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Telegiornaliste anno IV N. 38 (163) del 27 ottobre 2008
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MONITOR
Fiammetta La Guidara, nomen omen di
Giuseppe Bosso
Fiammetta La Guidara
è giornalista pubblicista dal 1997. Attualmente conduttrice sul canale tematico
Nuvolari di
Fuori Pista, primo tg interamente dedicato al mondo dei motori, ha lavorato
anche nella carta stampata, collaborando con Gazzetta dello Sport e
Motitalia, e tuttora scrive su Motosprint.
Giornalista specializzata in motori: per passione o per destino?
«Assolutamente passione. Fin da bambina ho amato il mondo dei motori e in
particolar modo quello del motomondiale, tanto che mi svegliavo in piena notte o
all'alba per seguire le gare che venivano trasmesse dall’Australia. Appena
compiuti i sedici anni ho acquisito anche il patentino per la moto: passione
pura!».
Nell’intraprendere la carriera giornalistica in un settore ancora maschile
hai incontrato diffidenze dai colleghi?
«No, anzi. Mi hanno accolta con pieno spirito di cameratismo, anche con
simpatia. Fin dall’inizio hanno capito la mia passione, e devo dire che sono
stata sempre trattata molto bene».
Claudia Peroni ci ha
detto che le donne che si avvicinano al giornalismo dei motori lo fanno più che
altro per un aspetto mediatico. Non per vera passione.
«Per qualcuna può essere un modo per mettersi in mostra. Ma se non hai
competenze, se non mostri le tue doti, difficilmente vai avanti».
Il motociclismo italiano è molto legato all’immagine di Valentino Rossi, che
però tende a fare notizia anche per vicende extrasportive. Cosa ne pensi?
«Dopo i tempi di Agostini, Uncini e Lucchinelli, il motociclismo italiano aveva
bisogno di un nuovo eroe, di un personaggio che catturasse l’attenzione dei
media e degli addetti ai lavori.
Prima di Valentino sono emersi piloti come Capirossi e Biaggi che hanno permesso
al pubblico italiano di tornare ad appassionarsi a questo sport. Questo ha avuto
dei riflessi anche dal punto di vista dell’offerta al pubblico televisivo, visto
che in precedenza, e ti parlo anche dei miei trascorsi come spettatrice, le gare
del motomondiale non venivano nemmeno trasmesse per intero e meno che mai il
podio».
Qual è lo scopo della "tua" tv, Nuvolari?
«Fornire 24 ore su 24 piena informazione agli appassionati delle due e quattro
ruote. Negli ultimi anni i nostri sforzi si sono concentrati anche su quegli
eventi come il MotorShow e il Salone della Moto, oltre che sulle
gare, molte delle quali seguite in diretta, come la prestigiosa 24 Ore di
Le Mans. Cerchiamo insomma di fare un lavoro a 360°».
L’apprezzamento più bello che hai ricevuto dai piloti che hai intervistato
e... Quello che ti ha imbarazzato?
«Mi ha fatto piacere che molti abbiano sottolineato come gli fosse evidente la
mia passione per il loro mondo. Imbarazzo? No».
In futuro che tipo di programma ti piacerebbe condurre?
«Sono molto soddisfatta del presente e del programma che conduco, Fuori Pista,
in cui ho la possibilità di affrontare tutti i temi d’attualità attraverso
servizi, inchieste e interviste con ospiti in studio. E’ già un buon traguardo».
Una donna appassionata di moto affascina o intimorisce gli uomini di oggi?
«Intimorisce, purtroppo. L’ho notato, è uno degli aspetti meno positivi del mio
lavoro. Magari all’inizio suscita anche una certa curiosità ed interesse, ma poi
subentra una sorta di timore».
Hai mai avvertito condizionamenti nel tuo lavoro?
«No, ho sempre potuto lavorare in maniera libera ed autonoma, ho sempre avuto la
possibilità di dire quello che volevo e anche a Nuvolari nessuno mi ha mai detto
come pormi o cosa dire». |
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CRONACA IN ROSA Crisi un corno! di
Camilla Cortese
Ogni cinque secondi nel mondo muore un bambino di
malnutrizione o di una malattia facilmente curabile... Che noia! Andiamo tutti a
comprarci un cellulare tempestato di diamanti alla fiera dei milionari a
Monaco di Baviera!
