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Telegiornaliste anno IV N. 42 (167) del 24 novembre 2008

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MONITOR Paola Rendina, anima e corpo per il giornalismo di Giuseppe Bosso

Pubblicista dal 2000, Paola Rendina ha iniziato la sua carriera nel 1998 con la conduzione dei tg sull'emittente Tv Luna di Caserta.
Poi le esperienze a Telecaprisport, Radio Quinta Rete, Mediacom Produzioni Televisive S.r.l. Direttore responsabile del quotidiano telematico Napoli Magazine tra il 2004 e il 2007, da quest'anno collabora con l'emittente Canale 9.

Come ti sei avvicinata al giornalismo?
«Per passione e vocazione. È stato inevitabile visto che mia madre ha lavorato in Rai, alla redazione del Tgr Campania, per oltre 35 anni. Ho capito che era questa la mia strada».

Alla luce della tua esperienza nel giornalismo sportivo, ritieni che sia un settore ancora maschilista oppure per le donne c’è spazio?
«In passato c’era probabilmente poca possibilità per noi donne, ma nel tempo ci siamo fatte valere, anche se devo dire che non ci sono molte occasioni in una realtà come quella napoletana, mentre professioniste come la Vanali, la Blini e la D’Amico hanno ottenuto grandi risultati al Nord».

Quali sono le difficoltà maggiori che incontri nel conciliare lavoro e vita privata?
«Quando lavoravo a Telecaprisport andavo allo stadio e lì sono andata fino all’ottavo mese di gravidanza. Poi, dopo poco più di un mese e mezzo che era nato mio figlio, ci sono tornata, ma a Napoli non ci sono molte possibilità, a maggior ragione dopo che sei uscita dal giro. Rientrare è ancor più arduo. Per fortuna, sono sempre stata molto tenace, non ho mai mollato e sono molto orgogliosa di quello che sto facendo a Napoli Magazine.

Qual è la tua maggiore soddisfazione legata a questa esperienza?
«Il grande seguito che ottiene questo tg. Offre un’informazione in tempo reale 24 ore su 24, siamo in crescita continua ed è la maggiore gratificazione per tanto lavoro».

Calcio e gossip, un binomio sempre più solido, e nel tuo magazine è evidente. Non trovi sia un po' svilente per l’aspetto prettamente sportivo?
«No, le cose sono cambiate. Se fino agli anni Ottanta, Novanta erano gli attori a rappresentare l’emblema maschile della virilità, adesso sono i calciatori ad occupare questa posizione, al di là dell’aspetto economico. E' forte l’impatto mediatico che hanno avuto con le numerose love story, ma non è detto che questa cosa duri per sempre».

Il Napoli vola in alto dopo anni difficili. È un segnale positivo per la città?
«Certamente. Tra tanti problemi, dalla disoccupazione all’emergenza rifiuti, è bello che i giovani e non solo abbiano finalmente trovato un attimo di serenità grazie ai risultati strepitosi che la squadra sta ottenendo in campionato. È bello anche vedere tante famiglie andare insieme al San Paolo, un’immagine di speranza per il futuro».

De Laurentiis, però, afferma che occorreranno almeno tre anni per andare in Champions League. Scaramanzia o consapevolezza che c’è ancora molto da fare?
«De Laurentiis è scaramantico per definizione. È giusto che un presidente tiri le redini in un momento di grande esaltazione, quasi impossibile da contenere in una città come la nostra. Comunque, per come stanno andando le cose, perché non continuare a sognare?».

Non tutte rose e fiori, però,per la squadra azzurra, nel mirino della giustizia sportiva di continuo. Perché con altre squadre non si è altrettanto rigorosi nelle sanzioni?
«A rimetterci sono i veri sportivi napoletani abbonati al San Paolo; non è giusto fare di tutta l’erba un fascio, soprattutto per quello che è successo in occasione di Roma-Napoli. Non si può punire una società per cose che sono accadute al di fuori di uno stadio, causate da delinquenti che non hanno nulla a che vedere con lo sport».

