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Telegiornaliste anno VI N. 11 (228) del 22 marzo 2010
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MONITOR Carmen
Fimiani, il sogno di un'idealista... giornalista
di Giuseppe Bosso
Giornalista professionista dal 1999,
Carmen Fimiani ha dato
vita in passato, con la sorella Irene, alla prima coppia di gemelle
telegiornaliste sull’emittente Antenna Vesuvio di Napoli. Il suo è un lungo
curriculum di politica, calcio e spettacolo tra Canale 34, Canale 10,
Telelibera, Italia Mia e Caserta Mia.
Ricordi la tua prima volta davanti una telecamera?
«Ero impaurita, non lo nascondo, ma mi trovai subito a mio agio. La televisione
è il mio vero ambito, ma comprendo anche chi ha difficoltà nel porsi davanti al
mezzo».
Arte e cultura possono essere il motore da cui ripartire per Napoli?
«Sì, ma anzitutto è la politica che deve impegnarsi. Ancora oggi paghiamo una
cattiva amministrazione che ha governato per anni la città e la regione. Abbiamo
una storia, un patrimonio artistico alle spalle come pochi, ma occorre una
grande capacità per saperlo gestire».
Come consigliere all’Assostampa, qual è il tuo parere sul ruolo di questi
organi e sull’Ordine? Hanno ancora senso queste istituzioni per il nostro
mestiere?
«L’Assostampa dovrebbe avere maggiore importanza per tutelare meglio i
giornalisti. Sull’Ordine ognuno ha la sua opinione, anche se credo siamo tutti
più o meno concordi nel dire che andrebbe quantomeno riformato nella gestione».
I personaggi e le storie che più ti hanno coinvolto?
«Maradona e Berlusconi, nel bene e nel male, sono due personaggi di grande
carisma. Diego, malgrado le sue note vicende, ha regalato grandi emozioni e
soddisfazioni agli sportivi napoletani; il Presidente del Consiglio, quale sia
l’opinione che se ne voglia avere, ha un grande carisma e una capacità
comunicativa che ha saputo dimostrare fin dai tempi in cui era imprenditore
televisivo. Quanto alle storie, Napoli ne racconta e me ne ha fatte conoscere
tante, toccanti e spiritose».
Che ricordi hai del periodo in cui ti affiancavi a tua sorella Irene nel tg?
«La cosa suscitò molto interesse, perfino in Giappone tanto che inviarono una
troupe per seguirci. Siamo due gocce d’acqua anche se caratterialmente diverse e
ci divertiva saper mostrare allo spettatore due visuali diverse della notizia.
Poi, a un certo punto, Irene ha fatto un’altra scelta ed è diventata insegnante.
Purtroppo però noto che non esiste più il giornalismo d’inchiesta di un tempo, e
non solo per la mancanza di risorse. È importante, certo, che anche il cittadino
denunci e segnali ai mezzi di informazione cosa non va, ma prima di tutto è
nostro compito andare in giro, scovare le storie e le notizie. Mi è capitato
anche di venire malmenata, ma sono i rischi del mestiere che bisogna accettare».
Il Napoli può tornare
tra le grandi?
«Va dato merito al presidente De Laurentiis di aver mantenuto il primo impegno
preso quando, nel 2004, iniziò questa avventura. Lavoravo a Number Two, e
ho seguito tutta la dolorosa vicenda che ha portato al fallimento della società
guidata da Ferlaino. Passo dopo passo ho visto il difficile inizio che il
presidente ha vissuto, riuscendo però a riportare la squadra in serie A in pochi
anni. Ci sono sicuramente grandi prospettive, ma credo che per fare una grande
squadra occorrano non solo giovani talenti, ma anche giocatori di esperienza,
veri campioni che possano trascinare in campo e far sognare i tifosi. È questo,
a mio giudizio, l’orientamento che dovrebbe seguire la società se vuole puntare
veramente ai vertici».
Hai lavorato a due grandi emittenti, Canale 10 e Telelibera, che purtroppo
non hanno retto nel tempo. Il digitale terrestre può essere un’occasione per le
nuove realtà?
«Siamo all’inizio di questa avventura, sarà il tempo a dirlo. Per adesso, tanto
a Caserta quanto a Napoli, avverto un handicap rappresentato dalla mancanza di
editori puri che hanno il coraggio di saper rischiare e sfruttare al meglio le
nuove tecnologie. E poi, ovviamente, il digitale non risolve il grande problema
di sempre, quello del precariato. Tanti giovani infatti non riescono a tirare
avanti con poche risorse e sono ridotti praticamente allo sfruttamento».
