
istituzionale e attraverso i propri blog - cerca
semplicemente di far arrivare una corretta
informazione: ci piace pensare che internet
possa rappresentare più un'opportunità che un
pericolo. È importante quindi essere presenti
sul web, rimanendo consapevoli della delicatezza
degli argomenti trattati e della funzione
importante che gli utenti ci riconoscono».
Chiudiamo con una battuta, ma forse non lo è:
una vita sessuale in salute può aiutare a
superare la crisi?
«Assolutamente! Non è forse vero che i soldi non
sono tutto nella vita?». |
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DONNE La
magia di Paola Goretti di
Francesca Succi
Non servono presentazioni per una donna
così. Dirà tutto lei, Paola Goretti, in
questa splendida intervista che ha
rilasciato esclusivamente per i lettori di
Telegiornaliste.com.
Come autrice che rapporto ha con le
parole?
«Assoluto, totale, amoroso, carnale. In
tutte le direzioni. Le parole sono la
sostanza più intima del mio essere, il mio
sangue, il mio respiro, i miei figli. La mia
musica. Mi nutro di loro, più ancora che di
cibo reale, che per me ha sempre avuto
un’importanza relativa. Ne potrei
tratteggiare infinite sfumature, nelle
carambole vorticanti di cui è composto il
loro involucro e la loro emanazione. Le
parole vanno restaurate, indossate, parlate;
vanno tenute vive, messe in circolazione.
Soprattutto, vanno incarnate. Il quinto
chakra – che presiede al processo della
comunicazione e all’atto della fonazione -
non è solo aria. È aria che diviene carne,
materia, spirito, accadimento, mutamento. È
Aria che diventa Realtà».
La sua passione letteraria per Eugenio
Montale come nasce e s’intensifica nel corso
del tempo?
«È una vecchia storia, che ha preso corpo
tanti anni fa quando, nel 1993, vinsi il
premio Montale giovani con una raccolta di
poesie, Gli arcobaleni sul tappeto, poi
pubblicata da Scheiwiller l’anno successivo.
Gli sono sempre stata profondamente
riconoscente, l’ho amato moltissimo. L’ho
sentito, auscultato, accarezzato. Di lui ho
amato le atmosfere immobili e meridiane,
l’articolato fraseggio antiretorico, il
nitore e la complessa musicalità del verso.
Poi con gli anni l’ho tenuto sullo sfondo,
per dare spazio maggiore a registri
differenti, più soavi e morbidi, più
incantati, più di realismo magico, più
femminili, impastati alla terra. Avevo
bisogno di incontrare figure edificanti di
sesso femminile, dopo un’enorme Galleria di
Uomini Illustri (Montale, appunto; Petrarca,
Luzi, Manganelli, Borges, Garcìa Màrquez,
Guadalupi, Bufalino, Tabucchi; l’immenso
Piero Camporesi. Ma anche i miei adorati
Fabrizio de Andrè, Franco Battiato, Vinicio
Capossela), avevo bisogno di incontrare le
mie donne. Così, sono andate in cerca di
loro e le ho trovate tutte. Dopo ho
mescolato, cercando di mantenere ben salda
la robustezza dell’impianto maschile
acquisito con la grazia soave del sentire
femminile, o con gli incendi visionari di
archetipi antichissimi ricollocati nella
giusta vibrazione. Con entrambe le parti, ho
cercato di comporre il mio pentagramma e di
dipingere con le parole. Continuo ancora
oggi a farlo in ogni impresa: letteraria,
saggistica, progettuale, didattica che mi
viene proposta. O, semplicemente, nella
Vita; nel suo flusso emotivo, nel
sentimento, nelle Sacre Parole di cui ogni
relazione ha bisogno per essere rigenerata,
alimentata, curata, annaffiata, tenuta in
perpetuo movimento».
Quale donna del passato avrebbe voluto
essere?
