Archivio indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva MONITOR Francesca Senette, garbo ed eleganza al Tg4 di Giuseppe Bosso Il Tg4 è ormai la sua seconda casa. E' qui che, nel 2000, Francesca Senette è approdata. Vincitrice di numerosi premi giornalistici e dopo un'importante parentesi come quella del rotocalco Sipario, è tornata alla conduzione del tg di Emilio Fede. Ti ha gratificato più la conduzione di Sipario o quella del Tg4? «Sipario è stata una parentesi temporanea che mi ha vista subentrare ad Elena Guarnieri, passata nel 2002 a Studio aperto. E' stata un'esperienza interessante che mi ha permesso di sperimentare linguaggi diversi e un diverso modo di pormi rispetto alle notizie e al telespettatore. Nel momento in cui non riuscivo più a gestire le due cose, ho optato senza alcun dubbio per il telegiornale. Mi sento un'animale da diretta, amo l'adrenalina che ti suscita quel contatto immediato con il pubblico e che difficilmente riscontri nel programma registrato. Però, in futuro, se mi si dovesse prospettare un'esperienza analoga legata anche ad altre tematiche, accetterei con entusiasmo». Come ci si sente ad avere Emilio Fede come direttore? «E' indubbiamente stimolante. Il direttore è esigente, impulsivo, umorale ma molto professionale. Grazie a decenni di esperienza, sa bene come impostare la conduzione del telegiornale: richiede infatti un certo stile nel modo di condurre. Il rispetto di certi punti fermi, che poi sono nel rispetto del telespettatore tipo del Tg4, per lui vengono prima della concertazione. Insomma, è un vero leader». Qualche anno fa, il vostro rapporto ha suscitato facili ironie, ad esempio da parte di Striscia la notizia con la vostra parodia... «Beh, per quel periodo era anche normale. Ero la più giovane telegiornalista, ragazza mediamente carina appena approdata in una redazione importante come la nostra e di conseguenza era facile ironizzare. Ma ormai parliamo di sette anni fa. Io sono ancora qui e con il mio lavoro sono riuscita ad ottenere molte soddisfazioni: una delle più gratificanti è l'aver ricevuto le scuse da quelli che mi avevano criticato all'epoca. Per quanto riguarda Striscia, non posso fare altro che ringraziarli per due motivi. Anzitutto, i loro fuori onda mettevano in evidenza la realtà del rapporto tra me e Fede, un rapporto sostanzialmente simile a quello che ci può essere tra un professore e un'allieva, al di là delle facili illazioni che si potevano fare. Già all'epoca ero felicemente fidanzata con l'uomo che poi è diventato mio marito e, essendo il primo entusiasta spettatore del tg satirico di Antonio Ricci, trovava divertente quella parodia. E poi Striscia mi ha permesso di acquisire visibilità anche presso il pubblico dei giovani che normalmente non segue il Tg4». Ti vedresti un giorno al posto di Fede come direttore? «No, assolutamente. Credo di avere altre doti: mi piace dare consigli, ovviamente se richiesti, e potrei ricoprire un ruolo di questo tipo riguardo alcuni aspetti della conduzione o della scaletta delle notizie. Ma non ho la capacità di saper gestire tutte le negatività che il direttore si porta appresso. E poi, un incarico di questo tipo, richiederebbe una mole di energia che al momento non ho. Ho comunque tanti anni davanti a me per imparare... chissà». Negli ultimi tempi, i tg sembrano incentrare l'attenzione soprattutto sui tanti casi di cronaca nera come quello di Perugia... «C'è modo e modo di gestire queste tematiche, ma purtroppo anche i telegiornali risentono di quelle che sono le aspettative degli spettatori. Forse la prima domanda da porsi è perché ci sia tutto questo interesse morboso rispetto a vicende che dovrebbero invece suscitare soltanto una grande compassione per chi le vive in prima persona. Questo sfrenato interesse del