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Telegiornaliste anno V N. 6 (177) del 16 febbraio 2009

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MONITOR Irene Bozzi: io, giornalista e psicologa di Giuseppe Bosso

Laureata in filosofia e specializzata in psicologia, Irene Bozzi è giornalista pubblicista dal 1994. Ha collaborato con diverse trasmissioni radio e tv, scritto diversi saggi e diretto il mensile di psicologia-benessere-bellezza-sessuologia Io sono. Conduce Smanie e Manie sul Network Cinquestelle.

Da cosa nasce il suo interesse per la psicologia?
«Mi ha sempre affascinato la materia, sin da quando ero sui banchi di scuola».

Quanto del suo lavoro da psicologa influenza la sua attività giornalistica?
«Sicuramente molto. Cerco sempre di mettere a frutto le mie esperienze e i miei studi in ogni attività».

Ha avuto modo di intervistare molti personaggi noti su temi legati alla psicologia. Quali sono gli aneddoti che più le sono rimasti impressi?
«Ognuno ha una propria storia alle spalle da raccontare, particolari manie, disagi, passioni. Nn sono mancati, certo, coloro che hanno dovuto affrontare anche periodi di profonda depressione, anche se non tutti hanno avuto la stessa voglia di parlarne. Da ognuno, comunque, ho tratto spunti interessanti per i miei libri».

Tra questi c'è Mamma ha fatto certe cose con papà dove ha affrontato il tema della sessualità dal punto di vista dei bambini.
«Sì, ho condotto una ricerca attraverso 500 bambini del secondo ciclo delle scuole elementari facendo fare loro un tema, Racconto come sono nato. Le risposte che ne ho ricavato sono state molto interessanti e anche simpatiche. Si capisce soprattutto come i bambini siano consapevoli della nascita, anche se raccontata in modo fantastico, superando ormai quelle storie della cicogna e del cavolo. Anche i disegni che hanno fatto erano deliziosi. E poi, proiettando il proprio mondo interiore, hanno espresso pensieri, emozioni e sentimenti inconsci».

Negli ultimi anni abbiamo assistito a molti casi di cronaca nera, da Cogne a Perugia, che hanno inevitabilmente creato molta attenzione intorno agli accusati. Da un punto di vista psicologico cosa pensa di queste persone?
«Premetto che non mi piace l’eccessiva spettacolarizzazione che si è fatta di queste vicende, sono storie molto dolorose. Ho avuto modo di interloquire sul tema con esperti come il criminologo Francesco Bruno cercando di rimanere sempre e soltanto sugli aspetti strettamente legati alla psicologia. Ogni caso, comunque, è diverso dall'altro, mai generalizzare».

Come docente che tipo di interesse riscontra nei giovani?
«Molto, e non solo dagli universitari. Durante il periodo dell’occupazione scolastica, alcuni istituti mi hanno chiamata per tenere lezioni sul tema che colpisce anche i più giovani, sicuramente consapevoli che non si può improvvisare ma occorre molta attenzione e preparazione. Per la maggioranza, comunque, è utile riuscire a parlare con un esperto dei piccoli e grandi problemi di ogni giorno, dalle piccole ansie ai lutti che possono colpirci».

Ma è ancora importante il ruolo della psicologia ai giorni nostri?
«Sì, decisamente. Viviamo in un’epoca in cui siamo sempre più soli, è facile nascondersi dietro lo schermo di un pc, ma al tempo stesso cerchiamo di interfacciarci e trovare ascolto dagli altri. Questa è una grande difficoltà, ma anche uno dei modi migliori per sentirsi meno soli. Anche se oggi abbiamo sempre meno tempo e qualche timore nell’affrontare i nostri sentimenti più profondi, è importante saper trovare piccoli spazi da dedicare a noi stessi. Indubbiamente la psicologia in questo ci viene molto in aiuto».

