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Telegiornaliste anno IV N. 14 (139) del 14 aprile 2008
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Michelle Nouri, giornalista giramondo di
Giuseppe Bosso
Giornalista e scrittrice,
Michelle Nouri
nasce a Praga da padre iracheno musulmano e da madre cattolica. Dopo l'infanzia
trascorsa nella capitale irachena, si trasferisce nella Repubblica Ceca, Paese
d'origine della madre, poi arriva in Italia. Qui si dedica alla diffusione del
dialogo interculturale fra le due religioni oltre ad occuparsi di costumi,
società e culture dei vari Paesi del mondo. Conduttrice di alcune rubriche sulla
Rai, ha pubblicato l'autobiografia La ragazza di Baghdad.
Padre iracheno, madre ceca: due culture, due mentalità, due storie diverse. A
quale si sente più vicina?
«Decisamente a quella irachena, avendo vissuto gran parte della mia vita a
Baghdad. Poi, però, mi sono anche avvicinata alla cultura occidentale da quando
mi sono trasferita a Praga con mia madre e le mie sorelle. Ora, invece, mi sento
molto italiana».
La ragazza di Baghdad è la sua storia di ragazza cresciuta tra i
“salotti buoni” della capitale irachena al tempo di Saddam - parlando anche
delle attenzioni a lei riservate dal figlio Uday - e improvvisamente catapultata
in un incubo chiamato guerra. Cosa l’ha spinta a raccontare la sua esperienza?
«Non è stato facile decidere di raccontare la mia storia. Ci ho pensato davvero
tanto, ma i miei amici mi hanno molto incoraggiata. Alla fine ho capito che era
giusto raccontare quegli aspetti e quegli spaccati dell’Iraq che l’Occidente non
conosce. Certo, ho dovuto anche aprirmi, raccontare e mettere a nudo esperienze
personali, ma era inevitabile se si voleva fare un lavoro completo. Riguardo al
figlio di Saddam, è una piccola parentesi che comunque non riveste molta
importanza nel resto del libro. Quello che contava per me era dare una
rappresentazione di quella Baghdad e di quell’Iraq sconosciuti al resto del
mondo».
Qual è la sua opinione riguardo lo stato attuale della donna nel mondo
islamico?
«Certamente non positiva. Ritengo che la mentalità sia la stessa di
cinquant'anni fa, in Iraq come in Iran e in Afghanistan. Credo che siano
comunque le donne per prime a capire cosa fare, quali sono le battaglie da
combattere per contrastare una società ancora fortemente maschilista. Impegnarsi
in politica attivamente, secondo me, sarebbe un passo importante».
Dopo l’11 settembre è cresciuta nel mondo occidentale una sorta di "paura
dell’islamico" e una continua intolleranza. Ma chi, secondo lei, dovrebbe fare
gli sforzi maggiori per la promozione di una vera e propria cultura del dialogo
tra Europa, America e Medio Oriente?
«Dopo l’11 settembre si è sviluppata questa paura, e Bin Laden, i Talebani in
Afghanistan e altri aspetti del mondo islamico che l’Europa e l’America
ignoravano sono venuti a galla proprio in quel momento. Con gli attentati, il
terrorismo è balzato prepotentemente alla ribalta e al centro dell’attenzione,
raggiungendo quello scopo che si era prefisso. Per il resto, tante cose erano
sotto gli occhi di tutti, come la questione delle moschee in Italia, della quale
si è iniziato a parlare solo da qualche anno. La verità è che non c’è questa
volontà di venirsi incontro, ma ognuno cerca di sopraffare l’altro. Anche per la
questione israelo-palestinese è così: nessuno vuole la pace, ma soltanto
distruggere l’altro. La cosa più assurda è che sono profondamente convinti di
avere ragione».
La forte immigrazione straniera in Italia non sembra ancora essere riuscita a
creare una vera e propria società multirazziale come in Francia e in America.
Crede che queste resistenze potranno essere superate?