pubblico determina, di conseguenza, un accanimento del mondo dell'informazione su questi casi, ma ritengo che si possa riuscire con garbo ed eleganza anche a trattare questi temi senza cadere nel macabro». Molte tue colleghe, come Ilaria D'Amico, suscitano un grande interesse nel pubblico al punto da sembrare più donne di spettacolo che giornaliste. Come mai? «Penso che buona parte di questo dipenda da quello che la gente ricama addosso a te. La D'Amico, ad esempio, è sicuramente una grande professionista nel campo del giornalismo sportivo ma anche una persona che attira grande interesse se viene paparazzata con il suo fidanzato, mentre fa shopping o se viene criticata per la lunghezza del vestito che indossa in trasmissione. In questo modo assume una dimensione più da conduttrice che da giornalista nell'accezione tradizionale. Rimane il fatto che è una cosa che parte da fuori e non da dentro e non la ritengo tutto sommato negativa finché si riesce a mantenere quella professionalità e quello stile propri del mestiere. Come per Cristina Parodi che suscita curiosità ed interesse anche in altri contesti. La immortalano se partecipa ad eventi mondani, nella quotidianità della sua vita di coppia. Ma resta una brava e stimata giornalista». Parteciperesti ad un reality come hanno fatto le tue colleghe Rosanna Cancellieri e Paola Ferrari? «Assolutamente no. Mi è stato proposto di partecipare a due format di questo tipo, ma è una cosa lontanissima dal mio modo di essere. Che questo tipo di programma abbia contribuito a rispolverare una notorietà che si era forse affievolita è vero, ma tutti sappiamo più o meno gestire la nostra immagine come meglio crediamo. Io non giudico chi lo fa, ma io non riuscirei mai a stare lontana da mia figlia e dai miei affetti per così tanto tempo». Visitando il nostro sito, avrai notato come voi giornaliste rappresentate un sogno proibito per gli uomini, più di veline e vallette... «Forse questo ruolo ci conferisce una sorta di autorevolezza e di equidistanza che tende a creare una sorta di mistero che a voi maschietti, a quanto pare, piace. Ma interessa anche alle ragazzine, visto che gli ultimi sondaggi dicono che aspirano più a fare le giornaliste che non le show girls». Per la Mondadori curavi un blog in cui raccontavi le tue esperienze da neo mamma. Come mai? «E' nato tutto per caso parlando con la direttrice del mensile di psicologia Per Me della Mondadori. Mi propose di creare questo spazio in cui raccontare la mia esperienza di donna in carriera alle prese prima con la gravidanza, poi con la maternità. Ho constatato che erano tantissime le ragazze che mi scrivevano per chiedermi consigli su come affrontare l'esperienza del parto, i problemi del periodo successivo e tutti gli altri aspetti legati a questo momento meraviglioso. Ho abbandonato questa parentesi solo per la chiusura del mensile, ma per il futuro sto preparando un altro blog, di tipo differente. Noto infatti che la gente ha grande voglia di comunicare e sono contenta di poter contribuire anch'io nel mio piccolo». Se tua figlia Alice ti dicesse un giorno: "Mamma, voglio fare la giornalista", cosa le risponderesti? «Che se la mamma non ha santi in paradiso, difficilmente potrebbero esserci per lei! Scherzi a parte, il giornalismo è un mestiere molto difficile. Anche mia sorella, da anni, fatica passando da un contratto ad un altro. E' brava ma non basta. Non è facile affermarsi in un ambiente dove nessuno ti regala niente e ci sono molte raccomandazioni. Ma di sicuro non cercherei di condizionare Alice: nella vita è importante fare ciò che ci si sente. Lo è stato per me che, pur figlia di un giornalista Rai, non avrei mai immaginato di intraprendere la sua stessa strada. E' iniziato tutto per caso durante gli anni universitari. Mi ero imposta