Il bello e il brutto del giornalismo?
«È un mestiere stupendo che ti dà la possibilità di entrare a far parte di un mondo ampio a cui devi dedicarti anima e corpo. Il brutto è il dover fare tanti sacrifici anche solo per arrivare al sospirato tesserino, dopo anni di gavetta. E poi c'è lo sfruttamento da parte di chi ti chiede tanto e non ti rimborsa nemmeno le spese affrontate. Ci vuole davvero molta determinazione e tenacia, oltre a una grande passione».

Il tuo sogno nel cassetto?
«Sembrerà banale, ma mi piacerebbe arrivare a una grande emittente nazionale che possa darmi uno spazio tutto mio: Sky, Mediaset, Rai».

E sacrificheresti gli affetti per questo?
«Bisogna sapersi organizzare, e per mia fortuna ho sempre avuto accanto persone che mi hanno capita e sostenuta, da mio padre a mio marito che, con mio figlio, è la cosa più importante per me».

Hai mai subito condizionamenti nel lavoro?
«Questo è uno dei rischi del mestiere, ma per fortuna non ne ho mai subiti, sono sempre stata schietta».

Dove ti vedremo prossimamente?
«Ho da poco iniziato a collaborare con una grande emittente come Canale 9, e ne sono molto onorata, a maggior ragione perché accanto a me ho un grande professionista come Carlo Alvino».
 
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CRONACA IN ROSA Contro Pro-ana, visto da lei di Camilla Cortese

Pierpaolo, qua sotto: sei troppo tenero.
La realtà è che internet dà voce ai pazzi. Ai terroristi, ai pedofili, ai neonazisti, alle mode americane. Come la filosofia Pro-Ana e il suo messaggio di pace e amore.

Squilibrate che pubblicano in rete le proprie foto. Ben lungi dalle scanzonate facciotte di Facebook, le Pro-Ana si ritraggono in laconici autoscatti su dettagli del proprio “corpo”, con particolare attenzione alle schiene ricurve a far affiorare tutte le vertebre e le costole, alle gambe filiformi, alle spalle acuminate. Il tutto condito da pose glamour meste e desolate che spesso tagliano i visi, a nascondere gli occhi e le anime malate.

Pierpaolo: le guardi con occhi compassionevoli e ti sei sforzato di parlarci. Ma nella loro iconografia, le Pro-Ana (o Pro-Mia, nel caso specifico della bulimia) accostano sé stesse alle top model, spesso alternano le proprie immagini a quelle di mannequin scheletriche sulle passerelle. Ostentano tatuaggi e abitini da lolite, accostano questo bizzarro culto del corpo a sguardi ora spaventati, ora erotici e languidi.

Ma non c’è un interlocutore. Superato un certo limite di magrezza, non c’è sesso né amore per queste larve. Come scrivono nei forum: «Quando si cominciano a vedere le ossa gli fai schifo», «Ma noi lo facciamo per noi stesse», «Se mangio, mi repello», «Mi sto lasciando morire di fame», «Vorrei che questo corpo fosse flessuoso, snello, magro, mi piace toccare le ossa e non mi piace sentire il grasso».

Le adolescenti scrivono «Ciao, ho 15 anni, che palle i miei, che schifo il mondo, voglio essere come le gemelle Holsen, sono ana da poco, mi date qualche consiglio?». Le veterane rispondono «io sono ana da 10 anni, ne ho 23, ho fatto due settimane in ospedale perché stavo per morire, mi hanno fatto prendere 6kg, ora devo ricominciare da capo: da domani digiuno e ritorno ana».

Questi blog sono illegali e spesso vengono oscurati, ma riaffiorano di continuo, fanno selezione all’ingresso, dispensano consigli di autodistruzione a persone che si contraddicono ad ogni frase, convinte come sono che la scelta di non mangiare sia una filosofia.

