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Telegiornaliste anno V N. 30 (201) del 3 agosto 2009 
	
 
 
  
  
  
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MONITOR Lucia 
Pescio: ecco perché il mondo dell'informazione è cambiato
di Valeria Scotti  
 
                   
Giornalista professionista, 
Lucia Pescio lavora dal 2000 per l’emittente ligure 
Primocanale. Cronista e conduttrice presso la redazione provinciale di Imperia, 
realizza i servizi quotidiani per il tg regionale, curando in particolare la 
cronaca bianca, nera e servizi di colore. Conduce la finestra imperiese della 
trasmissione Liguria in diretta Mattina con la rassegna stampa dei 
giornali locali e le ultimissime della notte. Ha inoltre condotto e curato la 
rubrica letteraria settimanale Parole in Libertà dedicata ai classici 
della letteratura italiana e straniera.  
 
Il tuo esordio nel mondo del giornalismo?  
«Ho varcato la redazione imperiese di Primocanale all'età di 22 anni. Stavo 
finendo la mia tesi su d'Annunzio, sapevo per certo che non avrei mai insegnato 
- perché non ho pazienza - e mi è sempre piaciuto scrivere, così ho provato. Il 
provino è andato bene. Ho iniziato come conduttrice, firmando anche i primi 
servizi dal ponente ligure. Poi il grande salto nella cronaca: luglio 2001, il 
G8 di Genova. Sono stata chiamata per seguire l'evento durante quella settimana 
come inviata dalla Questura prima, e dagli ospedali genovesi poi, quando 
iniziarono gli scontri. Avevo una paura folle, ma è andata bene. 
Professionalmente è stata la settimana più importante della mia vita. Dovrò 
sempre ringraziare l'allora direttore Ilaria Cavo per questa grande 
opportunità».  
 
La tua esperienza a Primocanale?  
«L'esperienza a Primocanale in questi anni è stata fondamentale per imparare il 
"mestiere", una vera palestra dell'informazione. È una tv giovane che punta 
tutto sull'essere una emittente di servizio, con dirette continue. Bisogna 
essere sempre pronti ad andare in onda. La mission? Velocità, precisione, 
utilità per i telespettatori. Con un taglio di conduzione sempre giovane, molto 
diretto e mai noioso».  
 
Un percorso, il tuo, iniziato nel 2000. Nove anni dopo, il giornalismo è una 
passione, una missione?  
«Personalmente non credo nel giornalismo come missione. Il cronista deve 
raccontare i fatti per quello che sono, non giudicare o pensare di cambiare il 
mondo attraverso i suoi pezzi. È già difficile raccontare bene le cose per come 
si presentano, senza filtri o preconcetti. E ognuno, da casa, deve essere libero 
di interpretare ciò che vede e ciò che ascolta secondo la propria coscienza. Il 
giornalista è solo un medium tra il fatto e il pubblico, altrimenti non è più un 
cronista ma un critico. Tutta un'altra storia».  
 
Aspettative deluse o premiate in questi anni?  
«Da quando ho iniziato ad oggi, il mondo dell'informazione è cambiato. Al 
giornalista televisivo si chiede molto di più: deve essere in grado di curare i 
siti, fare riprese, destreggiarsi nel montaggio, avere conoscenze informatiche 
di gran lunga superiori rispetto a pochi anni fa. Tutto questo è positivo, però 
a rimetterci spesso e volentieri è la qualità: un'unica persona deve fare il 
lavoro di tre, e il tempo a disposizione è sempre lo stesso».  
 
La rete secondo te è uno spazio dove è possibile fare informazione libera?
 
