Archivio
Telegiornaliste anno V N. 7 (178) del 23 febbraio 2009
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva |
MONITOR
Antonella Fracchiolla, l'importanza di lavorare sul
senso civico di Giuseppe Bosso
È con grande piacere che questa settimana incontriamo
Antonella Fracchiolla,
conduttrice del
Tgr della Campania e della rubrica
Neapolis
in onda su RaiTre. Nata a Bari, è entrata in Rai nel 1992 superando il concorso
per praticanti.
Cosa hanno comportato, come carico di lavoro per la sua redazione, le recenti
vicende giudiziarie che hanno coinvolto Napoli?
«Non penso più di quello che abbiamo normalmente. Napoli è una piazza
continuamente in fibrillazione e il nostro lavoro si adegua a questi ritmi. Del
resto, abbiamo vissuto un anno caratterizzato dalla continua emergenza rifiuti,
e siamo più che abituati a dover fronteggiare notizie dell’ultim’ora. Non è raro
che una volta impostato la scaletta del tg, alle 13 giungano notizie di blitz o
arresti, per cui quello che avevamo preconfezionato viene inevitabilmente a
essere stravolto».
Quale può essere, secondo lei, la strada da seguire perché la città conosca
finalmente una svolta in positivo, non solo dal punto di vista istituzionale?
«Lavorare sul senso civico. Purtroppo è un concetto che a Napoli non è molto
presente, non si sente tanto l’idea dell’interesse della collettività, e lo
avverto a cominciare dai comportamenti spiccioli delle persone, e di riflesso
anche da quello degli esponenti delle istituzioni. A tal riguardo, devo dire che
quando sento il sindaco Iervolino tendere a sminuire i problemi dichiarando che
la maggioranza della popolazione è sana e solo una piccola minoranza delinque o
è privo di senso civico, penso proprio che la realtà sia un po’ diversa.
Insomma, bisogna prendere atto che c’è una fetta di popolazione deviante o a
rischio».
L’informazione può fungere da collante tra politica e cittadino?
«Sì, è fondamentale il nostro ruolo e dobbiamo cercare ogni giorno di ricordarci
quali sono i valori della nostra professione, informare le persone e cercare di
ridurre le distanze con i palazzi del potere. Capisco che la Rai talvolta si
presti facilmente a critiche per il fatto di non essere sempre equidistante, ma
a parte questo credo che ci siano anche tanti validi professionisti che svolgono
il loro mestiere con coerenza e serietà. E’ quello che cerco di fare anch’io
giorno per giorno».
Come nasce la rubrica Neapolis?
«Nasce da un’idea del caporedattore Silvio Luise che, dopo aver curato Tg1
Napoli e Tg2 Napoli tra il 1992 e il 1998, aveva avvertito la mancanza di uno
spazio che utilizzasse un linguaggio tecnologico. Oltre che da noi interni, la
redazione è formata anche da persone assunte con contratto a tempo determinato.
Inizialmente mi sono alternata con Antonello Perillo alla conduzione, poi sono
arrivate anche Cecilia
Donadio,
Maria Laura Massa e
Annalisa Angelone».
Si sente più inviata o anchorwoman?
«Mi sento a mio agio in entrambi gli ambiti. Per strada, certo, sono a stretto
contatto con la gente e con la realtà, mentre nello studio trovo il piacere di
stare, sia pure idealmente, a contatto con lo spettatore che mi guarda, cercando
di far passare un messaggio di equilibrio e cordialità».
Cosa significa per lei lavorare al Tgr?
«La consapevolezza di non annoiarmi mai. E’ un lavoro al tempo stesso stressante
e stimolante per il territorio che ci circonda; stimolante soprattutto per le
grandi possibilità che ti offre una realtà come quella napoletana. Sono arrivata
a Napoli quando ho vinto il concorso e ho deciso di non andarmene malgrado fossi
consapevole delle tante difficoltà».
Cosa ha trovato di diverso tra Napoli e Bari, la sua città?
«Dal punto di vista della vivibilità Napoli è alquanto a rischio, Bari non
altrettanto. Anche il carattere delle persone è diverso, e mentre il barese è
molto attaccato al lavoro ma al tempo stesso chiuso e meno cordiale, il
napoletano è sempre molto vivace».
