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Telegiornaliste anno IV N. 30 (155) del 4 agosto 2008

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MONITOR Claudia Peroni: giornalismo e motori, passioni vincenti di Giuseppe Bosso

Claudia Peroni inizia la sua esperienza televisiva come giornalista nel 1982 nella redazione di Grand Prix, il programma di Italia 1 per il quale realizza servizi di Formula 1 e Rally, per poi diventare telecronista dai box dal 1992 al 1997. Da marzo di quest'anno conduce Moto GP Quiz, striscia quotidiana dedicata alle due ruote, in onda dal lunedì al venerdì su Italia 1.

Quando è nata la sua passione per i motori?
«Da ragazzina, quando andavo a vedere il rally di Sanremo con i miei compagni di scuola, tutti maschi e io unica ragazza. Pian piano mi sono avvicinata all'ambiente anche grazie a un mio fidanzato rallysta, tanto che per 10 anni ho partecipato come pilota ai rally. Insomma, devo dire che inizialmente avevo preso questo interesse un po’ sottogamba, e invece è diventato il mio lavoro e parte della mia vita. Poi mi sono avvicinata anche al giornalismo, ed eccomi a Italia 1 con Grand Prix e i programmi sportivi di Mediaset».

Quando ha iniziato, erano poche le giornaliste sportive della Formula 1: ha avvertito maggiormente diffidenza da parte dei colleghi uomini o dei piloti che intervistava?
«Sicuramente dai colleghi giornalisti, e non nascondo che è una diffidenza che avverto ancora adesso. Mi sento continuamente sotto osservazione, messa alla prova, ma credo di aver saputo dimostrare qualcosa in questi anni, grazie soprattutto a una grande passione per i motori, cosa che i piloti che intervisto non mancano mai di riconoscermi».

Quali sono i protagonisti delle due e delle quattro ruote che più ha ammirato e quelli a cui è più legata?
«Citarne solo alcuni è difficile, ce ne sono tanti. Avendo avuto questo fidanzato rallysta, di nazionalità finlandese, posso dire di aver assorbito quella filosofia: per esempio stimo molto Raikkonen. Poi ho creato un bel rapporto in passato con Jean Alesi, con Trulli e Fisichella che sono diventati dei veri amici. Senza dimenticare il grande Schumacher e il compianto Ayrton Senna».

La spy story Mclaren-Ferrari e il caso-Mosley, pur nella loro diversità, sembrerebbero aver gettato qualche ombra anche sul mondo dei motori. E' d'accordo?
«Non credo. Per quanto riguarda Mosley, ritengo che ognuno nella vita privata sia libero di fare quello che vuole: è un presidente che ha fatto grandi cose alla guida della FIA in questi anni. Purtroppo, come ha dimostrato la vicenda di Ronaldo, è davvero facile essere al centro di cattiverie per fatti privati che dovrebbero rimanere circuiti in quella sfera personale di ognuno».

L'intervista che ricorda con più piacere?
«Anni fa, quando Italia 1 aveva acquistato i diritti per trasmettere il mondiale di Formula 1, ebbi una grande soddisfazione in Sudafrica al G.P. del 1992, quando mi avvicinai alla griglia di partenza al grande Ayrton Senna che non amava essere intervistato a pochi minuti dalla partenza. Con me fu invece molto carino e disponibile e posso dire di aver fatto un figurone in quell’occasione. Anche di recente, quando al Ferrari Day ho avuto modo di intervistare Schumacher che, dal suo ritiro, non aveva voluto più rilasciare dichiarazioni alla stampa. Sono soddisfazioni che ti gratificano».

E il momento più imbarazzante?
«Una volta stavo intervistando Berger e Alesi che mi davano delle pacche sul fondoschiena... e così finì tutto su Striscia la notizia!».

E' appassionata anche di calcio: tra i protagonisti del pallone e quelli della Formula 1, quali sono le differenze?
«Devo dire che mi stupisce sempre notare come si dia tanta importanza nel calcio alle reazioni piuttosto che alle azioni. Ad esempio, il caso di Totti che ha mandato a quel paese l’arbitro di Udinese-Roma, per giorni e giorni ha fatto parlare stampa e televisione. Credo che la moviola e le telecamere dovrebbero soffermarsi unicamente sugli aspetti tecnici e non su questi momenti che non hanno nulla a che vedere con la gara».

Ritiene siano maturi i tempi per vedere un pilota italiano alla Ferrari?
«No, ci sarebbero più pressioni sul pilota che finirebbe per far passare la scuderia in secondo piano. Al momento non penso sia fattibile questa cosa».