«L'informazione viaggia soprattutto su internet. E la rete è un mezzo di 
comunicazione unico. A parte i siti giornalistici "riconosciuti" o "ufficiali" e 
alle agenzie, pensiamo anche a quella risorsa straordinaria rappresentata dai 
blog. Non saranno una fonte primaria, ma spesso l'informazione vera e pura, 
slegata da qualunque tipo di interesse, arriva proprio da lì. Naturalmente poi 
si tratta di selezionare a monte ciò che ci viene raccontato, scartando 
l'immondizia e le bufale che in rete viaggiano a velocità della luce! Qui entra 
in gioco l'esperienza e la capacità di fare verifiche oggettive. In ogni caso, 
l'informazione è libera solo quando può dirsi totalmente slegata dalla politica, 
dalle istituzioni e dagli interessi economici. Quasi un miraggio, direi». | 
   
  
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CRONACA IN ROSA Libera 
									mente in libero corpo di
									Camilla Cortese
									 
									 
									Amo tutto dell’essere donna. Non una 
									virgola di questa condizione mi dà noia. Amo 
									il tono di voce e le labbra, amo la curva 
									dura delle spalle, dove la pelle al sole è 
									tesa e lucente, amo le morbide rotondità del 
									seno, che non pesa, non balla, non 
									infastidisce, solo maliziosamente seduce. 
									Amo i piedi e la schiena, le mani e la 
									pancia, la tonda dolcissima pancia di donna. 
									Amo la mestruazione come natura che mi 
									ricorda che un giorno, se vorrò, potrò 
									generare un altro essere umano.  
									 
									Le donne dovrebbero amare di più sé stesse e 
									le loro simili, perché ad amare gli uomini 
									ci pensano già abbondantemente la religione 
									e l’economia. Io sogno un mondo dove le 
									donne la smettano di detestare quelle che 
									considerano, o che gli uomini considerano, 
									più belle di loro. Sogno un mondo dove 
									l’esteriorità femminile non sia più motivo 
									di conflitti, invidia o valutazioni 
									libidinose e riduttive, al contrario diventi 
									puro e semplice esercizio di sguardo, cui 
									ognuno possa dare i significati che 
									desidera. Se alla bellezza femminile 
									l’uomo dà connotati sessuali, la donna può 
									imparare a trarne piacere estetico.
									 
									 
									Perché essere donna, a mio avviso, è un 
									fatto puramente esteriore, fisico. Sulla 
									base del dimorfismo sessuale che 
									caratterizza gli animali e l’essere umano, 
									maschi e femmine sono distinguibili 
									esteriormente. Invece la sensibilità, 
									l’intelligenza, l’animo non appartengono a 
									un genere, all’altro o a tutte le sfumature 
									che esistono di essi. Le arti e i mestieri 
									divisi fra uomini e donne sono bazzecole 
									culturali che vedono le donne infermiere e 
									gli uomini meccanici.  
									 
									Ma la donna, come l’uomo, non ragiona da 
									donna o da uomo, semplicemente ragiona. Non 
									si ama, non si parla, non si lavora come una 
									donna o come un uomo, semmai come una 
									società ed una cultura intendono la donna e 
									l’uomo. Tuttavia, intendere non significa 
									essere, le culture possono imporsi fino ad 
									un certo punto, ma questi corpi di cui 
									disponiamo parlano un linguaggio che nessuno 
									ascolta più, e i nostri cervelli 
									alienati pensano più o meno così: sei donna, 
									non sai parcheggiare, sei uomo, non sai 
									cucinare. Perché? Nessuno lo sa, ma conosco 
									gente che ci metterebbe la mano sul fuoco.
									 
									 
									Sospetto fortemente che le mille pressioni 
									subìte dalla donna nel corso delle epoche 
									sulla base della sua natura, siano tutte 
									derivate dalla soggezione che il suo corpo 
									ha sempre esercitato sull’uomo. E non è solo 
									una questione di potenza generatrice 
									dell’utero, è una sorta di terrore 
									inconfessabile che l’uomo aveva per quelle 
									imbarazzanti erezioni provocate dall’istinto 
									sessuale, che gli impedivano di essere puro, 
									religioso, filosofeggiante eccetera.  
									 
									Un potere immenso nelle mani della donna, 
									che la donna, a mio avviso, non avrebbe 
									sfruttato se non per un po’ di sesso di buon 
									livello, e la cosa avrebbe giovato a tutti. 
									Un potere da frustrare per impedire che 
									sfociasse in cosa? Nessuno lo sa, ma molto 
									prima della guerra preventiva al terrorismo, 
									si è fatta la guerra preventiva alla vagina. 
									E allora ci si è inventati per la donna un 
									corredo di pudore, morale, modestia e ruoli 
									predefiniti, inequivocabili perché 
									confezionati a misura di organi genitali, 
									come le mutande.  
									 
