Archivio
Telegiornaliste anno V N. 3 (174) del 26 gennaio 2009
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva |
MONITOR Ilaria Cuzzolin: 7 Gold? Il mio
trampolino di lancio
di Giuseppe Bosso
Giornalista professionista,
Ilaria Cuzzolin muove giovanissima i primi passi nel mondo
dell'informazione. Dal febbraio 2007 lavora a 7 Gold dove si occupa soprattutto
di calcio.
Dopo un avvio travolgente l'Inter sta rallentando la marcia nelle ultime
giornate e le inseguitrici si avvicinano. Come ti sembra questo campionato?
«L'Inter resta la squadra da battere. E' sicuramente il club più forte di tutto
il campionato. Tuttavia le ultime giornate hanno dimostrato che anche le
cosiddette grandi hanno i loro punti deboli. Mi auguro che si riproponga una
stagione incerta, avvincente e ricca di emozioni come quella passata. Lo scorso
anno fu la Roma a stare alle costole dei nerazzurri, quest’anno invece è la
Juventus la concorrente da battere e c’è da credere che darà del filo da torcere
alla capolista. Attenzione, naturalmente, anche al Milan. Un plauso è d’obbligo
a squadre come Genoa e Napoli che, nonostante le rose e le risorse economiche
decisamente più ridotte, stanno facendo un grande campionato. La speranza è che
riescano a tenere duro fino alla fine perché se lo meritano».
Cosa pensi dell'operazione-Beckham? Quanto era necessario che il Milan
acquistasse l'inglese per farlo giocare solo due mesi?
«Considerato che si tratta di un prestito gratuito per la società rossonera,
credo ne sia valsa la pena. Soprattutto alla luce degli ultimi gravi infortuni
che la rosa milanista ha subito a centrocampo. Direi che Beckham, anche se potrà
giocare solo fino a marzo per poi ritornare a Los Angeles, arriva nel momento
migliore. In ogni caso rappresenta un buon investimento mediatico per il Milan,
che potrà trarre nuove risorse economiche da questo giocatore che trasforma in
oro tutto quello che tocca».
Cosa significa per te lavorare a
7 Gold?
«E' una bella palestra in cui ho trovato un clima molto familiare e soprattutto
la possibilità di poter apprendere tanto sotto ogni punto di vista: dall'esterna
al montaggio. In una grande emittente nazionale - dove ognuno ha una sua
particolare specializzazione – avrei più visibilità, ma sarei limitata per altri
aspetti. Spero che 7 Gold rappresenti un trampolino di lancio come lo è stato
per altri miei colleghi che oggi sono in Rai. Qui, inoltre, ho imparato a
seguire lo sport, dopo che nei miei esordi avevo curato tutt'altro genere di
argomenti».
Possiamo dire che tu e
Giovanna Martini rappresentate il lato soft di un gruppo piuttosto
turbolento, come dimostrano le scaramucce Corno-Crudeli cui gli spettatori
assistono?
«Il nostro ruolo è ben diverso dal loro. Noi siamo giornaliste nel senso stretto
del termine e cerchiamo di avere un atteggiamento sopra le parti. Loro, invece,
sono anche opinionisti e personaggi chiave di Diretta Stadio: Corno è
l’uomo Inter, Crudeli l’uomo Milan. E sostenere la loro squadra, a volte anche
in maniera concitata, fa parte del gioco. Comunque la maggior pacatezza è una
prerogativa tipicamente femminile, no? Vero è che, nel tentativo di essere più
convincenti e credibili – sbagliando! - alcune giornaliste sportive assumono un
atteggiamento aggressivo e maschile. Forse perché il calcio è considerato un
argomento da uomini, ma io credo che ognuno debba rimanere sempre se stesso,
senza snaturarsi. Anche di fronte la telecamera».
Apprezzato è lo stile dei tuoi servizi, come non mancava di sottolineare ad
esempio Xavier Jacobelli.
Qual è il tuo modello di riferimento?
«Nessuno. Mi sono ritrovata a seguire il calcio per puro caso. E una volta che
ho iniziato questo percorso ho cercato di fare a modo mio, senza ispirarmi a
qualcuno in particolare. Certo, seguo i colleghi e le colleghe delle altre
televisioni per cercare di migliorarmi sempre più e trarre nuovi spunti».
