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Telegiornaliste anno IV N. 35 (160) del 6 ottobre 2008
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MONITOR
Alice Brum Brum, la moto-telegiornalista
di Giuseppe Bosso
Nata a Torino, Alice
Margaria vive a Milano ed è giornalista pubblicista dal 2006. Appassionata
di aerei e moto, inizia la sua carriera giornalistica sul mensile di due ruote
SuperWHEELS, di cui assume anche la direzione marketing nel 2004.
E' stata opinionista fissa al programma tv Processo al Gran Premio,
trasmesso da OdeonTV e all'ufficio stampa del Team Factory Superbike.
Attualmente scrive di aerei, moto e personaggi sui mensili Airone e
For Men Magazine del gruppo Cairo Editore.
Da tre anni Alice è telecronista del Motomondiale sui tvfonini 3 per La3,
televisione gratuita, insieme ai piloti Dario Marchetti e Mauro Sanchini. Su La3
è anche conduttrice della trasmissione Motomagazine. Il suo sito è
Alice
Brum Brum.
Da cosa nasce il soprannome Alice Brum Brum?
«Anni fa iniziai a correre con un gruppo di motociclisti che si definivano i
"Cani Malati", in cui ognuno aveva il suo soprannome particolare e che, essendo
io l'unica donna, mi avevano praticamente adottata come mascotte. Uno di loro
una volta mi chiamò così mentre scendevo dalla moto, e così da quel momento
diventai Alice Brum Brum. In seguito ho scoperto che in realtà è la protagonista
di un fumetto anni '70 che, tengo a precisare, non mi somiglia per niente!».
Negli ultimi anni grande è l'interesse del pubblico italiano per il
Motomondiale: come mai secondo lei?
«Direi che dobbiamo questo soprattutto a Valentino Rossi, che nel corso degli
anni è diventato il vero portabandiera di questo sport. Si sa che noi italiani
quando vediamo un nostro atleta primeggiare in una disciplina ce ne scopriamo
appassionati, come ad esempio capitò anni fa con Alberto Tomba nello sci».
Grande protagonista sulle due ruote, ma anche personaggio spesso discusso
nelle cronache, Valentino.
«Detesto il gossip gratuito, specie quando mi fanno domande del tipo: tu che sei
nel settore, hai mai visto Tizio sniffare coca o Caio evadere le tasse?
Valentino ha dimostrato nel corso degli anni di essere un grande campione e
tutto quello che ha vinto lo deve al suo talento, al suo impegno e ai suoi
sacrifici. Quello che poi fa nella sua vita privata, dal pagare o meno le tasse
o frequentare donne, sono unicamente fatti suoi. Per quanto mi riguarda, mi
indigno di più nel vedere un serial killer che dopo vari omicidi riesce a farla
franca con l'indulto piuttosto che una vicenda come quella legata alle tasse di
Valentino, che ha "sconvolto" l'Italia».
Pensa che avere in casa un campione come lui, dopo l'ottavo trionfo, possa
incitare i giovani a seguire la sua strada?
«Valentino è un grande esempio di comunicazione mediatica e di professionismo: è
diventato subito un idolo e per questo ha già incitato molti giovani a seguire
la sua strada, per esempio i piloti Dovizioso, Simoncelli, Lorenzo. Lui, come
tutti gli idoli, ispirerà sempre la vita di qualcuno».
Da anni molte donne giornaliste si stanno affermando nel campo dei
motori,come
Claudia Peroni e
Federica Balestrieri. Secondo lei, però, ci sono ancora resistenze maschili
nei vostri confronti?
«Sì, ma le colleghe da lei citate rispetto a me hanno un grande vantaggio. Ormai
tutte le donne, bene o male, hanno la patente, guidano le auto e di conseguenza
il campo delle quattro ruote si è ormai aperto al mondo femminile. Nelle moto,
invece, il discorso è diverso, e purtroppo mi capita ancora, quando mi metto in
sella alla mia moto, di venire fermata da persone che si stupiscono nel vedermi
su una motocicletta. Può anche far piacere, ma per contro ti fa capire come
l'associazione donna-moto sia ancora indietro nella cultura collettiva. In ogni
caso, va anche detto che la donna incontra difficoltà ancora oggi in molti
campi, dal lavoro alla vita sociale... Per esempio, una donna emancipata anche
sessualmente suscita ancora diffidenza anziché ammirazione».