che se non avessi ottenuto il mio primo contratto entro i 25, massimo 30 anni, sarei tornata a seguire quella che era la mia aspirazione iniziale. Da laureata in scienze politiche, infatti, avrei collaborato magari con qualche ONG o comunque sarei rimasta sempre in ambito diplomatico. Ma poi mi ha chiamato Emilio Fede». In futuro potresti occuparti anche di altri aspetti del giornalismo al di là della conduzione televisiva? «Perché no? Il rapporto a due con il lavoro è come quello di coppia: va rinnovato giorno per giorno. Se si dovesse prospettare una nuova situazione, un nuovo tipo di collaborazione, non penso avrei problemi a cimentarmi, anzi avrei voglia di mettermi alla prova». C'è mai stato qualcuno che ha messo il bavaglio a Francesca Senette? «Non ancora e non credo capiterà l'occasione. Piuttosto, se devo proprio stare in un contesto "da censura", sto zitta io». indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva CRONACA IN ROSA Auguri! di Erica Savazzi Auguri. Una parola semplice, ma quanti pensieri può racchiudere? Auguri di Buon Natale, Auguri di Felice Anno Nuovo. Auguri. Un parola per tutti, una parola per tutte le occasioni, in quella sorta di ecumenismo o buonismo che comporta l'atmosfera natalizia. Che sia diventata un po' troppo consumistica? Ma è pur sempre Natale. Il momento di augurarsi buone cose, di leggere gli oroscopi del prossimo anno per cogliere una traccia di speranza, di fare progetti di miglioramento. E infatti, anche dal punto di religioso, cos'è il Natale se non speranza nel nuovo, nel futuro? Di certo senza speranza non si può vivere, quindi auguri a tutti voi, amiche lettrici e amici lettori. Che la speranza vi accompagni e che qualche desiderio o qualche progetto, alla fine, si realizzi. Ma soprattutto auguri a tutte le donne italiane e straniere, con un'attenzione particolare a tutte coloro che soffrono, dalle vittime di violenze in famiglia, alle profughe di guerra, alle discriminate in nome della religione, alle schiave del sesso, alle prigioniere dell'ignoranza. Iniziando dalla nostra Italia, con la strage silenziosa perpetrata da amanti e mariti, con i diritti ritenuti fondamentali – diritto all'aborto, diritto di avere dei figli sani, diritto ad avere un lavoro dignitoso e pagato il giusto, diritto all'autodeterminazione – messi in discussione. E infine auguri alle telegiornaliste e ai telegiornalisti che ci hanno accompagnato anche quest'anno con attenzione e simpatia. Auguri di Buon Natale e Felice Anno Nuovo, allora. Telegiornaliste vi aspetta il 14 gennaio 2008. indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva FORMAT Internet forever di Nicola Pistoia Quando non sappiamo più cosa guardare in tv, quando siamo stanchi delle solite trasmissioni, quando il nostro cervello ci chiede aiuto, è davvero arrivato il momento di spegnere tutto e andare a fare una bella passeggiata. Un'alternativa potrebbe essere internet, un luogo ove scoprire sicuramente qualcosa di nuovo e originale. E allora vi suggeriamo due prodotti davvero particolari. Il primo si chiama Ti voglio conoscere ed è il primo web reality italiano. Si tranquillizzi chi sta già torcendo il naso al sentire la parola "reality". Infatti non siamo di fronte al solito reality show. Ti voglio conoscere è un format ideato ad uso e consumo esclusivo degli internauti. Si tratta di un programma in cui il popolo del web può finalmente mettersi in gioco in prima persona e cercare la fama della ribalta globale, quella offerta dal web, il media universale per eccellenza. Il tutto in maniera gratuita. Per la prima volta il pubblico può interagire durante le varie fasi del reality: dalla possibilità di candidarsi alla scelta, attraverso i propri voti, dei protagonisti fino alla proclamazione del vincitore. Se siete interessati, le