									Il mio sogno è un mondo senza ruoli, 
									dove le persone siano esseri umani entro 
									confini di corpi densi di significati ma non 
									tiranni, dove il fisico sia espressione pura 
									di sessualità esplicita e la parola 
									espressione asessuata di pure intenzioni, 
									dove si sia liberi di essere ciò che il 
									cervello, l’istinto, l’istruzione e la 
									fantasia ci portano ad essere. | 
   
  
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FORMAT
Irene 
								Benassi, ambiente e natura le mie passioni
								di Giuseppe Bosso
								 
								 
								Incontriamo con molto piacere Irene Benassi, 
								volto noto al pubblico di Raiuno che l'ha 
								conosciuta qualche anno fa a Uno Mattina, 
								dapprima versione estiva 2003 e poi nelle 
								successive come esperta di natura e animali. 
								Nelle ultime stagioni è inviata al programma del 
								weekend Sabato&Domenica con
								Sonia Grey e
								Franco Di Mare, dove 
								realizza inchieste e approfondimenti.  
								 
								Anche quest’anno, purtroppo, si ripropone il 
								problema degli animali abbandonati in estate. 
								Cosa può fare la televisione e i media in 
								generale per questa piaga?  
								«È difficile dirlo, senz’altro si può far capire 
								alla gente quali sono i modi per assistere gli 
								animali e indirizzarli sui luoghi dove poterli 
								lasciare prima di partire per le vacanze. La 
								televisione certo può promuovere una cultura di 
								rispetto per i nostri amici a quattro zampe che 
								non sono oggetti, come ha capito la politica che 
								ha inasprito le pene per i maltrattamenti, altra 
								cosa orribile. Ci sono molti posti in cui gli 
								animali sono accettati, ma è più frequente 
								trovare questo tipo di accoglienza all'estero, 
								ad esempio in Francia. Portarsi dietro il 
								proprio animale - soprattutto i cani - è 
								comunque la prima e migliore soluzione che la tv 
								può comunicare».  
								 
								Da cosa nasce il tuo amore per gli animali?
								 
								«Ho sempre vissuto a stretto contatto con la 
								natura. Ho avuto la fortuna di poter trattare 
								questo tema con impegno e passione, trovando 
								spazi per poterlo fare in maniera approfondita 
								con inchieste giornalistiche che trattano 
								prevalentemente tematiche ambientali. Spero di 
								poter continuare su questo percorso».  
								 
								
                   
                               Dopo 
								anni di gavetta da inviata hai ambizioni di 
								conduzione?  
								«Non ho questa aspettativa. Spero piuttosto di 
								poter continuare a fare questo lavoro di 
								inchieste su temi così importanti e in maniera 
								libera. Certo, se poi capitasse una buona 
								occasione, non me la farei sfuggire, purché però 
								il progetto sia impostato in una certa maniera e 
								seguendo le mie corde. Il contenuto per me è la 
								cosa più importante».  
								 
								Tra tante inchieste e tante esperienze, quali 
								sono state le più curiose che ti hanno 
								coinvolto?  
								«Avendo seguito principalmente vicende complesse 
								e dolorose non penso di poter parlare di 
								esperienze curiose, in senso di simpatiche, 
								potrei citarti quelle che mi hanno colpita, come 
								è capitato ultimamente andando a L’Aquila dopo 
								il terremoto. Oppure l’inquinamento industriale 
								in varie zone d’Italia, come Taranto, dominata 
								dalle acciaierie ILVA che continuano a 
								rappresentare un ipoteca importante sulla salute 
								dei cittadini di quella zona. Poi Porto Torres, 
								in Sardegna, dove l'industria rischia oggi di 
								scomparire e abbandonare il territorio dopo anni 
								di sfruttamento. O ancora l’emergenza rifiuti i 
								Campania».  
								 