Telecronista del Motomondiale su tvfonino, come crede che abbia cambiato e
potrà ancora cambiare il mondo della comunicazione questo mezzo di
comunicazione?
«Inizialmente La3
ha incontrato non poche difficoltà, legate non solo alla percezione da parte del
pubblico ma anche di natura tecnica, come la distribuzione del segnale. Col
tempo si sta affermando e ora, come saprà, la tv sul tvfonino è diventata
gratuita. Certo il tvfonino non sostituisce un 40 pollici guardato comodamente
dal divano, ma senz'altro rappresenta uno strumento utile per chi magari si
trova bloccato in autostrada, in treno, o al mare sotto l'ombrellone. Per
rispondere con dei dati, le nostre telecronache del motomondiale su La3 stanno
ottenendo a livello di audience risultati notevoli, persino superiori ad un
evento di grande richiamo come la Champions League!».
Nel suo sito, oltre alle sue esperienze di lavoro, racconta anche aneddoti di
vita privata, dalle "Ginate" al rapporto con i suoi nipotini: non la imbarazza
l'idea che milioni di sconosciuti possano accedere anche a questi aspetti della
sua vita?
«Assolutamente no. Anzitutto perché nel sito racconto solo ciò che voglio; sono
molto riservata e quello che non desidero far sapere non lo sa nessuno. Non
parlo dell'uomo che frequento e nemmeno di quanto guadagno, per esempio.
Trovo carino condividere con chi desidera conoscermi anche questi momenti della
mia vita, e il pubblico che mi segue ha molto apprezzato, tanto che ricevo
frequenti email di spettatori che mi richiedono di pubblicare i miei racconti di
vita vissuta scritti in tono ironico, perché leggendoli si divertono. Quanto
alle foto che ci sono, poi, ritorno al discorso che le stavo facendo su
Valentino Rossi: penso che sia di maggior interesse per chi consulta il sito di
un suo beniamino poter vedere una foto carina, che ha voluto inserire per
ricordare un momento piacevole, piuttosto che le tante foto rubate a tradimento
sui rotocalchi di gossip!».
Nella sua carriera di "moto-telegiornalista" ha mai avuto incidenti di
percorso?
«Se intende nel senso che qualcuno mi ha messo il bastone tra le ruote, è
capitato, sì. Se intende come imposizioni di dire o di fare sul lavoro, direi
assolutamente di no. Questo forse anche grazie al fatto che non sono un
personaggio famoso e non lavoro per emittenti colosso... Nel mio piccolo ho
totale carta bianca, e io cerco di usare il buon senso. D'altronde, dagli amici
ai colleghi, chi mi conosce sa che il mio essere molto diretta è il mio peggior
difetto e anche il mio miglior pregio». |
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CRONACA IN ROSA Mi vendo... la grinta che non
hai! di
Camilla Cortese
Renatone l’aveva capito nel lontano 1977. Chi vende, molto
spesso, vende sogni e illusioni. E chi pubblicizza usa proprio questa
materia impalpabile, batte sui sentimenti e le insicurezze del consumatore. Che
spesso è una consumatrice.
Peccato, niente lustrini, struzzo e paillettes (e supponiamo
niente “sorcini”) il 3 settembre scorso al Parlamento Europeo, che ha
approvato una relazione che condanna le pubblicità in cui si esaltano o
approvano le discriminazioni tra i sessi, in cui si incita alla violenza sulle
donne o si propongono modelle anoressiche.
Tante grazie. Non vedo l’ora di godermi la Rimmel che
licenzia Kate Moss per affidare il London look a una cicciona. O la
casalinga di Voghera che occhieggia per L’Oréal. Perché lei vale. Tanti brand si
sono già fatti furbi, e chiamando come testimonial procaci dive come Monica
Bellucci e Maria Grazia Cucinotta hanno messo le mani avanti, proponendo
modelli di bellezza inarrivabili, ma incontestabili perché mediterranei. Una
botte di ferro.
