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Telegiornaliste anno VII N. 11 (271) del 21 marzo 2011
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MONITOR Caterina
Laita: una persona sui generis che non vuole smettere di imparare
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Caterina Laita, pubblicista napoletana. Da un anno è nel team di
Gente di
Mare tv, il canale diretto da
Gaetano Ferrandino che ha ripreso le sue trasmissioni dopo un black out
durato fino a metà marzo.
Come mai Gente di Mare tv è stata ferma così a lungo?
«Per una scelta editoriale. La sede è stata ubicata sull'isola d'Ischia pertanto
il fermo era inevitabile».
Come sei arrivata a questo canale?
«Sono "sbarcata" a Gente di Mare tv perché ero in contatto con Gaetano: ai tempi
della mia collaborazione con
Canale 21
avevamo avuto l'opportunità di lavorare insieme. All'esordio di questa neo
emittente Ferrandino e l'editore Gerardo De Rosa hanno scelto un team il più
possibile idoneo. Una scelta che devo dire condivido a pieno perché ci sono
splendide persone ed altamente professionali».
Hai avuto esperienze fuori Napoli: cosa ti hanno dato?
«La mia gavetta è iniziata proprio fuori dalla mia città natale. Milano è stato
il mio trampolino di lancio in termini di conoscenze in campo della
comunicazione soprattutto televisiva. Il supporto di David Messina, nome noto
nel panorama giornalistico sportivo, e gli insegnamenti di nomi come Enrico
Crespi e tanti altri elementi di spicco sono stati una scuola fondamentale per
imparare il "mestiere" del giornalista televisivo, soprattutto in una società
dove per molti conta l'apparire in video a dispetto della professionalità».
La tua gavetta è ancora in corso adesso?
«Sono ormai quasi 8 anni che svolgo questo lavoro, ma se dicessi che non ho più
nulla da imparare dovrei essere pronta ad ammettere di non aver capito proprio
nulla. E a chi si sente arrivato dico: "Dio, perdona loro, non sanno quel che
dicono"».
Qual è stato, tra i tanti vissuti finora, il momento da ricordare?
«Il momento più significativo ha riguardato la mia prima diretta a Sky-Play tv,
nel 2005. Un'emozione fortissima. Lì ho condotto la mia prima rassegna stampa
dopo il derby Milan-Inter».
Gioie e dolori di una giovane tgista napoletana.
«Le gioie e i dolori sono simbiotici non ai fallimenti ed ai buoni risultati, ma
alle ingiustizie ed ai meriti. Le gioie più grandi le ho quotidianamente perché
svolgo bene e con professionalità il mio lavoro; i dolori subentrano quando
trovi sulla tua strada gente che offende la professione per la quale hai
dedicato una vita».
Hai mai ricevuto proposte indecenti?
«Bella domanda questa delle proposte indecenti! Dimmi tu un ambiente in cui non
se ne ricevono? Scherzo... No, non ne ho avute fino ad ora».
Un aggettivo per descrivere Caterina Laita come donna e come giornalista.
«Caterina è una donna stranamente normale e paradossalmente sui generis; dipende
da chi incontra sul suo cammino. Come giornalista invece può risultare un po'
scontrosa a volte, ma è solo una corazza per farsi spazio in un mondo difficile
e talvolta ipocrita. Cosa che io proprio non riesco ad essere». |
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CRONACA IN ROSA Essere
lesbiche in Sudafrica di Anna
Rossini
Thembi (nome di fantasia) è stata trascinata via da un taxi
vicino casa sua, picchiata e stuprata da un uomo che
esultava dicendo che la stava "curando" dal suo
lesbismo. Thembi non è l'unica: questo crimine è comune in
tutto il Sudafrica dove le lesbiche vivono nel terrore di
essere attaccate. Ma nessuno è mai stato condannato per
"stupro correttivo".
Il Sudafrica, chiamato spesso la nazione dell'arcobaleno, è
rispettato in tutto il mondo per il suo impegno nel periodo
successivo all'apartheid contro le discriminazioni. È stato
il primo paese ad aver dichiarato fuorilegge nella sua
Costituzione la discriminazione su base sessuale. Ma solo a
Città del Capo l'organizzazione locale Luleki Sizwe ha
registrato più di uno "stupro correttivo" al giorno, e l'impunità
regna sovrana.