Da qualche anno è docente Formass. Ha intravisto qualche suo potenziale erede?
«Dico sempre che una Claudia Peroni deve ancora nascere. Ma attenzione, non voglio sembrare presuntuosa: non parlo di doti professionali, ma di passione per il mondo delle quattro ruote. Purtroppo noto che la maggior parte delle ragazze considerano principalmente questo ambiente come una vetrina per apparire».

Anni fa ebbe un richiamo dall'ordine perché aveva pubblicizzato due automobili in tv. Si discute da tempo di una riforma, mentre Grillo parla di abolizione totale. Lei cosa ne pensa?
«Semplicemente non capisco perché togliere un’istituzione che ha lo scopo di salvaguardare la categoria dei giornalisti».

C’è mai stato qualcuno che ha messo il bavaglio a Claudia Peroni?
«Qualcuno avrebbe voluto farlo e ancora ci prova, ma non hanno molto da sperarci: la sottoscritta ha energie da vendere e non si fa spaventare da nessuno! Battute a parte, sono stata molto fortunata. A Mediaset ho sempre trovato grande disponibilità e grande possibilità di agire liberamente, quindi posso dire di non aver mai avuto bavagli, nemmeno reali».
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CRONACA IN ROSA Un corpo da favola di Camilla Cortese

C’era una volta, nei cotonatissimi anni Ottanta, una bella bambina che osservava con occhi madidi di commozione le monumentali spalline imbottite della mamma, provava di nascosto l’ombretto magenta elettrico (alias fucsia) sognando di truccarsi come Jem e le Holograms e rubava gli orecchini della Nay-Oleari alla cugina. Giunta l’età della ragione, la bella bambina si buttò sul classico fantasticando di diventare Principessa, che non si sbaglia mai: comprese di essere cresciuta negli anni più kitsch della storia universale della moda e accantonò i sogni firmati Americanino.

L’adolescenza negli anni Novanta le aprì un discreto mondo di nuovi volumi sartoriali, il modello da donna androgina, la frangia gonfia e il cappellino rovesciato di Willy, il principe di Bel Air. Ma c’era anche un nuovo esercito della salvezza che si faceva strada sulle riviste di moda, gambe lunghe come la Milano-Venezia, seni miracolosamente alti, visi che sfidavano la natura, nomi divini: Claudia, Naomi, Eva, Nadja, Carla, Linda, Cindy, Christy, Helena.

Dopo le maggiorate del Dopoguerra e le smilze Twiggy della Swinging London, ecco che i famigerati anni Novanta trasferivano yuppismo e marketing sulle insicurezze femminili e creavano la nuova donna da imporre. Quella perfetta. Basta con le magroline, le formose e le belle dentro, la Top model dettava le regole: gambe da cestista dell’NBA ma magre da gazzella, un po’ di fianchi che fa sempre femmina, però niente pancia che fa troppo mamma, braccia esili che fa tanto aristocratica, seno... seno sì, che piace e vende sempre, capelli tanti lunghi setosi voluminosi, pelle liscia, viso di proporzioni auree occhi grandi fronte ampia naso piccolo labbra carnose zigomi polposi. Facile, no?

La bella bambina cresceva ignara delle responsabilità della lobby gay degli stilisti per questa specie di cavalla sovrumana alla quale non riusciva ad assomigliare, con queste madrine perfettine che occhieggiavano dalle riviste, quando un bel giorno nel mese di maggio successe una cosa stranissima: il marketing che attentava alla sua sanità mentale si era fatto più subdolo, sgusciando fra gli spot televisivi di cereali, yoghurt magro e crema dimagrante. Nasce la "Prova Costume".

E così la bella bambina è cresciuta, e si ritrova donna nella media alle prese ogni maggio con l’oracolo. La prova costume si avvicina e ti sussurra maliziosa: sei abbastanza bella? Sei abbastanza desiderabile seminuda? Hai perso almeno qualche chilo dell’inverno, il grigiore della pelle e la ritenzione idrica? Ti sei rinnovata? Ti sei migliorata?
No! No, no e no! Mi mantengo, ce la metto tutta, ma sono sempre io. Non esiste il corpo nuovo, il sedere nuovo, non rinasco cervo a primavera ogni anno. Al massimo invecchio un po’, sai com’è, succede. Volevo diventare principessa? Avete capito male, lasciatemi in pace, voglio essere un po’ Principessa Fiona e un po’ Orchessa verde moglie di Shrek!
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FORMAT La tv dell'autunno di Giuseppe Bosso

Grandi ritorni, gradite conferme e interessanti novità: questa, sinteticamente, la ricetta dei palinsesti in arrivo per l’autunno, sia per quanto riguarda la tv generalista che per quella satellitare, ormai sempre più in espansione e destinata a giocare un ruolo da protagonista a tutto tondo.