«Isabella d’Este! Lo sanno tutti. Ho un
rapporto con lei che a tratti ha sfiorato la
simbiosi. Ci sono una serie di aneddoti
esilaranti… Quando andai in Brasile per
lavoro, con due valigie sovraccariche (una
era di libri), quelle serpi delle mie
adorabili compagne di viaggio, amiche e
colleghe, mi chiesero se dentro avevo i
candelabri di Isabella d’Este… Ho intere
pagine di aneddotica. E interi ciclopici
carteggi amorosi dove mi firmo Vostra YS,
siglando dal Camarino della fiamma o dalla
stanza degli orologi. Sì, non c’è dubbio.
Avrei voluto essere Lei. Un concentrato di
intelligenza, cultura, eleganza e regalità
messa al servizio del bene. Se penso ai
rapporti che intratteneva con tutti gli
intellettuali che la circondavano, ai suoi
“bei conversari”, all’intrico delle
relazioni, non posso che sentire un flusso
di radianza che ancora si propaga dall’onda
lunga della sua persona. Con lei, La cresta
sottile del rinascimento era davvero
possibile; era possibile, sul finire del
Quattrocento e all’aprirsi del nuovo secolo,
immaginare congiunture talmente colte ed
educate da far quasi dimenticare il sangue
che scorreva a fiotti nel crudo delle
battaglie sferraglianti. Lei teneva alto
l’esempio di Civiltà, avviava a regole che
secoli dopo sarebbero state le pietre
miliari della società galante francese. È
stata un modello, lo è ancora. Nella
sostanza del classico. Quella che continuo a
preferire sopra ogni cosa».
Una del presente e, per assurdo, del
futuro?
«Oh, ne ho a dozzine! Un’intera Galleria di
Donne Illustri che mi piacciono moltissimo.
Monica Guerritore, Mariangela Melato,
Eleonora Abbagnato, carattere e
temperamento, disciplina ferrea, risultati
immensi. E immensa femminilità. Adoro la
vocalità di Sade, regge l’usura del tempo
alla perfezione, il suo stile è smaltato
come trent’anni fa. Adoro la voce di Amalia
Gré, l’intensità dei testi di Mariangela
Gualtieri, un miracolo di ardore. E poi il
volto di Irene Papas, meraviglioso di
intensità; quello di Fanny Ardant,
bellissimo. Quello, profondamente amato,
della mia amica Giuliana Berengan, che a
Ferrara non ha certo bisogno di
presentazioni: uno dei più belli, antichi e
luminosi che abbia incontrato in tutta la
vita. Ammiro poi profondamente le donne che
sono riuscite ad eccellere nel lavoro, col
talento di una creatività robusta e
multifocale, ad essere madri, educatrici e
pasionarie di ardore creativo, nella vita e
nel suo pieno godimento. Un esempio? La
direttrice del Museo Egizio di Torino, Eleni
Vassilika, un mito. E poi, amo la tempra di
mia madre, Lucia; anche se ruvida, per
niente incline ai sentimentalismi (è stato
un incubo, a suo tempo, per me che sono così
languida), ha una memoria prodigiosa, una
lucidità soprannaturale, una stravaganza
complessa e incollocabile, e la forza di
dieci tigri: anche oggi, a 85 anni suonati.
Buon sangue, spero che non menta…
Del futuro vorrei reincarnarmi in una donna
molto evoluta, di un’altra razza umana,
immune dalla sofferenza sterile, dalla
stupidità e dai gorghi dell’inferno.
Destinata a incontrare solo anime
altrettanto avanzate, libere da ogni
pedaggio (specie dai debiti karmici),
sgravate dal peso della scelleratezza e
della follia, impartita o subìta. Diciamo
che, come donna futura, vorrei essere la
papessa (o fondatrice, sacerdotessa, musa,
sirena, maga, fate voi…) del pianeta Venere,
ospitante anime in festa destinate a
incontrarsi sulla base di prospettive
sensoriali, evolute, erotiche; nell’allaccio
benefico e fecondante che ogni contatto
d’amorosi sensi è in grado di generare con
altre anime; specie con quelle di sesso
maschile, a loro volta divenute mature e
sapienti. Io farei da garante super partes,
piantata sul mio tronco sacro, danzante e
millenario, per educare alla gioia mediante
processi di formazione e di educazione
permanente. Voluptas in Virtus, ecco ciò in
cui credo. Fuori dalle logiche
dell’intelletto e del raziocinio. Non è
detto che questo futuro non si realizzi.