								E con il tuo impegno pensi di riuscire a 
								scuotere le coscienze dei cittadini e a 
								trasmettere impulsi alle istituzioni?  
								«Sì, e proprio per questo mi ritengo fortunata a 
								poter lavorare a
								Raiuno. Sono davvero grata per gli spazi che 
								ho avuto nel tempo. Con le inchieste mi preme 
								soprattutto fornire spunti, suggerimenti a chi 
								magari non è a conoscenza di queste realtà in 
								cui occorrono interventi concreti. Non mi 
								sarebbe capitato lo stesso, penso, in canali 
								impostati per l’intrattenimento. Il riscontro 
								che avverto dalla gente che mi scrive è 
								gratificante e mi spinge a continuare».  
								 
								Da Uno Mattina Estate nel 2003 a oggi 
								con Sabato&Domenica hai lavorato 
								soprattutto in “squadre” composte da donne: hai 
								avvertito maggiormente rivalità o complicità 
								nelle tue colleghe?  
								«Complicità, decisamente. Il lavoro di gruppo 
								richiede notevole impegno e non penso che la 
								rivalità sia utile in tal senso. Credo 
								personalmente di rendere al meglio in un gruppo 
								collaborativo, e finora devo dire che mi sono 
								trovata a interagire con persone che 
								condividevano questo mio punto di vista».  
								 
								Sogno nel cassetto?  
								«Continuare ad occuparmi di servizi di 
								inchiesta, in una prospettiva sempre più ampia. 
								In questo senso i programmi che apprezzo di più 
								sono proprio quelli d'inchiesta: Report 
								di
								
								Milena Gabanelli, un programma che apprezzo 
								tantissimo proprio per le modalità con cui 
								tratta e segue i temi più scottanti, o i 
								programmi di Riccardo Iacona, bravissimo anche 
								lui». | 
   
  
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CULT La 
								calda estate di 
								Valeria Scotti  
								 
								Le donne, quante ne sanno. In campo sessuale 
								poi, siamo delle maestre. Prendi le protagoniste 
								di Air sex, la nuova disciplina che sta 
								riscuotendo successo in America. Un gioco 
								dove si mima un amplesso con tanto di 
								orgasmo. A scena aperta.  
								 
								La partecipazione è concessa anche ai 
								maschietti, ma le donne sanno come farsi notare. 
								Ottime infatti le loro doti di interpretazione. 
								E tutto avviene su un palco, dinanzi a 
								una giuria. Due minuti di tempo (sembra di 
								essere in un quiz) per ogni performance, stile a 
								scelta - classico e romantico, rapporto 
								feticista, tecnica sadomaso, in piedi, sul 
								pavimento, sesso orale – e la possibilità di 
								utilizzare la propria voce dal vivo, aspetto 
								fondamentale nella simulazione dell'orgasmo.
								 
								 
								Sempre in America, le donne amano il porno 
								e lo dicono. Lo dice pure Violet Blue, 
								scrittrice ed educatrice sessuale: «Milioni di 
								donne utilizzano e traggono godimento dal 
								linguaggio visivo esplicitamente sessuale. Il 
								porno può essere un gioco divertente e 
								versatile». Come a dire, riusciamo a dare 
								un’interpretazione profonda a delle scene dove 
								l’amore non c’è, ma di questi tempi possiamo 
								farne anche a meno.  
								 
								E se il desiderio dovesse scarseggiare con 
								questo caldo? Al bando granite, tè freddo e 
								bibitoni ghiacciati. Sì a un buon bicchiere 
								di vino. Rosso. Quello sì che aumenta l'appetito 
								sessuale femminile, come afferma il recente 
								studio condotto dall'Università di Firenze. 
								Insomma, le istruzioni per l'uso ci sono tutte. 
								La calda estate può partire. Sperando che scelga 
								di occupare l'ombrellone proprio accanto al 
								nostro. | 
   
  
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DONNE Florence 
									Nightingale: l'usignolo tra le corsie
									di Deborah Iaizzo
									 
									 
									Negli ultimi anni è diminuito sempre più il 
									numero delle persone che si accostano alla 
									professione infermieristica e che 
									preferiscono quella del medico, forse non 
									considerando l'importanza di questa figura 
									non solo per il paziente, ma per l’intero 
									sistema sanitario. Florence Nightingale 
									combatté per salvaguardare e migliorare la 
									professione sostenendo: «La fama e la gloria 
									non mi interessano. Amo però pensare che la 
									forza del mio impegno, del lavoro che ho 
									tanto amato, sopravviva nel ricordo delle 
									generazioni future».  
									 
