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Archivio Telegiornaliste anno VII N. 40 (300) del 5 dicembre 2011
 
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MONITOR Tgiste Style, lo stile in onda. Paola Saluzzi: scivoloni di stile con il solito stivale di Francesca Succi

È bellissima e affascinante. Una donna sicuramente di carattere che, nella sua fisicità, possiede oro vivo per gli uomini (e con una punta di gelosia anche per noi donne). Insomma, dettagli sensuali che lasciano il segno: lunghi capelli ricci rosso tiziano; labbra carnose; pelle liscia e candida come la porcellana; occhi tra il verde e l’azzurro. Se non esistesse, dovrebbero inventarla!

Eppure, a parte le sue doti fisiche indubbiamente superlative, c’è qualcosa in cui Paola pecca: lo stile. Scartabellando il materiale a disposizione nella nostra redazione, ho notato dei punti chiave per definirla monocromatica, stivale-dipendente, velvet-addicted, amante dei toni scuri e “allergica” ai giochi di colore con i relativi contrasti.
Ciò significa che quando va in onda indossa spesso, se non sempre, outfit abbastanza castigati e tendenti tutti alla tavolozza dei colori scuri. Non riesce a staccarsi dallo stivale, corto o lungo, riuscendo ad abbinarlo - sbagliando - pure al tubino!

Per qualche motivo, da rivolgersi al suo puro piacere personale, non sa fare a meno degli abiti in velluto con linee da tanguera. Per quanto possa essere evergreen, il velluto in video appesantisce la figura!

Ma vediamola meglio nel dettaglio:

1. Come ho già annunciato sopra, Paola ama i colori scuri. Qui indossa un abito presumibilmente in cotone stretch con scollo a V. Calze scure e stivali ultracoprenti fino al ginocchio. Un gioiello al collo e capelli sciolti. L’abito possiamo pure approvarlo, ma lo stivale così alto proprio no. Il tutto si sarebbe salvato e risolto con paio di decolté, anche rosse. Perché no!?

2. Seconda mise e ancora toni scuri. Le linee sono quelle di un tubino aderente, passepartout per ogni occasione. L’elemento che stona? Il solito stivale! E l’assenza di gioielli. Ripropongo ancora la soluzione della decolté e, per un look ultrachic, capelli raccolti e pendenti brillanti alle orecchie.

3. Questo è il peggior outfit tra quelli proposti. L’abito si differenzia dal n.1 solo per lo scollo. In questo caso è tondo. Non abbiamo gioielli, non ci sono punti luce e c’è solo l’ombra di un gran scivolone: quello causato dai soliti stivali abbinati su un abito lungo. Perché? Appesantisce la gamba, e in particolare il polpaccio, che risulta più grossa sotto l’abito!

4. Finalmente una svolta. Abitino monospalla turchese/menta con ruches, l’ideale per Paola. Evviva, qualcosa che la valorizza. Anche se, volendo fare i puntigliosi, c’è una piccola pecca. I capelli raccolti vanno benissimo, l'orecchino è perfetto, il bracciale può andare ma la collana troppo ampia no. Cade sull’unico dettaglio dell’abito che doveva mantenersi pulito. Avrebbe raggiunto il top con una catenina d’oro e ciondolo; una di quelle vintage per intenderci. Oppure il girocollo alla Carrie Bradshaw con nome, visto che Paola ci ricorda a tratti la protagonista di Sex and the City!

Qualche consiglio. Hai una pelle perfetta: opta per i colori pastello sia nell'armadio che nel make up; prendi in considerazione la scala cromatica che va dal rosa e al ciclamino. Colori sempre tenui, mi raccomando. Perché con la tua chioma importante potrebbero stonare.
Hai delle bellissime gambe, perché coprirle con dei banali stivali? Valorizzale e slanciale con una bella scarpa con plateau. Il successo è assicurato!
E infine, hai dei tratti dolcissimi: gioca con raso, satin e stoffe leggere. Risulterai più fresca di quello che sei.

Voto complessivo: 5
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CRONACA IN ROSA Mea culpa: sono (fortunatamente) una donna istruita! di Francesca Succi

La settimana scorsa il quotidiano Libero, e più precisamente la penna di Camillo Langone, ha decretato la ricetta vincente per uscire dalla crisi e aumentare la natalità in Italia. Come se il Paese non fosse già umiliato, degenerato, esausto da una serie di citazioni scomposte da parte di illuminati improvvisati.

Ebbene, la geniale soluzione ai suddetti problemi, sulla base di uno studio della Harvard Kennedy School of Government e su alcune dichiarazioni del ministro inglese David Willes, sarebbe quella di serrare le Università alle donne e ghettizzarle al ruolo esclusivo - e brutale - di macchine sforna figli. "Se vogliamo riaprire qualche reparto di maternità bisogna risolversi a chiudere qualche facoltà". Parole shock che farebbero rivoltare dalla tomba tutte le donne che nel secolo scorso hanno lottato e perso la vita per avere autonomia e pari diritti. Un Paese che annaspa e non ha un tessuto sociale, ovviamente, può permettersi di dire anche questo. Vero?