Che idea ti sei fatta del nostro sito?
«Mi ha sorpreso all'inizio questa vostra iniziativa, ma del resto chi lavora in
televisione deve necessariamente fare i conti con questi aspetti. E' importante,
comunque, avere un confronto anche con il pubblico che ti segue. Sono curiosa di
sapere cosa pensa la gente di me, così come sono curiose le mie colleghe. Spero
che l'attenzione dei vostri lettori non sia legato però solo all'aspetto fisico,
ma che interessi soprattutto quello che faccio». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
CRONACA IN ROSA La strage degli innocenti
di Camilla Cortese
Nella giungla della Papua Nuova Guinea, Paese dalle profonde
contraddizioni, da vent’anni si protrae una guerra tribale
che affama e annichilisce le popolazioni in lotta. Questi
conflitti, combattuti con arco e frecce, vanno avanti dal 1986 a causa di
contrasti sorti per accuse di stregoneria, pratica in cui le tribù della Nuova
Guinea credono fortemente.
Da dieci anni, nella regione orientale di Gimi, una tragedia
nella tragedia si consuma in segreto, all’insaputa del mondo e dei guerrieri. Le
donne di due villaggi rivali stanno sistematicamente uccidendo per
soffocamento tutti i neonati maschi, per impedire che da adulti diventino a
loro volta guerrieri che possano perpetuare gli scontri.
Lo hanno rivelato due donne, Rona Luke e Kipiyona Belas,
intervenute ad un meeting speciale di Pace e riconciliazione nel villaggio di
montagna di Goroka. Trattenendo le lacrime, hanno fornito la drammatica
testimonianza di un
infanticidio protratto in silenzio per sperare in un
futuro migliore, la soluzione estrema e tragica di chi sta perdendo tutto.
«I neonati maschi diventano uomini e gli uomini diventano
guerrieri. È a causa delle lotte terribili che hanno portato morte e
distruzione nei nostri villaggi negli scorsi venti anni che tutto il popolo
delle donne si è trovato d’accordo a uccidere tutti i nuovi nati maschi. Le
donne ne hanno avuto abbastanza di uomini impegnati in conflitti tribali che
portano miseria. Un crimine terribile e insopportabile, ma le donne hanno dovuto
farlo. Le donne sono state realmente forzate a farlo poiché è l’unico mezzo loro
disponibile come donne per porre fine alle lotte tribali.»
Come dire: quando non ci sarà più nessuno a combatterla, la
guerra finirà. Concetto agghiacciante, ma logicamente inattaccabile, come
inquietanti risultano le analogie bibliche. Ora, con l’aiuto dell’Esercito della
Salvezza e con l’iniziativa del pastore locale Michael Hemuno, le donne sperano
che la strage degli innocenti possa finire e che gli uomini che sono ancora
guerrieri possano deporre le armi e parlare di pace. |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
FORMAT
Chi offre di più? di
Serenella Medori
Non si fa altro che giudicare i programmi
in base al contenuto che viene confuso
con la qualità. Risultato: dove non c’è un contenuto accettabile c’è il
trash. E dove c’è trash giungono i fulmini dei comitati e degli osservatori.
Dalla Toscana il Corecom fa sapere che dovrebbero essere premiati con incentivi
statali solo le emittenti che non mandano in onda programmi spazzatura.
Benissimo. Peccato che siano messe all’indice solo le piccole emittenti!
Nessuno comunque ha il buon senso di dire che
il trash paga. Perché una piccola emittente
piena di buoni propositi decide ad un certo punto di aprire il palinsesto al
trash? Dopo aver cercato magari di proporre informazione e cultura, dopo aver
cercato sponsor per questo, cede le armi e apre al trash. Non c’è nessuna figura
televisiva che abbia il preciso compito di piazzare i programmi culturali,
neanche nelle grandi emittenti.
Il problema è infatti, per usare un termine
tecnico, il cultural product placement. Già esiste il corrispondente termine per
il piazzamento della pubblicità nei programmi (product placement) ora bisogna
creare il problema del piazzamento dei programmi culturali di qualità
all’interno dei palinsesti, non solo palinsesti di tv locali, ma anche
palinsesti di tv a copertura nazionale.
