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Telegiornaliste anno VI N. 39 (256) del 22 novembre 2010
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MONITOR Sonia
Sarno: Indro mi ha fatto amare il mestiere
di Giuseppe Bosso
Giornalista professionista dal 1992, Sonia Sarno lavora al
Tg1, redazione
interni. Nel suo passato, un'esperienza significativa sulla carta stampata
accanto a Indro Montanelli al quotidiano La Voce. Passata all’Indipendente,
conosce Daniele Vimercati che diventerà il suo compagno di vita fino alla
scomparsa nel 2002.
Hai più rivisto Paolini dopo quello
spiacevole incontro?
«Fortunatamente no. È stata una brutta situazione che poteva finire anche
peggio. Una mia collega del Tg2 in quel periodo era in gravidanza e faceva
spesso collegamenti esterni al seguito di Berlusconi e altri politici: ecco, se
fosse capitato a lei di essere trascinata a terra in quel modo, la vicenda
avrebbe potuto avere conseguenze di gran lunga peggiori. Capisco che la libertà
d'espressione delle opinioni sia libera e costituzionalmente garantita. Ma la
questione è sul metodo: non può essere quello impiegato da Paolini che mira, con
violenza non solo verbale, a limitare i diritti altrui».
Ritieni siano maturi i tempi per una ‘direttora’ anche al Tg1?
«Perché no? Con
Bianca Berlinguer al Tg3 la Rai ha fatto davvero un bel passo in avanti e
comunque non è il primo direttore donna in Rai. Non mi stupirebbe una donna
anche alla guida del Tg1. Non ricordo di avere mai assistito a discriminazioni
in questo senso. Nel mio piccolo, pur avendo sempre lavorato in redazioni
prevalentemente maschili, quali sono in genere quelle degli interni, non ho mai
subito discriminazioni in quanto donna. Ho sempre avuto capi molto corretti e
attenti. Semmai il punto è un altro: per una donna, conciliare un lavoro molto
impegnativo con figli e famiglia è faticosissimo. Il discorso è complesso;
bisognerebbe parlare della necessità, ormai per tutti, di un doppio stipendio in
famiglia ma anche di strutture inadeguate a supportare le famiglie e di tante
altre magagne che rendono difficile il ruolo di madre e di professionista.
Personalmente, se avessi figli, di sicuro non farei l'inviata: allevare bene un
figlio comporta un impegno enorme. Ed è molto più importante che fare carriera
in una azienda».
Il Tg1 è stato un punto d’arrivo o di ripartenza per te?
«Entrambe le cose. Arrivarci è stato un sogno divenuto realtà, una meta che mai
immaginavo di raggiungere per davvero. Comunque, una volta arrivata, inizia un
nuovo percorso, una nuova sfida in cui devi saper dimostrare quello che vali
ogni giorno. Non bisogna mai adagiarsi, ma guardare sempre avanti».
L’esperienza che più ha segnato la tua carriera?
«Oltre all’approdo al Tg1, gli anni passati con Montanelli, una vera scuola di
vita. Lui, anche se ormai aveva i suoi anni, tutte le sere veniva in tipografia
per chiudere le pagine del giornale prima che andasse in stampa. Controllava
tutto, rileggeva attentamente ogni cosa. Per una giovane laureata quale ero io,
la miglior palestra possibile. Lavorare con lui è stato un privilegio che cerco
di mettere a frutto ogni giorno».
L’insegnamento più grande che ti ha trasmesso?
«L’umiltà. Vivere la professione come un servizio per il lettore. Pur essendo un
grandissimo personaggio, Montanelli ha sempre mantenuto i piedi per terra e mi
ha insegnato a non abbassare mai la guardia. L’errore c’è, ed è dietro l’angolo,
ma se sai affrontarlo a viso aperto puoi andare avanti. Lui si faceva sempre
rileggere i pezzi che scriveva. Nonostante fosse un gigante del giornalismo».
C’è spazio per gli affetti nella tua vita?
«Sì. È stato un grande dolore la perdita di Daniele (Vimercati), ma oggi ho
ritrovato la serenità grazie a un nuovo compagno, un medico di Milano che
conosco da quando sono nata. Era un compagno di scuola delle elementari di mio
fratello».
Cosa pensi di Telegiornaliste?
«Sito molto simpatico, ben fatto e molto garbato. Mi aiutate non di rado a
ritrovare il buonumore leggendo i commenti affettuosi dei vostri lettori e
rivedendo le mie immagini».
Ti hanno mai messo il bavaglio?
«Mai, men che meno Montanelli. Pur seguendo importanti personalità politiche,
posso dire che per mia fortuna nessuno mi ha mai condizionata o provato a
mettermi bavagli, virtuali o reali!».