C’è una notizia che vorrebbe dare in futuro?
«Mi piacerebbe poter dire che ci sono molte possibilità occupazionali, problema
fondamentale della città. E dopo l’anno che abbiamo vissuto per l’emergenza
rifiuti, vorrei poter dire che la Campania è riuscita a raggiungere i livelli
delle regioni del nord - come la Lombardia - per la raccolta differenziata».
Il bello e il brutto del giornalismo?
«Onestamente vedo solo cose positive, se non che talvolta il lavoro è molto
pesante e non hai molto tempo libero».
Conciliare lavoro e vita privata si può?
«Non avendo figli non saprei rispondere. Ad ogni modo credo che per una donna
ogni mestiere comporti difficoltà per far andare d’accordo la sfera affettiva
con quella professionale, ma non impossibilità».
Che effetto le fa essere una delle telegiornaliste più seguite, non solo nel
nostro sito?
«Essere apprezzati fa sempre piacere. Come dicevo, la mia speranza è entrare
nelle case delle persone con garbo e spero sia questa l’idea che ha di me chi mi
segue. Cerco soprattutto di usare due doti che forse si sono alquanto perse, e
cioè la discrezione e la misura».
Ha un sogno nel cassetto?
«Vivo troppo alla giornata per rispondere a questa domanda. Penso più al
presente che al domani».
Come si descriverebbe come donna e come giornalista?
«Preferisco siano gli altri a descrivermi. Posso dire che mi sento portata
soprattutto ad osservare e ascoltare gli altri».
Con i suoi colleghi avverte più rivalità o complicità?
«Penso di avere un buon rapporto con la maggior parte di loro, sia con uomini
che con donne. Credo sia un luogo comune dire che le donne siano continuamente
in competizione, perché anche gli uomini hanno questa tendenza».
Ha mai avvertito condizionamenti o pressioni nel suo lavoro?
«Posso dire, per mia fortuna, di non essermi mai trovata in queste condizioni,
anche perché non ho modo di occuparmi di politica che è il settore che più si
presta al condizionamento. E' un ambito che preferisco seguire più da cittadina
che da giornalista, e non posso fare a meno di notare come alcune persone dei
piani alti sappiano a chi rivolgersi quando vogliono un certo tipo di
informazione». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
CRONACA IN ROSA Se mi lasci non vale
di Camilla Cortese
La parola stalking deriva dall’inglese to
stalk, termine tecnico utilizzato nella caccia e traducibile nell’italiano
“fare la posta”. Nel caso del maschio umano deluso da un inaccettabile rifiuto
amoroso, denota un insieme di comportamenti ripetuti e intrusivi di
sorveglianza, controllo, ricerca di contatto, richieste di comunicazione e
momenti di intimità indesiderati nei confronti di una vittima.
La vittima, indegna femmina che inspiegabilmente non
gradisce il corteggiamento del maschio, si ritrova così a vivere in un
perdurante stato di fastidio, ansia o paura, con un fondato timore per
l'incolumità propria o delle persone a lei care.
La dinamica è subdola all’inizio, e se la persona è
conosciuta, magari un ex, non si vuol credere che la situazione potrebbe
peggiorare, si cerca di essere comprensivi e si accettano le cinque, dieci
telefonate al giorno: roba che nemmeno quando si era follemente innamorati. E si
sta lì, mentre si fa la spesa e si stendono i panni, ad ascoltare distrattamente
un misto di “perché mi hai lasciato” e “la faccio finita”: roba
che nemmeno la Linea Suicidi.
Quando l’orecchio frigge, la comprensione diventa fastidio, e
il fastidio diventa rabbia perché la pazienza ha pur sempre un limite, l’ex
fidanzato molesto abbandona l’autocommiserazione e attacca con le illazioni
stile “ma allora hai un altro”, “cos’è, è più ricco di me?”. Per farlo tacere
gli si raccontano preziosi particolari della propria vita, e così si cade negli
insulti: la sua mente annebbiata dal rifiuto trasforma una pizza con le amiche
in un rave party, un pranzo di lavoro in un flirt, una donna sola in una
sgualdrina.