									Nata in Italia il 2 maggio 1820 da una 
									famiglia di borghesi inglesi, viene chiamata 
									Florence in onore di Firenze, sua città 
									natia. A un anno di età torna con la 
									famiglia in Inghilterra. L’educazione 
									poliedrica che riceve la porterà sin 
									dall’adolescenza ad approcciarsi in modo 
									maturo e razionale al mondo che la circonda. 
									A diciassette anni sente “la voce di Dio”: 
									da quel momento, sfidando il volere della 
									famiglia, si dedica ad accudire i malati 
									a livello fisico e morale. Nel 1850, durante 
									un viaggio in Europa, incontra Padre 
									Theodore Fliedner e studia per tre mesi 
									nella sua scuola-ospedale, dove vige una 
									diversa concezione di sanità e in particolar 
									modo del ruolo dell’infermiera.  
									 
									Allo scoppio della guerra di Crimea 
									viene richiesto il suo intervento 
									nell’organizzazione del corpo infermiere che 
									dovrà operare nell’ospedale militare di 
									Scutari, in Turchia. In questo periodo 
									Florence formula una teoria che si 
									incentra sulla visione dell’ambiente 
									come mezzo attraverso il quale il paziente, 
									con l’ausilio degli infermieri, è in grado 
									di guarire. L’ambiente salutare e il bisogno 
									di creare una relazione con il paziente 
									divengono due punti essenziali per la 
									Nightingale. Inoltre sarà severissima 
									nell’osservare le norme d’igiene, 
									allora totalmente assenti: «Il primo 
									requisito di un ospedale dovrebbe essere 
									quello di non fare male ai propri pazienti».
									 
									 
									Il suo ideale è quello di servire il 
									prossimo alleviando le sofferenze e 
									studiando le possibilità di guarigione, per 
									cui si dedica completamente alla salute 
									dei soldati, sottolineando anche quegli 
									spazi ritenuti inutili per la guarigione, 
									come l’igiene personale e la corrispondenza 
									con le famiglie. Nel 1860 pubblica Notes 
									on Nursing, in cui riprende la sua 
									concezione di salute e ambiente. Nello 
									stesso anno fonda la Scuola di 
									insegnamento per infermiere, pur 
									continuando instancabilmente il suo lavoro. 
									Nel 1883 la regina Vittoria le conferisce 
									la Croce Rossa Reale in riconoscimento 
									del lavoro svolto.  
									 
									La battaglia di Florence in nome della 
									sanità dovrebbe essere ricordata: fu la 
									prima persona a mettere in evidenza la 
									dignità umana dei pazienti malati. 
									Principio che, nonostante tutti i problemi 
									della sanità attuale, resta sempre valido.
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TELEGIORNALISTI Federico 
	Zurzolo: al servizio del pubblico
	di Camilla Cortese  
	 
	Federico Zurzolo dirige da 7 anni il Tg Regione Lazio. Giornalista 
	professionista dal 1986, ha iniziato facendosi travolgere dal fascino della 
	radio al tempo delle prime emittenti private. Combinando la passione per la 
	musica e la voglia di comunicare, conduceva un programma di intrattenimento 
	con musica di qualità ed eventi del giorno. Contemporaneamente collaborava 
	con televisioni, quotidiani e periodici.  
	 