«E' molto difficile. A dispetto dell’immagine e dell’apertura internazionale che
il nostro Paese dice di avere, c’è ancora tanto da fare, sia da parte delle
istituzioni che dai cittadini. Avverto ancora molto razzismo - sia chiaro, sono
la prima a condannare atti criminali compiuti da extracomunitari - e poca
volontà di apertura verso gli stranieri di tutto il mondo che tendono ad essere
guardati sempre più con sospetto e diffidenza. Si identifica l’extracomunitario
con il delinquente e non si guardano gli aspetti positivi che invece ci sono.
Questa forte ostilità non favorisce certo la creazione di una società
multicolore, cosa che gli italiani non credo accetteranno tanto facilmente. Più
che altro, non sanno come si fa. Vogliono apparire internazionali e open mind,
ma in realtà esiste ancora tanto provincialismo rispetto le altre capitali
europee come Parigi, Barcellona o Londra. E questo tipo di conflitto generato
dalla perenne divisione tra il buono e il cattivo esiste persino fra gli stessi
italiani. Basta guardare il Sud e il Nord».
Non si è pentita di aver scelto di vivere nell’Italia del ministro che chiama
“gnocca senza testa”
Rula Jebreal?
«Assolutamente no. Ho l'impressione che quell’episodio, che comunque non ho
seguito, sia stato alquanto enfatizzato dai media. Io mi sarei fatta due risate.
Del resto si sa come ragionano gli uomini...». |
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CRONACA IN ROSA Quanti centenari al voto in
Argentina!
dalla nostra corrispondente
Silvia Garnero
BUENOS AIRES - La campagna elettorale è finita, e si impone
un'analisi di come si sia svolta, almeno per i voti all'estero.
In Argentina, come in Italia, sono sorti forti dubbi sulla
regolarità delle votazioni locali, che sono stati opportunamente
chiarificati tanto dal Consolato italiano a Buenos Aires che dall'Ambasciata.
I famosi "plichi in più" trovati nella ditta
responsabile della distribuzione delle schede, sono stati «bruciati»:
questa è stata la comunicazione ufficiale. La ditta, Andreani, ha fornito anche
la sua versione, separando la sua partecipazione come distributrice da quella di
stampa delle schede e dei plichi, che le sarebbero stati consegnati, già pronti,
dal consolato locale.
Ma i dubbi sull'irregolarità delle votazioni sono rimasti con
le dichiarazione pubbliche di quasi tutti i candidati delle forze politiche
locali, che, peraltro, rappresentano anche tutta l'America Meridionale, i quali,
al giornale Clarín
di Buenos Aires, hanno rivelato «la propria fiducia nel
controllo che fanno l'Ambasciata e il Consolato locale».
E' certo che ci sono molte persone capaci e serie in entrambe
le istituzioni diplomatiche. A me nemmeno viene il dubbio. Però, analizzando più
freddamente le modalità del voto, che si è svolto per posta, si possono
intravedere elementi che devono richiamare l'attenzione. Ciò sarà chiarito dopo
le elezioni, dal momento che, come hanno riferito a questo giornale alcuni
candidati di partiti o coalizioni diverse, essi chiederanno al nuovo governo
italiano «di fare accertamenti» in ordine alle modalità delle votazioni in
Argentina. Secondo quanto si sa, alcuni candidati avrebbero già presentato
denuncia all'Ambasciata, anche se al momento non intendono parlarne.
Come normalmente succede, è il giornalismo che si occupa di
segnalare tutto quello che non si riesce a capire.
E' un dato di fatto che per scrivere questo articolo ho
parlato con almeno sette persone tutte rappresentative, e segnalo un dubbio che
mi viene suggerito: quanti centenari ci sono nelle locali liste elettorali? E'
solo una svista nei controlli delle liste o è che l'Argentina può
davvero esibire centinaia di centenari in buon stato di salute e di voto?