Cosa pensa dell’interesse che lei ha suscitato nel nostro sito e non solo?
«Nessun imbarazzo, anche se mi ha fatto sorridere qualcuno che parlava delle mie autoreggenti (ride, ndr). A parte questo, spero che più che all’immagine, chi mi segue presti soprattutto attenzione a quello che dico».
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CRONACA IN ROSA Ti pago meno di Federica Santoro

Le italiane guadagnano di media il 16% in meno rispetto ai colleghi uomini, con uno scarto annuale che si attesta sui quattromila euro. Sono i dati allarmanti del Rapporto Italia 2009 di Eurispes, che calcolano un divario minimo dell’1,7% nelle professioni meno qualificate, fino ad un massimo del 20,8% nel lavoro specializzato. Identica la situazione per le mansioni intellettuali, dove la differenza media si aggira attorno al 18,8%. Meglio va per gli impiegati, dove lo scarto si riduce al 3,9%, e tra i dirigenti con il 3,3%.

Nel nostro Paese le norme per la parità salariale sono in vigore dal 1977 grazie alla tenacia di Tina Anselmi, prima donna ministro in Italia. Eppure queste leggi a tutti gli effetti restano spesso inapplicate, oppure aggirate con voci aggiuntive che conferiscono premi agli uomini, sugli straordinari, sugli incarichi di prestigio e sulle carriere.

Persino dalla relazione del World Economic Forum (Wef), l’Italia si piazza ad un insoddisfacente 84esimo posto, in una classifica stilata su 128 Paesi, sulla base di un indice che ha misurato il grado di riduzione del divario tra donne e uomini. La graduatoria non misura le condizioni assolute di vita delle donne in ogni Paese, ma verifica la distanza in termini di status, di possibilità, di opportunità che separa i due sessi.

L’Italia è il Paese ad occupare il posto più basso tra quelli dell’Unione europea, pur avendo mostrato progressi in termini di partecipazione della forza lavoro femminile rispetto all’anno passato con un aumento dell’1,4% (pari a 127 mila nuove occupate).
Al 31esimo posto troviamo gli Stati Uniti che, nonostante abbiano un punteggio più che buono per la partecipazione delle donne alla vita politica, registrano un vero gap in termini di pari opportunità sul lavoro.

Il neopresidente Obama è già corso ai ripari varando il Lilly Ledbetter Fairpay Restoration Act per la parità salariale tra uomo e donna: «Lo faccio perle mie figlie – ha dichiarato – perché crescano in una nazione che attribuisca valore al loro contributo sociale».
E in Italia? La strada per l’uguaglianza è ancora tutta in salita.
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FORMAT Che noia con questo trash! di Serenella Medori

Avete fatto caso a quante e quali critiche siamo tutti capaci di muovere ad un qualsiasi programma o genere televisivo? Lo scoiattolino della Vigorsol ha scatenato dibattiti su chat e forum. Il risultato è stata una seconda versione dello spot in cui l’animaletto aerofagico salva la foresta con un potente soffio.

Ora si scommette per vedere quale spot andrà in onda. Bisogna eliminare il trash. Questo è uno degli ultimi gridi di guerra. Ma cos’è diventato questo trash? Non amo molto le definizioni forzate né le etichettature, ma bisogna cercare di capire. Visto che la tv spazzatura è quella che non ci piace, allora forse questo intendiamo per trash. Ciò che non ci piace. Ciò che vorremmo non vedere. Via i corpi nudi, via le giovani anoressiche con le loro ossa in mostra, via le battute non politicamente corrette.

Facciamo un esempio. Lei telefona a lui: «Caro ho la febbre, proprio stasera che ci sono gli amici a cena». Lui: «Devi prendere un’aspirina abbiamo bisogno di te!». Il testo è stato cambiato almeno tre volte. Nella seconda versione lui assume un tono amorevole e viene tolta la parte «…abbiamo bisogno di te» - sembrava che sottintendesse «Ci serve la colf!». Nell’ultima versione lei, sempre al telefono, dice qualcosa di molto simile a: «Amore forse ho la febbre, prendo un’aspirina?», e lui risponde: «Sì».

Bene, appurato che non si tratta di trash, ma di una sorta di malcostume retrogrado, qualcosa è cambiato. Ora passiamo al nudo. L’anoressica no. Disturba le coscienze, i minori, il buongusto e soprattutto disturba chi non ha avuto il coraggio di usare la pubblicità di un prodotto a sfondo sociale.