L’economia americana è sprofondata nel buco nero della sua
stessa avidità, trascinando con sé i mercati mondiali e ripercuotendosi sui
piccoli risparmiatori che hanno perso la casa. Ma chi se ne importa, ho
giusto bisogno di un jet privato per andare a fare la messa in piega a Parigi!
Che tristezza tutti quei piccoli azionisti, borghesucci
pidocchiosi che piangono per due lire perse in borsa, cosa saranno mai i
risparmi di una vita quando c’è chi guadagna quella stessa cifra in un
giorno e ancor più velocemente la spende.
Quel simpaticone dell'editore della rivista Miljonair
Magazine ha avuto proprio una bella idea con questa fiera, una povera
facoltosa abbiente signora non sa mai come dar aria alle carte di credito, per
fortuna che le precedenti edizioni in Olanda, a Mosca e a Shanghai, sono state
un successone.
Però che seccatura: una pensa di andare a Monaco a respirare
un po’ di ordine e pulizia, ad ammirare le casette coi gerani alle finestre, a
valutare se sia più soffice una pelliccia di ermellino o una seta pregiata, e si
ritrova con quei puzzoni del Social Forum tedesco che protestano e inscenano un
mercato degli schiavi.
A pensarci bene, il filippino si è appena licenziato...
Ragazzi? Offro un milione! |
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FORMAT
Il Pagellone di Ottobre di
Giuseppe Bosso
10 indiscutibile a
La Bibbia giorno e notte. I sette giorni
di lettura ininterrotta della Sacra Scrittura nella Basilica di Santa Croce
in Gerusalemme
a Roma è stato un evento di grande successo che
ha caratterizzato questo mese. Un plauso alla Rai e agli organizzatori.
9 ad
Antonella Clerici, malgrado l’imminente parto
sempre smagliante alla Prova del cuoco e alla seconda, riuscitissima,
edizione di Tutti pazzi per la tele. A gennaio saluterà temporaneamente
il suo pubblico. Auguri per il lieto evento e a rivederci al più presto, cara
Antonella.
8 al Moto Gp che, parallelamente
all’ennesimo trionfo di Valentino Rossi, conquista grandi ascolti su
Italia 1, confermando il buon momento per le due ruote.
7 a Provaci ancora prof 3.
L’insegnante-detective interpretata da
Veronica Pivetti imperversa al giovedì,
riuscendo a battere sistematicamente un colosso come Distretto di polizia
(in verità non alla migliore serie). Piace vedere come humor e giallo (con un
po’di rosa…) siano talvolta un miscuglio vincente.
6 a Cold Case e NCIS, che
tagliano il prestigioso traguardo delle cento puntate con gli stessi ascolti e
lo stesso consenso degli inizi. La linea rossa di Raidue prosegue il suo
momento fortunato anche con Senza traccia e Criminal Minds.
5 alle deludenti serie ambientate nel
mondo degli ospedali made in Italy.
Crimini bianchi e Terapia d’urgenza
sono stati chiusi per i bassi ascolti, e la
pessima sitcom Medici miei (piena com’è di sedicenti personaggi
televisivi improvvisati attori) è stata sospesa senza remora da Italia 1. I
fasti di ER sono lontani anni luce.
4 alle Iene. Nuovo look per
Ilary Blasi, nuovo conduttore, Fabio De
Luigi, sfasato, e il programma è ai minimi storici, malgrado qualche buona
inchiesta. A gennaio torneranno Luca e Paolo: salveranno la barca?
3 a Canale 5, per il flop di due
programmi iper pubblicizzati in estate come
Fantasia e Il ballo delle debuttanti,
sospesi forse troppo tardi, e per la bocciatura di una serie attesa e
reclamizzata come
Crimini bianchi, inesorabilmente spostata su
Italia 1 in seconda serata. Inizio difficile di stagione per la rete ammiraglia
del gruppo Mediaset, salvata dal grande boom di Zelig
al lunedì e dalla solita Maria De Filippi
con C’è posta per te.
2 ad Artù. Non sfonda la coppia
Gnocchi - Canalis, con l’ex velina ed ex
padrona di casa di Controcampo al debutto sulle reti Rai. Ospiti
discutibili, contenuti monotoni e l’ex partner di Simona Ventura
con la solita ironia che ormai è a dir poco
scontata.
1 a Volami nel cuore,
impietosamente uscito con le ossa rotte nel confronto con Maria De Filippi.
Stavolta Pupo
non riesce a centrare il buco della ciambella,
nemmeno con il piccolo Ernesto Schinella.