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CRONACA IN ROSA Rughe
politically incorrect di Anna
Rossini
Può una donna con le rughe lavorare in televisione? Questa è
la domanda a cui sono chiamati a rispondere i giudici
inglesi, alla prese con una causa intentata dalla
giornalista Miriam O'Reilly, 53 anni, contro la
blasonata BBC. La signora lamenta di essere stata
allontanata a causa della propria età dal programma
Countrylife e, in cambio, di aver ricevuto un'offerta
per condurre un programma radiofonico sui pensionati. Non
senza essersi sentita consigliare, qualche mese prima, di
“fare qualcosa per le rughe”.
Se il problema sia davvero l'alta definizione, come le aveva
preannunciato nel 2008 il regista del programma, che
renderebbe i segni del tempo più visibili, non è dato
sapere. In compenso pare che nel programma le conduttrici
ultraquarantenni siano state trasferite, ricollocate in
incarichi meno prestigiosi e sostituite con persone più
giovani, mentre il co-presentatore, 68enne e
maschio, resterebbe inossidabile al proprio posto.
Per la BBC, quindi, non vale quello che è normale per la
famiglia reale. Una attempata signora di 84 anni siede sul
trono di una delle più grandi potenze mondiali, mentre una
giornalista di mezza età non può sedere da protagonista in
uno studio televisivo. Trascurando i risvolti legali, la
vicenda macchia comunque l'impeccabile reputazione
della televisione pubblica inglese, fondata nel 1922,
modello di giornalismo e di tv ben fatta conosciuto e
apprezzato in tutto il mondo. |
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FORMAT Gaetano
Ferrandino: passione per il mestiere prima di tutto di
Giuseppe Bosso
Incontriamo con piacere
Gaetano Ferrandino, direttore di Gente di Mare tv. Una lunga
esperienza alle spalle - i primi passi nel mondo del giornalismo
sulla carta stampata, poi l'approdo a Canale 21 - e nel 2009 una
nuova sfida: fonda infatti insieme all'imprenditore Gerardo De Rosa
la G&G Communication, società specializzata in produzioni televisive
e servizi per l'editoria. Primo format è il programma
Gente di Mare su Napolitivù. Tra i volti del
notiziario di Gente di Mare news, un anno fa ha ricevuto il Premio
Personalità Europea in Campidoglio con importanti personalità del
giornalismo, dello sport, della politica e dello spettacolo.
Gaetano, come nasce
Gente di Mare tv?
«È un’idea che era in cantiere da tempo, ma solo
quest’anno l’occasione è maturata per portare a compimento il
progetto. Il format che ho condotto ha avuto molto successo e siamo
stati bravi a cogliere l’occasione del tg delle isole del Golfo,
lanciato non dagli studi ma direttamente on the road. È stata una
grande soddisfazione per me venire poi premiato, in Campidoglio, tra
personalità di livello nazionale. Proprio io che, con una collega di
Roma, ero l’unico ‘sfigato’ conosciuto solo in ambito locale».
Quali sono state le difficoltà che hai
incontrato nel portare avanti il progetto?
«Devo ringraziare Gerardo De Rosa che non ha
lesinato tempo e risorse economiche per sostenere questa iniziativa.
Ho trovato in lui la volontà di creare una tv perché mi ha chiesto
di creare un prodotto quanto più elastico e innovativo possibile».
Coprire territori che, come l’area flegrea,
non contavano su un’emittente di riferimento aumenta le
responsabilità?
«Penso che la nostra innovazione è un’altra:
ormai tutti i tg locali più o meno tendono ad essere l’uno il clone
dell’altro. Noi invece abbiamo puntato sulla differenziazione,
sull’incentrare la notizia sul posto, mettendone in risalto le
caratteristiche mentre si parla della notizia. Una caratteristica
comune a molti cronisti napoletani è quella di essere, loro, i primi
masochisti, cioè di mettere particolare evidenza agli aspetti
negativi della nostra regione, del nostro territorio. Noi questo non
lo facciamo. Per quanto mi riguarda, non sento particolari
responsabilità avendo studiato questo progetto come, se mi posso
paragonare a un sarto, un vestito su misura. Continuo per questa
strada da venti anni e, ci tengo precisarlo, mi sono sempre tenuto
alla larga dai salotti del giornalismo napoletano, amando il mio
lavoro disordinato».
Angela Siciliano, Rossella Marino, Caterina Laita, Imma De Rosa:
dirigi una squadra femminile. Si dice che tra donne sul lavoro la
rivalità sia forte, è un problema che avverti?
