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Telegiornaliste anno VIII N. 23 (325) del 11 giugno 2012
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TGISTE Raffaella Cesaroni, i miei primi 10 anni a Sky
di Giuseppe Bosso
Incontriamo
Raffaella Cesaroni, da dieci anni anchorwoman di
Sky Tg24
dopo varie esperienze in tv locali e carta stampata.
Sky è a un passo dallo spegnere 10 candeline: che bilancio trae da questo
traguardo?
«Il primo pensiero è che il tempo vola. Ricordo come fosse ieri il primo
giorno in cui Sky Tg24 andò “on air”, il 30 agosto 2003. Qualche giorno
prima, in una delle tante riunioni che si susseguirono, il direttore di
allora Emilio Carelli ci disse che sarebbero dovuti passare una decina di anni
perché ci fosse chiaro il valore dell’avventura che ci preparavamo a vivere.
Lui parlava con l’esperienza di chi aveva partecipato al lancio del Tg5. Ed
aveva ragione. Sapeva che Sky Tg24 avrebbe cambiato il modo di fare
informazione in Italia, perché il nostro sarebbe stato il primo canale
all-news italiano. Avremmo creato una maniera completamente nuova di fare
informazione, in onda 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Aveva ragione, oggi lo so
con certezza. Il mio è un bilancio molto positivo. So di aver contribuito
personalmente, con il mio lavoro, ad un cambiamento vero dell’informazione
nel nostro Paese. E questo mi rende felice. Credo che qualsiasi giornalista
avrebbe desiderato vivere un’avventura così, lo start-up di un nuovo canale.
E oggi, sapere che Sky Tg24 è un telegiornale autorevole, di riferimento del
panorama italiano come il Tg1, il Tg5 e La7, mi riempie di orgoglio».
Per lei è stato difficile inserirsi in un canale all-news, all'epoca il
primo in Italia?
«Per quanto mi riguarda il mio arrivo a Sky Tg24 è stato “naturale”. Nel
senso che nell’acquisizione di Telepiù da parte di Stream Tv, da cui poi è
nata Sky Italia, io – che già dal novembre del 2000 lavoravo a Stream – sono
stata assunta dalla nascente Sky insieme a quei colleghi attorno ai quali è
stata creata e potenziata l’attuale redazione di Sky Tg24. Feci un colloquio
con il nuovo Direttore Emilio Carelli nella primavera del 2003, lo conobbi
personalmente. Ho sostenuto provini in esterna ed in conduzione. E poi sono
stata posizionata lì dove il mio Direttore ritenne opportuno. E così ho
condotto il Sky Tg24 sin dal primo giorno di debutto. Una soddisfazione».
Com'è la sua giornata tipo?
«Costruita secondo il turno che ho in redazione. Durante la settimana di
conduzione, che va dal sabato al venerdì successivo (l’organizzazione delle
conduzioni prevede una settimana in video e due no), la sveglia è puntata
alle 4 del mattino. Una gran fatica compensata dal fatto che alle 12 circa
la giornata di lavoro finisce consentendomi, seppur con un occhio chiuso e
l’altro aperto, di dedicarmi alla mia vita privata, la mia priorità. Quindi,
se le forze reggono, un po’ di allenamento in palestra con il mio fidanzato
Gianluca che mi sprona a muovermi, poi la spesa se c’è da fare, un po’ di
riposo se ci scappa, una passeggiata se il tempo è bello, poi la cena con la
musica accesa e la serata finisce tranquilla. Quando, invece, il turno di
lavoro è più umano, in redazione alle 9.30 oppure 10.30, l’organizzazione
cambia perché la maggior parte della giornata la vivo a Sky Tg24 lavorando
al coordinamento del telegiornale. I tempi diventano più corti. Ma con un
po’ di organizzazione si riesce comunque a fare tutto».
Tra un anno, se non prima, gli italiani torneranno alle urne, in un clima
reso infuocato dalla crisi economica e dal divampare di scandali che stanno
favorendo l'ascesa del movimento di Beppe Grillo: quale sarà, in un momento
come questo, il ruolo dell'informazione secondo lei?