E allora perché non chiudere l’accesso allo studio anche agli uomini e avvicinarli di più alla famiglia, visto che tante ragazze madri rimangono sole e abbandonate a crescere un figlio (o più di uno), poiché il sesso forte non si accolla le dovute - e normali - responsabilità?

La soluzione azzeccata non sta nella profanazione dell’essenza femminile. Perché se le donne di oggi sanno prendere decisioni importanti, prevenire, ad esempio evitare malattie trasmissibili sessualmente, crescere un figlio e portare avanti una famiglia è soprattutto grazie alla cultura. Stiamo parlando di donne con gli attributi. Mentali! Probabilmente, in una situazione così estrema e buia, non esiste una sola via d'uscita. Oppure, la chiave verso la luce della ricrescita è proprio in mano delle donne. Con una certa preparazione, s'intende. Un Paese che taglia la cultura a qualsiasi individuo può considerarsi morto, o in procinto di decadimento.
Il diritto all’istruzione non deve, nella maniera più assoluta, essere limitato a nessun essere umano; senza discriminazioni di sesso, razza e religione. Il rischio di creare una generazione di figli ignoranti è troppo alto. E, sinceramente, di questa gente ne abbiamo già abbastanza (in tutti i sensi).

Un sentito ringraziamento è rivolto a tutte le famiglie che in questo momento di crisi, con profondi sacrifici, hanno puntato e investito sui loro figli (maschi e femmine) con l'obiettivo della Laurea. Anche solo per soddisfazione personale e per non farli brancolare nell'ignoranza. Perché alcuni dei nostri genitori, e soprattutto nonni, sanno cos'è l'ignoranza e cosa provoca (corsi e ricorsi storici sosteneva Machiavelli). Questo è sintomo di crescita. Tutto il resto è arretratezza.

Se le donne oggi fanno fatica a mettere al mondo dei bambini, non è certamente colpa del grado d'istruzione, ma piuttosto del precariato, delle difficoltà e la chiusura mentale.

Meditate gente, meditate.
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FORMAT Roberta Bruzzone e i veri criminologi di Giuseppe Bosso

È ormai un volto noto del piccolo schermo, familiare a chi segue i programmi dedicati ai casi di cronaca che negli ultimi anni hanno caratterizzato il nostro Paese. Presidente dell'Accademia Italiana delle Scienze Forensi, psicologa e criminologa, incontriamo Roberta Bruzzone.

Perché tanto interesse per i delitti, secondo lei?
«Non è certo una scoperta dell'ultim'ora, a ben vedere. Fin dall'800, con la nascita delle prime testate e dei primi articolisti che seguivano le vicende di cronaca nera, c'è questo forte interesse da parte della collettività. Ma, ieri come oggi, con poca attenzione per le vittime. A destare attenzione e curiosità sono i presunti colpevoli e le indagini. Oggi l'interesse è amplificato dai media, internet in testa».

La cronaca nera e il suo "share" sono una causa del peggioramento della società italiana?
«Non credo ci sia un rapporto di causa ed effetto. E' vero che con il progresso tecnologico e la diffusione di sofisticati mezzi di comunicazione c'è maggiore possibilità di essere aggiornati, ma anche in passato l'interesse era forte: ricordi per esempio il caso dei coniugi Bebawi. Purtroppo è anche vero che queste vicende possono essere facilmente strumentalizzate da chi ha interesse a distogliere l'attenzione dal difficile momento politico ed economico che stiamo vivendo».

Sembra, come sottolineava, che ci sia più interesse per i presunti colpevoli che per le vittime.
«Molto dipende da come le famiglie delle vittime scelgono di rapportarsi con la stampa. L'accusato è al centro dell'attenzione e, se posso usare un termine forte, è evidente che ne può approfittare per diventare una vera e propria star, anche se sui generis. Ciò che conta davvero, però, raccontare l'evoluzione dell'indagine, l'accertamento dei fatti. Ed il rispetto per gli inquirenti che sono impegnati nella ricerca della verità».

Mesi fa è finita nel mirino di Virginia Raffaele, imitatrice di Quelli che il calcio...
«Non ci sono più gli imitatori di una volta! Non ho gradito per il dubbio gusto con cui sono stata rappresentata in quel contesto, anche se capisco che è conforme al carattere ridanciano e di basso profilo della trasmissione. Ma non posso negare che ho avuto molta visibilità. E' difficile che una persona poco conosciuta venga presa di mira così...».