Meno simpatici i detersivi, con donnine casa-e-lavoro che
canticchiano mentre lucidano pavimenti, con massaie sciatte e dai marcati
accenti regionali che si lamentano per la lavastoviglie incrostata. Il fico che
toglie calcare dalla mattina alla sera rimorchia guarda caso una tardona, e
Mister Muscolo è uno sfigato mingherlino: a noi
piaceva tanto Mastro Lindo, dov’è finito? Ridatecelo!
E poi tanto clamore nel 2007 per quella campagna di
Dolce & Gabbana con la donna sottomessa da cinque evidentissimi gay, unti e
depilati, cui i due volponi hanno sarcasticamente risposto, la stagione
seguente, con donne in abiti-armatura che scudisciavano uomini nudi. E nessuno
ha difeso quelle povere natiche benedette!
Un Oliviero Toscani qualunque viene lapidato quando
prova a combattere l’anoressia per il brand Nolita, fotografando una donna di 30
chili e esibendola al mondo per mostrare alle ragazzine l’altra faccia del
glamour.
Ci domandiamo se, dall’alto della loro saggezza, tutti questi
personaggi angosciati per le «manipolazioni adoperate a favore di un
marketing sempre più agguerrito che trasformano la donna in un manichino
privo di dignità» sappiano che ancora oggi le donne che lavorano guadagnano meno
degli uomini, che la maggior parte delle violenze sessuali avviene fra le mura
domestiche e che tutti i giocattoli di emulazione casalinga dal Dolce Forno in
poi hanno ancora sulle scatole una bambina. Femmina. |
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FORMAT
Banca della memoria:
un viaggio multimediale nella memoria collettiva
di Federica Santoro
Probabilmente tutti da ragazzi ci siamo seduti ad
ascoltare i racconti dei nostri nonni, provando l’ebbrezza di vivere attraverso
la loro memoria un’avventura unica e irripetibile. Esperienze vissute sul filo
di un’altra epoca che racchiudono i valori di una vita.
Dalla volontà di quattro giovani professionisti,
(Franco Nicola, Lorenzo Fenoglio,
Valentina Vaio e Luca Novarino)
interessati a raccogliere questo immenso mondo di esperienze in un unico
contenitore, nasce
Banca della memoria, dove le storie di
persone comuni sono raccontate dagli stessi protagonisti attraverso il video.
Valentina Vaio ci ha parlato di questa
iniziativa.
Il vostro progetto invita a trovare il tempo
per sedersi ad ascoltare un mondo di memorie che ci riportano indietro per
riscoprire un passato ricco di fascino e di saggezza. Perché avete scelto
proprio il video come mezzo di trasmissione di questo messaggio?
«Ci sono due motivi per cui abbiamo scelto il
video. L'obiettivo primario è quello di riportare le persone anziane verso il
ruolo che la società del passato ha sempre loro riconosciuto: essere il centro
della conoscenza e della saggezza. Per ottenere questo obiettivo pensiamo che il
video trasmesso attraverso Internet possa essere il media con cui la generazione
dei giovani meglio si relaziona e quindi possa essere maggiormente attratta e
invogliata ad ascoltare questi ricordi. Il secondo motivo è invece legato alla
nostalgia che il ricordo dei racconti fatti dai nostri nonni suscita in ognuno
di noi. Un ricordo e una memoria acquisiscono un valore maggiore se è possibile
cogliere le emozioni che suscita nella persona che lo sta raccontando. Il video
è quindi il mezzo migliore per poter trasmettere questi sentimenti a per
valorizzare le memorie».
Anche se il successo che avete riscosso nel
mondo della cultura può considerarsi il segno di una ritrovata attenzione verso
la memoria collettiva, legare la memoria ad un mezzo simbolo di un mondo così
frenetico e in movimento è una delle peculiarità di questa società, poco
preoccupata di dimenticare il proprio passato troppo in fretta. Quanto è
giustificata questa paura?