Ti senti un po' chioccia nei confronti dei redattori più giovani?
«Sì, anche se mi sento sempre una ragazza dentro. Ma sono per natura molto
protettiva con questi ragazzi. Il messaggio che cerco di trasmettere loro è di
non cadere nell’errore e pensare di sapere già tutto solo dopo pochi anni di
scuola. Devono comprendere che nessuna scuola potrà mai darti l’esperienza che
ti può dare la gavetta fatta andando per strada giorno per giorno. E soprattutto
devono imparare come porsi nei confronti della gente, anche a fronte di eventi
drammatici. Una decina d’anni fa, quando lavoravo a Canale 34, andai a Sarno
dopo la tragica alluvione che aveva colpito la cittadina salernitana. Trovai una
donna che aveva perso il figlio e, con tatto e senza invadenza, mi avvicinai a
lei e raccolsi le sue sensazioni. Ecco, lo si è visto anche durante il terremoto
in Abruzzo. Cosa possiamo aspettarci se chiediamo in maniera distaccata cosa
provi a qualcuno che ha appena perso una persona cara? Il rispetto, la
sensibilità, sono indispensabili in questi casi per far capire che sei vicino al
loro dolore. Solo così otterrai la loro attenzione».
Da appassionata di fotografia quale credi sia l'immagine che più rispecchia
Napoli?
«Tempo fa, nel centro storico, vidi un’edicola con accanto un santuario di foto
di Maradona. È un esempio ma potrei fartene altri di come la nostra città sia al
tempo stesso tante cose».
Se dovessi scrivere un libro su di te, come lo intitoleresti?
«Mi piacerebbe intitolarlo Sogno di un’idealista, o qualcosa del genere.
Vivo davvero nell’utopia».
Ti hanno mai messo il bavaglio?
«È una cosa che non sopporterei, da gran chiacchierona quale sono!».
Cosa vedi nel tuo domani?
«Tante cose. Magari sviluppare un hobby e farlo diventare un lavoro, come i
viaggi che adoro fare. Sarebbe fantastico, per esempio, fare foto per National
Geographic. Ma sono tante le cose che mi piacciono, scrivere, leggere, stare con
gli altri. O magari, non so, propormi come volontaria in Africa per la Croce
Rossa».
Un aggettivo per descriverti?
«Tanti, veramente. Onesta, sincera, allegra, sensibile e anche un po’
intransigente, specie quando mi trovo ad avere a che fare con editori che non mi
seguono. Ma sono anche poco incline al compromesso, e non so se si possa
considerare un pregio o un difetto».
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CRONACA IN ROSA Faccio
un figlio, forse gli somiglio di
Camilla Cortese
La maggior parte delle donne che conosco vuole un figlio. La
maggior parte di esse sfoggia sul volto e porta con
nonchalance una parure di espressioni sbigottite quando dico
“io non so”. Io non so, ma il problema non è questo. Il
problema è che la donna incerta sulle questioni riproduttive
vive un senso di colpa dalle origini misteriose, la
spinta ormonale contro il libero arbitrio, uno scontro fra
titani in pieno petto, come se non bastassero a riempire le
giornate la precarietà del lavoro e la ricerca di una sarta
che sappia fare l’orlo ai pantaloni con un po’ d’amore.
Il tema è caldo, è sentito, le riviste femminili indugiano
sulla questione ma peccano di leggerezza ragionando in
negativo: il problema è non farlo, il figlio, guai a
ribaltare la prospettiva. Statistiche e sondaggi anticipano
l’apocalisse di un Occidente sempre più canuto e ingobbito,
articoli e ricerche dal taglio familistico tuonano che le
giovani italiane non scodellano marmocchi perché stritolate
dalla crisi, altrimenti, poverine, ci riempirebbero le
conigliere coi bebè.
Mamma o non mamma (Feltrinelli), scritto a quattro
mani da Carola Susani e Elena Stancanelli, illustra le
ragioni della maternità vissuta o evitata, ma a dispetto dei
lumi che promette a chi non sa, spesso cade nell’irritante
vizietto femminile della frivolezza. Così la madre militante
racconta di come sia bello scendere dal palcoscenico della
vita per fantasticare sulle potenzialità delle figlie,
mentre la non-madre (ancora questo odioso, odioso
negativo) esprime orgoglio per non contribuire al
sovraffollamento del pianeta Terra. Illuminante davvero.
