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Telegiornaliste anno VI N. 37 (254) del 8 novembre 2010
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MONITOR Patrizia
Morgani: abbasso la spettacolarizzazione
di Giuseppe Bosso
Incontriamo questa settimana Patrizia Morgani, dal 1998 alla Rai. Tra le sue
esperienze passate, un breve periodo di insegnamento e il giornale radio e una
rubrica sul cinema italiano a Rai International. È approdata poi a Rai News24
per condurre Shownet, contenitore dedicato allo spettacolo, e alcune edizioni
del telegiornale.
Da insegnante a giornalista per scelta o per caso?
«Assolutamente per scelta! Ho sempre avuto la passione per la scrittura e la
curiosità per il mondo che mi circonda».
L'esperienza più gratificante?
«È difficile rispondere. Però posso dire che quella al Tg Lazio è stata
indimenticabile, anche perché venivo dalle tv locali ed è stata la prima
esperienza veramente importante».
Quali sono i mali dell'informazione di oggi?
«L'estrema spettacolarizzazione del dolore. È esempio recente il caso della
povera Sarah Scazzi».
Dopo la nomina di
Bianca Berlinguer a direttore del Tg3 crede che per le donne telegiornaliste
ci siano più spazi per ruoli di responsabilità?
«Prima della Berlinguer altre donne hanno diretto testate giornalistiche, tra
cui Angela Buttiglione e
Anna La Rosa, ma purtroppo c'è ancora poco spazio per le quote rosa...».
Il digitale terrestre ha cambiato qualcosa per
Rai News 24?
«All'inizio siamo stati penalizzati. Adesso invece cominciamo ad avere i primi
positivi riscontri per quanto riguarda l'audience, anche se già nell'ultimo anno
abbiamo registrato dati molto confortanti grazie alla professionalità di tutti
che in molti casi ci hanno portato a battere la concorrenza».
Che idea si è fatta di Telegiornaliste?
«È una piattaforma simpatica che permette di conoscere più da vicino i
mezzibusti!».
Più impegnativo condurre il telegiornale o un programma come Shownet?
«Tutto è impegnativo quando la professione si fa con professionalità e
passione!».
Mai subito condizionamenti sul lavoro?
«No, mai. Sia in tv che nella carta stampata non ho mai avuto problemi di tal
genere».
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CRONACA IN ROSA La bellezza di mostrarsi
di Chiara Casadei
Una bellezza che trascende i canoni estetici dominanti nella
società moderna e che dà il via a una serie di reazioni
diverse. Cap48, organizzazione no-profit belga che si occupa
di sensibilizzazione sul tema della disabilità, ha
toccato proprio il nervo centrale della questione,
pubblicando lo scatto di Tanja Kiewitz nell’intimità
del suo handicap fisico.
L’affascinante designer 35enne si è infatti improvvisata
modella per un giorno, sorridendo ai fotografi nella
semplicità di un reggiseno di pizzo nero per la campagna
pubblicitaria belga Regard, diffusa anche in
Francia. Le curve sinuose della donna sono accompagnate da
uno slogan provocatorio e ben mirato: “Regardez-moi dans le
yeux... J’ai dit les yeux” (Guardatemi negli occhi... Ho
detto gli occhi), che ricalca il claim di una
pubblicità del 1994 con Eva Herzigova.
La semplicità con cui Tanja mostra il suo braccio sinistro,
che termina appena sotto al gomito, e lo sguardo fiero
dritto in camera esortano gli osservatori a farsi catturare
non dal dettaglio della sua disabilità ma dalla bellezza di
uno sguardo d’insieme.
La pubblicità è stata accolta con toni positivi e con uno
slancio verso una nuova frontiera, in cui la
pubblicità si coniuga con il bisogno di affrontare e
sensibilizzare la popolazione sul tema della disabilità,
ancora troppo spesso circoscritto da rigidi e sorpassati
stereotipi che tendono a operare una spersonalizzazione di
massa dei singoli individui.
La stessa modella ha dichiarato al quotidiano francese
Libération: «L’ho fatto perché, almeno per una volta,
posso mostrarmi come sono senza dovermi nascondere.
Dobbiamo smettere di pensare che io non sia un essere umano,
ma solo un piccolo braccio che penzola con una personalità.