Lo "stupro correttivo" si basa su un'opinione falsa e
oltraggiosa per cui una donna lesbica se stuprata può
diventare eterosessuale; tuttavia questo crimine non è
neppure classificato come crimine d'odio. Le vittime sono
spesso di colore, povere, lesbiche ed emarginate. Ma neppure
lo stupro di gruppo e l'omicidio di Eudy Simelane,
l'eroina nazionale e campionessa della squadra di calcio
femminile del Sudafrica, ha potuto ribaltare la situazione.
Il Sudafrica è la capitale dello stupro nel mondo.
Una ragazza che nasce in questo Paese ha più possibilità di
essere stuprata che d'imparare a leggere. Un quarto delle
ragazze è stuprato ancor prima di compiere 16 anni. Molti
fattori possono spiegare questo abominio: il maschilismo
(il 62% dei maschi sopra gli 11 anni ritiene che costringere
qualcuno a fare sesso non sia un atto di violenza), la
povertà, abitazioni stipate, uomini disoccupati e
privati del diritto di voto, l'accettazione da parte della
comunità; inoltre, per i pochi casi che vengono denunciati
con coraggio alle forze dell'ordine, una riposta penosa
della polizia e sentenze lascive.
Avaaz, ovvero "voce", un'organizzazione non profit e
indipendente che ha lo scopo di far sentire la voce dei
cittadini nei processi decisionali, ha lanciato una
petizione per chiedere al Presidente sudafricano Zuma e
al ministro della giustizia Radebe di condannare
pubblicamente lo "stupro correttivo", penalizzare i crimini
d'odio e garantirne l'esecuzione immediata, l'educazione
pubblica e la protezione delle vittime. Un obiettivo
ambizioso, considerato che il Presidente stesso è stato
processato per stupro. |
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FORMAT Marica
Longini, un'estrosa di successo di
Giuseppe Bosso
Nata in Puglia, trapiantata da anni a Milano, è
ormai un volto noto del pubblico televisivo,
ospite ad Antenna 3 e a Quelli che il calcio.
Ma Marica Longini è anzitutto un avvocato
penalista ed agente FIFA che abbiamo il piacere
di intervistare alla scoperta dell'altro lato
del pallone: quello dei procuratori.
Hai avvertito più maschilismo tra i tuoi
colleghi procuratori o in tv?
«Il calcio è un ambiente maschilista in tutte le
sue sfaccettature. Tuttavia, grazie al mio
carattere aperto, alla mia determinazione,
costanza e impegno sono riuscita a conquistare
credibilità tra gli addetti ai lavori e gli
operatori di mercato mi trattano oramai come se
fossi un procuratore uomo».
C'è una vulgata molto diffusa che vede nei
procuratori tra i principali, se non i
principali, responsabili dei mali del pallone:
come parte in causa cosa rispondi?
«Credo che i mali del calcio non siano da
attribuire esclusivamente agli agenti Fifa,
coloro che "volgarmente" vengono definiti
procuratori sportivi, ma a tutti gli operatori
del settore. Il calcio in fondo non è fatto solo
di procuratori. E comunque ritengo che non sia
il caso di generalizzare, come in tutti gli
ambiti lavorativi anche nel calcio ci sono i
"buoni" e i "cattivi"».
Senza riferimenti alla tua vita privata,
dovessi assistere il tuo compagno non pensi
avresti difficoltà?
«Assolutamente no: in una situazione del genere
credo che a fronte di un rapporto stabile e
affettivo mi dedicherei con una passione
maggiore nello svolgere la mia attività, anche
se con tutti i miei assistiti ho un ottimo
rapporto basato sulla fiducia, stima e affetto
reciproci, per cui ci metto sempre l'anima
nell'assisterli».
Le donne saranno sempre più protagoniste del
calcio che verrà?
«Sì, se sapranno mostrarsi professionali sia
come dirigenti che come agenti e ovviamente,
anche conduttrici e giornaliste televisive.
Sfortunatamente non mancano anche quelle ragazze
che tendono ad avvicinarsi al calcio solo per
scopi frivoli, come quello ad esempio di
conoscere i protagonisti del pallone e farsi
pubblicità. Fare il procuratore richiede molto
spirito di sacrificio, io vado spesso a vedere
le partite, indipendentemente dalle condizioni
atmosferiche, vado spesso da sola in Sudamerica
per scoprire nuovi talenti o vedere all'opera
giocatori che mi segnalano, cerco di curare
sempre al meglio la redazione dei contratti per
gli atleti, e ciò richiede preparazione e
competenze specifiche. Per cui ben vengano le
donne, purché siano preparate e abbiano
realmente voglia di lavorare in quest'ambito».
Cosa farai da grande?