«Questo è un blog dichiaratamente Pro-Ana. Se non condividete questa filosofia siete gentilmente pregati di abbandonare immediatamente il blog». Bene, Telegiornaliste pubblica oggi due articoli dichiaratamente contro Pro-Ana, quindi la Polizia Postale è gentilmente pregata di accogliere il nostro appello, digitare sui motori di ricerca poche banalissime parole chiave ed oscurare questa follia.
 
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FORMAT Su Sky la Docufiction sulla Banda della Magliana di Federica Santoro

Dopo il grande successo del film Romanzo Criminale di Michele Placido, le vicende della Banda della Magliana tornano sotto i riflettori con una fiction in dodici puntate per Sky Cinema. Cambiano il regista e gli attori: Stefano Sollima sostituisce Placido, che questa volta cura la direzione artistica; mentre per i cinque protagonisti, interpretati nel film da Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria, Riccardo Scamarcio e Stefano Accorsi, la serie schiera Francesco Montanari (il Libanese), Vinicio Marchioni (il Freddo), Alessandro Roja (il Dandi), Marco Bocci (Scialoja) e Marco Giallini (il Terribile). Con loro, tra gli altri: Daniela Virgilio (Patrizia), e Alessandra Mastronardi (Roberta).

«Quello che era meravigliosamente compresso nel film, esce fuori nella fiction» sottolinea De Cataldo, l’autore del libro da cui sono state tratte entrambe le sceneggiature. La storia di uno dei gruppi criminali più spietati del nostro Paese viene raccontata con tutta la violenza e la crudeltà di quegli anni. Dal terrorismo all’eversione, dai traffici di droga alla politica, un decennio di potere incontrastato che sconvolse la capitale.

La fiction, girata per le vie di Roma, dalla Magliana alla Tiburtina, da San Basilio a Trastevere, passa dalla microstoria criminale alla macrostoria italiana a cavallo degli anni '70 e '80: i lati più segreti di una realtà romana losca e pericolosa rivivono in questa trasposizione televisiva di grande realismo.

Riccardo Tozzi, produttore sia del film che della fiction, ha voluto sottolineare l'indipendenza della serie: «Nel tradizionale ambiente televisivo italiano fare una serie del genere non sarebbe stato possibile. Grazie a Sky le scelte non sono state condizionate, non ci sono state pressioni».

L’appuntamento con Romanzo Criminale – La serie, è ogni Lunedì alle 21.00 su Sky Cinema 1 e su Sky Cinema HD.
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CULT Contro Pro-ana, visto da lui di Pierpaolo Di Paolo

Morte di moda: sui siti pro-ana, blog e forum dove si incontrano persone - ragazzine, se non bambine - che condividono un amore comune, quello per l'anoressia. In questi luoghi virtuali ci si scambia consigli per dimagrire, trucchi per non destare sospetti in genitori e ci si sostiene l'un l'altro a non cedere, affinché nessuno soccomba al nemico comune: la fame.

Nonostante siano continuamente oscurati, questi siti diventano sempre più numerosi. Entrarvi a far parte è quasi impossibile, la diffidenza è tanta. E solo dopo molte difficoltà, riesco a farmi accettare e a dare un'occhiata al loro mondo. Lo scenario è sconcertante, a partire dal loro motto: Think thin, pensa magro. Hanno icone come Kate Moss e non mancano tributi alle modelle morte di anoressia, come Ana Carolina Reston, mitizzata per aver condotto fino alla fine la propria guerra al grasso e alla fame.

Uno stile di vita sintetizzato in tutta la sua tragica semplicità nei 10 comandamenti:
1. Se non sei magra, non sei attraente;
2. Essere magri è più importante che essere sani;
3. Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra;
4. Non puoi mangiare senza sentirti colpevole;
5. Non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo;
6. Devi contare le calorie e ridurne l'assunzione di conseguenza;
7. Quello che dice la bilancia è la cosa più importante;
8. Perdere peso è bene, guadagnare peso è male;
9. Non sarai mai troppo magra;
10. Essere magri e non mangiare sono simbolo di vera forza di volontà e autocontrollo.