Chi fa figli, chi vuole figli, non mi ha ancora saputo dare
una risposta esauriente sul perché mettere al mondo dei tizi
che ti somiglino: è ora, li voglio, li ho sempre sognati,
forse mi prendo un cane. Bimbo che si tramuta in rumoroso
status symbol per le donne ricche, che possono permettersi
di farne tanti e presto a dispetto di chi prima deve
studiare, trovare l’amore, il lavoro, il lavoro fisso, la
casa. Figlio che diventa un obiettivo di vita per chi
ha raggiunto le tappe canoniche dell’età adulta e segue il
corso dell’istinto, per chi non ha altro sfogo creativo che
quello dei lombi.
Nella patria delle mamme e dei mammoni dove persino gli
uomini, all’esposizione di un femminil dubbio sulla
maternità a tutti costi, ti guardano come una virago
mangiabambini, che deve fare una donna che non vuole
sentirsi una non-madre ma una donna? Qual è l’antidoto
contro il pensiero al negativo, contro la visione assoluta
di una femminilità inscindibile dalla maternità? |
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FORMAT Valentina
Correani, energia allo stato puro
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo questa settimana Valentina
Correani, volto di punta di Mtv dove conduce HitList Italia, nonché attrice.
Com'è stata la tua esperienza teatrale nello
spettacolo After the End, che hai da poco
inscenato a Roma?
«Sono contentissima del risultato. Io e il mio
compagno, in scena con me ma anche regista della
pièce, abbiamo creduto molto in questo progetto
nato dal testo di un autore londinese
straordinario, Dennis Kelly (da cui abbiamo
acquistato i diritti), e lo abbiamo portato a
termine grazie al nostro impegno in prima
persona, sia come attori che come produttori di
noi stessi. Ci siamo voluti prendere le nostre
responsabilità come artisti che credono nel
proprio lavoro e che continuano a farlo anche
nel momento drammatico, dal punto di vista
socio-politico-artistico che sta vivendo
l'Italia oggi. Puntando tutto sulla qualità
della recitazione (a tratti quasi
cinematografica) e dei contenuti. Adesso
contiamo di portarlo anche a Milano e in altre
città».
A proposito di qualità e contenuti: ormai la
strada per sfondare è davvero quella del talent
show, alla Amici e X Factor?
«Penso che alla base ci debbano essere le
capacità e allo stesso tempo la maturità di
proteggere il proprio lavoro da quelle che sono
operazioni commerciali a breve scadenza, quelle
che lasciano poco spazio alla qualità di cui
parlavamo prima. Più che preoccuparsi di
sfondare bisognerebbe pensare a cosa si vuole
costruire. Se non si sta attenti si rischia di
essere dimenticati nel giro di due edizioni. Io
poi sono per la gavetta vecchia maniera, quella
che passa per le salette di prova nei garage,
per i festival indipendenti sparsi in giro per
l'Italia, per i locali dove si suona anche a
tarda notte. Ecco, in questa dimensione
parallela ai talent show c'è un gran numero di
artisti validi che meriterebbe maggiore
attenzione. Una delle poche ad essersene accorta
è Serena Dandini che io stimo tantissimo.
Ultimamente sta offrendo il palco di Parla
con Me a gruppi poco noti al grande
pubblico. Spero in futuro di riuscire anche io a
dar voce all'underground musicale italiano».
Modella, attrice, conduttrice: ma qual è il
tuo vero ritratto?
«L'esperienza come modella è stata una parentesi
che ho vissuto per gioco tempo fa. Mi trovo a
mio agio in un certo tipo di tv. Su
Mtv
ho la possibilità di parlare ad un pubblico
giovane e di dare sfogo alla mia parte più
giocherellona. Penso che mi divertirei un sacco
anche in un programma di cucina o di calcio, ma
più come inviata allo stadio che come bellona in
studio! Prima di tutto ciò, però, mi sento
un'attrice e ho grandi aspirazioni a riguardo.
Tra poco uscirà Squadra Antimafia 2, una
fiction in cui interpreto un bel personaggio».
Ti hanno soprannominata Valecorre: è
il tuo modo di essere?