E in tema di ritorni non possiamo che partire da quello più atteso: dopo due anni di silenzio, la Raffaella nazionale condurrà su Raiuno Carramba che fortuna. Nelle ultime settimane erano sorti intoppi che avevano messo in dubbio il programma, ma alla fine si è tutto risolto.

Cambiamenti in vista a Raiuno, a cominciare dall’alba di Unomattina che saluta Luca Giurato dopo quasi dieci anni di navigata conduzione. Il timone passa a Michele Cucuzza, che a sua volta cede quello di La vita in diretta nelle mani di Lamberto Sposini. Cambio anche per Affari tuoi dopo l’eccellente biennio di Flavio Insinna: al suo posto, il lanciatissimo e instancabile Max Giusti che, oltre ai pacchi del preserale, sarà protagonista ancora una volta con le sue irriverenti imitazioni a Quelli che il calcio e nei panni dell'ispettore Marchetti in Distretto di polizia.

Per quanto riguarda la fiction, c’è curiosità per la nuova serie di Un medico in famiglia che sarà caratterizzata dai clamorosi ritorni di Giulio Scarpati e Pietro Sermonti al fianco dell’inossidabile nonno Libero-Lino Banfi. Non ci sarà più invece la simpatica Cettina interpretata da Lunetta Savino, ormai lanciata sempre più nella fiction d’impegno dopo Il coraggio di Angela.

Si mettano il cuore in pace i detrattori di Simona Ventura: ci sarà ancora lei alla guida di Quelli che il calcio e dell'Isola dei famosi.

Sanremo sarà sicuramente, dopo quattro anni, affidato a Paolo Bonolis che ha nel Festival l’unica certezza del suo futuro professionale, ancora in bilico tra il rinnovo con Canale 5 e un ennesimo ritorno di fiamma in Rai.

Grande curiosità anche per il nuovo acquisto di Raidue Francesca Senette che, dopo gli anni passati al Tg4, approda nel pomeriggio del secondo canale con il programma che sostituirà, dopo sette anni, L'Italia sul due.

Mediaset punta ancora sul reality e se Paola Perego è pronta per il terzo capitolo della Talpa, grande incertezza regna attorno a La pupa e il secchione, a cominciare dalla conduzione che non è stata accettata da Barbara D’Urso. Sembra che il programma non riscuota il gradimento di Pier Silvio Berlusconi e, inoltre, non pare che le selezioni stiano avendo particolare fortuna riguardo i secchioni, forse scoraggiati dalle poco confortati dichiarazioni rilasciate dai concorrenti della prima edizione riguardo il dopo-reality che non ha portato loro particolari fortune, contrariamente alle pupe.

Interesse suscita anche la nuova Buona Domenica, o meglio, il nuovo pomeriggio domenicale di Canale 5 che, a detta di Cesare Lanza, cambierà tutto a partire dal titolo. La trasmissione dovrebbe essere divisa in due parti, la prima dedicata a Maria De Filippi e ai suoi Amici, aspiranti star di domani, e la seconda all’attualità. Unica certezza: non ci saranno più Sara Varone e la neo signora Briatore, Elisabetta Gregoraci.

Non mancheranno naturalmente fiction di prima serata, a cominciare dall’atteso - e più volte rimandato - O’ professore con Sergio Castellitto e l’ottava serie di Distretto di polizia con il neopromosso commissario Simone Corrente. Le avventure del Decimo Tuscolano sono il fiore all'occhiello della Taodue che punta molto anche sulla serie ambientata nel torbido mondo degli scandali di malasanità, Crimini bianchi: tra i protagonisti, una vecchia conoscenza dei fans del commissariato romano, Ricky Memphis.