Come potremmo piazzare un clone di Passpartout
o di Geo&Geo in un pomeriggio o sera di
una piccola emittente? Chi pagherà quel prodotto culturale e tutti coloro che
lavorano per realizzarlo? Questa è la realtà.
Esiste un contributo statale per le piccole
emittenti che fanno informazione locale. Esiste un contributo statale per le
emittenti che mostrano di avere introiti superiori alle altre. Esiste la
possibilità di aumentare i propri introiti grazie all’inserimento di un mago
nella fascia notturna.
Sembra dunque che se gli introiti aggiuntivi
aumentano è confermato il contributo statale, altrimenti no. Non è semplice
reperire fondi per le tv minori. I contributi per trenta minuti al giorno
di informazione locale non appaiono sufficienti.
E’ facile cadere nel trash. E’ facile chiudere i
battenti. L’emittente locale cerca dunque di sopravvivere, ma il meccanismo è
perverso. No al trash? Giusto! Purché sia per tutti. Via i maghi e le donnine?
Giustissimo. Ma… i soldi per la cultura ad una piccola tv chi li dà? Chi offre
di più? |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
CULT Movimento
studenti, un nuovo Sessantotto?
di Pierpaolo Di Paolo
Per anni giornalisti e intellettuali si son appollaiati sulla solita descrizione
dei ragazzi attuali come privi di qualsiasi ideale, incapaci di posizioni
solidaristiche, di consapevolezza sociale, di rivoluzioni culturali paragonabili
a quelle degli anni 60 e 70. Interessati solo ad inseguire il successo
personale, a coltivare il culto dell'io.
Oggi assistiamo all'esplosione di un movimento giovanile dal quale ci sta
venendo una grande lezione. Da dove nasce questo fenomeno?
Tecnicamente la protesta sarebbe sorta contro il decreto Gelmini-Tremonti,
per fermare i tagli e la trasformazione delle Università in fondazioni di
diritto privato. Il dubbio che questa sia stata solo la famosa ultima goccia che
ha fatto traboccare il vaso di un malcontento sociale molto più ampio e
variegato, sembra però ben più che una remota congettura.
Di fatto si tratta di un movimento politico. In un momento in cui la
gente non avverte l'esistenza di una reale opposizione all'interno del
Parlamento, questi ragazzi rappresentano il soggetto politico che più
bruscamente si è interposto tra Paese e Governo.
Nonostante ciò, esiste una profonda diffidenza in merito tra i partecipanti, la
paura di strumentalizzazioni è evidente e di conseguenza c'è una forte presa di
distanza da qualunque sigla o partito. Questo vuol dire forte autonomia, ma
anche nessuna alleanza sociale.
Abbiamo parlato con alcuni studenti della Facoltà di Giurisprudenza
dell'Università Federico II di Napoli, chiedendo loro se possano essere
considerati eredi dei sessantottini. «No, siamo in una realtà
profondamente diversa - risponde un ragazzo - forse qui s'è ricreata
quell'eco romantica che può rimandarti alle atmosfere del 68, ma poi basta. Le
differenze sono enormi: allora si rivoluzionò il ruolo della donna nella
società, i costumi, qui purtroppo non c'è alcuna rivoluzione culturale in atto».
Manca forse un obiettivo grande o la possibilità per conseguirlo? «C'è una
sproporzione di forze in gioco enorme. L'efficacia persuasiva del nulla, della
cultura piatta proposta dalla televisione non è assolutamente contrastabile con
assemblee di 500-600 persone in una facoltà universitaria. Certo, la tv esisteva
anche nel 68, ma allora non esisteva il predominio del modello televisivo. Per
fare un esempio, oggi un Federico Moccia riesce "culturalmente" più di mille
assemblee».
Allora un libro può ancora imporsi? «No, è solo un'illusione. Il libro
propaganda la cultura del vuoto assoluto, non è un'alternativa al modello
televisivo, ma ne rappresenta un'esaltazione. Nel 68 si imponeva Cent'anni di
solitudine, oggi sarebbe impossibile. Occorre prenderne atto e
ridimensionarsi su obiettivi più piccoli, più concreti. Nessuno qui è così
folle da pensare a una vera rivoluzione culturale, ci limitiamo a sognarla».