Quando partono le cinquanta telefonate mute, le uscite in
macchina dove lui finge di sbandare e gli appostamenti sotto casa, le più
fortunate tagliano i ponti, cambiano numero di telefono, si fanno scortare
da un cugino robusto e il calvario termina. Le meno fortunate vengono picchiate,
sfregiate, stuprate, uccise.
Il 29 gennaio 2009, con un sì bipartisan alla Camera, è
passato in Senato il disegno di legge sullo stalking. Una vittoria
per le donne e la società, una legge che ha trovato d'accordo maggioranza e
opposizione sul tema della salvaguardia della tranquillità delle donne dai
persecutori.
D’ora in poi i molestatori, ed è bene ricordare che sono
uomini normali e insospettabili e non maniaci dell’impermeabile con la bava
alla bocca, rischieranno da sei mesi a quattro anni di reclusione se
molesteranno una donna con e-mail e telefonate mute, lettere anonime,
appostamenti e minacce. Il ddl prevede aggravanti se la vittima delle
molestie è una donna incinta o un minore, se il molestatore è recidivo, armato o
mascherato, se la violenza è esercitata da un gruppo o se il reato è commesso
dal coniuge separato o divorziato, o da persona con cui la vittima abbia avuto
una relazione affettiva. Nel caso di omicidio preceduto da stalking si
arriverà all'ergastolo. |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
FORMAT
Il "Meteopagellone" di Sanremo di
Giuseppe Bosso
In occasione del 59mo Festival della canzone
italiana, Telegiornaliste propone un pagellone diverso dal solito, il
Bollettino meteo post Festival.
Sole splendente su Paolo Bonolis,
che è riuscito a ridare interesse e partecipazione alla più nota gara canora del
Belpaese, con il suo consueto stile e il suo savoir faire. Giudizio esteso,
ovviamente, all’immancabile Luca Laurenti.
Sereno pieno su Roberto Benigni,
mattatore indiscusso della prima serata con la mirabile citazione di Oscar
Wilde. L’attore toscano è davvero uno dei pochi che riesce ancora a farci
sentire orgogliosi di essere italiani.
Poco nuvoloso sulla "vecchia guardia" che
riesce ad andare avanti conciliandosi armonicamente con i nuovi leoni. Al
Bano,
Pupo e Masini tengono testa alle
giovani leve come il vincitore Marco Carta
e a coloro ormai prossimi ad entrare nel "club"
dei veterani. Tra questi, Renga e
Alexia.
Cielo coperto su Mina, che avrebbe
meglio catalizzato l’attenzione sulla rassegna se avesse abbattuto il muro
innalzato ormai trent’anni fa. Malgrado tutto, è stato un degno prologo.
Nuvoloso su Patty Pravo, dal seno
scoperto nella sua esibizione della seconda serata. Non vogliamo essere
bacchettoni, signora Strambelli, ma onestamente da un’icona della nostra musica
ci si aspettava ben altro tipo di colpi di scena.
Foschia su Sal Da Vinci, o meglio,
su chi ha precipitosamente rischiato di sbattere fuori l’artista napoletano,
prontamente - e meritatamente - ripescato, tanto da arrivare terzo.
Nebbia su Dolcenera, tra le grandi
favorite alla vigilia ed eliminata ad un passo dalla finale, malgrado gli
auspici della prima serata. Un passo falso che la cantante salentina, vincitrice
tra le Nuove Proposte del 2003 e seconda classificata nel 2006, dovrà
metabolizzare per il futuro.
Pioggia sul caso Povia, fin troppo
accentuato dalle polemiche firmate Grillini. Preferiamo astenerci da
ulteriori commenti che esulano dalla valutazione del Festival.
Temporale su Iva Zanicchi, alla
quale consigliamo per una prossima partecipazione sanremese di evitare di
puntare il dito contro presunti condizionamenti (nella specie, Benigni, per il
quale ha comunque avuto parole dolci) anziché ammettere che magari la canzone
"non girava".
Grandina sul superospite Hugh Hefner,
il cui atteso e strapagato intervento è stato oscurato dall’improvvisato (ma
quanto, poi?) fuori onda della pornostar Laura Perego.