La verità è che la pubblicità sociale sembra di serie b, una campagna dura meno, è meno frequente e spesso meno incisiva. Per fortuna che c’è Toscani! Bentornato a Sir Oliviero, paladino dell’ anticonformismo! Almeno se ne parla, no? Veniamo alle trasmissioni televisive. Le sarte di scena hanno ricominciato a cucire. Beh, non tutte. Eppure sono riapparse gonne e vestiti anche per alcune ballerine.

Dunque via i nudi dalla tv. Ma è davvero tutto qui? Ma non è trash sapere come ha fatto colazione Alberto Stasi nell’unico giorno trascorso in carcere? Non pratica il trash un programma d’informazione che nel suo flash dedica l’intero spazio a sua disposizione a degli spottoni automobilistici per la "raccolta di fondi" per la propria rete? Non è trash sapere che in quei programmi in cui si dibattono cause perse o in cui si raccontano sventure personali tutto si basa in realtà su un copione e alcuni attori di fortuna, a volte anche bravi, ma comunque finti?

Eppure tutto questo ha un suo pubblico. Ma questa non era l’epoca della tv verità? Ora torniamo allo scoiattolo. La manifestazione aerofagica è verità, il soffio potente è buongusto. Allora? Cosa ci sta succedendo? Cerchiamo la finzione in un’aula di giustizia televisiva, partecipiamo ai casting per un reality e imponiamo il buongusto ad uno scoiattolo!
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CULT Reliquie d'amore di Valeria Scotti

Se mi lasci non vale. Magari mi vendico, lanciando tutti i tuoi oggetti giù dal balcone o facendo un falò. Anzi no, armi e bagagli, si va a Zagabria, in Croazia. Qui il Museum of Broken Relationships, inaugurato tre anni fa, omaggia le storie d’amore a cui è stata messa la parola fine. Nel bene e nel male.

E se a fondarlo sono stati due membri di una ex coppia, Olinka Vistica e Drazen Grusbisic, un motivo ci sarà. «Quando ci siamo lasciati, abbiamo cominciato a parlare di cosa fare di tutti gli oggetti legati alla nostra relazione». Ed ecco la soluzione.

Un successo incredibile, come dimostra la sezione itinerante del museo che attraversa l’Europa e non solo. D’altronde il sito parla chiaro: «Il museo delle relazioni finite è una concezione artistica che parte dall'assunto che gli oggetti possiedono ologrammi di memoria ed emozioni, e ha l'intento con la loro esposizione di creare uno spazio sicuro per i ricordi per preservare l'eredità delle storie finite. Per questo può essere terapeutico». Dipende dai punti di vista.

In ogni modo c’è posto per tutti, e allora avanti, non c’è vergogna o pudore che tenga. Dalle lettere ai regali, dai peluche alla lingerie, anche quella decisamente poco sexy. E poi abiti da sposa, sex toys, un'ascia usata da una donna per distruggere i mobili della sua ex. E, meraviglia delle meraviglie, la gamba artificiale di un veterano di guerra che si era innamorato della sua terapista. «Questa protesi è durata più del nostro amore», afferma la sua didascalia.
Succede nelle migliori famiglie.
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DONNE Una americana a Parigi di Erica Savazzi

Se oggi tutto – arte, economia, cinema, tecnologia – gira intorno agli Stati Uniti, nel Diciannovesimo secolo l’ombelico del mondo era Parigi. Se ne rendeva ben conto Mary Cassatt, pittrice americana nata in Pennsylvania, che nella capitale francese ci andò per completare la propria formazione artistica, salvo poi non lasciarla più. E' il 1866 quando, sfidando il parere dei genitori, si trasferisce nella ville lumière per copiare i capolavori esposti al Louvre e studiare come privatista. Le donne, infatti, non potevano essere ammesse all’Ecole des beaux-arts, anzi, per loro era praticamente impossibile dedicarsi all’arte, all’epoca vista come territorio esclusivamente maschile.

Lo stile e la bravura nell’interpretare i canoni dell’arte accademica le fanno guadagnare l’ammissione al Salon - il massimo evento pittorico francese – del suo quadro The Mandolin Player. Ma è solo l’inizio. Rientrata negli USA a causa dello scoppio della guerra franco-prussiana (1870), ritorna a Parigi un anno dopo. Fino al 1876 i suoi quadri vengono ammessi ogni anno al Salon. La svolta arriva nel 1877: le sue opere per la prima volta sono rifiutate, ma Mary incontra Edgar Degas che la invita a esporre con gli impressionisti.