iscrizioni per partecipare sono aperte fino al 30 dicembre. Basta inviare un video consultando il sito www.tivoglioconoscere.it. Quanto al secondo format, immaginate per un istante di essere protagonisti di un vero show, o meglio ancora di essere proprio voi i presentatori. Oggi tutto ciò è possibile grazie a Bonsai - La tv che coltiva le tue idee, il nuovo canale di Alice Home Tv, la tv via internet di Telecom Italia e del portale Rosso Alice. Il nuovo progetto, online dallo scorso 15 novembre, si caratterizza per mini trasmissioni della durata di trenta secondi o al massimo un'ora. Piccoli programmi che vengono condotti dalla gente comune. Bonsai si rivolge in particolare ai ragazzi di età compresa tra i 15 e i 25 anni. Gli autori l'hanno definita «l'Italia1 del futuro». E a noi piace pensare che sia così. indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva CULT Randy Roberts, la mia casa è il palco di Valeria Scotti Cantante, compositore, arrangiatore in un universo di soul, blues, R&B e molto altro ancora. Randy Roberts, figlio di Rocky Roberts - interprete dell'intramontabile Stasera mi butto – non poteva avere un destino diverso. Perché la sua passione è il giusto tributo a un padre come il suo. Ma è anche l'entusiasmo di un ragazzo dalle qualità vocali indiscutibili, cresciuto con la musica e alla costante ricerca di nuove soluzioni sonore. Abbiamo incontrato Randy in un bar romano: una lunghissima chiacchierata quella che ci ha regalato. Quali sono stati i primi tuoi passi nel campo musicale? «Da piccolo non ero consapevole di saper cantare. C'era stata la possibilità di andare a studiare in un'accademia, ma i miei non mi ci mandarono. Poi, alla fine del liceo, un mio amico che aveva un gruppo musicale di soul music mi propose di cantare con loro. Sei mesi dopo, ero già nei locali a esibirmi. La prima volta che sono salito sul palco, mi sono sentito a casa. Nonostante io sia una persona che si crede abbastanza inadeguata in qualsiasi tipo di situazione, il palco è l'unica realtà dove non mi sento fuori posto. E dopo quella prima volta, ho continuato a cercare esperienze del genere. Ma non è solo il canto in sé, quanto la voglia di stare sul palcoscenico. Sono infatti legato a un pensiero di spettacolo dove, oltre a cantare, si balla e si parla con la gente». Come si cresce in una casa dove regna la musica? «Sono cresciuto seguendo naturalmente mio padre. E la musica è una passione non ragionata, ma che fa parte di me. Della mia infanzia ricordo soprattutto i concerti di mio padre. Per questo ho anche una percezione degli artisti diversa dagli altri. L'artista io l'avevo a casa: prima giocava con me, e poco dopo saliva sul palco dove la gente l'applaudiva. Per me l'artista è più di una persona comune, nel senso più bello del termine. Anzi, è qualcuno che necessariamente ti vuole bene. E gli artisti con cui sono cresciuto, oltre a mio padre, oggi sono dei veri amici perché mi hanno regalato tantissimo». Hai avuto importanti collaborazioni all'estero. Due nomi su tutti: Craig David e Phil Collins… «Sì, la collaborazione con Craig David è nata per caso. Una mia amica corista mi disse che cercavano un ragazzo che non fosse troppo nero e con una voce abbastanza delicata, simile a quella di David, per registrare dei cori che avessero un buon impatto sul disco. Quella è stata un'esperienza particolare e divertente. Ma quando ho avuto la fortuna di lavorare con Phil Collins, è stato tutt'altro, anche perché lo accomuno molto a ciò che era mio padre: un bambino che voleva fare musica con l'entusiasmo tipico di quell'età. E salire sul palco con persone del genere ti porta a fare musica benissimo. Per queste ragioni ti rendi conto che Phil Collins è un grande artista. E' stata un'esperienza forte dal punto di vista