Non crede che un'eccessiva presenza dei criminologi in tv rischi di screditare la categoria?
«Dipende sempre da chi si espone. C'è criminologo e criminologo, glielo assicuro. Io ho titoli e curriculum per potermi esprimere con piena cognizione di causa, soprattutto perché lavoro sul campo da anni, con buona pace di tanti pseudo colleghi e vari personaggi alquanto discutibili. Io mi sono sempre espressa con competenza e non ho mai millantato titoli o riconoscimenti, come fanno invece tanti altri che vanno in giro a spacciarsi per esperti senza aver mai messo piede in un'aula di tribunale, su una scena del crimine e senza aver mai seguito, con incarichi ufficiali, casi complessi. Il settore criminologico italiano avrebbe proprio bisogno di una bella ripulita, c'è troppa gente che flagella la credibilità della categoria con la sua sconcertante superficialità».

Cosa consiglia ai tanti aspiranti criminologi?
«Determinazione, impegno e passione. Molta voglia di studiare, seguire un percorso post laurea mirato: la criminologia si lega indissolubilmente anche ad altre materie come la criminalistica, la medicina legale, la biologia. In Italia stanno nascendo strutture specializzate ma un'esperienza all'estero, negli Stati Uniti soprattutto, è consigliabile visto che, rispetto al nostro Paese, viene privilegiata la formazione pratica».
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HOT GIRLS Ti insegno il sesso di Valeria Scotti

Dubbi che vi attanagliano a pochi passi dalle lenzuola? Cambiate direzione e spiccate il volo verso Vienna. Qui aprirà a breve la prima scuola ufficiale di sesso. Ad annunciarlo, la direttrice dell’istituto, Ylva Maria Thompson, che ha specificato: AISOS, Scuola Austriaca Internazionale Di Sesso, insegnerà ai suoi studenti come diventare degli amanti migliori.

Titubanti alla notizia? Il sito della struttura dà comunque qualche anticipazione: «Avete speso tempo ad allenare la vostra mente, i muscoli, la vostra forma fisica. Ma quanto tempo avete speso fino ad oggi per sviluppare le vostre abilità in ciò che veramente conta ovvero l’amore?». Bella domanda.

I corsi? I più svariati. Si andrà dalla storia e della teoria sessuale, passando per le migliori posizioni del Kamasutra, le tecniche e le caratteristiche anatomiche.

Il primo appuntamento in aula è per il 9 gennaio 2012 in un palazzo del 18esimo secolo completamente ristrutturato, ma le iscrizioni sarebbero già quasi al completo. Ad invogliare gli 'studenti' non certo il costo talvolta proibitivo – anche duemila euro a sessione con contraccezione disponibile gratuitamente - ma le parole della Thompson: «La nostra scuola vi farà sviluppare delle capacità che vi cambieranno la vita. Noi vi insegneremo l’arte di dare e ricevere piacere sessuale». Maddai.
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DONNE Shirin Ebadi, voce coraggiosa della giustizia di Giulia Fiume

«Io non sono un leader politico, non coltivo tali ambizioni: sono solo un difensore dei diritti umani»: è così che si definisce Shirin Ebadi, primo giudice del suo Paese e prima donna iraniana e musulmana a ricevere il Nobel per la pace. Ha 64 anni, una grande carriera alle spalle eppure un futuro così incerto davanti a sé.

Shirin è stata costretta a lasciare la magistratura nel ’79 quando la legge islamica ha deciso di destituirla dal suo incarico, affermando che «una donna non può giudicare un uomo». Da allora, la Ebadi ha scelto di intraprendere la strada dell’avvocatura, difendendo con coraggio e passione numerosi accusati ingiustamente dal regime di Teheran. Questo fino al 2009, anno in cui quello stesso regime dal quale la donna cercava di difendere la sua gente l’ha obbligata a lasciare l’Iran per non aver pagato le tasse sull'appannaggio del Nobel.

È stato in quel momento che la vita di Shirin si è ritrovata sul punto di dover cambiare radicalmente. Per la prima volta, dopo tanti anni di duro lavoro, le certezze sembravano vacillare e la strada non appariva più così sicura. Venne chiuso il suo studio legale, furono arrestati suo marito e sua sorella, e tutte le sue proprietà vennero messe all'asta. Non si trattava più soltanto di lavoro, ma di scegliere tra la famiglia e la giustizia.

Shirin quel giorno ha deciso di battersi per un mondo più giusto. E da allora la sua scelta si rinnova giorno dopo giorno: urlata alle manifestazioni, raccontata agli incontri, portata avanti con orgoglio nella sua battaglia senza fine.

Oggi l’avvocatessa continua a farsi portavoce dei diritti delle donne, dei bambini e dei dissidenti politici. Malgrado la “primavera” araba, Shirin crede che la pace e la piena tutela delle donne siano dei traguardi ancora lontani. «È fondamentale il modo in cui le persone pensano» dichiara. La vera primavera, per lei, non è così vicina, ma «state certi che arriverà». Noi tutti non possiamo fare altro che sperarlo con lei.
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