Del gruppo faceva parte solo un’altra donna, Berthe Morisot, con la quale diventerà molto amica. Come lei, i temi che Mary affronta sono quelli della vita familiare, soprattutto del rapporto madre-figli. Bambine e donne sono sempre le protagoniste, anche quando raramente le ritrae in situazioni mondane. La sua modella preferita è la sorella, Lydia, che la raggiunge a Parigi. Se gli impressionisti lavorano preferibilmente en plein air, il suo essere donna è di ostacolo a questa attività, così come alla frequentazione dei café ritrovo degli artisti. Questo non le impedisce di imparare e di dipingere: nel 1879 espone per la prima volta con gli impressionisti.

Nel 1893 il mercante d’arte Paul Durant-Ruel organizza nella sua galleria la prima mostra personale di Mary; nel 1903, espone a New York. Nel frattempo, però, Mary si è staccata dal gruppo impressionista. Il suo interesse per le stampe giapponesi la porta a cercare di riprodurre la loro linearità e semplicità, passando dalle pennellate impressioniste al colore il più possibile omogeneo. Sostenitrice del voto femminile, morirà quasi cieca nel 1926.
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TELEGIORNALISTI Daniele Garbo: Mourinho, che sorpresa! di Giuseppe Bosso

Nato a Padova, Daniele Garbo è giornalista professionista dal 1991. Dopo aver diretto le riviste Tennis e Match ball, si è trasferito a Roma dove è approdato a Mediaset come inviato sportivo.

Cosa ha comportato per voi giornalisti Mediaset la perdita dei diritti sul campionato?
«Operativamente è cambiato il modo di lavorare. Prima si montavano i servizi a tamburo battente perché entro le 18 dovevano essere pronti per andare in onda su Controcampo Ultimo Minuto. Ora, invece, c'è più tempo: si lavora soltanto per Controcampo delle 22 e 30. Fino allo scorso anno, si montavano due servizi diversi per Ultimo Minuto e Diritto di Replica, mentre ora il lavoro è decisamente più leggero. E poi si montava tutto allo stadio, mentre ora ci sono dei tempi morti perché bisogna rientrare in sede. Tranne nelle località più distanti come Lecce, Udine e Catania dove si continua a montare allo stadio».

Due new entry del nostro calcio: Mourinho e Ronaldinho. Come credi si siano inseriti?
«Non avevo molta simpatia per l’allenatore nerazzurro all’epoca in cui guidava il Chelsea. Ora che mi trovo in contatto diretto con lui, mi sta diventando sempre più simpatico, soprattutto per il suo carisma e la sua schiettezza nel dire le cose in faccia senza mandarle a dire. Siamo abituati ad allenatori da 0-0, nel senso che tendono per lo più a nascondersi di fronte a domande anche dirette, mentre lui non l’ha mai fatto e direi che è una cosa positiva. Per quanto riguarda il fantasista rossonero, inizialmente ero scettico sul suo approdo nel nostro campionato, ma col tempo mi sto ricredendo anche se può ancora migliorare, come ai tempi del Barcellona. Di certo va applaudito per essersi rimesso in discussione affrontando la sfida italiana».

A proposito di Mourinho e di allenatori, di certo non ti sarà sfuggito il caso Varriale-Zenga. Credi sia un indice di una tensione crescente tra giornalisti e allenatori e calciatori?
«Non credo sia così. Partiamo dal presupposto che non sempre un allenatore, a caldo, abbia voglia di parlare in televisione, specie dopo che magari la sua squadra ha perso. Per quanto mi riguarda, non ho mai avuto questo tipo di problemi. Ho sempre pensato che sia una regola fondamentale non fare subito la cosiddetta domanda scottante, tenendola magari per metà intervista. Ma parliamo pur sempre di professionisti che guadagnano molti soldi e, per questo, devono essere consapevoli delle regole del gioco legate alla televisione. Indubbiamente non è stata una bella parentesi per nessuno dei due, ed è stato un bene che si siano chiariti la domenica successiva».