«Il progetto nasce proprio dalla paura che il
nostro mondo, magari senza volerlo, si dimentichi del suo passato e delle
persone che lo hanno caratterizzato. Speriamo che attraverso la scoperta di
realtà così diverse si possa aiutare la nostra società ad evolversi e
migliorarsi. Dal canto nostro, cerchiamo di regalare ogni giorno cinque minuti
di tempo a chiunque abbia voglia di fermarsi e ascoltare il ricordo di una vita
vissuta in modo totalmente diverso e così lontano dai nostri canoni attuali».
Molti giornalisti, dalle pagine dei maggiori
quotidiani nazionali, hanno visto nel vostro progetto un’iniziativa dalla forza
particolare perché rappresenta qualcosa di moderno e di antico allo stesso
tempo.
«Siamo molto soddisfatti del fatto che sia stata
riconosciuta fin da subito l'importanza di un archivio in cui ognuno può
ricercare le proprie radici. Il nostro obiettivo è quello di stimolare le
persone, in particolar modo i giovani, ad andare dai propri parenti e nonni per
intervistarli, indagando e ascoltando i loro ricordi. Quando riceveremo il primo
video registrato da un nipote o pronipote spontaneamente, allora potremo dire
che la Banca della Memoria ha aiutato la nostra società a migliorarsi. Pensiamo
che la Banca della Memoria sia una valore per l'Italia che si accrescerà con il
passare del tempo e l'aumentare dei filmati caricati dagli utenti».
Appena nata, Banca della Memoria approda già
su Sky: anche un traguardo divisibilità è stato raggiunto, dopo la
collaborazione con Scatole Cinesi, il programma radiofonico di Radio 2.
«L'esposizione mediatica cha la Banca della
Memoria ha avuto fin'ora è stata del tutto inaspettata e ci ha riempito di
orgoglio e soddisfazione. Non nego che ci aiuta a portare avanti questo progetto
che sta crescendo ogni giorno e ogni settimana. Speriamo adesso di sviluppare
collaborazioni con nuovi modelli televisivi».
Quali sono i risultati che vi aspettate di
ottenere a breve?
«Il prossimo obiettivo è l'esportazione del
progetto nei principali Paesi europei e negli Stati Uniti. Abbiamo già dei
collaboratori che stanno raccogliendo per noi interviste in Germania, Francia,
Spagna, Gran Bretagna. In parallelo stiamo consolidando la Banca della Memoria
italiana per poter raggiungere chiunque abbia voglia di raccontare i propri
ricordi pur con mezzi tecnici limitati. Abbiamo così aperto alcune redazioni
locali che possono aiutarci a raccogliere queste interviste. In Italia stiamo
stringendo accordi di partnership con associazioni interessate a preservare i
ricordi delle persone anziane e a sviluppare progetti specifici di
approfondimento sul territorio». |
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CULT Le
donne di Boldini in mostra di Chiara Casadei
Un uomo circondato da affascinanti donne. Un sogno nell’immaginario collettivo
maschile, ma per Boldini, pittore ferrarese di stampo macchiaiolo e
importante rappresentante dell’Ottocento, questa era la pura realtà. L’uomo
visse infatti un particolare legame con l’intero universo femminile e fu
sedotto da diverse donne alle quali dedicò la maggior parte delle sue opere.
La bellezza e l’eleganza sono state appunto protagoniste di un suo studio
estetico e psicologico. E oggi è possibile analizzare quelle riflessioni in una
grande esposizione a lui dedicata,
Boldini. Mon Amour. A Montecatini Terme, nelle sale del Polo
Espositivo ex Terme Tamerici, fino al 30 dicembre saranno esposti 110
dipinti, olio su tela, e 60 disegni su carta, provenienti dalle più prestigiose
raccolte pubbliche. I visitatori potranno inoltre ammirare 60 fotografie
inedite, lettere mai pubblicate e materiale originale del pittore.
