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Telegiornaliste anno VII N. 39 (299) del 28 novembre 2011
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MONITOR Sabrina
Scampini: sì alla cronaca, no all'enfatizzazione
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo Sabrina Scampini che da
un anno affianca Salvo Sottile alla conduzione di
Quarto
Grado, su Rete 4.
Come sei arrivata a Quarto Grado?
«Lavoravo come autrice a Mattino 5 e la direzione di Videonews, Mauro
Crippa e Andrea Delogu, mi chiesero di partecipare al progetto come autore.
Nella fase di progettazione del programma si è resa necessaria una figura
femminile in studio. Siria Magri, la responsabile del
progetto, e Salvo, mi hanno chiesto di farlo e così ho iniziato la mia prima
esperienza in studio».
Come si pone nei tuoi confronti Sottile? Protettivo o esigente?
«Siamo tutti protettivi ed esigenti nella squadra di Quarto Grado. Io e
Salvo l'uno con l'altra. Ma lo sono anche tutti gli altri: Siria, Rosa Terruzzi
- caporedattore centrale - e tutti i nostri bravissimi giornalisti. Esigiamo
molto da noi e dagli altri ma ci aiutiamo e proteggiamo nel lavoro quotidiano:
questa è una delle carte vincenti del programma».
Poche settimane fa Alessandra Mussolini, a Domenica Cinque, ha
accusato programmi come il vostro di essere dalla parte dei killer. Cosa ne
pensi?
«Non posso dare una risposta in generale, sui programmi degli altri. Posso dire
che a Quarto Grado non è così; studiamo le carte e ascoltiamo tutti,
diamo voce agli inquirenti, alle vittime agli accusati; ognuno può esprimere la
sua opinione, poi tiriamo le fila».
Ma non pensi che si dia troppo spazio ai fatti di sangue in tv e nei media?
«In effetti negli ultimi tempi la cronaca ha riempito spazi che prima erano
dedicati ad altro. Bisogna ammettere che è aumentato anche l'interesse del
pubblico; noi comunque nasciamo come programma di approfondimento che si occupa
di delitti, quindi se una persona segue Quarto grado sa cosa troverà».
Ti vediamo piuttosto distaccata in trasmissione rispetto ai fatti di cui
parlate. È il tuo modo di fare oppure ti sei posta così proprio per Quarto
Grado?
«Sono una giornalista in un programma di cronaca nera, quello che dico non è mai
divertente o leggero. Mi trovo a parlare dei particolari di un delitto o di una
scena del crimine perché possono essere utili a capire cosa sia successo, così
come fanno gli inquirenti che lavorano su un caso. Provo sempre pietà e
compassione per i protagonisti dei fatti che racconto, ma non sono qui per
trasmettere le mie emozioni o dare dei giudizi, il mio compito è raccontare gli
eventi».
Si chiude – sembra – la vicenda Perugia con l’assoluzione di Amanda e
Raffaele. Amanda che, tornata in patria, ha subito ricevuto offerte di tutti i
tipi, dalla tv all’editoria: questo è l’aspetto crudele dell'intera vicenda?
«È davvero incredibile che i protagonisti di una vicenda di cronaca nera
diventino così popolari da invadere altri settori come lo spettacolo, ma non è
certo la prima volta che succede. Amanda Knox ha colpito i media e il pubblico
soprattutto per il suo aspetto fisico; è una bella ragazza e la bellezza fa
sempre parlare, quando abbinata alla morte ancor di più. Era successo con Pietro
Maso, con Erika Nardo... Io personalmente non andrei a vedere un film con
Amanda, che al momento è conosciuta al mondo solo perché coinvolta in un
tremendo omicidio, anche se è stata liberata e giudicata innocente. Ma nemmeno
se fosse Erika, condannata perché colpevole di aver ucciso madre e fratellino di
12 anni. Sono personaggi respingenti, qualunque cosa dicano o facciano ai miei
occhi girano con dei fantasmi alle spalle».
In futuro quale ambito del giornalismo vorresti affrontare?
«Sono soddisfatta di quello che sto facendo, vorrei continuare così; mi
piacerebbe, un giorno, occuparmi anche di argomenti più leggeri, come la cronaca
bianca che trovo molto interessante, quella che racconta la vita della gente
comune».
Cosa farà Sabrina da grande?
«La giornalista: scrivere, condurre…».