Anche La7 non sarà da meno, ma dovrà fare i conti con la dolorosa perdita delle Markette di Piero Chiambretti, trionfatore indiscusso della stagione appena conclusa, che in una videochat con Aldo Grasso ha spiegato le ragioni di questa chiusura. I tagli annunciati dalla nuova gestione hanno inevitabilmente avuto riflessi sulla programmazione. Ma stiano tranquilli i fedelissimi di Maurizio Crozza, Ilaria D'Amico e Daria Bignardi, che saranno presenti con le loro fortunate trasmissioni.
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CULT Estate in città al suono della musica di Valeria Scotti

Città vuota, canterebbe Mina. Se la prospettiva di rinunciare alle vacanze - per lavoro o per colpa del carovita - non è sempre allettante, è bene sapere che le metropoli non si spengono del tutto e da anni, ormai, si vestono di interessanti iniziative.

Napoli celebra un suo grande protagonista, il Teatro San Carlo, inaugurato nel lontano 1737 per volontà di Re Carlo di Borbone. Fino al 2 novembre il Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito ospita la mostra Alla scoperta di un Protagonista. Il Teatro di San Carlo di Napoli, un percorso tra i momenti salienti di questo grande simbolo: scenografie, bozzetti, costumi, figurini, disegni, dipinti, materiali d’archivio, libri e fotografie. Ecco le macchine sceniche di Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro e Luigi Ontani, la sezione dedicata ai maggiori interpreti dell’opera lirica, italiani e stranieri, tra cui Enrico Caruso, Giuseppe di Stefano, Mario del Monaco, Luciano Pavarotti e Maria Callas. Poi i costumi delle più grandi étoiles del balletto - Rudolf Nureyev e Carla Fracci su tutti - e i documenti inediti delle "grandi bacchette": Toscanini, Mascagni, Richard Strauss.

Trentunesima edizione per Estate Romana 2008 che, fino a settembre, propone eventi legati a ogni tipo di arte: cinema, teatro, danza e letteratura. Appuntamento nella Capitale con il cabaret e la comicità nella rassegna All'Ombra del Colosseo, un insolito viaggio nella Roma sotterranea con Sotto il Celio tutti i fine settimana, e il jazz miscelato all’arte e alla poesia al Villa Celimontana Jazz Festival.

Milano, invece, omaggia il quartetto di Liverpool con la mostra Beatles '68, allo Spazio Oberdan fino al 14 settembre. Copertine discografiche, spartiti, acetati, rarità autografate, oggettistica e memorabilia che raccontano il fenomeno musicale in parallelo alle vicende storiche della fine degli anni Sessanta. Quattro le aree tematiche: il doppio lp White Album, il viaggio in India del gruppo, il loro rapporto con il cinema e l’inizio dei progetti individuali dei leggendari John, Paul, George e Ringo.
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DONNE Sara Sesti, la Scienza delle donne di Chiara Casadei

Donna e scienziata, studiosa, matematica e pure insegnante. Non si scherza con Sara Sesti, perché tutto quello che fa parte della sua vita professionale nasce da una passione e da un’ispirazione profonda che da tempo coltiva e nutre con numerose e diverse esperienze. Ci racconta lei stessa la sua esperienza all’interno del mondo scientifico, affascinante anche se a volte ostile e chiuso.

Come è nata la passione per le materie scientifiche?
«Mi sono laureata in matematica a metà degli anni Settanta con l’obiettivo di insegnare. Mia madre è stata una maestra delle scuole elementari molto appassionata del suo lavoro e mio padre progettava motori. Evidentemente ho subito l’influenza di entrambi. Le difficoltà della matematica per me erano una sfida e mi affascinava la generalizzazione dei concetti, l’astrazione che implicavano. Ero orgogliosa di far parte dei pochi che la padroneggiavano».

Quando ha iniziato a porsi domande di genere sulla scienza?
«Ho cominciato a interrogarmi sul rapporto delle donne con la scienza agli inizi degli anni Ottanta. Insegnavo in un corso delle 150 ore per le casalinghe di Affori e in una sezione serale dell'Istituto Tecnico Industriale Statale di Sesto San Giovanni, dove gli studenti erano operai. Ma mentre alla scuola serale il mio sapere mi dava valore e gli studenti erano interessati ad impadronirsi degli strumenti scientifici, diventava un ostacolo nella comunicazione tra me e le donne, sia per la rigidità del linguaggio che per la specificità dei contenuti. Le mie studentesse si sentivano come delle immigrate: venivano dalle cucine, dalle camere da letto, e in campo scientifico si scontravano con un mondo e con un linguaggio cui si sentivano del tutto estranee. Per molte donne è ancora così e rifiutano il rapporto con la scienza».