«Esistono diverse anime - prosegue il ragazzo - ed inevitabilmente questo crea
divergenze. Le divergenze possono andare dalla "visione del mondo" che si
desidera affermare, dall'ideologia di base fino alla singola modalità con cui
esprimere il dissenso. La sfida è quindi raggiungere una presa di coscienza
collettiva, partendo dalle mille anime individuali. Per fare un esempio, i
professori universitari hanno inizialmente appoggiato la protesta. Tuttavia essi
non volevano l'eliminazione della legge in toto, ma solo della parte riguardante
i tagli salariali. Ciò ha creato l'idea, sbagliata che il gruppo volesse in
realtà difendere i "baroni", mentre così non è».
Il ruolo dei rappresentanti? «Loro non si sono mai visti - interviene una
ragazza - i rappresentanti si sono mossi unicamente per la loro campagna
elettorale. Sono un organo palliativo, strutturato sul clientelismo e sul
perseguimento dell'interesse personale. Non c'è alcun interesse degli studenti
che sia rappresentato da questi signori, politici in erba».
E un ultimo chiarimento: «Rovesciare le urne durante le elezioni è stata
un'iniziativa promossa da alcuni gruppi dell'interfacoltà. Noi di Giurisprudenza
ci siamo dissociati, qui non è accaduto nulla e per questo siamo stati anche
chiamati vigliacchi. A me cadono le braccia. In una protesta sostenuta da
studenti universitari i parametri di base non possono certo essere questi.
Esistono valutazioni di coerenza/incoerenza, giustizia/ingiustizia,
moderazione/estremismo che sono prioritari. Il rapportare tutto nell'ottica del
binomio coraggio-vigliaccheria è una cosa di una povertà intellettuale e di una
tristezza infiniti». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
DONNE Donne,
scalata alla società di Chiara Casadei
«Lavoriamo affinché il mondo della politica, dell’economia e
della cultura italiana diventi un mondo inclusivo per le donne. Proviamo a
scalfire quel tetto di cristallo che ci impedisce di crescere come donne e come
professioniste. E speriamo che questo percorso di crescita personale
collimi con la crescita della società italiana tutta.
Ora più che mai c’è bisogno di donne, di talento e di ingegno femminili:
facciamo in modo che nessuno ci escluda».
Donne grintose e determinate, che vogliono un cambiamento
nella società: hanno chiamato la loro associazione
DonneInQuota, sinonimo di una scalata al successo per il
genere femminile. Abbiamo intervistato l'intero gruppo, unito e collaborativo,
per sapere di più su quello che fanno e soprattutto sullo spirito e
l’intraprendenza alla base dei loro progetti.
«DonneInQuota è un’associazione culturale nata nel 2006 a
Milano sull’onda dell’entusiasmo e delle energie scaturite dal corso Donne,
politica e istituzioni, promosso e organizzato dal ministero delle Pari
opportunità. L'associazione ha tre obiettivi: la realizzazione di una
rappresentanza femminile paritaria nella politica, nelle istituzioni di governo,
nel mondo del lavoro e della cultura, affinché si abbiano pari condizioni
retributive e di carriera senza discriminazioni di sesso, razza od origini
etniche, lingua, religione, opinione politica e orientamenti sessuali; la
promozione delle pari opportunità secondo quanto previsto dalla normativa
nazionale ed europea in materia; lo svolgimento di iniziative inerenti politiche
di genere e la collaborazione con enti a ciò preposti».
Cosa vi accomuna e vi ha unite in questo progetto?
«Siamo diverse, e all’inizio ci ha accomunato la
partecipazione al corso Donne, politica, istituzioni. Ora lavoriamo
insieme per ottenere un risultato al quale teniamo molto: il raggiungimento di
una democrazia paritaria. Non siamo sole fortunatamente: insieme a noi
collaborano e interagiscono altre associazioni che sono nate dallo stesso corso
in altre università italiane. Siamo fermamente convinte che le istituzioni
debbano essere nella loro composizione lo specchio della società. Attualmente
così non è: solo il 17% di donne siede in Parlamento in Italia, mentre la nostra
società è composta per il 52% da donne. E vengono così escluse donne di talento
che potrebbero contribuire a migliorare il benessere di tutti.