0 all’Arma dei Carabinieri per il
grande polverone sollevato sulla partecipazione di Margherita
Granbassi ad
Anno zero. Come per l’Ordine dei Medici
di Napoli riguardo Lina Carcuro,
concorrente dell'ultimo Grande Fratello, sentiamo di rivolgere alla
Benemerita la stessa domanda: non sarebbe il caso di provare imbarazzo per cose
ben più gravi della partecipazione di una di voi ad un programma televisivo? |
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CULT A
Scuola di Rock, cinquant'anni di storia
di Valeria Scotti
Elvis, i Beatles, i Rolling Stones. E poi i Led Zeppelin, i Deep Purple, i Pink
Floyd e i Queen. Sono solo alcuni dei grandi nomi racchiusi nel
primo corso in storia del pop-rock dagli anni Cinquanta ad oggi, curato dai
critici musicali Carmine Aymone e
Michelangelo Iossa, con il patrocinio morale dell’Ordine dei Giornalisti
della Campania e dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa.
Gli otto appuntamenti, alla
Fnac
di Napoli, vedono i riflettori puntati sul rock e sulla sua evoluzione
con l’ausilio di documenti sonori, memorabilia d’autore e interventi di
musicisti.
Abbiamo incontrato i due giornalisti a metà di questo percorso che si concluderà
il 17 novembre.
Come è nata l’idea di proporre un corso di storia del rock?
Michelangelo: «Il corso è nato dalla congiuntura di tanti fattori che
affondano le radici già nel 2005. Carmine fu tra i primi a Napoli a istituire
degli incontri tematici - School of Rock e School of Jazz - al
Teatro Spazio Libero. Contemporaneamente io organizzavo alla Fnac il ciclo
tematico in quattro appuntamenti Non Sono Solo Canzonette, incentrato
sull’evoluzione e la storia della forma-canzone. Durante uno di questi
appuntamenti, io e Carmine notammo che lavorare insieme attirava molto più
pubblico. La Fnac ci chiese allora di organizzare dei cicli a doppia firma fino
ad arrivare a un incontro cult, Voce Chitarra Basso e Batteria - cinque
puntate a novembre 2007 - che ha totalizzato seicento persone. Grazie a questi
successi, abbiamo strutturato un vero e proprio corso e scoperto una cattedra di
storia del rock esistente a San Francisco».
Chi sono gli allievi di questo corso?
Carmine: «Con somma gioia e soddisfazione, ci segue una fascia
trasversale che abbraccia sia il giovane appassionato di chitarra che il
sessantenne, e così via. Ci vengono ad ascoltare i nostalgici di Woodstock, chi
seguiva i Guns N' Roses negli anni Novanta e oggi ascolta i Muse. Evidentemente
il rock piace, coinvolge e continua ad appassionare».
Entrambi collezionisti di cimeli della storia del rock. A quali siete più
affezionati?
Carmine: «Ce ne sono molti: le pelli di batterie autografate da alcuni
dei più grandi batteristi del mondo, gli autografi di Eric Clapton e Paul
McCartney. E poi, essendo un fan dei Led Zeppelin, i dischi autografati da
Robert Plant o quelli dei Genesis firmati da Steve Hackett».
Michelangelo: «Come oggettistica personale, sono legato a tutto ciò che
fa parte dell’universo Beatles. Come i due autografi di Paul McCartney che ho
incontrato nel 2001 a Milano dopo un’attesa di 12 ore, o il biglietto e il
libretto del Concert for George del 2002, un tributo che Eric Clapton
organizzò a Londra, a un anno dalla scomparsa di Harrison, con alcuni dei più
grandi nomi della storia del rock».
Quali sono i cambiamenti che il rock ha affrontato dagli anni Cinquanta a
oggi?
Carmine: «E’ cambiato il modo di vendere il rock e ne è cambiata anche un
po’ l’essenza. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, i capi del mondo come
Clinton e il suo sax o Tony Blair alla chitarra, si definivano delle rock star.
Un concetto assurdo se si pensa che, vent’anni prima, il rock era nato proprio
per contrastare il potere. Il rock è diventato schiavo del sistema: si è
modificato ma non si è evoluto. Negli ultimi anni è abbastanza in stand by.