«Non pongo limiti alla provvidenza, amo dire che
mi rinnovo giorno per giorno, mi sveglio ogni
mattina con il sorriso e sono sempre pronta ad
affrontare nuove sfide. Senz'altro continuerò a
fare quello che sto facendo ora con lo stesso
entusiasmo, poi chissà. La televisione mi ha
sempre affascinata e la faccio da quand'ero
piccola; non mi dispiacerebbe condurre un
programma sportivo tutto mio».
I cappelli che sfoggi in tv sono una tua
trovata o è nata per caso?
«Sono sempre stata creativa, estrosa e ci metto
una buona dose di teatralità spontanea in tutto
ciò che faccio, e così capita che al momento in
diretta mi invento scene comiche. Fa parte del
mio modo di essere, stare davanti alle
telecamere è come essere a casa sul divano.
Insomma, sono sempre me stessa».
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HOT GIRLS Convivenza
e convenienza
di Valeria Scotti
In fondo l’abbiamo sempre saputo. Le donne vanno
a convivere sognando il matrimonio. Gli uomini
no. I maschietti spesso e volentieri si lasciano
trascinare in questa scelta per una sola
ragione, la più materiale: garantirsi un’attività
sessuale continua. Chiamali scemi.
Lo dice una ricerca pubblicata sul Journal of
Family Issues. Lui e lei sono d'accordo sui
molti vantaggi del convivere. Vedi il poter
condividere le spese di tutti i giorni e la
possibilità di poter trascorrere più tempo
insieme a partire dal risveglio con colazione,
fino al momento della cena. Ma secondo la
professoressa Penelope Huang dell’Università di
San Francisco che ha guidato la ricerca, i fini
sono appunto diversi. Lei sogna l’abito
bianco, lui il tempo che trascorrerà tra le
lenzuola.
E mentre gli uomini si sentono meno legati con
la convivenza considerandola un test che non per
forza li porterà alla tomba dell'amore, le donne
la intendono solo come un breve intervallo prima
di convolare a nozze.
Insomma, la coppia va a convivere con differenti
livelli di impegno. E la sincerità, come spiega
la psicologa Pauline Rennie-Peyton, si fa
necessaria. «Vivere con qualcuno non è un
impegno. Se le donne pensano che sia un
trampolino di lancio verso il matrimonio, devono
metterlo in chiaro fin dall'inizio». Giusto per
dare al partner la possibilità di scappare. |
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DONNE Suzanne
Rotolo: intellettuale, attivista e... musa
di Chiara Casadei
Una New York radicale e underground di fine
anni ’50 ha fatto da palcoscenico a uno
degli incontri che ha influenzato non solo
un’icona musicale universalmente
riconosciuta ma anche un modo di pensare: è
la storia di Bob Dylan, il nuovo chitarrista
folk approdato nella Grande mela, e Susan
Elizabeth Rotolo, meglio conosciuta come
Suze, 17 anni, intellettuale e attivista.
Figlia di due immigrati di seconda
generazione, padre illustratore e madre
giornalista, ha infatti ispirato la
musica giovane e ribelle di Dylan
iniziandolo agli ambienti più radicali: tra
le poesie maledette di Rimbaud e le storie
di protesta, tra la necessità di denuncia
sociale e l’arte di Cezanne e Picasso,
Suzanne è diventata in poco tempo la sua
musa. Non è un caso che sia proprio lei a
comparire nella copertina dell’album
Freewheelin’, scatto che immortala, sì,
il cuore del Village ma anche un tempo di
lotta e di ricerca di valori.
«Era la cosa più erotica che avessi mai
visto. Incontrarla fu come saltare nei
racconti delle Mille e una notte.
Cominciammo a parlare e la mia testa
cominciò a girare […] Quante notti ho
trascorso sveglio a scrivere canzoni per poi
mostrargliele e domandare: “Va bene così?”».
Nonostante tutto però, dopo soli tre anni,
le loro strade presero diverse direzioni:
lei si spostò a Cuba e sposò un italiano,
Enzo Bartoccioli.
Nel film documentario di Scorsese No
directions home parlò per la prima volta
della sua storia con Bob Dylan che poi
trattò anche nell’autobiografia A
freewheelin’ time: a memoir of greenwich
Village in the Sixties, pubblicata nel
2008. Il febbraio scorso, all’età di 67
anni, la musa del famosissimo musicista si è
spenta a New York in seguito a una lunga
malattia, lasciando un’eredità non
indifferente: difficile da percepire ma che
fa parte dell’attuale presente. |
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