emozionale, esattamente come quando andavo a vedere un concerto di mio padre». Hai quindi lavorato, in ambito musicale, sia in Italia che all'estero. Quali sono le principali differenze che hai potuto riscontrare e perché hai scelto di fermarti in Italia? «Ho scelto di stare in Italia per una ragione extra lavorativa. Per lavorare bene, infatti, credo sia fondamentale stare bene come persona. L'Italia è un posto eccezionale e le persone sono sempre alla ricerca di una buona qualità di vita. Dal punto di vista lavorativo, però, qui è più problematico: si combatte con delle piccolezze che in altri posti non esistono. Per esempio la precisione negli orari, nell'attrezzatura richiesta. Roma, comunque, è un giusto compromesso. E' una città che, quando c'è il sole, viene veramente illuminata, più delle altre. Ed è una città "in mezzo", considerata all'estero e, sotto alcuni punti di vista, ti dà anche più mistero, più fascino e quindi opportunità». Secondo te, perché spesso in Italia, rispetto ad altri Paesi, la musica non viene considerata allo stesso livello dell'arte, della letteratura, e quindi esclusa dal concetto di cultura? «L'Italia è mondialmente riconosciuta come il Paese della melodia. Eppure il 99% della musica italiana non è melodica ma uno scopiazzare poco logico perché poi mancano le basi. E' come copiare il compito di matematica e all'interrogazione non sapere niente. Con Internet poi si vende di meno, non esistono più gli anni di Michael Jackson e del suo apice. Dovremmo quindi riscoprire il valore reale della musica. Probabilmente ci sono stati anche errori nel passato, come quando ho iniziato a cantare io. Era il momento clou dei locali. Si lavorava anche tre sere a settimana. Poi è cambiato qualcosa: i gestori dei locali forse hanno cominciato a scegliere musica scadente per un maggiore guadagno e le case discografiche non si sono più preoccupate di avere un prodotto di qualità, perché tanto si vendeva comunque. In realtà credo che siamo di nuovo in una fase di riscoperta. I locali cominciamo a essere di nuovo affollati, le scelte musicali più oculate. E pian arriveremo all'evento musicale accanto alla mostra di libri». I tuoi progetti attuali? «E' una situazione in fermento. Ci sono due progetti internazionali che si stanno muovendo a livello discografico. Il primo è con una grande etichetta, ci sono già delle persone importanti interessate. Appena scatterà la scintilla, partirà tutto velocemente. E' un progetto dove sarò esclusivamente interprete. Per ora mi prende molto mentalmente, ma poco a livello di tempo. L'altro progetto, invece, va di pari passo con la mia attività live. Si tratta del mio gruppo soul con cui mi diverto molto. Con loro posso lavorare in maniera rilassata ma comunque professionale, esprimermi liberamente dal punto di vista non solo vocale ma anche d'intrattenimento. Sono ragazzi svegli che capiscono che il loro ruolo è anche quello di stare dietro al cantante, cosa che non è sempre semplice. In questo caso faccio di tutto: scrivo i testi, compongo musiche, mi occupo dell'organizzazione. E' un progetto nu soul : di pezzi ne abbiamo già parecchi, ma stiamo lavorando per creare una nostra identità e non correre il rischio di fare vecchio soul. Una volta trovata la chiave, costruiremo tutto intorno a quella». In quanto figlio d'arte, quali sono gli insegnamenti che ti lasciato tuo padre? «La maggior parte delle cose le ho imparate da me perché sono una persona curiosa riguardo gli atteggiamenti, le azioni e reazioni umane. Ma sono stati anche tanti gli insegnamenti ricevuti da mio padre. Ad esempio mi ripeteva sempre "Cura il tuo corpo che è il tempio della tua anima". Non mi ha mai detto cosa fare e cosa no, perché non ha senso vietare qualcosa a una persona. Voleva che imparassi tutto da