L'obiettivo minimo è raggiungere i 40kg di peso. Il menù giornaliero non deve superare le 400 calorie tra caffè, thè al finocchio, verdura e tanta aria. «Mangio solo un po' di minestrone», racconta una ragazza nel suo blog, «e 2 prugne mignon... Ogni tanto mi concedo un po' di merluzzo ma è raro. Eppure a me sembra di mangiare tantissimo. Stamattina ho fatto 30 minuti di cyclette ma dopo un bicchiere d'acqua i 3 etti persi son stati ripresi... in più lo stomaco brontola».

Ciò che colpisce è il disperato grido d'aiuto che emerge tra le righe. «Posso contare tutte le mie ossa...» non è una frase pronunciata da Cristo durante la sua passione o da un prigioniero in un campo di concentramento: è Valentina, 13 anni, che con fierezza rende partecipi le altre del traguardo raggiunto. Le risposte non si fanno attendere, in un crescendo disperato e fanatico. «Vi prego, aiutatemi a diventare come voi, voglio essere felice anch'io» supplica la prima, poi via via le altre: «Ana mi dà la vita, perché se non ci fosse lei mi sarei già tagliata le vene da tempo»; «Non ci capiscono, forse perché il nostro modo di pensare è un gradino più alto»; «Quando pesavo 60kg sentivo gli occhi di disgusto su di me, adesso sono a 45 e so che posso continuare a scendere, fino a sparire».

Guai a chiamarla malattia, l'anoressia è la loro migliore amica. Eppure i numeri sono di quelli che spaventano: circa 500mila persone - nella sola Italia - sarebbero coinvolte da questa forma di patologia, alimentata dal sostegno reciproco e soprattutto da un messaggio di bellezza completamente fuorviante, imposto dalle nostre tv e dalle case di moda.

E' sufficiente vedere un film come Il diavolo veste Prada per avere un'idea di quanto questa mentalità sia perfettamente radicata fin ai livelli più alti del mondo della moda e incoscientemente imposta come modello da perseguire. Inutile continuare a smantellare siti di ragazzini disperati: è a partire da alcuni ricchi, superficiali e ottusi ambienti che il problema va affrontato.
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DONNE Adele Bei, una donna da ricordare di Chiara Casadei

Grande donna del Novecento. Viene ricordata – forse troppo poco – nella scena politica italiana, e in particolare nella lotta antifascista, come personaggio femminile di primo piano. E' Adele Bei Ciufoli. Nata a Cantiano, nel pesarese, il 4 maggio 1904, crebbe in un clima familiare di tendenza socialista, ispirato dai genitori Davide e Angela Broccoli. Influenza che emerge fin dai primi passi compiuti in ambito professionale - era una operaia - per organizzare manifestazioni di lavoratrici. Nel 1922 dovette sfuggire all’arresto espatriando, insieme al marito Domenico, prima in Belgio, poi in Lussemburgo dal quale fu espulsa nel 1927.

Nonostante le difficoltà incontrate, nel 1925 maturò in lei la decisione di unirsi al Partito comunista d’Italia che la incaricò di prendere contatti con i compagni fuoriusciti in Francia. La Bei espatriò clandestinamente e raggiunse il marito a Parigi, pur rientrando diverse volte in Italia per contribuire all’organizzazione del partito. Nel 1933 venne arrestata: per lei seguirono otto mesi di carcerazione preventiva, poi il processo dal Tribunale Speciale e la condanna a 18 anni di carcere.