Burrasca sulla Rai e i faraonici
compensi elargiti ad ospiti di grido e non, alla faccia della forte crisi
economica con la recessione che aleggia minacciosa. Il servizio pubblico ha
perso un’altra occasione per dare il buon esempio al contribuente che continua a
sborsare un canone sempre più salato. |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
CULT I
fiori di carta di Sarah di Giuseppe Bosso
Pavia, inizio anni 80. Reparto di oncoematologia dell’ospedale San Matteo: ad
una bimba di poco più di tre anni, dai capelli ramati e dagli occhi color
nocciola, viene diagnosticata una grave malattia del sangue che segnerà
la sua infanzia tra una terapia ed un esame. Ai suoi innocenti occhi, poco più
di un gioco, inconsapevole del dolore e della sofferenza che i suoi cari provano
in quei momenti.
E, per ingannare il tempo, la bambina costruisce fiori con la cartapesta,
sviluppando in tal modo una creatività che le farà scoprire la sua strada.
Gli anni passano, la malattia viene sconfitta, ma i travagli non finiscono qui.
E se dietro l’angolo si fanno ben presto vedere nuove e forti insidie, lei
riesce ad affrontarle sempre con il sorriso sulle labbra e una tempra da verace
lombarda.
Questa, in sintesi, la storia di La bambina dei fiori di carta,
prima fatica letteraria di un volto noto e amato dal pubblico italiano, Sarah
Maestri. Ventinove anni, originaria di Luino (patria, tra gli altri, di
Iacchetti, Boldi e Dario Fo), divenuta nota soprattutto grazie al personaggio di
Alice, amica innamorata di Nicolas Vaporidis nei due Notte prima degli esami.
Il romanzo, edito da Aliberti, alla presentazione romana nel giorno di San
Valentino ha superato le mille copie vendute in poche ore, a dimostrazione
dell’affetto e della simpatia che Sarah ha raggiunto anche grazie alla sua
partecipazione a Centovetrine (per la quale, nel 2003, ha vinto la
Telegrolla come miglior interprete di soap opera) e ad altre fiction di successo
come La Freccia nera e Benedetti dal Signore.
È una storia dolce e amara al tempo stesso, partita dalle rive del Lago Maggiore
verso la capitale, inseguendo un grande sogno che si snoda attraverso i
difficili giorni della sua infanzia in ospedale e proseguita tra le prime grandi
delusioni amorose, le insoddisfazioni professionali tra un provino e un altro,
fino alla grande ribalta. In ogni modo, circondata dall’affetto dei suoi cari: i
genitori, il fratello («il primo ragazzo che mi ha dato un due di picche»), i
nonni e i tanti amici che l’hanno accompagnata. Una scelta non facile quella di
aprirsi a quanti l’hanno seguita in questi anni, mostrando aspetti sconosciuti a
chi vede solo rose e fiori nello star system.
Prossimamente rivedremo Sarah nella quarta serie di Un caso di coscienza,
per la quale ha fatto la spola tra Roma e Sofia in inverno, e torneremo ad
ascoltarla nella mezzanotte di Radiodue con l’inseparabile "papero". |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
DONNE Life
In: tutti i colori del lavoro. A cominciare dal rosa
di Pierpaolo Di Paolo
Non è un caso che i colori ufficiali di Life In Spa siano il
lilla e il rosa: dal logo alla carta intestata,
dalle insegne alle auto aziendali. E quando vi capiterà di trovarne una
parcheggiata all’ingresso di un cantiere edile o vicino a un escavatore
all’opera, non stupitevi. Sono donne che non hanno paura di indossare un casco e
un’imbragatura sopra al tailleur.
Life In è un’agenzia per il lavoro nuova e unica nel settore: il 66%
della quota societaria appartiene a donne. Il
consiglio di amministrazione è composto da sole donne.
A poche settimane dal lancio della società sul mercato,
tutte le dipendenti dirette sono donne.
Perché «abbiamo una marcia in più», afferma Patrizia
Fulgoni, amministratore delegato di Life In, «e lo abbiamo dimostrato sul
campo in tanti anni di esperienza nel settore delle risorse umane».
Life In nasce dalla volontà di un gruppo di professioniste
di diventare imprenditrici di se stesse: donne che
operano insieme da anni, «dimostrando che la solidarietà femminile
nell’ambiente di lavoro è possibile ed efficace, anche nei settori maschili
per eccellenza, come l’edilizia e la perforazione petrolifera», prosegue
Patrizia Fulgoni.