«Le ultime amministrative hanno confermato che il vento dell’antipolitica
soffia prepotentemente. Il successo del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo
va considerato contestualmente al dato sull’astensionismo. Gli italiani
stanno cominciando a pagare il prezzo salatissimo di questa crisi economica,
che è internazionale, mentre sono costretti ad assistere al pessimo esempio
di parte della classe politica. Credo che giustamente gli italiani siano
arrabbiati. Anzi, noi italiani siamo arrabbiati. Il ruolo dell’informazione
è, a maggior ragione oggi, raccontare alle persone come realmente stanno le
cose perché se ne abbia consapevolezza. Solo così noi tutti potremo trovare
la forza di reagire e rialzarci ricordando che nei momenti peggiori si è in
grado di dare il meglio di se stessi. I momenti di sofferenza sono quelli
più creativi. Non dobbiamo arrenderci al pessimismo. Mai».
Dalle tv locali a un grande network: la gavetta paga ancora?
«La gavetta paga sempre. Io l’ho fatta nelle televisioni locali di Latina e
provincia ed a quella mi aggrappo sia quando sono professionalmente
soddisfatta sia quando lo sono un po’ meno. Quando le cose vanno bene dico a
me stessa che tanta fatica mi ha fortificato, mi è servita per imparare e mi
ha resa la donna e la professionista che sono oggi. Quando le cose vanno
meno bene (e capita perché sono molto pignola e pretendo moltissimo da me
stessa) mi consolo pensando all’impegno che ho messo per arrivare dove sono.
Sono diventata giornalista professionista a settembre del 2004. Dopo anni ed
anni di lavoro per avere il praticantato. Io sono contenta di essermelo
sudato il mio tesserino da professionista. Sono felice così».
Qual è la notizia che un giorno vorrebbe dare, in apertura di un notiziario?
«Purtroppo le aperture dei telegiornali sono sempre legate a fatti ed
eventi brutti e negativi; è davvero rarissimo aprire un’edizione con una
buona notizia. Per cui, per evitare di essere banale, dico che se un giorno
una bella notizia degna di apertura ci sarà, riguarderà sicuramente la mia
sfera privatissima ed in quel caso la darò in ultim’ora alla mia famiglia».
Chiudiamo con una piccola nota di colore: il look tipo di Raffaella
Cesaroni in conduzione.
«Oggi decisamente camicia, una camicia importante, in tinta unita,
preferibilmente bianca, blu, nera. Oppure giacca strutturata e sagomata,
sempre tinta unita, adoro il rosso, con top dello stesso colore oppure a
contrasto. Negli ultimi due anni il mio look in conduzione è cambiato,
virando verso scelte più classiche. I consigli sono stati del mio fidanzato
che, stando dall’altra parte dello schermo ed avendo un occhio molto
critico, mi ha suggerito cosa il telespettatore vuole e si aspetta da una
telegiornalista: serietà prima di tutto, autorevolezza, buon gusto e
naturalezza. È stato lui a suggerirmi un trucco più leggero. Ero abituata a
fare tutto di testa mia, per amore mi sono lasciata guidare. Ed il risultato
mi piace. Rispecchia la mia personalità, mi soddisfa. Questa sono io
veramente. Ed in onda credo si veda». |
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CRONACA IN ROSA A
Venezia tra Gustav Klimt e Diana Vreeland
dall’inviata Francesca Succi
Venezia – Città di sospiri, tormenti, tradimenti e
amori. Venezia, tutto ciò che non si riesce a vedere è
perché si cela o è già accaduto. Nell’aria solo fascino,
mistero e malinconia. Tra un corso d'acqua e l'altro o
l'accenno di acqua alta per via dell'attrazione lunare. Così
sensuale poiché s'insinua tra le fessure di ogni lingua di
terra; come se volesse far capire chi comanda. Serenissima
di nome e di fatto, questo weekend mi ha ospitato per
assaporare l’arte pittorico-artistica di Klimt al Museo Correr e quella fashion-glam di
Diana Vreeland
a Palazzo Fortuny. Un luogo dei più azzeccati per
esibire menti pulsanti come Klimt e Vreeland.