Altra grande contraddizione: perché alcuni candidati
"aspettano" per denunciare le presunte irregolarità dopo le elezioni?
E ancora: perché molti di loro non hanno voluto
"coinvolgersi" denunciando pubblicamente le eventuali irregolarità durante la
campagna e quindi prima del voto? In qualche caso, può anche essere che
dopo si possa avere una maggiore rilevanza e appoggio politico. Ma in altri
casi, si può pensare che attraverso le eventuali denunce si spera di
incrementare la rete dei propri simpatizzanti.
In ogni caso, il voto per corrispondenza non convince
nessuno, anche se pochi lo dicono. Sarebbe ora che il nuovo Parlamento lavori
per abolirlo, passando ad un voto sicuro, la cui scheda venga depositata nelle
urne dei consolati, o forse un voto elettronico. Ciò permetterà ai votanti di
avere la sicurezza, a differenza di quello che avviene oggi, di depositare il
voto in una dipendenza diretta del Ministero dell'Interno italiano all'estero e
non in un ufficio postale privato o pubblico di un'altra nazione.
Ritornando al tema specifico di questo articolo sull'età
centenaria di alcuni iscritti nelle liste elettorali: avere 99 - 100 o più anni
non è cosa da tutti, in un Paese ove l'aspettativa di vita non supera i 76,6
anni per uomini e gli 80,24 per le donne.
Mi piacerebbe conoscere la ricetta di tanta longevità dei
votanti italoargentini che esibiscono tanta buona salute, tanto da essere ancora
iscritti nelle liste elettorali, che dipendono del Consolato di Buenos Aires.
Saranno vivi quelle centinaia di uomini e donne di
101, 100 e 99 anni? E' la domanda da un milione di euro!
E chi controlla che nessuno abusi di quei nomi per tirare
"voti al proprio mulino"?
Mentre molti si fanno queste domande in silenzio, noi le
scriviamo, perché soltanto con l'informazione si aumenta la qualità della
democrazia. Che non si alimenta col silenzio.
«Votare a nome di un'altra persona, senza dubbio si
tratterebbe di un reato», ha detto a
Italianos en América un importante funzionario
diplomatico, il quale ha anche assicurato che in quest'ultima elezione il
Consolato ha pulito le liste, eliminando 27.800 persone, decedute o trasferitesi
in altri Paesi.
Ma torniamo al dubbio iniziale sulle centinaia di anziani
centenari che potrebbero essere... elettori in questi giorni. Un'inquietudine
che condividiamo con alcuni candidati che difendono l'operato del Consolato: «La
colpa è dei familiari che non informano della morte dei loro congiunti». Dal
Consolato d'Italia a Buenos Aires, la risposta è che le liste si fanno
nell'Ufficio Elettorale del Ministero dell'Interno italiano, e che i Consolati
inviano numerose volte comunicazioni agli iscritti, i quali, se non rispondono,
vengono sospesi dall'iscrizione. «Sarebbe opportuno che in caso di morte, i
familiari informassero il Consolato», ci ha detto un funzionario dell'Ufficio
Elettorale.
Ma i centenari sono più di 300 nelle liste elettorali
e, anche se nessuno ha la colpa o, peggio, se la responsabilità «è solo dei
familiari dei presunti deceduti», quello che si dovrebbe fare è ispezionare in
modo completo tutto il processo d'informazione, che arriva dal Ministero
dell'Interno, e specialmente l'utilità del voto per corrispondenza, che
fornisce la possibilità, anche se forse non succede, di far votare terze persone
in nome del centenario, che eventualmente può essere già deceduto.
Sarebbe costruttivo se questo articolo facesse sorgere un
dibattito, soprattutto fra chi ha chiesto il nostro voto, col fine di generare
idee e progetti che favoriscano la trasparenza e l'opportuno cambiamento
nelle modalità delle elezioni all'estero. |
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Sandra e Raimondo ancora in tv di
Nicola Pistoia
Dopo 50 anni di vita insieme e di carriera,
Sandra e Raimondo sono ancora lì.