La bassa presenza di donne in Parlamento ha serie
conseguenze, la più grave forse ad oggi la mancanza di una legge nazionale sulla
violenza contro le donne».
Quindi per voi è importante incentivare la presenza
femminile in politica.
«DonneInQuota non è nata solo per spingere le donne in
politica, ma anche per sostenere le donne che già ne fanno parte. Se ci
guardiamo intorno vediamo poche donne in politica, tutte brave e capaci di
portare talenti e competenze di qualità. Conoscendo il lavoro che svolgono tutti
i giorni nei consigli comunali, regionali, provinciali e persino in Parlamento,
sappiamo quanto sia difficile per loro lavorare senza avere un sostegno dal
basso, dalla società civile. Noi dall’esterno sosteniamo le loro iniziative, le
diffondiamo e ci impegniamo nella loro realizzazione. Inoltre trasmettiamo loro
le suggestioni nate dal territorio e lavoriamo perché vengano recepite».
Come avete scelto il nome dell’associazione? Cosa avevate
intenzione di trasmettere?
«Donne in Quota è il titolo di un saggio critico, curato
dalla sociologa Bianca Beccalli, sulla necessità di individuare nuovi strumenti
legislativi in grado di abbattere quel tetto di cristallo che impedisce alle
donne di essere equamente rappresentate nella società. Il nome dell’associazione
fa riferimento dunque alla necessità di introdurre norme antidiscriminatorie in
tutti i settori cruciali del nostro Paese. È inoltre un piccolo ma simbolico
omaggio a Bianca Beccalli, di cui abbiamo raccolto la riflessione sul tema delle
differenze di genere».
Quali sono le vostre iniziative?
«Abbiamo organizzato un ciclo di incontri per la costruzione
del femminile, con la partecipazione di sociologhe, filosofe, donne impegnate in
politica, professioniste, proprio per ragionare insieme sugli ostacoli, sugli
stereotipi che tutti i giorni abbiamo di fronte e come cercare di superarli.
Abbiamo lavorato insieme a UDI (Unione donne in Italia) nella raccolta firme per
la proposta di legge di iniziativa popolare "50&50: ovunque si decide", che ora
è in attesa di essere presentata in Senato. A livello locale, abbiamo sostenuto
le donne che nel Consiglio regionale della Lombardia lavoravano per inserire
un’ottica di genere nello Statuto di nuova formulazione, approvato lo scorso
agosto. Insieme a UDI, abbiamo presentato le nostre osservazioni in audizione
alla commissione Statuto della Regione Lombardia, e abbiamo organizzato un
dibattito sul tema nella sede Regionale. Lavoriamo sul tema della violenza
contro le donne con il progetto "Panni Sporchi" e con l’organizzazione di
eventi, seminari e dibattiti sul tema; non in ultimo, abbiamo aderito alla
"Staffetta UDI", per la quale allestiremo a Milano, una mostra dedicata alle
donne che hanno subito violenza, attraverso il racconto tratto dalle pagine dei
giornali. Il nostro obiettivo sarà valorizzare la violenza di genere mascherata
tra le righe e disegnare quel file rouge che i giornalisti superficialmente
ignorano. Organizziamo periodicamente la presentazione di libri che affrontano
tematiche di genere e sosteniamo progetti che trattano la questione femminile».
Qual è il vostro pubblico?
«Le iniziative del 2007-2008 hanno attratto un pubblico
numeroso, anche se composto da donne già interessate al tema. Vogliamo però
allargare il più possibile il dibattito anche a coloro che, uomini e donne,
solitamente non si occupano di cultura di genere. Proprio per questo motivo ci
siamo riproposte di organizzare le prossime iniziative anche in luoghi diversi
dalle aule universitarie o dalle sale della Provincia».
Un'altra grande risorsa presente nel vostro sito internet
è la tv online dell'associazione, DonnaTv. Che ruolo svolge nell'ambito della
vostra organizzazione?