Avrei giusto in mente un progetto didattico,
con la preziosa amica Francesca Faruolo,
direttora di Smell Festival. Ci lavoriamo da
ormai due anni, speriamo di poterlo
realizzare presto. Non sarebbe affatto un
capriccio, ma una lezione morale severa e
necessaria, per ricominciare veramente tutto
da capo, seguendo gli insegnamenti dei
Maestri che incitano ad un risveglio
profondo, a partire dal rinnovamento delle
istituzioni. In questo senso, tutti dovremmo
leggere Elogio del moralismo, di Stefano
Rodotà. Un grand’uomo. E per di più,
bellissimo. Con questa moralità rinnovata,
riedificare la nostra vita. Con gli
insegnamenti più alti del pianeta Venere
incorporati alla concretezza del presente».
La sua voce, così sensuale (e peccato che
i nostri lettori non possano sentirla), è
una delle sue particolarità. N’è
consapevole?
«Sì, consapevolissima. Me lo hanno detto in
tutte le lingue, in molte parti del mondo;
molte persone, dopo aver sentito la mia
voce, sono come cadute in trance, in uno
stato di benessere totale indotto dai miei
riverberi vocalici naturali. Col tempo, ho
capito che avevo un’energia terapeutica e
curativa innata. È una storia lunghissima,
il cui primo episodio fondamentale risale ad
un’interrogazione sostenuta durante le
elementari. Avrò avuto 7-8 anni, circa. La
chiamata, la vocazione e il destino erano
già segnate. Da grande, molte delle cose
apprese le ho tramutate in libri e in azioni
concrete, sia come voce narrante che come
insegnante o saggista, nel nucleo di alcune
riflessioni. Ho dedicato alla voce un intero
capitolo del mio libro, Il sentimento della
cura: appunti per un dialogo affettivo
(Pavia, 2004), specie alle pagine su La cura
nella sapienza della voce. Lì ho
sistematizzato alcuni passaggi sulla
teofania del suono tra oriente e occidente,
sulla parola che cura, sul pensiero
pneumatico, sull’aderenza tra significato e
significante dopo lo scollamento teorizzato
da de Saussure, sull’ispirazione e
l’inspirazione, sul pneuma che gorgoglia
negli atti di fonazione e altri intrecci;
sempre passando per la mistica, la teologia,
la letteratura».
Come storica della moda cosa ne pensa del
profondo cambiamento che ha subìto il
costume nell’ultimo secolo?
«Qui mi ci vorrebbe un secolo per
rispondere! I cambiamenti radicali c’erano
anche a metà Trecento, potrei dimostrarlo
argomentando tutta una serie di cicli
pittorici in cui, in un pugno di anni,
prendono forma delle trasformazioni
radicali, davvero inimmaginabili fino a
qualche tempo prima. Non è una questione
dell’oggi. Diciamo che il Novecento ha un
suo cambiamento e una sua logica, che si
sostanzia attorno ad alcuni paradigmi. La
novità principale è che la permanenza degli
orientamenti subisce un’accelerata
vertiginosa; mode e stili non si misurano
più nell’arco di un cinquantennio o di un
ventennio, come accadeva nel tempo lento
delle corti o in quello
dell’industrializzazione ottocentesca,
devota al culto feticista della merce. Da
quando poi le sottoculture giovanili sono
divenute motori trainanti dell’intreccio
postmoderno, tutte le combinazioni hanno
ridefinito il processo storico dentro una
vertigine atemporale, remixando ogni
congiuntura. La globalizzazione, il mondo
del web, la crisi economica internazionale
hanno fatto il resto. Anche negli stili di
vita, nei comportamenti, nei consumi. Ma
parlare di costume nell’ultimo secolo, in
modo così diffuso e generalizzato, davvero
non è possibile».
Per noi è una vera icona di stile.
Gliel’hanno già detto?
«A centinaia. Ringrazio e sorrido ogni
volta. Faccio un inchino, volteggio. Faccio
la ruota per tre minuti poi volo via, per
non prendermi troppo sul serio. E mi chiedo
Ma perché? State parlando di me?».