Stanchi, ammalati, estraniati da un mondo dello spettacolo a cui forse
non sentono di appartenere più, ma ancora vogliosi di far ridere la gente
come hanno sempre fatto per oltre mezzo secolo e come, forse, continueranno a
fare.
La coppia della tv più amata dagli italiani
festeggia 50 anni di vita matrimoniale e soprattutto spegne le 50
candeline di vita trascorsa davanti le telecamere, un record impareggiabile.
La loro ultima apparizione al Festival di
Sanremo, per ritirare il Premio alla Creatività della SIAE, ha senza dubbio
provocato in ogni telespettatore emozioni contrastanti. Da una parte, la
felicità di rivedere degli
attori straordinari che hanno fatto la storia
della tv italiana, persone che non hanno perso il sorriso e che hanno voluto
concedersi al proprio pubblico senza alcuna maschera. Dall’altra, un velo di
tristezza che stringe il cuore per un Raimondo Vianello dai capelli bianchi e
dal
volto incavato, segnato dal tempo che avanza.
E poi la sua Sandra tremolante, dal passo lento per paura di cadere. Un
fazzoletto bianco per asciugare le lacrime di commozione e per nascondere forse
il volto stanco che nessuno mai avrebbe voluto vedere. Una donna che ne ha
superate davvero tante, ma che rimane attaccata a quel filo sottilissimo che è
l’amore per il proprio lavoro e per il proprio pubblico.
A maggio verrà trasmessa la nuova edizione, la
19esima, della sit-com Casa Vianello, registrata prima che le condizioni
della Mondaini si aggravassero. Ed è di questi giorni la notizia che agli inizi
di giugno cominceranno le riprese di Crociera Vianello, una nuova serie
televisiva con protagonisti, ovviamente, Sandra e Raimondo.
Che sia l'ultimo lavoro prima di
congedarsi in modo esemplare? Ci auguriamo di no, e siamo pronti a salpare. |
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CULT Cortoons,
tra fantasia e realtà
di Sara Di Carlo
Dal 27 al 30 marzo, il teatro Palladium di Roma ha ospitato Cortoons,
il Festival Internazionale di Cortometraggi di Animazione. Giunto alla
sua quinta edizione, il Festival ha raccolto una selezione di corti animati
provenienti da varie parti del mondo.
Cos'è Cortoons? Un'ampia vetrina per produzioni, addetti ai lavori,
esperti del settore, artisti indipendenti e semplici amatori dell'arte
dell'animazione che hanno modo di esprimere la loro bravura. Quest'anno spazio
alla "teoria", attraverso diversi seminari riguardanti le varie tecniche
d'animazione, come ad esempio Flash - software molto in voga in Internet
- e incontri sugli effetti speciali nel cinema. Inoltre, ampio risalto alle
retrospettive dei vari festival internazionali con una selezione dei migliori
corti d'animazione.
Numerose le proiezioni che hanno incuriosito il pubblico, alla ricerca
dell'infinita fantasia degli autori. Tra questi, Max Fleischer e la sua
ringiovanita Betty Boop, icona delle pin-up anni Cinquanta. E poi un
concorso gratuito al quale hanno aderito numerosi artisti. Unico parametro
indispensabile per potervi partecipare: la creatività.
Quattro giornate costellate anche da ospiti musicali, come i Tre Allegri Ragazzi
Morti che hanno presentato il loro ultimo video in versione animata.
Un connubio, quello tra musica e animazione, che affascina sempre più.
Molti sono infatti gli artisti - Caparezza, Subsonica, Le Vibrazioni - che si
sono affidati alla regia e all'estro di Marco Pavone.
Ma Cortoons non è solo creatività "astratta". Anche quest'anno il
Festival è stato portavoce di Storia di Maryam, a cura della
Fondazione Pangea Onlus, progetto che prevede agevolazioni e migliori condizioni
alle donne e alle loro famiglie offrendo istruzione, educazione, assistenza
sanitaria, formazione professionale e microcredito.