Credo che l’ultimo colpo di coda sia stato nel 1991 con Nevermind dei
Nirvana: spazzarono tutto quello che c’era e tornarono alle origini. Dagli anni
Cinquanta fino agli anni Settanta è stato quasi inventato tutto e ci si rende
conto che è difficile ora proporsi in maniera originale, ma chi ci riesce merita
ancora più pregio e lustro. Credo anche stia diminuendo un po’ la cultura del
rock: prima andava di pari passo con la letteratura, con l’arte, la poesia, ora
i settori della cultura sono isolati e dalla non mescolanza non può nascere quel
brodo primordiale, la scintilla che generò quel battito di batteria che ha dato
vita a ciò di cui noi parliamo».
Tra i propositi del corso, c'è quello di educare all’ascolto. In che modo?
Carmine: «Il nostro educare all’ascolto significa proporre quello che le
radio, le reti come All Music e Mtv Italia, i programmi come Scalo 76 non
passano. Nel nostro piccolo proviamo a fare ascoltare quello che i nostri padri
e i nostri nonni riuscivano a rubacchiare dalle prime radio libere. Vogliamo far
scoprire il rock, quell’altra faccia della musica che non arriva perché, secondo
alcuni, non vende».
Michelangelo: «Partiamo sempre da un dato emozionale: l’ascolto è il
primissimo ingrediente. Il rock poi si nutre di citazioni continue, quasi
estenuanti. Fare il critico musicale significa mettere in gioco la propria
sensibilità, nutrirsi continuamente di contenuti culturali ed associare ogni
brano al contesto sociale del suo tempo. Qualche anno fa, ci si incontrava nelle
case a gruppi di almeno due, tre persone, come fossero dei reading di poesia. Si
prendevano i dischi dalle proprie collezioni, si ascoltavano, s’imparavano i
credits a memoria. Si viveva materialmente il disco, la sua genesi. Oggi con
l’Mp3 non si può più fare questo, non c’è più, purtroppo, la cultura di aprire
un disco e di maneggiarlo». |
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DONNE Rita,
il coraggio di non tacere di
Chiara Casadei
«La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di
comportarsi». Parole schiette, taglienti nella loro cruda realtà, scritte a mano
in un diario pieno di dolori dalla giovanissima Rita Atria, figlia di un
piccolo boss mafioso di quartiere, Don Vito Atria.
Nata il 4 settembre 1974 a Partanna, viene ben presto a
contatto con il mondo della malavita, in cui sia il padre che il fratello sono
coinvolti. Nei confronti di quel mondo meschino e disonesto dimostra subito un
profondo disprezzo, rivolto anche all’indolenza dei concittadini, muti e
tacitamente consenzienti.
Dopo l'assassinio del padre, il rapporto col fratello Nicola
si intensifica, fino a diventare un legame così profondo e sincero che lui
decide di rivelarle molti dei segreti di cui è a conoscenza, dalle persone
coinvolte nell’omicidio alla gerarchia criminale del paese. Nel giugno del 1991,
però, Nicola viene ucciso dalla mafia e dopo questo affronto sia sua moglie che
la stessa Rita cominciano a collaborare con le istituzioni, fornendo nomi
e cercando quella giustizia - o vendetta - che non era ancora arrivata.
Il primo a rendersi disponibile e a raccogliere le
testimonianze di Rita è il giudice Paolo Borsellino, che diventerà una
seconda figura paterna. Grazie all’aiuto di Rita e di altri testimoni, la
polizia arresta diversi mafiosi. Le cose sembrano muoversi finalmente per il
verso giusto.
D’altro canto, la paura di ripercussioni su di sé e sulla
madre la fa vivere in un continuo stato di angoscia e ansia, terrorizzata
nell'attesa del momento della sua morte. In alcuni frammenti del suo diario,
Rita scrive: «Sono sicura che non avrò una lunga vita sia se sarò uccisa dalle
persone che accuserò durante il processo, che per una promessa del destino.
Sarei felice se potessi vivere insieme a Nicola e a mio padre».
I suoi timori si dimostrano più che fondati: il 19 luglio
1992 Paolo Borsellino viene ucciso in un attentato di stampo mafioso in via
D’Amelio. Dopo questa terribile perdita Rita cade nell’oscurità, senza più alcun
punto di riferimento. Le sue ultime parole sono commoventi e disincantate: «Ora
che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita.
Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso
vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno
uccisi [...] Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono
morta».