Un’agenzia di donne specializzata nell’occupazione femminile?
«Sarebbe un’idea romantica», risponde l’amministratore di Life In, «e di certo
solo un’azienda di donne come la nostra può avere tanta attenzione e sensibilità
verso le “colleghe”. Ma non sarebbe corretto fare discriminazione sessuale
al contrario».
Edilizia e Energia e petrolio: due
specializzazioni che portano le donne di Life In sul cantiere, a dirigere
gli uomini. «Sì e no: siamo brave a selezionare gli operai specializzati, che
nei cantieri fanno la differenza. Ma il nostro valore aggiunto è diventare
partner delle aziende, fornendo una vera e propria consulenza nella gestione
delle risorse umane», spiega Patrizia Fulgoni.
Così fan tutti… «Assolutamente no!», ribatte l’amministratore
di Life In. «Le aziende ci scelgono per la nostra competenza sia nella selezione
sia nella gestione delle risorse umane: un ufficio del personale esterno,
talvolta interno all’azienda cliente, a costo zero. E’ qui che facciamo la
differenza».
Un servizio solo per le aziende edili? «Tutt’altro, operiamo
in tutti i comparti produttivi», prosegue Fulgoni. «Mi spiego: Life In offre i
propri servizi alle aziende di ogni settore, attraverso la selezione del
personale, la formazione, la somministrazione, la gestione in toto delle risorse
umane. Questo è il nostro valore aggiunto».
Ma non basta. «Infatti. Perché, grazie alla nostra lunga
esperienza, abbiamo potuto sviluppare il Progetto Edilizia e il Progetto Energia
e Petrolio», ribadisce l’amministratore delegato di Life In: «Due settori dove,
a costo di sembrare poco modesta, non temiamo nessuna concorrenza». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
TELEGIORNALISTI
Stefano La Marca: «Tanti giornalisti hanno la
passione della cucina...»
di Mario Basile
Napoletano trapiantato a Roma,
Stefano La Marca
è uno dei pilastri della redazione romana di Studio Aperto. Ai
microfoni di Telegiornaliste ha raccontato del suo lavoro e della
partecipazione al Premio Piatto D’Autore, gara di cucina in cui si
sono cimentati volti più o meno noti del giornalismo italiano.
Fino al 2003 hai lavorato alla redazione napoletana di Studio Aperto, poi
il trasferimento a Roma. Come si lavora in queste due città?
«Tutti considerano Napoli una grande palestra. Ora, al di là della banalità e
del luogo comune, è chiaro che facendo il corrispondente da Napoli per una tg
nazionale si è portati a raccontare la cronaca, soprattutto quella nera, che è
sempre una grande scuola. Ma al tempo stesso è un limite perché altri tipi di
esperienze, a Napoli, sono difficili se non impossibili. Quindi se si vuole
arricchire la carriera bisogna trasferirsi, anche perché le televisioni locali
non hanno redazioni molto ampie e quelle nazionali, dal canto loro, le hanno
concentrate a Milano e Roma. Questo vale anche per quelli che aspirano a fare un
lavoro di “desk” nei giornali o di “line” nelle televisioni. Così ho deciso di
andare a Roma dove ho fatto altre esperienze che non giudico né migliori né
peggiori di quelle napoletane. Solo diverse».
Professionalmente parlando, rifaresti tutte le scelte che hai fatto?
«Indubbiamente. Dico questo perché ho avuto davanti a me un panorama molto
ampio che mi ha permesso di fare molte esperienze. Certo, percorrendo altre
strade avrei potuto fare anche altro, però posso dire che tutto sommato mi è
andata bene perciò ripeterei tutto».
Il web è spesso impietoso con Studio Aperto. Ci sono diversi blog in cui si
fa ironia soprattutto sui contenuti del giornale. Sapevi di questa cosa? Ne
parlate in redazione?
«Sì, lo sappiamo e devo dire che a volte sono molto divertenti. Del resto noi
non siamo una redazione impermeabile a quello che succede all’esterno. Anzi,
teniamo sempre d’occhio le nuove tecnologie, sia perché ci rivolgiamo ad un
pubblico giovane, sia perché la tecnologia è un nostro cavallo di battaglia. Non
ci sono sfuggiti quindi questi blog, che, ripeto, a volte sono divertenti, ma al
tempo stesso rappresentano delle critiche da cui cerchiamo di trarre il meglio
senza lasciarci condizionare troppo».