Come è proseguita le sua ricerca su donne e scienza?
«Dopo l’esperienza di insegnamento alle casalinghe, ho seguito con passione per anni tutto quello che trattava di “donne e scienza”, interessandomi soprattutto alle biografie delle studiose, fino a quando, alla fine degli anni Novanta, mi è stata offerta dal Centro Eleusi - Pristem dell’Università Bocconi, l’opportunità di concretizzare i miei studi attraverso una ricerca sull’argomento. L’indagine, continuata all’Università delle Donne di Milano, ha prodotto tre risultati: la mostra Scienziate d’occidente. Due secoli di storia, il libro Scienziate nel tempo. 65 biografie, che ho realizzato insieme alla storica Liliana Moro e la rassegna di film Sguardi sulle donne di scienza».

Cosa la affascina di più nella vita di queste grandi donne?
«Mi ha affascinato la loro capacità di affrontare la ricerca nonostante non potessero ricevere un’istruzione adeguata: le porte delle università sono state chiuse per le donne fino al 1867, quando finalmente l’École Politecnique di Zurigo ha accettato l’iscrizione delle prime studentesse».

Quali tratti hanno in comune queste scienziate?
«Prima dell’apertura delle università, le donne che riuscivano ad affermarsi erano quasi sempre affiancate da una figura maschile molto importante - un marito, un tutore, un padre o un fratello - in grado di fornire loro l’istruzione che veniva negata dalle istituzioni. Come le coppie formate da Ipazia e dal padre Teone, dall’astronoma Caroline Herchel e dal fratello William, da Sofie e Tycho Brahe, o dai coniugi Lavoisier, fondatori della chimica moderna.
Le donne di scienza hanno mostrato un frequente interesse verso la divulgazione, che in epoche passate ha indotto a realizzare traduzioni o a compilare manuali e che più recentemente si esprime affiancando all'attività di ricerca l’impegno nella didattica. Ipazia di Alessandria, matematica e filosofa dell’antichità, commentò col padre Teone le opere di Diofanto, Apollonio, Tolomeo ed Euclide, la duchessa Margaret Cavendish, dama di scienza autodidatta, nel Seicento scrisse numerose pubblicazioni sulla filosofia naturale meccanicista, la marchesa du Châtelet nel Settecento contribuì a divulgare le nuove teorie di Newton traducendone i Principia, Mary Somerville nell’Ottocento tradusse e commentò tra l’altro la Meccanica celeste di Laplace, Margherita Hack da 40 anni ci dedica la mediazione del suo sapere specialistico, scrivendo libri di astrofisica che sono un esempio di come si possa fare divulgazione di argomenti complessi rendendo le cose semplici, senza banalizzare».

E per quanto riguarda il lavoro di ricerca?
«Hanno in comune pazienza e tenacia nel portare a termine ricerche che, prima dell'invenzione dei calcolatori, richiedevano lunghissimi tempi in calcoli precisi e laboriosi o in tecniche estenuanti. Ne sono un esempio i lavori delle équipe di sole donne che infaticabilmente e per decenni hanno lavorato ai due più importanti cataloghi stellari dell’800. In molte ricercatrici ho riscontrato anche una straordinaria efficienza nella operatività pratica, che spesso si è tradotta nella vera e propria invenzione e costruzione di nuovi strumenti, dal bagnomaria di Maria l’Ebrea, la più importante alchimista dell’antichità, fino alle apparecchiature accurate della fisica Chien-Shiung Wu, una delle scienziate del Progetto Manhattan che negli anni Quaranta ha portato alla realizzazione della bomba atomica».

Pazienza, tenacia, operatività pratica richiamano qualità domestiche da sempre attribuite al femminile.
«Però fanno risaltare, per contrasto, la genialità e il ruolo eminente che altre scienziate hanno ricoperto in diversi settori. Ricordo Emmy Noether fondatrice dell’Algebra moderna, Sonja Kovalevskaja prima donna ad ottenere una cattedra in università nel 1889, Rosalind Franklin che trovò le prove sperimentali della struttura a doppia elica del DNA, Lise Meitner che per prima ha interpretato correttamente il fenomeno della fissione nucleare o la Nobel Barbara McClintock che con le sue ricerche ha rivoluzionato la genetica classica».