Il 26 luglio Rita si uccide, delusa e sconfitta, cercando
disperatamente quella felicità e quella pace che in vita non le erano state
concesse. |
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TELEGIORNALISTI
Vincenzo Lamberti: abbiamo perso la capacità
di indignarci di Pierpaolo Di Paolo
Questa settimana incontriamo Vincenzo Lamberti, giornalista di
Metropolis tv in forza nella rubrica "Televisione" dell'emittente napoletana,
visibile sul canale 902 di Sky. La tv è nata tre anni fa dall'impegno di un
gruppo editoriale che ha creato Metropolis, un giornale prima mensile,
poi settimanale, infine dal 2004 quotidiano. Partendo da questo e dal sito web,
è nata l'idea di provare un terzo canale di comunicazione: si è scelta così la
via del satellite.
Vivendo dall'interno questo iter dalla carta stampata alla tv satellitare,
il passo è stato naturale o cambia tutto? E' un altro modo di fare giornalismo?
«E' tutto un altro modo, è chiaro che c'è bisogno di specificità e
professionalità diverse. La carta stampata, soprattutto il settimanale,
presuppone un giornalismo fatto di inchiesta, di continue verifiche, di
controlli. Il quotidiano ti accelera sui tempi perché la notizia la devi
verificare in poche ore e in quelle poche ore la devi mandare in stampa. La
televisione sotto questo aspetto è come se fosse un acceleratore ulteriore di
particelle».
Questo acceleratore aumenterà in misura esponenziale "l'ansia del buco" che
vivono i giornalisti, o ci si abitua in fretta anche a questo?
«Sicuramente la si vive molto di più adesso, tuttavia devo anche dire che
attraverso l'organizzazione e la collaborazione è un problema che non si vive
più di tanto. Noi siamo una tv che può contare su un gruppo di giornalisti molto
numeroso e una sinergia molto forte, perché alla fine redazione del quotidiano e
della televisione sono un tutt'uno. Il giornalista che si reca su un posto per
il quotidiano in quel momento lavora anche per il web e la televisione, e
viceversa. Quindi la copertura delle notizie sul territorio è assicurata».
Lei coordina e conduce tutta una serie di programmi locali. Quanto e come
cambia il lavoro da semplice giornalista a conduttore e coordinatore?
«Non si ha più solo la responsabilità di se stessi e di ciò che si fa, ma di
una serie di programmi che vanno in onda. Programmi che in ogni caso, lo
specifico con piacere, vanno sotto la responsabilità della testata giornalistica
di Metropolis tv che è unica e che è diretta da Giovanni Taranto».
La cronaca nera ha registrato recentemente l'ennesima strage nel casertano
ad opera dei casalesi. Le autorità hanno dichiarato che intendono risanare la
zona, riportandola alla legalità. Non suona un po' ridicolo per chi vive quella
realtà ascoltare da sempre questo valzer di dichiarazioni, mentre è evidente che
in quelle zone c'è chi può fare davvero quel che vuole senza temere conseguenze
rilevanti?
«Io penso che da Castelvolturno sia venuto un altro tipo di lezione. Al di là
di facili strumentalizzazioni e premessa la condanna per ogni forma di rivolta
violenta, lì c'è stato un gruppo di extracomunitari, un gruppo di persone che si
è ribellato. Uomini che hanno gridato: «Noi non vogliamo sottostare a questo
tipo di ricatto, non accettiamo di subire questo tipo di violenza». Chiedo al
sindaco di Castelvolturno di riflettere se una cosa del genere è mai venuta dai
cittadini di Castelvolturno».
Forse il punto è che i cittadini di Castelvolturno vivono qui da quando
sono nati, mentre gli immigrati in questa realtà ci si sono trovati calati
adesso.
«Infatti è un problema di humus, di aria che si respira e in cui si
cresce. Questa non è solo una realtà di Castelvolturno, ma di tutte le aree -
Ercolano, Torre del Greco, Castellammare - dove c'è una camorra che impregna di
sé il territorio, con i suoi usi, i suoi costumi. Fare determinate cose e vivere
determinate situazioni purtroppo diventa normale, e ciò avviene per tutti, anche
per noi che dobbiamo scrivere e descrivere fatti di questo genere. Mi viene in
mente qualche collega un po' più anziano che diceva che abbiamo perso la
capacità di indignarci. Oggi non ci indigna più niente, mentre questa virtù non
dovremmo mai perderla. Personalmente, cerco di non perderla mai».
Centinaia di soldati nella "trincea campana" sono una risposta efficace?