Si è troppo cattivi con Studio Aperto?
«Io mi chiedo quale autorità decida cosa abbia dignità di notizia. Perché deve
essere tutto assolutamente serioso? Studio Aperto, da anni, ha inaugurato una
nuova linea che, con la direzione di Mulè, ha raggiunto il suo punto più alto.
Una linea che sa unire temi di primo piano come l’economia e la politica con la
parte più frivola».
A domande simili i tuoi colleghi ci hanno risposto che, nonostante tante
critiche, gli ascolti premiano Studio Aperto. Ma bastano ottimi ascolti a fare
di un telegiornale un buon telegiornale?
«Gli ascolti fanno la parte del leone: con essi si ha credibilità, la
possibilità di fare investimenti e scelte. Vale anche per la carta stampata: un
giornale fatto bene, ma che vende poco, non serve a niente. In ogni caso un
telegiornale è fatto anche dall’autorevolezza di chi ci lavora e dalla bontà
delle scelte quotidiane che si fanno in redazione. Questi ultimi sono elementi
importanti per fare un buon tg».
Facebook è la grande moda del momento. Dai personaggi famosi alla gente
comune, sono ormai tutti sul web. Lo ritieni uno strumento utile?
«Utilissimo. Lo trovo un grande divertimento e un modo per incontrare persone
con cui magari ci si era persi di vista. Dal punto di vista strettamente
professionale, invece, lo ritengo uno strumento fantastico perché ci sono
veramente tutti. I politici, ad esempio, come il Ministro Gelmini e perfino la
Principessa Rania di Giordania...».
Sei stato tra i finalisti dell’ultima edizione del Premio Piatto
D’Autore. Ci racconti quest’esperienza?
«Mi sono divertito moltissimo. Alla fine le più brave sono state le colleghe
della Rai, però ho scoperto che ci sono tanti colleghi con la passione della
cucina, sia uomini che donne. Evidentemente il connubio scrittura-cucina
funziona». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
SPORTIVA Una lotta fuori dal ring di
Chiara Casadei
Appassionata di boxe, avrebbe voluto
partecipare alle Olimpiadi di Londra 2012, salire sul ring e dimostrare a
tutti di che stoffa era fatta. Purtroppo si è vista portare via questo sogno nel
cassetto da un imprevisto che le costerà caro. Sarah Blewden, ex modella
inglese di 25 anni, da due si è cimentata in questo sport, ottenendo buoni
risultati. Nonostante le sue doti, però, la Federazione dilettantistica della
boxe d'oltremanica le ha vietato di praticare questo sport. Queste le
spiegazioni del presidente federale Tony Attwood: «Le regole
internazionali vigenti proibiscono la pratica della boxe per chi, come la
Blewden, si è fatta impiantare nei seni delle protesi al silicone: i colpi presi
potrebbero danneggiarle. Sarebbe troppo pericoloso».
Il motivo che le costerà l’allontanamento
alla boxe sarebbe proprio questo: un’operazione chirurgica che, per quanto
sostiene lei stessa, non le arrecherebbe alcun danno: «Si tratta di protesi a
base di gel. Il chirurgo mi ha sempre detto che i miei seni non mi rendono più
vulnerabile rispetto ad altre donne». L’operazione in questione, che risale al
2003, ha aumentato di due taglie il seno della Blewden, ora decisa a battersi
per far valere il suo diritto a giocare e a competere sul ring.
Si è rivolta così ai giornali inglesi,
dichiarando delusa che «per tanti anni nel pugilato le donne sono state
discriminate, al punto che non ci era permesso praticare questo sport. Ora
c‘è questo nuovo ostacolo, ma io andrò avanti perché così altre donne che,
come me, hanno il seno al silicone non avranno lo stesso problema e potranno
combattere». È pronta infatti a portare il suo caso addirittura davanti alla
magistratura ordinaria e sportiva. Non ha intenzione di arrendersi facilmente.
In fin dei conti questa è la sua battaglia: salvare il suo ring. |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
versione stampabile |