Due percorsi distinti, ma intrecciati da un unico
denominatore: la classe. Classe pura ed eterea nella
Giuditta del 1901 di Klimt, nel famoso Abbraccio
diventato l’artefice diretto dell’altro quadro ancora più
famoso: Il bacio. La stessa classe, e audacia, nel saper mescolare abiti e accessori per
Harper’s Baazar, Vogue e il Museum of Art di
New York di Yves Saint Laurent, Givenchy e
Cristòbal Balenciaga da parte di Diana Vreeland.
Altro elemento in comune: la valorizzazione della donna.
Di tutte le donne di ogni forma ed estrazione sociale.
Klimt nelle sue opere più importanti ama dare spazio alla
figura femminile come femme fatale o scheletro
invecchiato e putrefatto. Senza mezze misure. Senza
nessuna paura. Perché ogni donna ha il diritto di essere
rappresentata: dall'aristocratica come il ritratto di Amalie Zuckerandl alla prostituta resa arte nella
rappresentazione delle acque; dove ne sono presenti più di
una.
Le donne sono ricche o povere. E quelle ricche splendono
d’oro e gioielli. Come dimenticare le stoffe a patchwork o i
monili di resina e pietre dure che sembrano incastonate a
mano in ogni quadro?! L'aria bizantina, periodo storico che
ha enormemente influenzato i lavori di Klimt, c'è tutta e ad
ogni sguardo s'ingigantisce.
Non è da meno la Vreeland che, tra Russia e Oriente, fascia
le forme di una donna austera ed elegante. Anche lei pazza
per il tocco scenico, lo styling, il colour
blocking e i drappeggi. Non una visione stereotipata, ma
d’avanguardia. Pura!
Gustav e Diana: un uomo e una donna apparentemente
lontani, ma estremamente vicini da idee che
sprizzano di quesiti con relative risposte, ma anche
d'interrogativi ancora da colmare. E che forse sono
attraenti per questo. Una risposta che non verrà mai per la
grandiosità dei risultati raggiunti e delle opere lasciate.
Gustav e Diana: la rappresentazione vivente di quando
arte e moda si mescolano insieme, riuscendo a produrre una
bellezza da mozzare il fiato da lasciare in eredità ai
posteri.
Informazioni:
Gustav Klimt nel segno di Hoffman e della secessione -
Museo Correr
www.mostraklimt.it fino
all'08/07/2012
Inoltre, in concomitanza di quest'ultima è possibile
visitare la mostra intitolata Avere una bella cera. Le
figure in cera a Venezia e in Italia.
Un viaggio tra le figure in cera a grandezza naturale che
testimoniano la storia e i personaggi che hanno vissuto in
laguna.
Tra santi e criminali, regine e gran dame. Una mostra che si
conclude con la rappresentazione di due bambini veneziani
del settecento, vestiti in maniera elegante, che
rappresentano l'unica testimonianza dei pargoli dell'epoca.
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FORMAT Quando
il pubblico risolve casi giudiziari: i processi
mediatici di Sara Giuliani
Ci sono crimini che passano inosservati, atti
illegali di diversa gravità che avvengono
giornalmente in tutta Italia ma di cui nessuno
parla, se non i diretti interessati. E poi ci
sono i processi mediatici, conosciuti da
tutti, argomento di dibattito per settimane
intere a qualsiasi ora del giorno.