«Sì, è proprio così. Al di là del fatto che sono
le mie iniziali, effettivamente sono una persona
iperattiva e ho capito che, più cose faccio, più
trovo energia per farne delle altre. Ormai
prendo gli aerei come fossero autobus, almeno
due a settimana. E quando inventeranno il
teletrasporto sarò la prima ad abbonarmi».
Com'è il tuo rapporto con i fan?
«Splendido, ci tengo molto a mantenere i
rapporti con chi mi segue. E in questo il web e
i social network mi aiutano molto. Gestisco il
mio profilo Facebook e riesco a parlare con
molti di loro. Allo stesso tempo cerco sempre di
fare di questo genere di mezzi di comunicazione
un uso genuino e lucido».
Dove vuoi arrivare?
«Ovunque, lontano. Nella lista delle cose da
fare ci sono un libro, un film, un programma
scritto da me e un viaggio attorno al mondo. Ma
soprattutto vorrei continuare a fare l'attrice.
Tra i miei modelli c'è Penelope Cruz e sogno di
fare un percorso come il suo». |
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HOT GIRLS Sex
toys porta a porta
di Valeria Scotti
Una volta c'erano - e resistono stoicamente - le
riunioni Tupperware. La perfetta padrona di
casa, le amiche e un salotto ove, tra un caffè e
un pasticcino, fare acquisti per la propria
cucina. Oggi invece, a bussare alla porta, è il
piacere. Tuppersex, la moda che ha preso
piede in Spagna dal 2005. Ci si incontra e, al
posto di contenitori alimentari, si parla di
sesso e si fa shopping di sex toys. Ne abbiamo
parlato con Cristina Luzzi, una delle
fondatrici del progetto italiano che prende il
nome di La Valigia Rossa (La Maleta Roja
in terra d'origine). Come quella che
contraddistingue queste particolari
rappresentanti dell'eros.
Quali sono stati i primi passi de La Valigia
Rossa?
«Tutto è cominciato con la fase di preparazione
della grafica dei flyer, la traduzione dei
testi, il lavoro del sito web. Avevamo creato da
poco la nostra
pagina su Facebook quando la gente ha
cominciato a cercarci e a trovarci, prima i fan
e poi qualche giornalista. Da quel momento
abbiamo avuto sempre maggiore notorietà e sempre
più richieste di interesse, sia per essere
formatrici che per organizzare riunioni. Credo
che il successo si debba all'impostazione
socio-culturale-salutare del nostro progetto. E
tutto questo da metà gennaio 2010 ad oggi».
Ci racconti la vostra recente esperienza a
Barcellona?
«Abbiamo partecipato alla convention organizzata
dalla casa madre La Maleta Roja. C'erano 140
ragazze su 310 circa delle attuali consulenti in
Spagna e Portogallo. È stato molto interessante,
sia dal punto formativo che per rendersi conto
del potenziale del progetto e della struttura
che abbiamo come appoggio alla spalle».
Personalmente cosa ti ha affascinato?
«La varietà di caratteri, età, culture,
estrazione sociale delle consulenti. Tante
differenze, eppure tutte piccole imprenditrici
di successo, tanti modi diversi di affrontare lo
stesso argomento. A dimostrazione che nella vita
non c'è mai solo una visione giusta...».
La tua Valigia Rossa ideale?
«Un sorriso, tanta voglia di trovare spunti al
dialogo, tanto amore per noi stesse, un pizzico
di romanticismo, un tocco di allegria, tante
idee e prodotti per stimolare la sensualità, e
qualche suggerimento per imparare a giocare». |
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DONNE Donne
di Socrate e Platone di
Silvia Grassetti
Impara l’arte ma non metterla da parte. Lo
faceva Socrate, orgoglioso di aver
imparato l’arte di fare domande – domande
che portino alla verità – da una donna:
sua madre.
E si spinge oltre, questo filosofo che ci
sta simpatico, quando racconta agli amici
(tutti maschi) che lui, la verità
sull’amore, l’ha imparata da un’altra donna:
Diotima, una sacerdotessa con
funzioni di oracolo.
Bravo Socrate, peccato però il tuo
atteggiamento di sufficienza nel confronti
delle donne “normali”, tipo tua moglie
Santippe. Perfino dopo 2.500 anni girano
barzellette su voi due, con lei nella parte
della bisbetica. Ma se non altro, è
diventata vedova!