Le donne coinvolte nella sua vita e immortalate su tela partono dall'amante
francese, l’aristocratica modella Berthè, passando per Madame Ferguson, Madame
Lanthème, la Contessa de Rasty fino ad arrivare, ovviamente, alla moglie
Emilia Cardona, la "sua" Milly. Interessante è il ritrovamento di una
testimonianza epistolare e fotografica che ha permesso di ricostruire alcuni
tratti fondamentali sulla convivenza fra il famoso maestro italo francese e la
giovane letterata piemontese, impegnata in una relazione sentimentale parallela.
La mostra vuole regalare non solo la visione delle opere del pittore nel loro
grande valore artistico, ma mostrare anche lo studio sulla femminilità e
sulla rappresentazione ritrattistica personale da parte di un uomo che vi ha
dedicato tutto se stesso.
L’invito è per tutte le donne e per coloro che ne sono affascinati, nelle loro
diverse e numerose forme. |
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DONNE Margaret
Mead, antropologa anticonformista
di Federica Santoro
Se oggi possiamo rivendicare, anche in campo scientifico, una
parità tra uomo e donna lo dobbiamo a una celebre
antropologa americana, Margaret Mead, che con le sue
ricerche pionieristiche sulla personalità maschile e femminile nella
comprensione delle società umane ha dato il via agli studi sulla differenza
di genere.
Margaret Mead nacque a Filadelfia nel 1901, in una famiglia
colta di religione quacchera. Il padre era un professore di economia e la mamma
una sociologa. Entrambi furono per la Mead dei saldi riferimenti nella sua
crescita intellettuale, fino alla laurea in psicologia e l’incontro con Ruth
Benedict, sua più grande amica e collega. Fu proprio da quest’ultima che la
Mead venne persuasa a diventare antropologa.
Compì le sue prime ricerche nelle isole Samoa, un arcipelago
della Polinesia, a partire dal 1927. Aveva solo 23 anni quando lasciò gli Stati
Uniti per avventurarsi nell’etnografia, spinta dalla volontà di dare il
proprio contributo per risolvere uno dei dilemmi allora centrali per la scienza
sociale americana, quello dell’adattamento degli individui ai valori espressi
dalla società in cui vive.
Il primo studio, dal titolo L’adolescente in una società
primitiva del 1928, si focalizzò sul periodo di vita adolescenziale della
donna samoana: riscosse un notevole successo presso il pubblico colto americano,
ponendosi come un punto di rottura nei confronti della mentalità ristretta di
certi ambienti. Dimostrò infatti che l’espressione della
libertà sessuale a Samoa era parte del ruolo
dell’adolescente, a differenza di quello che avveniva nella cultura occidentale
in cui, secondo la Mead, c’era un’interruzione innaturale tra interessi
dell’infanzia e il ruolo di adulto.
Il suo studio senza dubbio più importante fu però Maschio
e femmina: uno studio sui sessi in un mondo che cambia
del 1949, nel quale espresse le sue teorie sullo sviluppo dei
ruoli sessuali, confrontando gli atteggiamenti sessuali delle popolazioni del
Pacifico con quelli dei moderni americani. L’idea centrale di questo lavoro è
che i tratti del
carattere maschile e femminile sono determinati più dalla
cultura che da una predisposizione naturale, e che i ruoli maschili e femminili
sono risultati di influenze culturali e
non biologiche.
Il libro fu un bestseller e diede alla Mead una grande
fama. Per il resto della sua vita lavorò per l’American Museum of Natural
History di New York. Insegnò al Vassar College (1939-41) e alla Columbia
University (1947-1978). Fu presidentessa della Society for Applied Anthropology
e della American Anthropological Association, nonché la prima donna a capo
dell’American Association for the Advancement of Science.
Tra i suoi interessi la giustizia, l’educazione, il
femminismo e l’emancipazione sociale delle minoranze. Sosteneva infatti che
fossero i pregiudizi culturalmente appresi a portare al razzismo, alle
intolleranze, alle guerre, e che «i membri di una società potevano/dovevano
lavorare insieme per modificare le loro tradizioni e costruire nuove
istituzioni». Per questo affermava l’importanza di imparare dagli altri
popoli: «Le diversità umane sono una grande risorsa, non un ostacolo, e gli
esseri umani sono tutti in grado di apprendere e insegnare l’un l’altro».