Sempre più spesso si assiste a casi di cronaca
per cui veri indagatori non sono più le autorità
giudiziarie e per cui l'indagine ufficiale passa
in secondo piano. Ecco allora che l'aula di
tribunale si trasforma in uno studio
televisivo, il giudice diventa un
conduttore, la giuria si trasforma in una
schiera di opinionisti dalle più varie
origini, gli interrogatori diventano
interviste e il pubblico si estende
da chi è presente in loco a chi si trova al di
là dello schermo. È ciò che sta succedendo in
questo periodo con le indagini sulle scommesse
calcistiche, è quello che è avvenuto in
precedenza per altri fatti finanziari o di
cronaca nera, come gli omicidi di Melania Rea,
di Garlasco, di Cogne: fatti noti a tutti,
perché chi ormai non conosce la vita di Sara
Scazzi o Yara Gambirasio? Sulle reti televisive
principali vanno in onda a tutte le ore
programmi in cui si discute di questi fatti,
mostrando servizi, immagini e testimonianze su
cui si dibatte citando notizie ufficiali o
basandosi su fatti trapelati da fonti non ben
precisate, utilizzando plastici e ricostruzioni
al computer per meglio delineare le dinamiche
possibili.
Se è vero che tutto ciò aiuta la popolazione ad
essere più consapevole, talvolta supporta le
indagini procurando nuovi testimoni e
fornisce un incentivo alle autorità per
concentrarsi maggiormente sul caso, non si
possono negare le ripercussioni negative di
questi veri e propri processi televisivi. Da un
lato si possono evidenziare effetti psicologici
quali processi di emulazione o fobie
collettive, in quanto parlare molto di fatti
di cronaca nera diminuisce il senso di sicurezza
della popolazione. Dall'altro, anche gli effetti
pratici non possono essere trascurati, poiché
tendono ad avere ripercussioni sulle indagini
stesse. Intervistare vicini di casa, parenti e
amici delle vittime e degli indagati e discutere
delle notizie ricevute provoca la nascita di un
giudizio tra coloro che ne parlano come tra
coloro che assistono, portando spesso all'emissione
di sentenze e di giudizi di colpevolezza
indipendentemente dalla decisione ultima del
tribunale.
Quando ciò riguarda prettamente personaggi
conosciuti, l'opinione pubblica è divisa tra
chi ritiene che in quanto persone note sia
giusto discutere dei loro fatti personali e chi
ritiene che, invece, la vita privata debba
comunque rimanere fuori dai riflettori. Sempre
più frequentemente però nell'occhio delle
telecamere finiscono anche persone comuni,
che diventano celebri nel giro di pochi giorni
grazie alle loro malefatte. Così nasce il
fenomeno del turismo del dolore, che
porta un vero e proprio pellegrinaggio nei
luoghi dei fatti di cronaca più dibattuti, come
è accaduto ad Avetrana o all'Isola del Giglio,
fino talvolta a portare tale
spettacolarizzazione a casi di visibilità
estremi, come il film basato sul processo ad
Amanda Knox o il libro che lei stessa ha
promesso di scrivere.
Sull'argomento dei processi mediatici si è
espresso anche Maurizio Tortorella,
giornalista di Panorama, nel suo libro La
gogna. Come i processi mediatici e di piazza
hanno ucciso il garantismo in Italia, in cui
racconta sette casi di cronaca giudiziaria
attuali avvalendosi sia delle carte processuali
sia delle condanne preventive scaturite dalle
cronache giornalistiche.
Considerata la notevole audience dei
programmi televisivi costruiti attorno ad
indagini, è irrealistico pensare che questa
tendenza possa cambiare in un prossimo futuro;
rimane però da chiedersi dove finisca il diritto
all'informazione e la comunicazione di notizie e
dove invece inizi la ricerca di forti riscontri
economici tramite la pura soddisfazione di
curiosità del pubblico, che così spesso vuole
ergersi a giudice rispetto a ciò che si trova di
fronte. |
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HOT GIRLS Quel
gran pezzo di... storia
di Michela Tortolano
Pare che il fascino più forte sia quello dei
figli nati da genitori di nazionalità diverse. E
se parliamo di Lei possiamo ammirarla sia per la
fresca e incisiva bellezza, sia per la pienezza
artistica del suo passato.