Platone, l’allievo di Socrate, è il
primo e per molto tempo anche l'unico
filosofo che si è occupato del ruolo
delle donne nella società. Perentorio:
una società che non si occupa
dell’educazione delle donne è minata fin
dalle sue fondamenta. Il nocciolo è questo:
la donna ha un ruolo importantissimo nella
società, perché educa gli uomini (che
poi la governano). Perciò non ha senso non
educare le educatrici.
Fila.
C’è poi di bello che Platone è convinto che
le donne siano sempre state sottovalutate e
che le loro capacità innate vadano
sviluppate per il bene dello Stato. Se “lei”
dimostra di averne l'attitudine, deve essere
educata a combattere e, udite udite!, a
guidare lo Stato da filosofo, esattamente
come un uomo. Volendo trovare il pelo
nell’uovo, ci sentiamo un pochettino
maschilizzate.
Però via, mica male.
Specie pensando che, ci avremo pure messo
duemila anni, alla fine il nostro secolo è
arrivato!
4-continua |
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TELEGIORNALISTI Un
po' giornalista, un po' robot di Valeria Scotti
Non esiste il giornalista perfetto. O forse sì. Quello che non si lamenta
mai, che non vuole essere pagato ed è pronto a lavorare 24 ore al giorno,
tanto un cuore e una vita privata non ce l'ha. Praticamente un robot come
The Machine. Il giornalista robot.
Un sogno che diventa realtà ad Evanston, nei pressi di Chicago, e per merito
di
Infolab, il laboratorio di intelligenza artificiale della Northwestern
University che ha dato vita a un programma, Stats Monkey, in grado di
scrivere articoli sportivi sul baseball firmati da The Machine.
Ecco allora che, per costruire una notizia su una partita di baseball con un
linguaggio simile a quello di una vera agenzia di stampa, Stats Monkey si
ciba di informazioni online per poi dare vita a un testo perfetto con tanto
di titolo e immagine del miglior giocatore in campo.
In futuro poi, assicurano i suoi inventori, Stats Monkey sarà in
grado di imitare lo stile di un giornalista conosciuto. Una cosa è certa: di
base non c'è l’intenzione di sostituire i giornalisti in carne ed ossa, ma
di regalare loro maggior tempo da dedicare al giornalismo investigativo.
Sarà, ma a noi tradizionalisti l'idea fa un po' paura. |
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nel pallone di Mario
Basile
Il cuore di Alessia Merz è bianconero, quello di
Elisabetta Canalis nerazzurro, mentre Fernanda Lessa
e Natalia Estrada hanno un debole per i colori
rossoneri del Milan. Le passioni amorose delle
showgirls del Belpaese l'hanno spesso fatta da
padroni sulle colonne dei giornali rosa. Quelle
calcistiche, invece, a parte alcune eccezioni, non
sempre sono così sbandierate. Capita allora di
meravigliarsi a scoprire Monica Bellucci come
tifosa della Roma. Simpatia condivisa con Laura
Freddi, Manuela Arcuri e soprattutto
Sabrina Ferilli, la cui fede giallorossa divenne
popolare all'epoca dello striptease del Circo
Massimo in occasione del terzo scudetto.
I più attenti ricorderanno che l'anno precedente,
quando lo scudetto bagnò l'altra sponda del Tevere,
fu la laziale Anna Falchi a omaggiare i
tifosi biancocelesti con uno spogliarello in
occasione dei festeggiamenti per il tricolore. E la
Lazio può contare tra le sue tifose vip due
telegiornaliste d'eccezione come
Tania Zamparo e la neomamma
Ilaria D'Amico.
Numeri alla mano, sono le cosiddette strisciate a
dominare. Juve su tutti con Alessia Merz,
Cristina Chiabotto, Federica Panicucci,
Eleonora Pedron e Martina Colombari,
fermamente bianconera nonostante suo marito Billy
Costacurta sia stato per anni bandiera del Milan.
Tra i cuori juventini c'è da annoverare anche
Laura Chiatti, nuova stella del cinema italiano.
Il derby di Milano tra le showgirls si gioca tra le
milaniste Katia Noventa, Natalia Estrada,
Federica Fontana, Fernanda Lessa e le
interiste Elisabetta Canalis, Luisa Corna,
Afef Jnifen, Natasha Stefanenko,
Elenoire Casalegno,
Antonella Clerici.
Curioso il caso di Laura Barriales, tifosa
del Real Madrid e dell'Atalanta.
Completano il quadro Simona Ventura (Torino),
Maria Mazza e Francesca Fioretti
(Napoli) e Cecilia Capriotti (Ascoli). |
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