«Vengono in gita? Il territorio controllato militarmente non è la risposta a
questo problema. In questo purtroppo ci si scontra con un modo di pensare del
centrodestra che pensa di dare delle risposte efficaci, immediate, ma
che inevitabilmente sono solo delle risposte di impatto mediatico. Questo perché
il cittadino che sente o che vede arrivare 500 soldati pensa: «Però... Ora sto
più tranquillo». Ma la camorra agisce anche se gli mandi 3000 soldati. La
camorra è un sistema. Non stiamo parlando di un apparato militare né dei
rivoluzionari della Colombia, che puoi fronteggiare mandandogli l'esercito. La
camorra è altro».
Cosa pensa del ruolo di Saviano? Trova giusto che la denuncia oramai debba
essere affidata a singoli cittadini che si ritrovano a fare gli eroi?
«Io mi auguro un'Italia in cui non servano più gli eroi, anche perché l'eroe
altro non è che un discarico collettivo di responsabilità. Ai cittadini onesti
basta dire: «Ah, però c'è Saviano» e hanno detto tutto. E' finita lì.
Saviano ha scritto un bellissimo romanzo basandosi su fatti reali, anche
servendosi - bisogna dire la verità - del lavoro di tanti altri colleghi. Il
punto è che ciò che ha scritto e descritto è la realtà, non un libro di
fantasia. Ha scritto partendo da dati reali e certi. Ben vengano le persone che
avranno sempre il coraggio di scrivere e di chiamare le cose col loro nome e
cognome. Mi farebbe piacere che fossimo tutti Saviano, così non ci sarebbe più
nessun eroe».
Uno degli stragisti di Castelvolturno era agli arresti domiciliari, ciò ha
scatenato la reazione del Ministro Maroni che ha tuonato su tutti i giornali:
«Basta arresti domiciliari per i mafiosi». Cosa ne pensa?
«Io mi metto anche nei panni di questi poveri magistrati. Su determinati reati
devono avere la mano leggera e tutelare l'individuo, su altri gli si chiede di
violare le garanzie costituzionali. Decidiamo prima cosa vogliamo dalla
Giustizia. E' scandaloso che un mafioso indagato per reati gravi stia ai
domiciliari, cioè a casa sua. Ma se prima di questa strage, i capi d'accusa nei
suoi confronti non riguardavano reati gravissimi, allora per pretendere un
comportamento diverso dai magistrati occorre prima ritoccare la Costituzione.
Personalmente trovo altrettanto scandaloso che un immobiliarista che ha truffato
e fatto andare in bancarotta decine di persone possa fare i domiciliari in una
villa a Portofino». |
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Tutto pur di essere guardate di
Chiara Casadei
Se sfogliamo un giornale non ci sorprenderemo
di trovare foto di belle (a volte non tanto) donne nude, sia che pubblicizzino
un paio di gambaletti che la più inutile trovata commerciale. Un po’ inaspettato
potrebbe essere lo scatto pubblicato dalla rivista spagnola Interviù, che
immortala in tutte le sue forme la squadra di futsal femminile (calcio a
5) della Encofra Navalcarnero. Le sportive sono dovute ricorrere a questo
mezzo strategico per attirare l’attenzione su di loro e ottenere pubblicità. Un
piccolo sacrificio: per il bene e la lunga vita della squadra.
Interpellata a questo proposito, il capitano
della squadra spagnola, Eva Maguàn commenta: «Siamo le migliori del mondo però
non c'è interesse verso di noi. Da un po' di tempo a questa parte la crescita è
stata notevole e non è il momento di tirare i remi in barca. Lo sport
femminile è stato sempre sottovalutato, ma è una cosa ingiusta».
Il problema dello sport al femminile è
proprio questo, troppo spesso sminuito o ignorato, mentre in punta di piedi
raggiunge livelli talmente elevati da essere superiori anche a certi record
maschili. Le prove le troviamo nelle gare europee o mondiali, appuntamenti
sportivi in cui moltissime donne o squadre di donne mostrano qualità e capacità
notevoli, riguadagnando in primis stima e orgoglio per la propria bravura,
indipendentemente dal sesso.
Ci indigna che le donne, in questo caso le
atlete, debbano mostrarsi nei panni della femme fatale, e sfoggiare la propria
bellezza anziché la propria abilità. È ridicolo che una società moderna, dove la
parità tra uomo e donna è ormai assodata, non progredisca anche a questi
livelli e non promuova nella maniera adeguata le donne che intraprendono la
carriera sportiva.
Questo è un obiettivo per il futuro e per il
mondo.
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