Quale periodo storico, epoca o decennio
la ispira e l’attrae in maniera totale?
«Nessuno. Non sono una nostalgica, e le mie
nevrosi di sovrapposizione iconografica di
me stessa con tutta la fase del Déco, in
verità sono sempre rimaste solo ed
esclusivamente fascinazioni di tipo
estetico, per forme di eleganza
superficiale. Non certo passioni vincolate a
verticalità complesse e stratificate che in
me vanno in direzioni completamente diverse.
Io sono e resto un’umanista all’antica, sono
una cinquecentista di formazione ed è al
mondo delle corti di antico regime che la
mia anima appartiene. Ma al tempo stesso,
vivo su Urano, ho fortissimi valori uraniani
nel mio tema natale; soprattutto, ho
fortissimi valori di collegamento che vanno
in tutte le direzioni; passato, presente,
futuro, circolarità. In me è tutto
congiunto, allacciato, come in una forma
fluens volteggiante negli slarghi del tempo
e della visione; oggi lavoro sul 1630,
domani sul 1870, dopodomani sul 1450 o sul
2015. Funziono così, come un paradosso.
Proietto il passato davanti agli occhi, lo
progetto e lo riprogetto, in continuazione,
come ce l’avessi costantemente davanti, non
dietro, mai! Questo è ciò che veramente mi
affascina, mi cattura, mi seduce,
visceralmente. Il dèmone a cui ho venduto
l’anima. Girovagare in astronave per tener
vive le cose, raccontare, tramandare.
Soprattutto tramandare. E riportare il tempo
qui, per condividerlo di nuovo insieme».
Di cosa si nutre attualmente l’anima di
Paola Goretti?
«In questo momento, mi sto nutrendo degli
ornati neoclassici di Antonio Basoli e del
suo magnifico progetto grafico dedicato
all’Alfabeto Pittorico; di alcuni profumi
composti da D’Annunzio nelle sue varie
circumnavigazioni rabdomantiche. Di tutto il
sistema del Made in Italy, dal Cinquecento
ad oggi (progetti bibliografici in corso).
Di alcuni libri molto ispirati; Ezio
Raimondi, Le voci dei libri; Luce Irigaray,
Una nuova cultura dell’energia. Al di là di
Oriente e Occidente. Entrambi, dopo tomi e
tomi di altissima dottrina e filosofia, si
sono aperti ad una visione più fluida,
infinitamente semplificata, che coniuga
corpo e mente in modo nuovo, per inediti
alleggerimenti che molto sono in sintonia
con le corde del mio approccio al mondo. E
poi di luce; di luce profondissima. Di qui a
breve dovrò scrivere un lungo saggio
ispirato proprio alla luce, per un
importante progettista contemporaneo che
desidera avere le sfumature delle mie parole
per dar volume ai suoi corpi luminosi. Per
evocare la luce, come esercizio spirituale
necessario per entrare nella parte, ho
persino riletto tutt’estate i miei diari
privati tenuti da trent’anni a oggi in
quaderni di velluto e seta, oltre ai
carteggi con alcuni uomini che ho molto
amato. Ho imparato cose sensazionali. Molto
istruttivo, rileggersi. Fondamentale, per
sperare di non ripetere all’infinito gli
stessi errori, schemi, follie. La luce,
insegna a fare luce. Sempre».
Può dedicare un pensiero, come augurio
della nuova stagione?
«Beh, visto che questo articolo aprirà la
nuova stagione, ecco il mio augurio. Le cose
che tornano erano tue, quelle che non
tornano, non le hai mai avute. È un antico
proverbio toscano, appreso da amici
fiorentini. Mi sembra bellissimo, un
auspicio per il mese di settembre (mese del
ritorno, per eccellenza), da lasciare a
tutti i lettori. Perché torni tutta la
bellezza sospesa, le cose dimenticate,
quelle lasciate indietro, quelle sfregiate
dal tempo; restaurate, incantevoli, luminose
e concrete più che mai. Buon
ricominciamento». |
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