Le persone, troppo spesso, pensano che i disabili non
abbiano una personalità, li considerano gente diversa.
Bisogna sottolineare che io sono in tutto e per tutto una
donna che può essere bella e sexy». |
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FORMAT Cinzia
Bancone, la televisione dietro le quinte
di Giuseppe Bosso
Incontriamo questa settimana
Cinzia Bancone: da dieci anni affianca
Massimo Bernardini nel programma
Tv Talk, e da oltre un anno collabora
con il
blog di Davide Maggio.
Il digitale terrestre, secondo lei, ha
cambiato davvero qualcosa per la televisione
italiana?
«Direi che ancora non si sentono gli effetti del
suo arrivo. Più che il digitale terrestre, a
cambiare le cose oggi sono Sky e il web. Il
pubblico sta cominciando a spostarsi verso le tv
tematiche e col tempo, lo zapping non si
limiterà più ai canonici sette canali, per cui
siamo di fronte ad un cambiamento che
sconvolgerà tutto il mondo produttivo e fruitivo
della tv».
Cosa ha appreso da Bernardini e da Maggio?
«Bernardini mi ha avviato a un lavoro di tipo
giornalistico e gli sarò sempre grata per la
possibilità che mi ha dato; mi ha fatto capire
quanto sia importante la documentazione, la cura
delle fonti, l’approfondimento, saper garantire
al pubblico la "verità" di quel che si comunica.
Da Davide Maggio ho imparato che per riuscire ci
vuole tenacia. Con lui, ho esplorato la nuova
frontiera del web e gli aspetti più irriverenti
della critica».
Nel suo sito racconta di un know how che
cerca di trasmettere: esattamente a cosa allude?
«In questi dieci anni ho veramente seguito molta
televisione, analizzandola e scoprendola in ogni
suo aspetto. Molte persone che ho conosciuto
pensano che il nostro mestiere sia limitato solo
alla puntata che va in onda, senza sapere che
invece c’è dietro un’attività costante di un
insieme indispensabile di persone che lavora
duro tutta la settimana. L’ho potuto riscontrare
non solo nei più giovani, ma anche negli adulti.
Questa poca conoscenza riguardo alla tv come
industria, come sistema produttivo dove operano
innumerevoli e fondamentali figure, è il motivo
per cui ritengo sia importante far conoscere ai
telespettatori, più o meno giovani, cosa c'è
dietro il teleschermo. Questo è il know-how di
cui parlo e questo è il motivo per cui, da anni,
mi occupo anche di media education».
Crede sia finita l’era della tv trash?
«La tv generalista ormai è in continuo calo
mentre crescono Sky e nuove realtà come la web
tv. Questo tipo di televisione cosiddetta
‘spazzatura’ ha un grande seguito
innegabilmente, e penso sia bene non condannarla
a priori. Anche il racconto dell’orrido,
definiamolo così, richiede una certa
dimestichezza e una certa competenza; anche le
trasmissioni, per esempio, di Maria De Filippi,
tanto criticate per l’eccessivo sentimentalismo,
hanno alle loro spalle un lavoro di
preparazione. Non è detto che la tv trash non
possa essere di qualità. Del resto, la
televisione non è solo informazione, è anche
evasione, momento di relax. E anche da questo
punto di vista occorre conoscere il mestiere. Il
trash non finirà, forse si sposterà su altre
piattaforme, come già sta avvenendo».
Potesse scegliere, a quale delle signore
della tv vorrebbe assomigliare, tra la
D’Amico, la
Clerici e la D’Urso?
«Ilaria D’Amico è soprattutto una giornalista
sportiva e non è questo il mio campo; la Clerici
ha un approccio materno che non credo di
possedere; la D’Urso la stimo per l’approccio
attoriale che, ritengo, riesce a farle condurre
bene ogni cosa. Non ha citato Simona Ventura,
che ammiro e invidio soprattutto per il tipo di
programmi che ha potuto condurre nella sua
carriera. Condurre un programma comico, o
comunque, leggero, è quello che mi piacerebbe
fare». |
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HOT GIRLS Cam
girls: l'intervista di
Pierpaolo Di Paolo
Dopo le "schermaglie" iniziali, soddisfatto di
quanto ho scoperto, decido di rivelarmi e
chiedere apertamente a Maria se è disposta a
concedermi un'intervista. La ragazza accetta
entusiasta.