La fantasia continua a far sognare grandi e piccini. E con Cortoons la
fantasia diventa quasi realtà. |
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DONNE Linda
White Terzani, un'identità a metà di
Federica Santoro
«Sono nata a Londra ma vivo in Italia da quasi trent'anni,
ormai. A questo punto non mi sento né straniera né italiana, sono una via di
mezzo con tutto ciò che comporta».
Linda White Terzani è nata in Inghilterra, ma dal 1969 vive a
Firenze dove si è trasferita dopo aver completato gli studi. Nel 2004 pubblica
privatamente il libro Lost Travellers - I viaggiatori dell’anima
presentato alla biblioteca del British Institute e alla FIDAPA (Federazione
Italiana Donne Arti professioni Affari) di Firenze. Nel 2006 riceve una
segnalazione d’onore al Premio Firenze, prestigioso concorso promosso dal Centro
culturale Firenze – Europa.
Si tratta di una suggestiva ricostruzione attraverso aneddoti
privati, curiosità e fotografie della vita trascorsa a Firenze di alcuni tra i
più importanti scrittori dell’Otto-Novecento.
Signora Terzani, come nasce l’idea di questo libro?
«Qualche anno fa mi capitò di leggere il diario di un autore
americano dell’Ottocento, Nathaniel Hawthorne. Come tanti scrittori americani e
inglesi, visse in Italia alcuni anni e scrisse un libro ambientato a Roma e a
Firenze. La sua fu un’esistenza molto travagliata, costantemente diviso tra
l’amore per il suo Paese d’origine, l’America, e quello per l’Italia. Molti
altri, come lui, vivevano questa condizione, ad esempio Dickens. Così mi decisi
a raccontare le loro impressioni sulla città, la loro quotidianità, i loro
amori».
Nelle pagine si incontra una Firenze misteriosa e
sconosciuta che prende forma dalle memorie degli artisti che l'hanno vissuta tra
la fine del Settecento e la metà Novecento. Come è riuscita a raccogliere in un
solo testo le loro diverse personalità?
«Ho sentito subito una certa vicinanza con le loro storie di
vita, il distacco e la difficoltà di non appartenere a nessun Paese, di non
sentirsi mai veramente parte di un popolo, e un continuo senso di estraneità.
Sono sentimenti che provo tutte le volte che faccio ritorno in Inghilterra. Ho
provato, potrei dire, una sorta di solidarietà che mi ha spinta, giorno dopo
giorno, a raccogliere notizie sulla vita di questi scrittori "maledetti" per
raccontare la loro tragedia personale».
Il suo essere "straniera a metà" le è stato più d’aiuto o
d’ostacolo per la sua carriera?
«Può fare comodo, ma forse costituisce un freno
nell’esprimere le mie opinioni, per esempio sulla politica, in quanto non vorrei
sembrare la straniera che pensa di avere tutte le risposte o la straniera che
viene qui a criticare».
Il libro è ricco di sue bellissime fotografie. Quando si è
accorta di questa passione? E' stato difficile essere riconosciuta come artista
in un Paese dove sono gli uomini ad avere tutte le attenzioni?
«Ho iniziato scattando foto di viali, mi affascinavano le
ville e i giardini, poi sono passata agli interni, e ciò che ho trovato è stata
un’atmosfera magica, impossibile da raccontare, perciò ho cercato di rubarla al
tempo fotografandola. E' diventato un lavoro quando, dopo aver visto le mie
foto, amici e conoscenti hanno cominciato a chiedermi dei servizi. Non ho
trovato difficoltà, in quanto donna, nello scrivere il mio libro ma ho avuto,
come tutti, difficoltà nel pubblicarlo. Credo che entri in gioco non l'essere
donna ma il fatto, purtroppo, che in questo Paese tutto dipende dalla politica o
dalle conoscenze. Devo però dire che il premio avuto per il libro è arrivato
senza né spinte né raccomandazioni».