L'associazione Donne e Scienza di cui fa parte vuole promuovere l'ingresso e la carriera delle donne nella ricerca scientifica: secondo lei c'e' discriminazione?
«Sì certamente. La discriminazione esiste ed è ben documentata dai dati mondiali. Oggi il rapporto tra donne e scienza è senza dubbio migliorato, ma molto meno di quanto si potrebbe pensare. Secondo il Rapporto Mondiale sulla Scienza elaborato dall’Unesco nel 2006, le ragazze sono ormai la maggioranza a raggiungere un diploma di scuola superiore (il 52%), ma la percentuale femminile si dimezza nei corsi di laurea a indirizzo scientifico. Le donne sono solo il 27% dei ricercatori e la scarsa presenza femminile ai vertici della ricerca è un dato oggettivo. Più si sale nella gerarchia scientifica e più la percentuale delle donne diminuisce. In Europa, per esempio, il 60% dei ricercatori in biologia è di sesso femminile, ma di questa maggioranza appena il 6% emerge a dirigere i laboratori che contano: è l'effetto “soffitto di cristallo”».

Quali sono le motivazioni che impediscono alle donne di arrivare ad alti livelli?
«C’è chi ritiene che i motivi siano tutti interni alla scienza: la sua struttura competitiva e la rigida organizzazione del lavoro indurrebbero le donne a ritirarsi dalla carriera, o per una scarsa attitudine alla disputa o perché penalizzate dal lavoro familiare. In molti casi, invece, le ricercatrici vengono deliberatamente scoraggiate dal dedicarsi alla scienza attraverso precariati più lunghi, paghe più misere e giudizi sprezzanti. Lo studio Figlie di Minerva, coordinato da Daniela Palomba nel 2001, ha analizzato i meccanismi di selezione interni alla ricerca in Italia e ha dimostrato che anche nel nostro Paese le istituzioni scientifiche usano due pesi e due misure per valutare la bravura femminile e maschile. E’ la conferma di un giudizio pubblicato sulla rivista Nature nel ’97 da due ricercatrici svedesi, che dimostrarono che per ottenere promozioni pari a quelle di un ricercatore, una ricercatrice deve dimostrarsi “2,6 volte” più brava. E’ anche ben documentato come la corsa delle donne spesso si arresti là dove inizia il principio di cooptazione maschile, ossia la tendenza degli uomini ad affiancare a se stessi altri uomini nei ruoli di potere».

Ha pubblicato due libri, Donne di scienza. 50 biografìe dall'antichità al duemila e Scienziate nel tempo. 65 biografie. Ritiene che questi testi possano servire ad avvicinare i lettori, e soprattutto le donne, alla scienza?
«Nei libri che ho scritto ho dato conto degli esiti dei miei studi senza ambizioni letterarie, con lo scopo di strappare dall’anonimato tante scienziate che non compaiono nei testi di storia. Sono convinta che sia stato utile anche per avvicinare le persone, e soprattutto le donne, alla scienza. Una disciplina vista attraverso la concretezza e la profondità delle biografie assume connotazioni nuove, più vicine alla sensibilità di chi legge, spesso poco incline all’astrazione e più curiosa di esperienze complessive e di scelte morali. Ritengo inoltre che presentare modelli positivi di figure femminili che si sono espresse nel lavoro scientifico possa permettere alle ragazze di immaginare con maggior naturalezza e disinvoltura una propria presenza nel mondo della scienza e della tecnica».
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TELEGIORNALISTI Michelangelo Iossa e il fenomeno Beatles di Valeria Scotti

Giornalista pubblicista, critico musicale, fondatore di un ufficio stampa e ricercatore universitario, Michelangelo Iossa ha collaborato con alcune delle più autorevoli testate musicali italiane: Jam Viaggio nella musica, L'isola che non c'era, Rockstar. Tra i maggiori studiosi italiani del fenomeno Beatles, ha dedicato alla band di Liverpool quattro volumi tra il 2003 e il 2006. Oggi è autore e conduttore di Area Cd, prima rubrica musicale televisiva prodotta in Campania, incentrata sulle recensioni di dischi e sulle produzioni discografiche italiane ed internazionali.

Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo del giornalismo?
«Ho iniziato a 19 anni quasi per gioco: divoravo giornali musicali, riviste su strumenti e ho sempre creduto molto nella critica musicale. E mentre oggi si dà molto spazio alla critica letteraria che mantiene un suo status, quella musicale è quasi sparita, anche perché le major discografiche investono molto in pubblicità, orientando così i gusti del pubblico e non lasciando troppi margini critici all’ascolto. La mia intenzione era dunque quella di fare il critico musicale. Ovviamente non sono stato accontentato subito: mi presentai alla redazione di Napoli Notte, testata gloriosa della mia città, che ogni mercoledì pomeriggio si riuniva, e lì ho iniziato come cronista. Ricordo in particolare due insegnamenti della caporedattrice di quel tempo: prendere il taccuino e scendere per strada a incontrare le persone e fare giornalismo sul campo; mai esordire un pezzo con l’intro “Nella splendida cornice di”».