Alcune testimonianze mettono in luce le risposte - durante gli interrogatori - alle provocazioni sui suoi figli lasciati in Francia: «Non pensate alla mia famiglia, qualcuno provvederà; pensate invece ai milioni di bambini che, per colpa vostra, stanno soffrendo la fame in Italia». Parole per cui pagò, scontando la pena nel carcere penitenziario di Perugia per dieci anni, dopodiché la caduta di Mussolini rese possibile la sua scarcerazione. Dall’8 settembre 1943 partecipò alla lotta partigiana contro i nazifascisti a Roma, con il compito di organizzare la partecipazione delle donne alle sommosse.

Dopo la Liberazione, il suo impegno politico sindacale continuò: fu infatti l’unica donna a far parte della Consulta Nazionale su designazione della CGIL e il 2 giugno del 1946 rientrò tra le 21 donne elette all’Assemblea Costituente come componente del gruppo parlamentare comunista. Membro del Comitato centrale del PCI, Adele fu senatrice nella prima Legislatura repubblicana, poi deputata comunista nella seconda e terza Legislatura. Dal 1952 assunse la segreteria del Sindacato nazionale tabacchine, carica che occupò per un intero decennio. Morì a Roma il 15 ottobre 1976.
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TELEGIORNALISTI Vittorio Zucconi, con gli occhi dell'America di Giuseppe Bosso

Nato a Milano*, Vittorio Zucconi è direttore del quotidiano online La Repubblica.it e di Radio Capital. Laureato in lettere e filosofia all’Università degli Studi di Milano, ha la doppia cittadinanza italiana e americana. Oggi vive a Washington dove è corrispondente per La Repubblica. Ha pubblicato diversi saggi. Il suo ultimo lavoro è L’Aquila e il pollo fritto. Perché odiamo e amiamo l’America, Mondadori Editore.

Si aspettava una vittoria di Obama?
«Certamente no. Quando Obama comparve sulla scena candidandosi alla "nomination" del partito, oltre un anno fa, tutti noi esperti vedemmo in lui una creatura dei media, uno con il quale avremmo giocato per un po', prima di stancarci e buttarlo via. In un sondaggio fatto sull'ipotesi Obama contro Mc Cain, il senatore dell'Illinois risultò vincitore soltanto a Washington città, il Distretto di Columbia, che non è neppure uno Stato, e alle Hawaii, la sua terra natale, risultando perdente in tutti gli altri 49 stati. Hillary Clinton sembrava talmente certa da essere rimasta lei per prima intrappolata nella propria superbia, accorgendosi della minaccia quando era troppo tardi. La vittoria di Obama mi è apparsa più credibile quando i repubblicani hanno fatto la follia di scegliere Sarah Palin come candidata alla vice presidenza, una scelta che ha offeso quell'elettorato femminile che credevano invece di attirare, pensando che le donne avrebbero votato in funzione della solidarietà di genere e non della qualità dei candidato. Soltanto quando ho visto l'Ohio - lo Stato che un candidato repubblicano deve assolutamente vincere per arrivare alla Casa Bianca - andare a Obama, mi sono sentito sicuro che l'impossibile fosse accaduto».

Con questa elezione, si è tornati a parlare di sogno americano. Secondo lei, la vera conquista non sarebbe quella di non generare tanto scalpore nei confronti di una persona di colore?
«Certamente, ma prima si doveva passare per questo evento. Il prossimo afro-americano non farà altrettanto clamore, mentre lo farà la prima donna presidente, in un futuro non più lontano. Il segnale che la differenza di origine, di etnia, di genere, sarà stata davvero superata, e le persone saranno giudicate in base alle loro qualità come appunto sognava King, arriverà quando un candidato di sangue misto, o una candidata, saranno sconfitti senza che subito qualcuno gridi alla discriminazione razziale o al sessismo. L'importante è che l'America abbia un buon Presidente prima ancora che un presidente di colore o bianco».