I tifosi delle squadre del sud, Napoli e Palermo soprattutto, lamentano a voi di Mediaset di dare troppo spazio alle squadre del nord.
«Vivendo a Roma mi è capitato di ricevere lamentele simili anche da amici romanisti. Ma la verità non è che discriminiamo queste squadre. Si deve tener presente che i nostri studi e la nostra sede sono a Milano, per cui è molto più facile per noi avere contatti con le varie Milan,Inter e Juve, molto disponibili nel mandarci i loro tesserati in trasmissione. E comunque, come televisione commerciale, dobbiamo inevitabilmente cercare di rivolgerci ad un ampio bacino di spettatori-tifosi, per lo più sono sostenitori delle squadre che ho citato, ma non per questo Napoli e Palermo sono piazze meno importanti, sebbene i rosanero, almeno quest’anno, più che per i risultati della squadra fanno notizia per le esternazioni del loro presidente Zamparini».

Il tennis, tuo primo amore giornalistico, da anni è alquanto in crisi in Italia. Per il futuro c’è da essere ottimisti?
«Ormai saranno vent'anni che non riusciamo ad imporci, anche se a livello femminile abbiamo una campionessa come Flavia Pennetta che ha raggiunto nella classifica mondiale posizioni prima mai toccate da un’italiana. A livello maschile, invece, temo che le cose non miglioreranno tanto presto, come dimostra la recente presa di posizione della Federazione nei confronti di Simone Bolelli, che mi ha lasciato alquanto perplesso proprio perché si è preclusa la Coppa Davis a uno dei migliori tennisti che abbiamo. È come se ci fossimo voluti dare una martellata da soli, proprio in un momento in cui, invece, dovremmo valorizzare maggiormente i nostri elementi».
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SPORTIVA Rubik 360, il nuovo cubo di Rubik di Pierpaolo Di Paolo

E' tornato. Ernő Rubik sfida se stesso ed il mondo con un nuovo incredibile rompicapo: il Rubik 360. La prova è di quelle proibitive. La sua precedente creatura, il cubo di Rubik, è stato il più grande successo della storia dei giocattoli con oltre 350 milioni di esemplari venduti. Milioni di persone, dai ragazzini più piccoli agli adulti, a scervellarsi per trovare la soluzione.

Un rompicapo è un passatempo che permette di mettere alla prova le più diverse capacità logiche: dal ragionamento induttivo al deduttivo, dalla velocità di calcolo al colpo d'occhio, alla memoria, alla prontezza dei riflessi. Il cubo, però, non è rimasto semplicemente un gioco: espressione di grande destrezza e abilità, è diventato presto un vero e proprio sport, conquistando gli amanti della competizione e della sfida. Migliaia di giocatori provenienti da tutto il mondo si confrontano in competizioni internazionali, a colpi di intelligenza, rapidità di ragionamento e velocità delle dita. Il record mondiale appartiene all'olandese Erik Akkersdijk che, durante i Czech Open del 2008 a Pardubice, ha fermato il cronometro a soli 7,08 secondi.

Il 5 febbraio, alla Fiera Internazionale del Giocattolo a Norimberga, il professore ha mostrato entusiasta al pubblico la sua nuova creazione, spiegandone il funzionamento. Il Rubik 360 ha sei palline all'interno di tre sfere trasparenti. Il giocatore deve riuscire a farle arrivare dalla sfera più interna a quella più esterna facendole passare attraverso i due soli fori di quella centrale. Detta così sembra anche facile, ma pare che realizzarlo sarà ben altra cosa, dato che è un rebus con un'unica soluzione possibile. «Sento che 360 è uno dei più innovativi ed eccitanti rompicapo realizzati dopo il Cubo - ha spiegato il 64enne professore ungherese - Per risolvere il nuovo gioco servono abilità, logica e destrezza».

C'è da aspettarsi che anche su questo nuovo terribile arcano si organizzino presto tornei e sfide internazionali. La World Cube Association, che raccoglie in rete il popolo degli appassionati, conferma la trepida attesa dei giocatori: «La nostra comunità è estremamente interessata alla prossima uscita di Rubik 360».
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