«DonnaTv
è nata dall’idea di alcune corsiste di Roma. Abbiamo subito
ritenuto il media un canale interessante e valido per veicolare informazioni e
sostenere un cambio culturale. È stato quindi per noi naturale promuovere il
sito». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
TELEGIORNALISTI Franco Abruzzo, la
deontologia è l'autonomia del giornalista
di Erica Savazzi
Rintracciare Franco
Abruzzo è facile: il suo
sito
è conosciuto a tutti coloro che si occupano di giornalismo. Lo intervistiamo
telefonicamente e, dalle sue parole, emerge un grande amore per la professione,
ma anche vera preoccupazione per il futuro.
Quali sono gli effetti della crisi sul giornalismo?
«La situazione nazionale e internazionale non è buona. La crisi finanziaria
internazionale ha determinato un doppio effetto sul giornalismo: la caduta
verticale della raccolta pubblicitaria - negli Stati Uniti il 18%, in Italia
meno 7% in ottobre, con una tendenza che si va consolidando e avrà effetti anche
nel 2009 - e la crisi delle edicole. È un fatto che è passato abbastanza sotto
silenzio, ma Repubblica perde 100.000 copie, il Corriere
50.000. Tutti i giornali stanno perdendo copie. I settimanali, poi, non ne
parliamo, perché i lettori hanno scoperto che sono spesso dei cataloghi in cui
le informazioni vengono frammiste con la pubblicità. Meno pubblicità, quindi, e
meno vendite nelle edicole».
E per quanto riguarda l'occupazione?
«In Italia si parla di 1000-1500 persone da mandare in pensione o incentivare
all'uscita, su 17.000 giornalisti assunti e iscritti all'Inpgi. Quindi rischiamo
di perdere nell'ipotesi più disastrosa quasi il 10% degli assicurati, con
effetti sulla previdenza. I giornalisti pagano i contributi all'Inpgi, una parte
dei quali va ai prepensionamenti e ai cassa integrati. Se il numero di questi
ultimi aumenta di molto, l'Inpgi non regge più. Ad oggi, il lavoro giornalistico
costa agli editori un 8% in meno rispetto al lavoro assicurato con l'Inps: cioè
un impiegato costa 8 punti percentuali in più al proprio datore di lavoro. Per
fronteggiare la valanga di cassaintegrati, gli editori dovrebbero mettere mano
al portafoglio e dare all'Inpgi dai 4 ai 6 punti sugli 8 che hanno di vantaggio
nel lavoro giornalistico: ciò significa dai 48 a 60 milioni di euro all'anno in
più. Ma se gli editori mettono mano al portafoglio per l'Inpgi, hanno anche i
soldi da dare ai giornalisti come aumento contrattuale?».
E quindi cosa succederà per le trattative sul rinnovo del contratto scaduto
ormai da tre anni?
«Le trattative sul contratto sono destinate a segnare il passo, perché in un
quadro di incertezza pesante gli editori vorrebbero soltanto delle clausole che
potrebbero agevolarli nella ristrutturazione delle aziende. Gli editori vogliono
mano libera nello spostare i giornalisti da una testata all'altra, vogliono mano
libera nel licenziamento di direttori e capiredattori trattandoli come dirigenti
con una buona uscita. Ma possono i giornalisti diventare dirigenti? Per
contratto devono difendere l'autonomia della loro redazione, l'autonomia come
giornalisti che poggia sul rispetto delle regole deontologiche. Ma come
dirigenti a quale logica risponderebbero? A quella dell'impresa o quella della
professione? Ecco perché giustamente la FNSI si oppone».
Ma mentre i giornalisti vengono licenziati si diffonde sempre più il
citizen journalism.
«Ma non sono giornalisti! La mediazione giornalistica tra il fatto e la gente
è opera del giornalista che ha una preparazione e una visione delle cose. Quando
ero giovane e lavoravo al Giorno c'erano i cosiddetti “trombettieri”, dei
signori che stazionavano in questura, dei carabinieri, negli ospedali, e che
avvertivano i giornali che era scoppiata una notizia, ma poi era il giornalista
che scriveva. Oggi la tecnologia aiuta: se sei a Catania e l'Etna erutta puoi
riprenderlo con il telefonino e trasmetterlo a chi vuoi. Ma i giornalisti sono
dei mediatori intellettuali di cui c'è sempre bisogno. Però devono essere
preparati. Per questo ho fatto la battaglia per l'accesso alla professione
tramite università. Il mondo complesso di oggi richiede una preparazione di
carattere universitario, non tanto per i titoli ma per i saperi».