È lei, la sexy insegnante, moglie e amante dalle
curve in evidenza, che ha fatto sognare figli e
papà con numerose interpretazioni: Edwige
Fenech.
È il momento in cui i generi horror, thriller e
giallo del Maestro del brivido Dario
Argento iniziano ad imprimersi in pellicola e
ancora anche la produzione già avviata di Pier
Paolo Pasolini darà alla luce Il Decameron.
Dopo pose sensuali su riviste e qualche
collaborazione con pellicole estere arriva agli
schermi italiani con ruoli da protagonista in
diversi thriller, come Perché quelle strane
gocce di sangue sul corpo di Jennifer? e
Tutti i colori del buio.
Il grande successo giunge però con l’inizio di
un periodo destinato a rimanere nella storia
come cult: la Commedia Erotica all’Italiana,
con il film Quel gran pezzo dell'Ubalda tutta
nuda e tutta calda.
Edwige svela abilmente grandi doti sensuali
ed ironiche nelle interpretazioni di
ruoli di vario tipo che la mostrano talvolta in
divisa, talvolta in giarrettiera, ma sempre però
in un’esplosione di erotismo.
La sua figura dai lineamenti pieni di candore e
dalle forme che fanno pensare alla morbidezza la
consacra nel vasto ciclo Decamerotico.
Il pubblico, soprattutto maschile, apprezza la
leggerezza delle sue espressioni, piene di
ingenuità e di malizia al tempo stesso.
Non si nega al nudo integrale e
all’interpretazione di ruoli di diversi
contesti. È la poliziotta e la maestra che ogni
uomo sogna di incontrare nella vita reale.
Riempie con la sua presenza tutto il decennio
della Commedia Sexy e con il divorzio dal
produttore Luciano Martino arriva al termine
anche la sua stagione cinematografica.
Ma non abbandona il mondo televisivo poiché si
dedica alla conduzione di programmi in emittenti
private nascenti in quegli anni.
L’attività che però la occupa a tempo pieno è
quella di produttrice con la società Immagine
e Cinema, con la quale si dedica
inizialmente alla produzione televisiva, poi a
quella cinematografica e in seguito alla
distribuzione di film.
Sarà un suo fan nel 2007 a coinvolgerla
nuovamente davanti alla cinepresa: Quentin
Tarantino, grande appassionato della nostra
Commedia Sexy, per il film Hostel 2. |
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DONNE Donatella
Versace: miglior stilista dell'anno
di Roberta Ricciardi
Si è tinto anche un po' di tricolore il
prestigioso e atteso premio “The Glamour
Women of the Year Awards 2012” che si
tiene ogni anno a Londra e che premia le
donne che si distinguono nel mondo dello
star system.
Ad aggiudicarsi il titolo di miglior
fashion designer dell’anno è stata
Donatella Versace, firma illustre della
moda made in Italy.
Visibilmente emozionata, è salita sul palco
londinese insieme alla figlia Allegra. Abito
color platino per Donatella e look in total
black per Allegra.
La presenza della figlia è stata per la
stilista motivo di doppia emozione, poiché è
stata la prima apparizione pubblica dopo la
lunga battaglia contro i disturbi
alimentari.
Donatella Versace, personaggio
schivo, misterioso ma di grande carisma, è
una donna di forti contrasti: impegnata da
sempre nel sociale, è riuscita a sconfiggere
la dipendenza dalla cocaina che per diverso
tempo ha minato la sua immagine. Un tunnel
iniziato con la morte del fratello Gianni,
fondatore del marchio.
Orgogliosa del premio, ha dichiarato di non
aver ancora esaurito il suo impegno nella
moda, e ha espresso il desiderio di voler
vestire la Regina Elisabetta
d’Inghilterra con alcune delle sue
creazioni. «La Regina può fare ciò che
vuole, ma io la vestirei di nero. Lei è rock
and roll. Non sto scherzando! Ed è una
persona molto alla moda». |
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