Pensa a un seguito?
«Mi piacerebbe pubblicare presto una raccolta di esperienze
di stranieri famosi che vivono oggi in Italia, e che si sentono come adottati da
questa nuova ricca terra che li ha accolti. Un modo per far convergere passato,
presente e futuro alla scoperta dell’anima. Questo libro è stato come un viaggio
fatto anche dentro me stessa perciò potrei definirlo un work in progress».
Quale consiglio si sente di dare a chi volesse
intraprendere la sua strada?
«Forse il momento migliore della mia vita è stato quando
vivevo in un piccolo appartamento bohemienne nel centro di Firenze e mi sentivo
completamente libera, anche se avevo problemi economici. Lavoravo come ragazza
alla pari, poi ho fatto la commessa, l’insegnante e l’interprete. Un periodo "da
soli" lo raccomando a tutti i giovani. Fa maturare e resta un ricordo indelebile
per tutta la vita». |
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TELEGIORNALISTI
Pietro Pisano: vi racconto le
tendenze giovanili
di Valeria Scotti
Genovese, Pietro Pisano
è giornalista pubblicista dal 2004. Entrato a far parte del Gruppo Editoriale
l'Espresso nel 2001, oggi lavora per
Primocanale, la più grande rete privata televisiva "all news" d'Italia, dove
conduce i tg e cura Stasse??!!, rubrica interamente dedicata al mondo
giovanile.
Come nasce la tua passione per il giornalismo?
«Da bambino andavo nella casa di Voghera di mio zio Italo Pietra, fondatore de
Il Giorno, dove amava ospitare i vari giornalisti famosi del tempo come
Vittorio Emiliani, Gianni Clerici e altri. Avevo quindi la possibilità, quando
d’estate non c'era la scuola, di stare a contatto con queste persone
straordinariamente a modo con cui poi ho avuto la fortuna di tornare in contatto
molti anni dopo. Con Clerici, per esempio, ho lavorato a
Repubblica. E poi c’è stata l’esperienza di un giornale della scuola e la
lettura di sempre più libri».
Quanto sono utili i testi che vogliono insegnare a diventare giornalisti?
«Penso siano i più inutili in assoluto. In cinque anni di università non ho
mai letto un manuale perfetto di giornalismo. La mia esperienza è maturata per
la strada senza leggere libri del genere, semmai ascoltando la gente che questo
lavoro lo fa da tempo. La redazione di Repubblica, sia a Roma che a
Genova per esempio, mi ha sempre dato tantissimo consigliandomi di fare certe
esperienze, come quella di girare il mondo».
Dal 2007 fai parte della famiglia di Primocanale dove ti occupi di cronaca
e dei giovani. Quali sono stati gli esordi?
«Da anni ho una rubrica a Repubblica di Genova dove, oltre ad occuparmi
della pagina di cultura, scrivo delle tendenze giovanili. Cerco di regalare un
ritratto della città “alternativa” alla gente che non ne sa nulla. E così ho
trasposto questa esperienza dalla carta stampata alla televisione. Ad esempio ho
trattato della dimensione della musica elettronica, un movimento molto forte a
Genova e diventato importante anche a livello nazionale. Mi sono impegnato a
raccontare questo aspetto partendo dai locali dove la musica elettronica si
suona e parlando dei dj più importanti del settore».
Su Primocanale conduci la rubrica Stasse!!??: cosa significa
guardare i giovani con un occhio giovane?
«Primocanale è la televisione all news più grande del nord Italia: copre tutta
la giornata ed è gigantesca sia come mezzi economici che come struttura.