solo. Dal punto di vista musicale, invece, bastava osservarlo. "Se scendi dal palco e non hai sudato, non hai lavorato", diceva. Mi ha insegnato ad avere un grandissimo rispetto della musica e degli altri artisti, a prescindere se ti piacciano o meno. A non mentire alla propria persona. Non è importante dire una bugia a qualcuno che può sempre scegliere di crederti o meno, ma è fondamentale non dirla a te stesso. Conosco persone che mentono talmente tanto che si sono dimenticate qual è la verità e non hanno più il senso della realtà. Mio padre poi era un uomo tutto d'un pezzo: si alzava presto la mattina, aveva le sue giornate sempre ben organizzate, i suoi orari, le sue abitudini. Ci sono state grandissime litigate nel periodo dell'adolescenza. Qualche volta è stato duro vivere il nostro rapporto, perché l'incolpavo della sua assenza e del fatto di farmi vivere un'esistenza diversa dagli altri. Non ho mai vissuto, infatti, la condizione di essere comune in quanto figlio d'arte. Ma l'ho capito dopo che tutto era fatto per il mio bene. I miei sono stati dei genitori ottimi e devo moltissimo a loro. Ma mio padre, in fondo, è la mia famiglia. Parlo al presente perché lo è ancora e, nel momento in cui se n'è andato, mi sono reso conto che gli volevo veramente bene». - continua su Il blog di Telegiornaliste indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva DONNE Cristina Fernández de Kirchner, Presidente degli argentini dalla nostra corrispondente Silvia Garnero BUENOS AIRES - Cristina Kirchner ha giurato come Presidente innanzi ai deputati e ai senatori del Congresso della Nazione ed è diventata la prima capo di Stato eletta con voto popolare. Il Presidente si è commosso durante il suo primo discorso di insediamento - durato 53 minuti - nel quale ha fatto riferimento alle linee guida del suo governo: rinforzare la lotta in favore dei diritti umani e contro la povertà. Ha ringraziato Néstor Kirchner - suo marito e Presidente uscente - per tutto ciò che ha fatto durante i quattro anni del suo governo. Alla cerimonia erano presenti alcuni leader dell'America Latina, rappresentanti del resto del mondo ed ospiti speciali. Si è visto un Parlamento diverso da quelli di altre cerimonie simili. Era infatti rallegrato dalla presenza di militanti e dall'informalità del cerimoniale di giuramento. Anche perché non è comune che una coppia di marito e moglie concentri su di sé tanto potere e tanto appoggio popolare, almeno negli ultimi anni dopo il ritorno alla democrazia. La festa è continuata in Plaza de Mayo, dopo il giuramento dei nuovi ministri della Casa Rosada, con festeggiamenti e show popolari. Il Paese ha così un nuovo presidente. Senza dubbio un grande successo per la società tutta - che sostiene la democrazia - ma anche per le donne, non abituate agli spazi del potere. E' una grande sfida per Cristina, la depositaria del voto popolare, che dichiara di essere cosciente della responsabilità e del cammino storico che ha iniziato. Restano in attesa le riforme istituzionali, un'intensificazione della lotta contro la povertà, la sfide internazionali, in molti casi difficili da portare avanti. Il rapporto deteriorato con l'Uruguay a causa della disputa sullo stabilimento della cartiera Botnia. L'insistenza sulla sovranità delle Isole Malvine (Falkland) e un Mercosur che dovrà continuare a crescere. E addirittura il mondo occidentale, che la osserva in attesa. indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva TELEGIORNALISTI Claudio Caprara, la sfida di Nessuno Tv di Giuseppe Bosso Incontriamo questa settimana Claudio Caprara, direttore di Nessuno Tv, un progetto sperimentale partito nel 2004. Ci racconta gli esordi di Nessuno tv? «Questa emittente l'ho vista nascere un po' alla volta. E' stata una sfida faticosa e impegnativa