Morì per un cancro a New York il 15 novembre del 1978.
Scrisse 44 libri e oltre 1000 articoli, pubblicati in diverse lingue. |
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TELEGIORNALISTI
Alessandro Tiberti, occhio allenato per lo
sport
di Giuseppe Bosso
Nato a Roma, Alessandro
Tiberti è giornalista professionista dal 1993. Muove i primi passi in alcune
radio romane conducendo diverse trasmissioni sul basket. Prima di approdare a
Raisport ha lavorato anche a Teleroma 56, Videomusic e Persona tv.
Che bilancio puoi trarre, per quanto riguarda
Raisport,
su Pechino 2008?
«Assolutamente positivo, malgrado qualche critica dovuta alla programmazione
per le "sporcature" relative ad alcuni risultati inaspettati (ma graditissimi)
di atleti italiani che hanno portato a qualche variazione del palinsesto. È
successo, per esempio, con la lotta greco-romana, una medaglia sulla quale forse
nessuno avrebbe scommesso. Ma al di là di queste piccole cose, siamo
assolutamente soddisfatti».
Dopo anni di esilio, è tornato un appuntamento canonico della domenica
degli italiani, 90° minuto.
«C’è un detto: "la messa si ascolta in chiesa", e probabilmente può essere
esteso a 90°. Da sempre quello dei gol della domenica sulle reti Rai era
un appuntamento tradizionale, una di quelle cose che ti rallegrano la vita. In
questi anni ha fatto probabilmente effetto vederlo, in altro formato, sulle reti
Mediaset».
Le prime giornate di campionato sono state contrassegnate da un grande
equilibrio e dal rendimento notevole di squadre come Lazio, Catania, Udinese e
Napoli, che non sono propriamente ritenute da scudetto. Cosa dobbiamo aspettarci
per il futuro?
«Credo che alla lunga emergeranno i valori di forza delle grandi, dall’Inter
con il suo gioco al Milan con le sue stelle, e anche la Juve dopo l’anno di
apprendistato seguito alla parentesi in serie B può assolutamente ritenersi da
scudetto. La Roma magari sta attraversando un momento di difficoltà, a cui fa da
contraltare lo straordinario rendimento della Lazio e del Napoli, anche. Ma
credo che alla lunga saranno le grandi a caratterizzare la lotta scudetto,
magari però ci sarà spazio anche per qualcun altro».
Da un po’ di tempo molti atleti vengono risucchiati dal mondo della tv,
dalla Granbassi che imperversa ad
Annozero
a Magnini inviato all’Isola dei famosi. Come ti spieghi questa
tendenza?
«Non penso siano loro a cercare notorietà, quanto la televisione che offre
loro questa possibilità. Già in passato il binomio atleta-tv ha portato a buoni
risultati, vedi Montano. Margherita Granbassi, per come l’ho vista io, se l’è
cavata bene nelle prime puntate di Annozero, malgrado qualche piccola
imperfezione. Magnini, per contro, per ora mi sembra un pesce fuor d’acqua».
Dopo le grandi soddisfazioni degli ultimi anni, il basket italiano vive un
momento di grande difficoltà: come mai secondo te?
«Per tante ragioni. A cominciare dalla crisi economica, dopo la festa degli
anni ’80 in cui i club potevano contare su una grande disponibilità. Adesso si
investe solo in realtà consolidate come Treviso, Siena, Milano. Aggiungi le
difficoltà che crea la rivalità tra Lega e Federazione e il poco sostegno che
incontrano i ragazzini che cercano di interessarsi a questo sport. I pochi
talenti che abbiamo, ormai, sono sempre più attratti dall’universo Nba… Insomma,
un quadro non certo positivo. Bisognerebbe fare qualcosa per il futuro».
Ha stupito l’esclusione dal campionato di due realtà come Napoli e Capo
d’Orlando, in particolare per il rigore che la giustizia sportiva ha saputo
avere nel basket. Al contrario, con Calciopoli, si è assistito ad una sorta di
buonismo da parte degli organi di giustizia. Concordi?