Nel mondo delle cam girls, accanto a
"professioniste serie", girano tantissime
truffe. Ragazze che si spacciano per cam girls,
ma che prendono i soldi e spariscono. Cosa ne
pensi?
«Sono molto arrabbiata per questa realtà, perché
è una cosa che poi inevitabilmente viene ad
incidere anche su di me e sul mio lavoro. È una
situazione che crea molta diffidenza negli
utenti, e per quanto tu possa comportarti
correttamente, finisci sempre col pagarne
conseguenze ingiuste. A volte mi offendo e me la
prendo coi clienti che chiedono l'anteprima, ma
mi rendo conto che non è colpa loro».
Molte ragazze utilizzano foto altrui per
pubblicizzarsi su internet. Altre volte invece
le foto sono poco recenti, oppure migliorate con
il Photoshop. E tu? Confessa, le tue foto son
proprio tutte genuine?
«Le foto con cui mi pubblicizzo son
assolutamente tutte mie. Mai rubato foto alle
colleghe, mi sembra una cosa stupida da fare,
perché poi il cliente sempre ti vede e ti fai
una cattiva pubblicità. Forse due o tre foto
sono state ritoccate con Photoshop, quello è
possibile, ma solo per dei dettagli».
Nei tuoi spettacoli sembri sempre molto
allegra. Fa parte del ruolo che devi mantenere,
o ti diverti davvero così tanto?
«Il mio divertimento dipende da chi ho di
fronte. Quando gli utenti ti fanno divertire,
sono simpatici, allora si crea una bella
atmosfera e ci si diverte in due».
Posso chiederti quanto si guadagna? Si può
davvero costruire una vita così, o serve solo
per arrotondare un po' e tirare avanti?
«Non mi piace parlare di soldi. Io faccio la cam
girl a tempo pieno e ci riesco, per guadagnare
abbastanza devi saperti tenere buoni i clienti.
In ogni caso ci sono anche ragazze
insospettabili che hanno tutt'altra vita e che
lo fanno ogni tanto per arrotondare».
Ma chi sono le cam girls? Che vita fanno?
Sono davvero ragazze normali? E come può un
lavoro così non incidere, non rendere complicata
una relazione d'amore... o anche solo il
rapporto coi vicini?
«Siamo ragazze normalissime, le stesse che puoi
incontrare anche per strada. Nelle relazioni
d'amore io credo molto nella fiducia. Senza
questa non si va da nessuna parte. Per questo ho
sempre parlato con sincerità a tutti i miei ex
ragazzi, spiegando loro il lavoro che faccio. A
nessuno di loro la cosa dava fastidio, anzi...».
A differenza di molte colleghe, ti fai vedere
senza problemi in viso. Nemmeno questo ti crea
difficoltà o imbarazzi?
«No. I miei parenti ed i miei amici sanno cosa
faccio, quindi non ho problemi. Non ho nemmeno
paura di esser riconosciuta per strada, anzi,
direi che semmai questa cosa mi eccita
proprio!».
Com'è il rapporto coi clienti?
«Dipende, cambia da utente a utente. Se sono
simpatici, di certo li faccio molto divertire».
E non ti è mai capitato qualche cliente
particolare? Ci puoi raccontare qualche
richiesta strana, inusuale?
«Sì, hai voglia. Mi capitano sempre molte
richieste strane. Una volta un tizio mi ha
chiesto di procurarmi un pollo, una gallina o un
coniglio, e di ammazzarlo in diretta, in cam».
E tu?
«Fossi matta! A me queste cose impressionano.
Solo se vedo come uccidono un animale, stai
sicuro che poi non lo mangio nemmeno. Non
esiste».
(continua) |
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DONNE Alessandra
e le due ruote
di Anna Rossini
Alessandra Gambardella: pilota, team
leader, istruttrice. Per chi non crede
che donne e motori possano andare d'accordo.
Donne e motori, un binomio perfetto nel
suo caso. Come è nata la sua passione per le
moto?
«Nessuno in famiglia aveva questa passione.
Il momento focale fu quando a otto anni vidi
in televisione, per la prima volta, una gara
di motociclismo. Avevo scoperto una realtà
fino a quel momento sconosciuta, ero
ipnotizzata a osservare i movimenti dei
piloti su quelle veloci due ruote, la
fluidità dei movimenti abbinata alla
velocità nel fare le curve, sembravano
duelli di cavalieri che lottavano contro il
tempo... Era l'inizio di una grande
passione!».