che ci ha coinvolti giorno per giorno, soprattutto nel momento in cui, vincendo Berlusconi le elezioni del 2001, si avvertiva l'esigenza di dare spazio a quelle voci e a quelle fasce che non erano rappresentate adeguatamente nell'informazione tradizionale. E' stata il frutto di incontri tra esperienze e persone diverse». Come direttore di una televisione spiccatamente dedicata alla politica, qual è la sua idea riguardo il malessere e la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni, come ha dimostrato anche il successo di Beppe Grillo e del V-Day? «Paradossalmente ritengo che il V-Day sia proprio un'espressione politica. Non credo che ci sia sfiducia della gente, quanto voglia di un cambiamento vero. Una volta si sarebbe parlato di "pre-politica". Viviamo in un paese che, dal punto di vista sociale, il Censis ha definito "una poltiglia". Grillo si è fatto portavoce di un malessere, ma ha utilizzato gli strumenti tipici della politica per farlo emergere: le piazze, le manifestazioni, i meetup che sono le vecchie sezioni di partito. Compito dell'informazione è provare ad agevolare un riavvicinamento della gente alla politica e contribuire al raggiungimento di ciò. Del resto, quello che facciamo è riconosciuto dalla legge. Noi lo interpretiamo spesso come un servizio di pubblica utilità e ci spinge a trovare elementi di coesione tra il cittadino e le istituzioni». Che idea si è fatto della vicenda delle intercettazioni Rai-Mediaset? «Premetto che sono contrario alla pubblicazione delle intercettazioni, cosa che ritengo degradante per il giornalismo e per il Paese. Al di là di questo, credo che ciò che è emerso è solo una piccola parte di quella rete di "inciuci" che si è intessuta tra Rai e Mediaset dal 2001 al 2006. Comunque sia, una responsabilità pesante ce l'ha anche il sistema dell'informazione». Abbiamo da poco pianto la scomparsa di un maestro come Enzo Biagi. Ritiene che il giornalismo potrà avere una nuova figura come la sua? «Biagi rimarrà unico perché ha vissuto un secolo con i protagonisti della storia. Ha potuto interloquire con grandi personalità, tanto della politica quanto della società e dello spettacolo. Gente che ha segnato un'epoca che noi non vivremo più, proprio perché è cambiato il mondo, quel modo di concepire, ad esempio, lo star system del cinema, dello sport, della musica e della stessa politica. Biagi è stato un pioniere della multimedialità ed era uno dei pochi a maneggiare diversi media. Oggi abbiamo giornalisti globalizzati, bravi, ma tanti». Il successo di Nessuno tv si spiega anche con il fatto che è il pubblico, grazie alle nuove tecnologie, a diventare parte integrante del canale? «Indubbiamente sì. Certo, siamo una tv di nicchia che è partita con una grande voglia di sperimentare. Per esempio, un mese fa, abbiamo realizzato dai Quartieri Spagnoli di Napoli la diretta di uno spettacolo dei Teatri Uniti realizzato in un appartamento, cosa che ha avuto molta risonanza. Ecco, noi cerchiamo di puntare su quelle esperienze e quelle novità che altri non si possono permettere. In futuro daremo maggiormente spazio anche ai giovani, magari con una trasmissione incentrata su video realizzati da ragazzi con i cellulari, in cui racconteranno le loro esperienze e la loro vita». Si può dire, quindi, che Nessuno tv è soprattutto televisione sperimentale? «Sì, è questa la nostra principale sfida. Sicuramente è la politica la tematica principale di cui ci occupiamo insieme a tante altre cose. Per questo diamo soprattutto spazio a quegli aspetti e a quegli eventi che non si trovano, con questa ampiezza, da altre parti». Se potesse scegliere, quale giornalista vorrebbe nella sua emittente? «La nostra attenzione va principalmente a quei giovani in crescita che si spera, in futuro, riusciranno ad alternarsi