Un impegno che hai conciliato brillantemente con gli studi.
«Sì, mi sono iscritto alla Facoltà di Scienze Politiche, laureandomi nel 1999. Non è stato sempre facile conciliare i due aspetti, ma con un po’ d’organizzazione ce l’ho fatta. Dopo un anno e mezzo di cronaca cittadina a Napoli Notte, ho iniziato a occuparmi anche di musica proponendo la rubrica Demo Tape: chiedevo ai musicisti professionisti e non di inviarmi i loro demo. In poco tempo la redazione venne invasa da musicassette. Si è trattato di un progetto interessante che mi ha permesso di entrare in contatto con il mondo live della città. Nel 1999 poi ho fondato, con la mia collega Francesca Capriati, l’ufficio stampa MFL Comunicazione e nello stesso anno ho iniziato a collaborare con L’isola che non c’era, testata che si occupa di cantautorato italiano, e con il mensile Jam, Viaggio nella musica. E’ arrivata da qui la proposta, nel 2003, di scrivere un libro dedicato ai Beatles ed è iniziato così un altro aspetto del mio essere giornalista musicale».

Sei infatti un grande estimatore dei Fab Four, nonché profondo conoscitore di ogni aspetto della loro carriera…
«I Beatles sono la bussola di questo mio percorso. Li ho conosciuti musicalmente quando avevo 6 anni, mi fu regalato un disco e per me fu un colpo di fulmine. Con gli anni ho collezionato molto materiale, nell’89 ho visto per la prima volta Paul McCartney a Roma e nel maggio nel 2001 sono riuscito a incontrarlo a Milano: è stato come chiudere il cerchio dell'intero percorso. Poi è iniziata l’esperienza come scrittore: nel 2003 è stato pubblicato The Beatles, di Editori Riuniti, a cui ho lavorato con il collega Roberto Caselli, libro che ha ricevuto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri il Premio della Cultura. Nel 2004, Editori Riuniti mi ha commissionato Le Canzoni dei Beatles: il primo testo italiano che analizza, canzone per canzone, tutti i brani dei Beatles, anche le cover da loro interpretate. Nel 2005, poi, c’è stato Gli ultimi giorni di Lennon per Infinito Edizioni, una sorta di lavoro di regia perché abbiamo voluto ricostruire i luoghi e gli spostamenti di Lennon. E nel 2006, sempre per Editori Riuniti, è uscito Le canzoni di George Harrison».

Un passione, quella per i Beatles, che manifesti anche come musicista.
«Verso i 14 anni ho iniziato a suonare le tastiere e, dopo esperienze in alcuni gruppi - gli Out e i Condom - dal 1998 sono partiti ufficialmente i concerti dal vivo con I Sottomarini. In Italia siamo la Beatle-band più longeva, senza cambi di formazione. Il nostro divertimento è quello di rifare i Beatles quanto più ci è possibile, ma ovviamente sono inimitabili».

Sei il volto e la voce di Area Cd, la rubrica di recensioni inserita all’interno del notiziario musicale May Day News del collega Gennaro Pasquariello che abbiamo recentemente intervistato. Come nasce il programma?
«E’ partito da un’idea di Gennaro. Abbiamo iniziato a lavorarci realizzando una puntata pilota per capire il linguaggio da utilizzare o come muoversi negli spazi. Abbiamo così deciso di occuparci per ogni puntata di due dischi – uno del presente, l’altro del passato - con uno spazio di un minuto e mezzo per ognuno. Il titolo, invece, si ispira a un programma che seguivo da piccolo, Super Gulp! Fumetti in TV, il primo ad aver portato proprio i fumetti in televisione. La scelta parte da un plafond di dischi che propongo, partendo dal presupposto di Duke Ellington, ovvero che non esiste la musica pop, jazz, funky, ma esiste la musica bella e quella brutta. Seleziono quella che io ritengo essere interessante, ne discuto con Gennaro e limiamo alcune scelte. Ci piace essere aperti, dare luce a quei dischi che potrebbero esser dimenticati o sottostimati».