In ogni caso, il nuovo inquilino della Casa Bianca si trova a dover fronteggiare quella che è probabilmente la più grande crisi economica della storia. Come crede che si porrà in questo senso?
«Riequilibrando una nave che aveva troppo sbandato sul bordo degli "have", di quelli che hanno, e dimenticato gli "have not", quelli che non hanno. La funzione di un governo è quella di essere la lobby di chi non ha lobbies, la voce di chi non ha voce, e di riportare in equilibrio quella classe media che ha pagato il conto dei miti cari alla Destra, la ricchezza che avrebbe dovuto ripiovere su di essa e invece è rimasta impigliata nelle nuvole. La forza storica di quello che viene chiamato "l'esperimento americano" non è nel suo essere immune da crisi, al contrario. Crack e uragani economico finanziari, essendo facce della stessa realtà e non artificiosamente distinti fra "virtuale" e "reale" come ora ci viene detto, sono eventi periodici e inevitabili. La forza dell'America è nel reagire e uscire da queste bufere, magari come diceva Churchill in una famosa frase che cito nel mio libro L'Aquila e il Pollo Fritto, facendo tutte le scelte sbagliate prima di fare quella giusta. Gli uragani servono alla funzione che proprio gli uragani, o gli incendi spontanei nelle foreste, esercitano in natura: sono violente operazioni di pulizia e di rinnovamento. Noi vediamo i danni, ma tendiamo a non vedere gli effetti a lungo termine. Pochi avrebbero scommesso sul fatto che, a pochi mesi dall'11 settembre, il mercato immobiliare di Manhattan sarebbe andato alle stelle come è poi avvenuto. L'incendio, in quel caso reale e metaforico, fece il suo dovere, rigenerando la foresta e creando le condizioni per un nuovo disastro sette anni dopo, perché questo è il metabolismo di un organismo ancora giovane e vitale, non ancora sclerotico come quello italiano».

Vivendo in America quali differenze ha riscontrato tra il nostro mondo dell'informazione e quello statunitense?
«Uno semplicissimo: nessun partito politico, e dunque nessun governo, controlla la macchina principale del consenso che è oggi quella televisiva. I giornalisti americani non nascono migliori di noi italiani, e commettono errori colossali, come dimostrò il New York Times bevendosi tutta la caraffa delle panzane diffuse dalla Casa Bianca sugli arsenali di Saddam Hussein o sulla sua inesistente complicità con Bin Laden. Ma crescono sapendo che il direttore dei tg non sarà nominato dal governo o dal capo di un partito che possiede la rete che controlla quei tg».

Direttore di La Repubblica.it e della testata giornalistica di Radio Capital: quali le maggiori soddisfazioni?
«Quella di incontrare ogni tanto una signora che mi ferma e dice: "Mia figlia ha cominciato a innamorarsi della lettura quando alle medie ha letto qualcosa di suo". Avere salvato anche una sola ragazza, o un solo ragazzo, dai videogiochi o dal rincretinimento dei varietà televisivi, mi fa sperare di non avere buttato via le fantastiche occasioni che la fortuna mi ha dato».

Alla luce della sua lunga esperienza come corrispondente dall'estero, cosa consiglierebbe ad un giornalista che volesse intraprendere questa strada?
«Di farsi monaco o suora, se vuole avere un avvenire. Quelli come me sono dinosauri che appartengono a un'era arrivata alla fine. Satelliti e Internet hanno reso apparentemente superflua la figura del corrispondente stanziale, quello che un tempo leggeva giornali locali e andava a conferenze stampa chiuse. Resteranno vivi i pochissimi che sapranno trasmettere non la rimasticatura di cose scritte e viste da altri, ma quelli che, nella propria esperienza quotidiana dentro il Paese dove vivono, sapranno scoprire il particolare che racconta l'universale. Se ancora qualcuno sopravvive, è soltanto perché nessun satellite o nessun blog, sito o link può darti certe conoscenze, come avere un bambino di due mesi che si sveglia alle tre del mattino urlando e doverlo portare d'urgenza in un ospedale pediatrico. Esperienza che ho fatto direttamente con figli e nipoti in Urss, Giappone, Francia, Usa. Un pronto soccorso alle tre del mattino è come una soubrette vista nel cuore della notte lontana dai riflettori, senza lustrini e senza trucco: in quel momento si vede se è davvero bellissima come sembrava sul palcoscenico».