a coloro che sono già affermati. Quanto al nome di un collega che stimo e che ritengo innovativo, dico Gianni Riotta. Da noi si divertirebbe più che al Tg1». indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva SPORTIVA Yvonne Buschbaum: basta con l'asta di Pierpaolo Di Paolo L'astista tedesca Yvonne Buschbaum, argento agli Europei 2002, ha deciso di ritirarsi all'età di soli 27 anni. La ragione di una scelta così prematura è insolita e molto privata: diventerà un uomo. La Buschbaum ha esordito con un bronzo agli Europei di Budapest nel 1998, poi agli Europei indoor del 2002 ha registrato il suo record personale, quel 4,70 metri che rappresenta il nono risultato mondiale di sempre. Dopo è accaduto qualcosa. Yvonne si stava allenando per Atene quando la sua vita è cambiata. Gli allenamenti, interrotti per un banale infortunio al tendine di Achille, non sono più ripresi. I problemi fisici si son collegati a un malessere psicologico che la Buschbaum covava da tanto, troppo tempo. «Ho vissuto come un uomo in un corpo da donna, non potevo stare bene. Nascondermi ogni anno mi ha causato tensioni e malessere, e alla fine mi sono bloccata». E ancora:«Per molti anni ho avuto la sensazione di vivere in un corpo sbagliato. Adesso sono felice di aver intrapreso questa strada e di sapere che presto sarò in pace con me stessa. E' normale essere diversi». Ritrovata la serenità, l'atleta ha una solo preoccupazione: che non si metta in dubbio la sua lealtà sportiva. «Tutte le mie medaglie sono corrette da un punto di vista biologico, non mi sono mai dopata. Adesso che mi son ritirata mi sottoporrò alla terapia ormonale necessaria e lo faccio solo per la mia serenità. Ho scelto di rendere pubblico questo passo affinché nessuno si senta ingannato. Sono consapevole di quanto questo sia un argomento controverso, ma proprio per questo non voglio nascondere nulla». Evidentemente la Buschbaum teme di essere associata alla terribile vicenda di Heidi Krieger, pesista della Germania orientale che, agli Europei di Stoccarda 1986, vinse l'oro attraverso l'assunzione di steroidi anabolizzanti. Le elevate dosi di ormoni maschili, che le furono imposti dalla federazione, crearono degli scompensi ormonali devastanti al punto che la Krieger dovette farsi operare e cambiar sesso. Oggi, a 42 anni, si chiama Andreas Krieger e deve fare ogni giorno i conti con un complesso e fragile equilibrio fisico e psicologico. Diversi sono ancora i precedenti assimilabili alla vicenda Buschbaum. Come la storia della velocista polacca Stanislawa Walasiewicz, campionessa olimpionica degli anni Trenta che morì tragicamente nel 1980 in una rapina. L'autopsia stabilì che era un uomo. Hermann Ratchet presentatosi col nome Dora alle olimpiadi del '36: arrivò quarto nel salto in alto ma fu squalificato due anni dopo. Renée Richards, nata Dick Raskind, iscritta agli Us Open nel 1977 e finita in tribunale, autrice di una biografia stravenduta in cui strilla diritti e medita rivoluzioni. La brasiliana Edinanci Silva, settima nel judo femminile ai Giochi del 1996, arrivata alla pubertà con entrambi gli organi sessuali e costretta a operarsi. Ma di questo o di altri casi analoghi, la Buschbaum non ama parlare:«E' già complicato così. Io voglio essere un uomo, non uno strano atleta da studiare». Eppure la Buschbaum, a modo suo, è un caso unico. Yvonne, infatti, non ha alcuna intenzione di combattere per continuare la sua carriera. «Il mondo dello sport è troppo piccolo. A me interessa una realtà più grande. Con i maschi non gareggerò mai». Del passato proprio non le interessa. Per lei inizia una nuova vita. indice della pagina: Monitor | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva |
HOME | SCHEDE+FOTO | FORUM | PREMIO | TGISTE | TUTTO TV | DONNE | INTERVISTE | ARCHIVIO |