«Mah, non penso. Ogni federazione sportiva ha le sue regole e cerca di
adottarle come può. Nel ciclismo abbiamo potuto vedere come i controlli
rigidissimi abbiano portato alla squalifica di un nome importante come quello di
Riccò; nel calcio la Juventus è incappata in quella situazione ed è stata
punita, ma non mi sembra esatto parlare di una maggiore severità verso il basket
rispetto ad altri sport».
Il bello e il brutto del giornalismo secondo te?
«A mio giudizio sono due aspetti che tendono a coincidere: il bello è
sicuramente il fatto che noi, almeno teoricamente, con il nostro lavoro possiamo
scoprire anche quello che non va e portarlo alla luce, ma per contro non sempre
(ormai potrei dire quasi mai...) ci è permesso di farlo al meglio. Ci sono
sempre maggiori ostacoli al nostro lavoro, e ci accontentiamo per lo più di
riportare le notizie dalle agenzie… Dovremmo ricordarci di essere
ficcanaso, come si diceva un tempo».
Il tuo sogno nel cassetto?
«Ce l’ho, ma se te lo dicessi, che sogno sarebbe? Quando lo realizzerò, sarai
il primo a saperlo!».
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Cecilia, una campionessa speciale
di Chiara Casadei
Cecilia Camellini non è semplicemente
una studentessa emiliana (modenese per la precisione), impegnata come tante tra
studio e famiglia, ma si confronta giornalmente con il suo handicap: la cecità.
Al di là di questo, ciò che la rende veramente speciale è il suo essere
un'eccellente nuotatrice. Dall’età di tre anni, infatti, pratica con dedizione
questo sport, diventato con gli anni un impegno sempre più serio. Dal 2003 i
diversi allenatori che l'hanno costantemente seguita, l’hanno ben preparata per
le sfide nazionali e internazionali. A suon di vittorie, si è guadagnata il
primo posto ai mondiali 2007 nei 400 metri stile libero. L’ultima sua grande
conquista è stata una
doppietta di medaglie d’argento,
rispettivamente nei 50 e 100 metri stile libero, alle Paralimpiadi di Pechino
2008, regalando anche agli appassionati il miglior tempo a livello europeo (1.09.65).
Cecilia, al termine della finale, ha
rivelato: «Pensavo di mollare, non riuscivo a concentrarmi, a nuotare
come al solito. Improvvisamente alla virata dei cinquanta metri tutto è tornato
normale, sono anche riuscita a fare un bel tempo». Mentre a
Vincenzo Tota, il presidente della
delegazione reggiana del CIP (Comitato Italiano Paralimpico), ha
raccontato le emozioni pre-gara: «È stata una vigilia molto nervosa, i risultati
nel nuoto non venivano come tutti noi del club Italia ci aspettavamo, la storia
di Filippo Bonacini e di quella famosa pacca sulla spalla che gli è costata la
squalifica avevano lasciato un segno. È inutile negarlo, da me tutti si
aspettavamo qualcosa. Mi sentivo responsabilizzata ma anche molto carica. Quindi
ho detto a Gianni: "Qui non c'è da fare nessun calcolo, vado in acqua e le
spacco tutte". Mi ero fatto crescere anche le unghie per queste olimpiade. È
andata benissimo. Non potevo fare di più. Sono contentissima per questa
medaglia: tutta mia, di mia madre, di mio padre, della mia famiglia, della
Tricolore Reggio Emilia, di Ettore Pacini, di Gianni Pala».
Nella vita, oltre ad allenarsi nella piscina
locale con l’aiuto di un assistente - la segue lungo la vasca battendo con una
bacchetta sul bordo, per farle capire a che distanza si trova e aiutarla a
tenere la direzione - è anche una brillante studentessa del Liceo
Classico Muratori di Modena. Le sue materie preferite sono il greco e il latino.
Ama la musica, lo sci, la lettura e il suo ragazzo, anche lui non vedente, che
le sta vicino e la supporta nelle difficoltà che incontra ogni giorno sul suo
buio cammino. Cecilia riesce a dimostrare, ogni giorno, che tutto è davvero
possibile. |
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