«Amo ripetere che le donne possono essere una
risorsa o una rovina; nel campo professionale sono sicuramente una
risorsa, e posso dire che anche sotto questo aspetto l’esperienza a
Gente di Mare è una novità importante per me. Ho scelto queste
ragazze puntando non solo e non tanto sulle precedenti esperienze
che avevano avuto, ma soprattutto per il loro carattere, dando loro
modo di potersi esprimere in maniera sicuramente più adeguata di
quanto, in altri ambiti, non avevano potuto fare, in cui la
meritocrazia viene accantonata ad appannaggio della maggiore
anzianità. Il curriculum personale, oltre che quello professionale,
è fondamentale per me, e l’ho provato sulla mia pelle. Mi è capitato
in passato di lasciare per quattro volte il lavoro, quando capii che
non potevo dare di più di quello che avevo dato fino ad allora».
A cena con il sindaco, il secondo
format che hai lanciato su Napolitivù, mostra i primi cittadini in
un ambito più familiare che quello istituzionale. È un modo per
riavvicinare il cittadino alla politica?
«Non lo so, ma più che a questo ho mirato a
mostrare i sindaci nel loro lato umano, diverso da quello che siamo
abituati a vedere, dietro una scrivania».
Meglio autore o conduttore?
«Mi sto scoprendo alquanto misantropo. Se non
per le serate in occasione di eventi di richiamo, non ho un gran
rapporto con la piazza. Mi ero ripromesso che a 40 anni avrei
lasciato il lavoro davanti alla telecamera per puntare di più al
dietro le quinte, e sento che questa scadenza è ormai vicina».
Digitale terrestre: a un anno di distanza, lo
valuti una risorsa o un bluff?
«Risorsa, e non potrebbe essere altrimenti. Non
saremmo dove siamo, ma i passi da compiere sono ancora tanti, la
regolamentazione non è ancora stata attuata. Ci saranno molti più
canali che avranno modo di spaziare e sbizzarrirsi. Credo
assolutamente nella libera e piena concorrenza».
Dovendo consigliare ai giovani aspiranti
giornalisti, gli diresti di rimanere in una realtà difficile come la
Campania o tentare altrove?
«Non vorrei cadere nei soliti luoghi comuni, ma
penso che la prima cosa che ci si debba chiedere non sia tanto:
'Meglio qui o fuori?', piuttosto se si ha la passione, la voglia di
fare davvero questo lavoro. La cosa peggiore che mi potrebbe
capitare è alzarmi la mattina sbuffando all’idea di quello che mi
aspetta; con questo atteggiamento sei finito, nel nostro come in
altri mestieri. Mi fa rabbia vedere che oggi ci sono tanti
sbarbatelli senza nessuna esperienza che chiedono soldi per
cominciare quando io, alla loro età, avrei pagato di tasca mia solo
per poter scrivere un articolo o realizzare un servizio anche di
pochi secondi. Se posso usare un’espressione forte, le strade da
percorrere sono due: o fai il leccapiedi, o investi su te stesso. A
tutt’oggi posso dire con convinzione che la mia scelta era e rimane
la seconda. Poi, non voglio certo fare il bacchettone con chi
ricorre all’altra via».
Di fronte al riesplodere dell’emergenza
rifiuti, quale credi debba essere l’atteggiamento dei media?
«Ritengo che siamo proprio noi partenopei i
primi masochisti verso noi stessi. Ingigantiamo le cose negative,
come appunto la ‘monnezza’, mentre se dobbiamo parlare
dell’inaugurazione di un museo o di un evento culturale di prestigio
tendiamo a sorvolare. L’emergenza è figlia, prima ancora che delle
negligenze istituzionali, della nostra disattenzione. Non capisco
come ci siano, sempre in Campania, città che hanno raggiunto
risultati straordinari in tema di raccolta differenziata, e altre
aree dove non puoi girare per strada senza trovare cumuli di
immondizia ovunque. È una mentalità che deve cambiare e che noi
dobbiamo cercare di inculcare alla gente».
Credi più nello scudetto del Napoli o nella
soluzione dell’emergenza?
«Credo molto di più ad un Napoli campione
d’Italia, in futuro più che nell’immediato, che alla fine
dell’emergenza rifiuti. Spero però di sbagliarmi su entrambe le
cose». |
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HOT GIRLS Se
lavoro per sesso di
Valeria Scotti
La crisi, la crisi. Ormai abituati a questa
parola, sappiamo di certo che qualche soluzione,
seppur temporanea, c’è. E se le mancanze
riguardano il lato affettivo, o quello sessuale?
Fate le valigie, si va tutti in Francia. Lì è
boom su internet di annunci: piccoli lavoretti
domestici in cambio di sesso.