	Cosa ti piace di più della tua professione?  
	«Il rapporto con i telespettatori. Quando chiamano ci parlo quasi sempre 
	personalmente, mi piace sentire il loro parere, le loro critiche, ascoltare 
	le loro segnalazioni. Questo è uno dei nostri punti di forza: ci dicono che 
	una via è poco illuminata, che in un quartiere c’è un incrocio pericoloso, e 
	noi andiamo a vedere, scaviamo, cerchiamo di capire, diamo loro voce. Poi 
	andiamo a chiedere risposte agli amministratori, che devono prendere impegni 
	per risolvere il problema. Qualche volta ci riusciamo. Ecco questa è la cosa 
	che mi piace di più di questo lavoro: svolgere al meglio il nostro ruolo di 
	Servizio Pubblico».  
	 
	Hai mai avuto timore di affrontare un argomento che potrebbe avere dei 
	risvolti scomodi?  
	«Timore mai. Attenzione sì. Le notizie non si nascondono. Si devono sempre 
	dare, ma con il massimo della correttezza e dell’equilibrio».  
	 
	Come l’attore, che carpisce frammenti di realtà per costruire le proprie 
	performance, anche il giornalista guarda il mondo con occhi diversi?
	 
	«Assolutamente sì. Non possiamo fare informazione come un comune 
	telespettatore. L’emotività, la partecipazione attiva ad un avvenimento 
	rischia di portarci fuori dalla realtà. Dobbiamo essere “cronisti”, 
	raccontare i fatti quasi con distacco. Il telespettatore è maturo, vedendo 
	la tv fatta in questo modo vivrà la sua emozione, non quello che noi 
	vorremmo vivesse».  
	 
	Responsabile di una redazione (Tgr Lazio Rai) quasi tutta al femminile, 
	come ti muovi?  
	«Sono un uomo fortunato, va bene come risposta? Le donne hanno tanti pregi. 
	Sono instancabili e hanno passione, qualità essenziale non solo nel mondo 
	del lavoro. Purtroppo hanno qualche ostacolo in più (i figli, 
	l’organizzazione familiare, gli orari, il trucco soprattutto per chi deve 
	condurre un telegiornale) ma sono bravissime e attente».  
	 
	I tg regionali sono molto seguiti e sono fortemente connotati dal 
	territorio. La ricchezza di questo legame ha mai il risvolto del limite di 
	orizzonte?  
	«Mando i miei inviati al massimo a Ferentino, in provincia di Frosinone, e 
	questo a prima vista sembrerebbe un limite. In realtà non è così: 
	l’obiettivo è fare ogni cosa al meglio, anche la notizia che sembra meno 
	importante deve essere trattata con il massimo impegno. Non ci sono limiti 
	di orizzonte se si riesce veramente ad essere vicino alla gente e ai loro 
	problemi».  
	 
	Buongiorno Regione Lazio è l'informazione del territorio, una 
	finestra del servizio pubblico sulla regione: cosa dà di nuovo e di buono 
	allo spettatore questa filosofia? Farlo partecipare e dargli spazio serve 
	più a voi o a lui?  
	«Questo tipo di informazione dà le notizie di servizio al telespettatore. 
	Penso siano utili per iniziare meglio la giornata. La partecipazione dei 
	telespettatori alla trasmissione serve a loro, perché pongono i loro 
	problemi all’attenzione di un grande pubblico e di chi ha il potere di 
	risolverli, ma serve anche a noi. Ascoltando le decine di segnalazioni dei 
	cittadini che quotidianamente arrivano in redazione, abbiamo la possibilità 
	di “scavare” il territorio. Grazie ai telespettatori abbiamo ricominciato a 
	fare inchieste, e questa è una buona notizia per il giornalismo locale».
	 
	 
	Alcune emittenti locali in tutta Italia non hanno molto gradito questa 
	invasione di campo in una fascia oraria molto ambita.  
	«Sono convinto che ci sia spazio per tutti, che la concorrenza stimoli a 
	creare qualcosa di nuovo e a fare sempre meglio. Poi, una maggiore 
	informazione garantisce la democrazia».  
	 
	Vanti premi e numerose interventi come moderatore di incontri culturali, 
	seminari e ricerche. Ti senti autorevole?  
	«Penso che il mio telegiornale sia considerato autorevole. Personalmente mi 
	sento solo un giornalista corretto ed equilibrato, anche politicamente».
	 