Se tu dovessi delinearmi la situazione della discografia italiana?
«In Italia si combinano più fattori al negativo. Il disco viene considerato come un bene di lusso mentre il libro risulta essere un elemento di cultura, quindi viene tassato al 4% rispetto al 19% di un disco e non si capisce il perché. E' una cosa assurda visto che la musica è un patrimonio culturale. Spesso le canzoni parlano per un popolo, si può tracciare una storia d’Italia attraverso Sanremo, e c’è un Italia del boom raccontata da Modugno nella canzone Nel blu dipinto di blu. La forza della canzone è proprio la sua brevità che racconta comunque un mondo. La situazione della discografia italiana è purtroppo triste: negli anni 70 c’era la scuola cantautorale italiana con Modugno, Tenco; poi c’è stata la grande stagione di De Andrè, De Gregori, Dalla, sull’altro fronte Cocciante e Baglioni. Una stagione molto fertile e ben schierata dal punto di vista concettuale. E poi il trasversale Rino Gaetano, le grandi band di progressive rock o la musica più domestica. Oggi ci troviamo in una situazione paradossale: le parabole dei grandi cantautori stanno esaurendosi e non ci sono più punti di riferimento. Ma siamo fortissimi su altri territori come la dance o il jazz».

Cosa significa comunicare oggi?
«Comunicare in una realtà come quella di Napoli è forse più difficile. Nel caso della mia agenzia, la fortuna è stata quella di aprire quando non c’erano grandi realtà simili e oggi siamo l’unico ufficio stampa presente sull’Atlante della Comunicazione e nell’Agenda del giornalista. Ormai i tempi della comunicazione sono moltiplicati rispetto al passato. Si tratta di una comunicazione veloce che, allo stessa velocità, dimentica. Credo con il tempo si arriverà a una comunicazione che svilisce il profilo dell’autore, la cui presenza sarà ridimensionata: non sarà più un orientatore di gusti, ma solo una delle tante voci. Avremo una comunicazione con strumenti più leggeri fino ad arrivare a uno strumento unico. Un flusso non ben disciplinato, un’unica onda continua per cui varranno molto le passioni personali che permetteranno di selezionare quello che, in maniera informe, arriva attraverso la comunicazione».
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SPORTIVA Le Olimpiadi al via con lo spettro doping di Mario Basile

Meno quattro a Pechino 2008. L’attesa spasmodica ha già pervaso i cuori degli spettatori cinesi, con annesse file interminabili per accaparrarsi i biglietti, e aspetta di far breccia nei cuori dei telespettatori di tutto il mondo. Già inaugurato il Villaggio Olimpico, manca solo la cerimonia d’apertura che prenderà il via l’8 agosto alle 20,08. L’attenzione particolare dedicata al numero otto non è un caso: nella repubblica è infatti simbolo di fortuna e prosperità.

L’attenzione degli organizzatori, però, è rivolta non solo alla festa e alle gare. Il nemico da combattere è sempre uno: il doping. Ad oggi (fine luglio) sono dodici gli atleti trovati positivi ai controlli del CIO e che quindi salteranno i giochi. Tra essi, la nostra Marta Bastianelli, giovane promessa del ciclismo e campionessa mondiale in carica su ciclismo su strada, risultata positiva nei giorni scorsi ad uno stimolante. Lo sgomento e la delusione ha prevalso sulla linea difensiva della Bastianelli: «Ho preso quel farmaco solo per perdere peso». Niente da fare: per lei il "no" alle Olimpiadi.

Vedranno i giochi da casa per via del doping anche il ciclista Peter Riis Andersen, il velocista Julien Dunkley e le due mezzofondiste romene Elena Antioci e Cristina Vasiloiu. Il colpo più duro, però, l’ha subito la Russia che si è vista eliminare prima dell’avvio ben sette ragazze dell’atletica (Tomashova, Soboleva, Fomenko, Cherkasova, Pishchalnikova, Khanafeyeva, Yegorova) per “sostituzione fraudolenta di urina”. Un caso simile era accaduto alla nazionale bulgara di sollevamento pesi, di cui ben sei atleti erano risultati positivi ai test. Per questo motivo, da Sofia, è arrivato l’ordine di ritirarsi già prima dell’inizio dei giochi olimpici.

Insomma, se da una parte è quasi tutto pronto per la festa d’inizio e per sedici giorni di sport ad alto livello, dall’altra la lotta al nemico doping prosegue senza sosta. Tra un mese circa si tireranno le somme con la speranza di poter commentare vittorie e storie di sport che solo la magia di un’olimpiade sa regalare. Possibilmente pulite.
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