Un aggettivo per descriverti?
«Irrequieta…».
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CRONACA IN ROSA È
la moda, bellezza!
di Francesca Succi
Che fosse severa, elitaria, e a tratti irraggiungibile,
l’avevamo capito; ma sessista proprio no. E ahimè la moda è
anche questo. L’inconfondibile magia di una collezione in
una sfilata, all’alba di un temibile 2012, per molte
DD (donne-designer), rappresenta una strada senza un
percorso calpestabile. Sbarrato all’imbocco.
E se mademoiselle Chanel, pur con gli impedimenti di un
secolo prettamente maschilista, è riuscita a macinare
successi creando “la nuova uniforme della donna moderna”
(citazione Vogue 1926), le stiliste di oggi
inciampano e fanno fatica a imporsi nella giostra che ogni
anno fa girare miliardi di euro in tutto il globo.
La parola dell’emergente Beatrice Farolo Puglini in
arte Mavi, che da poco si è buttata con i suoi soci nel
fashion system made in Italy, ci spiega come serva grinta e
impegno quotidiano. «Essere donna non significa avere tutte
le porte aperte; soprattutto nel mondo della moda. Devi
dimostrare il doppio e donare il triplo. La competizione
è massima, soprattutto ora che viviamo in un sistema dove il
virtuale si mescola con il reale e viceversa. Vende chi
investe molto sul marketing e sul personaggio;
quest’ultimo affiora già durante lo studio in Istituto. Se
lo stilista ha una grande personalità e originalità
intrinseca, allora possiede il 60% di successo assicurato.
Il restante è determinato dal prodotto e la sua qualità».
E quando le chiediamo quante donne c’erano in corso con lei
ai tempi della preparazione professionale ci risponde «Poche.
Le donne nella moda, per avere l’inserimento assicurato,
devono far parte del comparto produttivo manuale (sarte,
modelliste, visual ecc), oppure della catwalk, e quindi
modelle. Per quelle con spirito verso nuove tendenze, c’è
ancora poco spazio. Gli uomini sono sopra di noi».
Strano. Se pensiamo che quando andiamo a fare shopping,
soprattutto in periodo di saldi, lasciamo mariti e fidanzati
fuori dagli store (perché non ne vogliono sapere di capi e
camerini) e femminilità fa rima con creatività!
Molto probabilmente, una motivazione di natura psicologica
alla base di tutto ciò, esiste: se siamo noi donne le
maggiori consumatrici e affezionate clienti della moda, non
ci "fidiamo" delle dritte artistico-espressive di una
nostra pari. Puntiamo verso i diktat maschili per andare
sul sicuro, pensando che se suggeriscono quelle linee,
ci valorizzano al massimo; soprattutto ai loro occhi.
Oppure, ci lasciamo naufragare dolcemente, nelle visioni dei
sessi di mezzo.
Perché noi donne è agli uomini che dobbiamo (e vogliamo)
piacere, no?! |
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FORMAT I
reality show: un circo di personaggi noti
di Fausto Piu
Non sanno fare nulla: non sanno cantare,
non sanno recitare, non sanno parlare. Non
capiscono niente di cinema, filosofia o
letteratura. Non sanno chi fosse Mario
Monicelli, Kant o Grazia Deledda. Eppure questi
signori una cosa l’hanno capita: per
diventare famosi è sufficiente apparire in
televisione.
Apparire a tutti i costi. È questa la legge
che regna la televisione. Stiamo parlando
dei concorrenti dei reality show che
imperversano nel piccolo schermo.
Un esempio tra tutti: il Grande Fratello.
Veline, gatte morte e coatti che hanno
dichiarato di non aver mai fatto televisione, di
essere per la prima volta davanti a una
telecamera. E poi, facendo una semplice ricerca,
si scopre che nel loro passato ci sono
partecipazioni come pubblico a diversi programmi
televisivi, gare a concorsi di bellezza e
relazioni amorose con vip o personaggi della
politica.
E non ce ne voglia una bionda conduttrice
se uno dei suoi ragazzi, attualmente nella casa
più spiata d’Italia, qualche mese fa condannò i
reality perché permettono guadagni facili. I
telespettatori se lo ricordano bene. E anche
noi.
Dove sono finiti i concorrenti come i primissimi
gieffini, quelli più simili a noi, che
non basavano il loro soggiorno nella casa
soltanto su docce bollenti, liti
furibonde e cambio di partner ogni
ventiquattro ore?