	 
	Cosa consiglieresti ai giovani giornalisti che collaborano per passione 
	senza intravedere un domani?  
	«Da quando dirigo il Tgr Lazio ho avuto in redazione molti giovani, 
	stagisti, precari, collaboratori. A loro dico sempre che per fare questo 
	lavoro servono tre cose: una grande passione, un grandissimo spirito di 
	sacrificio e tantissima fortuna. Mi piace vedere i loro occhi pieni di 
	voglia di “rubare” il mestiere. Qualcuno ce la fa, altri no. Ma questo 
	lavoro non morirà mai».  
	 
	Il parere sincero di un professionista sul rapporto tra la Facoltà di 
	Scienze della Comunicazione, le varie scuole di giornalismo e il reale 
	ingresso nel mondo del lavoro.  
	«Il vecchio praticantato svolto in un giornale vero non esiste più. Questo è 
	un lavoro che si impara in strada, sbagliando e prendendo porte in faccia. 
	Oggi purtroppo i tempi sono cambiati, il praticantato si fa nelle 
	Università, che però non hanno mezzi e si limitano alla teoria, oppure nelle 
	Scuole di giornalismo, e alcune sono buone. Nella mia redazione ci sono 
	colleghi che provengono da questa realtà: sono preparatissimi culturalmente, 
	ma il vero mestiere lo imparano lavorando sodo tutti i giorni». | 
   
  
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SPORTIVA La 
							donna Tigre di Pierpaolo 
							Di Paolo  
							 
							Campionessa mondiale dei pesi supermedi WIBF, 
							Natascha Ragosina è attualmente la pugile più 
							temuta del circuito internazionale. Originaria del 
							Kazakistan, la Ragosina ha perfezionato il proprio 
							allenamento in Germania, dove si è trasferita e ha 
							sviluppato le sue già eccezionali potenzialità.
							 
							 
							Picchiatrice per natura, Natascha ha vinto 
							tutti e 19 gli incontri finora disputati, di cui ben 
							11 per ko. Un risultato prevedibile data la 
							determinazione e la ferocia con cui la ragazza 
							approccia i match, nei quali scarica tutto il suo 
							killer instinct, quella voglia di colpire e far 
							male all'avversario, prima ancora che di vincere.
							 
							 
							La rabbia che la pugile mette nella sua attività è 
							quella tipica di chi viene dalle zone più povere del 
							pianeta, quella furia spietata di chi ha conosciuto 
							sulla sua pelle le durezze della vita. Comprensibile 
							che persino la fortissima Laila Alì, figlia 
							del leggendario Muhammad Alì, abbia finora 
							cercato di evitare il più possibile il confronto con 
							la spaventosa Kazaka.  
							 
							Chi si aspettasse che una donna simile abbia anche 
							un aspetto mostruoso sarà costretto però a 
							ricredersi dinanzi alle immagini che stanno 
							invadendo il web e le riviste del settore. Natascha 
							è oggettivamente una donna molto bella e, se questo 
							non bastasse, ha accettato di posare per scatti 
							che la ritraggono nuda, con indosso solo i 
							guantoni o le cinture vinte.  
							In questo modo l'atleta svela ai fan increduli il 
							suo fisico statuario, le sue forme estremamente 
							seducenti e la sua femminilità, tanto inaspettata e 
							selvaggia quanto innegabile e stupefacente.
							 
							 
							Tuttavia, non bisogna farsi trarre in inganno da 
							tanta bellezza. I più attenti osservatori noteranno 
							che anche nelle foto più seducenti, Natascha 
							Ragosina conserva i suoi occhi da tigre. 
							Mentre il suo corpo esposto induce voluttuose 
							fantasie e voli pindarici, il suo sguardo avverte 
							che è meglio non dimenticare mai che si è pur sempre 
							di fronte ad una belva pericolosa, pronta a 
							scaricare il suo furore su chiunque si trovasse ad 
							ostacolare la sua scalata al successo. | 
   
  
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