Infatti, poco prima che arrivassi io, hanno inaugurato la redazione nata da un
progetto di Renzo Piano. Quando la televisione ha deciso di coprire la fascia
d’età più giovane, è partita la mia rubrica, uno spazio di cinque minuti alla
settimana. Puntate dal tono scanzonato che vogliono assolutamente esagerare il
concetto di linguaggio rendendolo il più giovanile possibile. La rubrica è
curata nei minimi dettagli a partire dalle musiche, dalle interviste e dal
montaggio ad alti livelli grazie a Marco Scopesi, dj hip hop molto conosciuto a
livello italiano e mio alleato in questa produzione».
Giornalismo “itinerante” o giornalismo “da studio”?
«Ho la fortuna di lavorare in una televisione dinamica che mi ha lanciato
sullo schermo nonostante avessi poca esperienza. E’ stata una scelta coraggiosa
da parte loro che sono bravi a capire subito se un ragazzo è portato o meno. A
quanto ho capito, sembra che sia un trend nazionale: la gente purtroppo, in
questo momento, ha poco tempo per insegnarti quindi devi essere bravo e sveglio
in questa dimensione».
La rete è uno spazio dove si può fare un tipo d’informazione libera?
«Secondo me non è così semplice. Lo percepisco a livello regionale e, per quel
poco che faccio, anche a livello nazionale. Spesso e volentieri la cosiddetta
censura mette una pezza. Poi c’è un fenomeno tremendo in questi tempi che il
buon Chiambretti ha messo in evidenza: il discorso della marchetta. Tutto quello
che c’è in televisione non è casuale, ma frutto di un meccanismo che ha un
ritorno economico o di altro genere. C’è davvero poco spazio per la fantasia e
la spontaneità». |
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Simona Gioli, mamma vincente di
Mario Basile
Di soprannomi ne ha tre: Miss Muro,
Terminator e, ultimo in ordine di tempo,
Mamma Fast. Simona Gioli è una
delle stelle della nazionale azzurra di
volley. L’appellativo di Mamma Fast se
l’è guadagnato un anno e mezzo fa, quando ha dato alla luce suo figlio
Gabriele ed è tornata, praticamente subito, in campo.
E’ una tosta Simona. Per suo figlio non ha
esitato a fermarsi, tanto che alcuni pensavano che l’avesse fatto per sempre. A
chi glielo ricorda lei risponde con un pizzico d’ironia: «Se davvero l’hanno
pensato, si sono dovuti ricredere subito visto che dopo un mese ero già tornata
ad allenarmi…».
La dolce attesa, però, in termini sportivi le
era costata molto. Infatti l’ha tenuta fuori dalla finale di Champions League
di volley, conquistata e vinta dalla Colussi Perugia, la sua squadra di club.
Oggi quel traguardo l’ha raggiunto con la grinta e la determinazione che l’hanno
sempre contraddistinta. E soprattutto con una partita super che l’ha consacrata
miglior giocatrice del torneo e ha trascinato la
Colussi Perugia al bis nel trofeo più
prestigioso d’Europa. «Dal punto di vista sportivo – ha detto Simona subito dopo
il trionfo in Champions League – mi era dispiaciuto non essere protagonista
della vittoria di due anni fa, ma avevo un impegno molto più grande e più
gioioso da portare a termine. Da un anno a questa parte mi sto togliendo grosse
soddisfazioni. Speriamo continui così per gli appuntamenti futuri».
In un anno, infatti, sono arrivati due
fantastici successi con la maglia azzurra della nazionale: gli europei e
i
mondiali. A quest’ultima kermesse ha dato
il meglio di sé conquistando il titolo di
migliore giocatrice del torneo e
miglior muro.
A tutto ciò vanno aggiunti i trionfi ottenuti
con la Colussi Perugia: scudetto,
coppa Italia e coppa CEV. Mancava
all’appello la Champions League ed è arrivata. Non male per una che, un anno e
mezzo fa, doveva lasciare tutto e dedicarsi esclusivamente alla famiglia.
Simona non si ferma: c’è ancora molto da
vincere. Pechino, intanto, è dietro l’angolo.
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