Forse i personaggi così, più bravi e
professionali, sono stati scartati perché non
avrebbero fatto audience. E questi,
comunque sia, restano i migliori. Hanno
capito che si può finire nel piccolo schermo
anche senza passare per la scorciatoia di quel
circo del Grande Fratello. Loro sì,
l’hanno capito. Ed è per questo che sono i
migliori. Almeno per noi. |
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HOT GIRLS Trasgressioni
femminili, parliamone
di Valeria Scotti
I sessuologi si schierano dalla parte delle
donne. Perché quest’ultime, per potere godere di
una sessualità piena e soddisfacente,
dovrebbero concedersi almeno tre trasgressioni:
posare nude per delle foto, leggere romanzi hard
e acquistare sex toys.
Punto uno: le fotografie. Non è
necessario un book da agenzia di modelle.
S’intende semmai un gioco di coppia eccitante.
Un partner deve mettere in posa l’altro
scegliendo le posizioni più seducenti. Il tutto
per stuzzicare l’intesa e far volare la
fantasia. Hai detto poco.
Punto due: la letteratura erotica. Il
senso di eccitazione che certe pagine possono
regalare può facilitare una voglia maggiore di
intimità con il partner. E troppo spesso si
dimentica quanto le parole possano aprire nuovi
orizzonti in camera da letto. Baby, raccontami
allora una favola…
Infine, il capitolo sex toys. Entrare in
un sexy shop non ha mai fatto male a nessuno.
Una boutique del genere non significa solo
vibratori, chiariamo. Ci si può far travolgere
da biancheria intima particolare, creme pronte a
stimolare corpo e mente, giochi da poter
condividere. Un aiutino, in fondo, non lo si
nega a nessuno. Neanche al concorrente del più
semplice quiz televisivo. |
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DONNE Un
premio per la mamma di Haiti
di Simona Di Martino
È fissata al 2 dicembre la premiazione della
Donna dell'anno - 2011. Tra le finaliste
compare fieramente un nome italiano:
Fiammetta Cappellini, 38 anni, capo
missione dell'AVSI (Associazione Volontari
per il Servizio Internazionale) ad Haiti.
Nata a Treviglio (BG), laureata in lettere e
in pedagogia, ha dedicato la sua vita al
volontariato. Dopo aver militato in
Costa D'Avorio, Egitto, Giordania e
Thailandia, dal 2001 il suo cuore s'è
fermato ad Haiti, terra che ha amato
a tal punto da farne la sua seconda casa. È
nell'isola caraibica che Fiammetta si sposa
e dà alla luce il piccolo Alessandro. La
chiamano "la mamma di Haiti".
Il suo impegno nell'aiuto umanitario subisce
un'inevitabile impennata il 12 gennaio 2010,
quando il catastrofico terremoto
devasta la piccola isola e riduce a zero le
speranze di una popolazione già vittima di
miserie e ingiustizie. «Non so davvero da
che parte potremo ricominciare, ma lo
faremo».
Sin dalle prime ore dalla tragedia,
Fiammetta si fa tramite tra Haiti e il resto
del mondo che sta col fiato sospeso. Pochi
minuti al giorno per scrivere in chat su
Skype, chiedere aiuto, raccontare l'inferno
e mettere in moto quella catena di
solidarietà che ci ha fatto sentire per
un po' figli del terremoto anche noi, al di
qua dei nostri schermi.
Commosse i giornali quando decise di
separarsi da Alessandro, che aveva appena
due anni, per restare ad Haiti anziché
tornare in Italia. A chi le chiedeva perché
e come avesse trovato il coraggio di
restare, aveva risposto: «Come si può
trovare il coraggio di andarsene di fronte a
delle persone che stanno aspettando te?».
Oggi l'emergenza haitiana si è sicuramente
ridimensionata, ma gli sforzi per permettere
una vita normale alle persone non sono mai
abbastanza. Dei grandi progressi fatti,
dalla costruzione di scuole e ospedali alle
piccole imprese per le famiglie, Fiammetta
Cappellini ci informa tuttora attraverso i
suoi diari sul web.
Meriterebbe di diventare Donna dell'anno -
2011. Ma se non dovesse, noi le dedichiamo
questo pezzo, piccolo premio per una grande
donna. |
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