Proprio così. E le offerte giungono da vari
settori. Chiedete e vi sarà dato. Professori,
idraulici, artigiani. Tutto fa brodo. Secondo
una recente inchiesta del quotidiano Le
Parisien, ad esempio, sarebbero molti i
professori - fascia d'età 40/50 anni - pronti a
offrire corsi a belle ragazze 18enni in cambio
di tenerezze.
Cosa dire poi delle casalinghe, icone della
disperazione e della noia più oscura? A
risollevarle arrivano maschietti impegnati in
servizi a domicilio di ogni tipo: dal
giardinaggio alla pittura, dall'idraulica alle
pulizie. La moneta si riscuote poi sotto le
lenzuola.
E la cosa, che non è perseguibile da un punto di
vista penale, preoccupa sempre più le
associazioni per la lotta alla prostituzione.
Tra le proteste, quelle di Yves Charpenel,
presidente della fondazione Scelles per la
prevenzione della prostituzione: «Teniamo sotto
controllo questo tipo di annunci con attenzione.
Crediamo si tratti di una nuova forma di
prostituzione anche se il pagamento non si
effettua con il denaro. In ogni caso, è una
evidente forma di mercificazione del corpo
umano».
Arginare il tutto? Difficile, gli annunci in
fondo sono legali come afferma l'avvocato
Alexandra Hawrylyszyn: «In Francia la
prostituzione non è vietata ma solo
l'adescamento, cioè la richiesta di denaro in
cambio di sesso che è illegale. Dunque, un
servizio non è una remunerazione e questi
annunci non sembrano penalmente riprovevoli».
Null'altro da aggiungere. |
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DONNE La
Birmania di Aung San Suu Kyi di
Valeria Scotti
Sette anni di arresti domiciliari. In fondo
Aung San Suu Kyi, leader democratica
birmana, ha alternato brevi assaggi di
libertà a lunghi periodi di detenzione.
Scaduti infatti 18 mesi di arresti
domiciliari che le erano stati inflitti per
il tentativo di raggiungerla da parte di un
americano, dopo la condanna a precedenti
sette anni che le erano stati comminati
dalla giunta birmana. Sommati a ulteriori
condanne, si parla di quasi 15 anni di
arresti domiciliari.
Al suo primo discorso dopo la liberazione,
il premio Nobel per la Pace 1991 ha
affermato di voler lavorare con tutte le
forze democratiche, senza perdere la
speranza per un futuro migliore. Per lei, un
bagno di folla. «La base della democrazia è
la libertà di parola, e anche se penso di
sapere cosa volete, vi chiedo di dirmelo voi
stessi. Insieme decideremo quello che
vogliamo, e per ottenerlo dobbiamo agire
nel modo giusto».
«Non c'è motivo di scoraggiarsi», ha
proseguito Suu Kyi, aggiungendo poi di non
provare rancore verso la giunta militare che
l'ha privata della libertà. «Niente può
essere raggiunto senza la partecipazione
della gente. Dobbiamo camminare assieme. C'è
democrazia quando il popolo controlla il
governo. E, per questo motivo, accetterò che
il popolo mi controlli».
Figlia del 'Padre della patria' generale
Aung San, ucciso quando lei aveva solo due
anni, Aung San Suu Kyi l'aveva sempre detto
al marito Michael Aris, conosciuto durante
gli studi in Inghilterra: se la Birmania
avesse avuto bisogno di lei, avrebbe fatto
tutto il possibile per il suo Paese.
La sua vita, un’odissea continua. Lasciata
la Birmania a 15 anni, al seguito alla madre
diventata ambasciatore in India, Suu Kyi
avrebbe potuto passare comodamente il resto
della vita all'estero. Vissuta
principalmente in Gran Bretagna, dal 1972
con il marito e i due figli, nel 1988 tornò
in patria per assistere la madre malata.
In breve tempo il Paese, governato dai
militari dal 1962, fu scosso da imponenti
manifestazioni a favore della democrazia,
poi represse nel sangue. Suu Kyi iniziò a
tenere comizi e, una volta morta la madre,
decise di non lasciare la Birmania e di
predicare un cambiamento democratico.
Nel 1989, i primi arresti domiciliari. La
nuova Lega nazionale della democrazia (Nld),
guidata da una Suu Kyi prigioniera in casa,
nel 1990 trionfò. Ma il voto non fu mai
riconosciuto dai generali, che tennero la
donna agli arresti fino al 1995.
Nel 1999, i generali le offrirono di poter
visitare il marito malato, a condizione però
che non rientrasse più in Birmania: lei
rifiutò. Sacrificio dopo sacrificio, il
percorso di questa donna minuta ma risoluta
ancora oggi continua. |
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