Chiudiamo con una piccola nota calcistica. Non tutti sanno che lei è stato il primo allenatore ad avere avuto come presidente Silvio Berlusconi. C'è qualche aneddoto che vuole raccontarci?
«Ricordo l'arrivo del pullman del Milan con i ragazzini rossoneri tutti in uniforme che avrebbero giocato contro la nostra squadra, la Edilnord, che si recava in tram o in bicicletta al campo Kennedy di Milano, per il campionato allievi. "Un giorno quella squadra sarà mia", disse Berlusconi. Oppure quando andai a intervistarlo ad Arcore per La Stampa, dopo la sua vittoria elettorale shock del 1994. Gli rimproverai il fatto che il Milan d'allora era scarso in difesa. "Lo so, lei è sempre stato un difensivista" mi ricordò. Gli risposi: "E' vero, avevo una squadra di pippe, un portiere scolapasta. Dovevo fare le barricate e li mettevo tutti dietro con l'unico bravo davanti, a fare l'1-9-1". "Mi ricordo anche come si chiamava", mi rispose lui, e lo ricordava davvero. Vent'anni dopo, e ormai proprietario del Milan, si ricordava il nome di un ragazzino che non era poi andato in nessun'altra squadra. Ma lui non ha la passione per il calcio, ha un'ossessione».

* [N. di R.: Vittorio Zucconi è nato a Bastiglia (Modena), ci scusiamo con i lettori per l'errore]
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SPORTIVA Una squadra protetta dall'alto di Chiara Casadei

Chi ormai non è stato coinvolto dalla febbre del calcio? Grandi e piccini, maschi o femmine che siano, sono stati "colpiti" da una moda o da una passione (scegliete voi...) che ha saputo contagiare proprio tutti. Partite, trasmissioni televisive, giornali, fantacalcio, totocalcio, scommesse varie e previsioni. A seconda delle proprie preferenze, c’è un tipo diverso di intrattenimento a sfondo calcistico.

E spulciando tra i fatti delle squadre di calcio più importanti, salta all'occhio una vicenda curiosa che riguarda il team croato dell'Hajduk Spalato. In patria, la squadra del presidente Mate Peros è quella più famosa. Una fama costruita sulle vittorie (l'Hajduk ha conquistato per otto volte il campionato nazionale) e allo stesso tempo sulle cosiddette “bad news". L'ultima è la salatissima multa di 50mila euro, inflitta dall'Uefa, per i fumogeni accesi e i petardi esplosi dai propri sostenitori durante il match di Coppa Uefa, perso lo scorso agosto contro il Deportivo La Coruna. Il presidente Peros ha commentato il fatto con queste parole: «È la sanzione più pesante mai subita da questo club in tutta la sua storia di partecipazione alle coppe europee».

In futuro, però, a difendere la squadra croata dalle "bad news" ci sarà anche qualcosa di "superiore". Le suore benedettine dell’abbazia di Santa Maria, infatti, si sono interessate al calcio, precisamente all’Hajduk, in un modo alquanto originale. Sono diventate azioniste della squadra comprando 50 azioni, per un complessivo valore di ben 3200 euro e diventando uno dei venti maggiori azionisti del club, come riporta il quotidiano di Zagabria Vecernji list.

Una notizia che non può non ispirare un sorriso curioso e divertito, soprattutto dopo aver letto le parole di una di queste sorelle, suor Anselma: «Anche se non capisco molto di calcio, d'ora in poi pregherò per la nostra squadra». E d’ora in poi, quando penseremo al club dell’Hajduk, la nostra mente andrà a quelle speranzose suorine, preganti per le vittorie della loro squadra del cuore.
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