Lei ha scritto di avere "una vita in
simbiosi con il motociclismo", cosa
significa in pratica?
«Il mio sogno, fin da bambina, era vendere
auto e correre in moto... Realizzai in pieno
il mio desiderio, la mia determinazione mi
portò negli anni a diventare agente per la
BMW e pilota, nonché presidente del
team che fondai nel 2004. Un team di
motociclismo velocità che si fece strada
nelle gare nazionali con sponsor importanti
e fedeli. Il management divenne così
importante che mi trovai di fronte a un
bivio, abbandonai il marchio bavarese a
quattro ruote per dedicarmi completamente
alle due ruote. Per arrivare ai giorni
nostri, devo completare la panoramica con
due impegni di tutto rilievo. Qualche anno
fa iniziò la collaborazione con Claudio
Corsetti, direttore della rivista
specializzata Masterbike, in qualità
di tester di moto da gara e per articoli
sulle novità del settore. Sempre con Claudio
Corsetti vidi nascere la Scuola Federale
Corsetti. Ho un ruolo organizzativo mi
appassiona e dà soddisfazioni, ma si
prospetta una nuova strada anche per la
formazione agonistica in pista con i corsi
della Scuola e attraverso l'insegnamento ai
futuri piloti nei trofei monomarca Yamaha R
125 e R6 Cup, non trascurando la Guida
Sicura per adulti e bambini, dove la Scuola
è promotrice per la sicurezza e prevenzione
ai motociclisti da strada».
Lei a volte gareggia con piloti uomini,
le è mai capitato di sentirsi "fuori luogo"?
Ha avuto difficoltà ad entrare in un
ambiente prettamente maschile come quello
del motociclismo?
«Caratterialmente, per tenacia e
perseveranza, mi avvicino molto alle
sfumature maschili. La formazione
professionale, che negli anni mi ha permesso
di affrontare trattative che non lasciavano
alcun spazio alle sfumature femminili, ha
fatto sì che potessi integrarmi
perfettamente nella realtà maschile. Ho
sempre lavorato prevalentemente con uomini,
come responsabile commerciale in una azienda
di telefonia molto nota, nella direzione
marketing per una casa automobilistica
tedesca e agente per Bmw. Ho sempre lavorato
per obiettivi, strategie, ricoprendo ruoli e
compiti prettamente maschili. A questa
domanda non posso che rispondere che il mio
campionato preferito è la Roadster Cup, dove
negli anni passati sono cresciuta molto come
pilota, nonostante fossi l'unica figura
femminile. In quel contesto ho conosciuto
piloti che non hanno esitato a mettere a mia
disposizione la loro esperienza, il dialogo,
un mondo dove caratteristiche caratteriali
come l'invidia, la gelosia e soprattutto
vanità, non sono di casa... L'ambiente in
cui mi sono sentita fuori luogo, sembrerà
assurdo, ma è proprio quello femminile».
Passione e lavoro, combinazione vincente?
«Combinazione perfetta. La mia passione si è
realizzata con la nascita del mio team, il
lavoro che svolgo per Masterbike e per la
Scuola Federale Corsetti: il tutto si è
trasformato in professione. Vivo sulle piste
per diletto e per lavoro, posso quindi
affermare che il mio lavoro è nato e fatto
per pura passione, quel che si dice unire
l'utile al dilettevole».
Secondo lei il motociclismo al femminile
avrà mai la capacità di imporsi al grande
pubblico? Oppure bisogna attendere la
versione femminile di Valentino Rossi?
«Purtroppo non penso che il motociclismo
femminile troverà tanto spazio quanto quello
maschile. La ragione la imputo alle
differenze fisiche e mentali tra le due
parti. Non penso potrà mai esistere un
Valentino Rossi al femminile, ma si sa, il
mondo è anche fatto di eccezioni. Per ora la
mia ammirazione va a Nina Prinz, pilota
tedesca che ha gareggiato in Italia qualche
anno fa, conquistando podi e contrastando
alcuni dei nostri migliori piloti, dando
spettacolo in gara e dimostrando esemplare
bravura. Rimane però una mosca bianca
nell'ambiente femminile». |
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