Internet è il futuro? La carta stampata morirà?
«Io vivo di internet pur non essendo più giovane, è un mezzo straordinario,
sono anche su Facebook. Secondo Meyer, nel 2043, sarà venduta l'ultima copia. Io
sono d'accordo con Montanelli: la carta stampata prima era padrona
dell'informazione, poi è spuntata la radio come fornitrice di info, poi nel 1954
la tv e infine Internet, ma la carta ha sempre resistito. Io dico che resisterà
anche a Internet perché la bellezza di stringere un giornale e di leggerlo è
un'altra cosa. Sarà però un prodotto di nicchia. La bellezza della carta
resta... Io sono un figlio della carta. Il foglio elettronico di plastica su cui
scaricare e leggere è il futuro, però la carta è sempre la carta».
Che cosa pensa della riforma dell'Ordine?
«Io difendo l'ordine. E anche questa legge, vecchia ma importante perché
contiene le regole deontologiche che in Italia sono norma, cioè vincolanti. Come
conseguenza, il contratto prevede che quando un editore assume un direttore non
gli può dare direttive in contrasto con le regole deontologiche: sono le regole
deontologiche che formano l'autonomia del giornalista. Se mi arrivava un ordine
in contrasto con le norme deontologiche potevo rifiutare e nessuno mi
licenziava. Prova a immaginare un mondo in cui questa legge non esiste più. Io
sono un caporedattore e mi arriva il capo del personale che, per convenienza,
chiede di modificare un titolo. Io ho due possibilità: o li mando a quel paese e
me ne vado, o obbedisco. Non ho la terza via, cioè che se la richiesta è in
contrasto con le regole deontologiche, io mantengo il mio titolo e basta. Questo
è il punto, se abolisci la legge professionale indebolisci la professione,
pieghi la professione agli interessi aziendali e pubblicitari. Va bene così?
Auguri. Con molto affetto e molta malinconia». |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
SPORTIVA Tenniste troppo "hot" di
Chiara Casadei
Se siete tifosi di tennis solo per poter
ammirare delle affascinanti atlete nei loro gonnellini svolazzanti, rimarrete
molto delusi dalla decisione della direzione degli Open d’Australia di
vietare i completini troppo osé alle tenniste. Non è di certo una novità che le
loro mise sportive fossero un po’ troppo sfrontate, a volte suscitando anche il
fastidio dei più moralisti del gioco. D’altronde i movimenti delle atlete
richiedono grande libertà e di spazio, quindi a livello puramente sportivo non
si ha il diritto di penalizzare il loro rendimento durante i tornei.
La goccia che ha scatenato l’intera faccenda,
è stata l’abbigliamento della tennista francese Alizé Cornet, che si è
presentata alla Hopman Cup di Perth con una gonna eccessivamente corta e
un top che lasciava ben poco all’immaginazione dei presenti. Per questo la
direzione ha deciso di imporre dei limiti anche sotto questo punto di vista. Ed
ecco al via degli Open, i rigidi controlli sull’abbigliamento delle sportive.
Duemila dollari di multa per quelle troppo svestite. «Le ragazze sanno che
devono presentarsi in modo professionale. Ogni completo sarà analizzato prima
delle partite» ha sentenziato Wayne McKewen, un arbitro tra quelli che
dirigeranno i match in Australia.
C’è chi, ovviamente, ritiene la decisione
eccessiva e in qualche modo anche offensiva. Ma non una grande gloria del tennis
australiano come Margaret Court: «Non siamo mica in spiaggia – ha detto
all’Herald Sun - il campo non è il luogo adatto per mostrarsi. Se sei brava,
non c’è bisogno di essere appariscente». E se lo dice lei che di vittorie se
ne intende, visto che si è aggiudicata ben 3 Wimbledon e 62 Slam, c’è da
crederci.
Insomma, non resta che prendere atto della
decisione, anche se probabilmente risulterà solo un altro inutile provvedimento
sportivo, e purtroppo tutti gli appassionati dovranno dire addio al piacere di
vedere quelle gonnelle svolazzare. |
indice della pagina:
Monitor |
Cronaca in rosa |
Format |
Cult |
Donne |
Telegiornalisti |
Sportiva
|
versione stampabile |