Archivio indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva MONITOR Roberta Ferrari: un giorno farò la conduttrice di Giuseppe Bosso Conduttrice e giornalista televisiva, Roberta Ferrari si è occupata di calcio per diversi anni. Attualmente è ospite in varie trasmissioni Rai di servizio e attualità in veste di opinionista. Roberta, leggendo il tuo sito colpisce la tua considerazione sul fatto che, malgrado una gavetta ultradecennale, non ti sia arrivata la proposta che sogni: condurre un programma tuo... «È un mondo strano, quello della televisione: oltre alla bravura ci vuole anche fortuna e, diciamocelo, qualche spinta. Che io non ho mai avuto. È ovvio che se non sai fare niente non hai molte possibilità di andare avanti. Col tempo, comunque, posso dire di aver modificato la scaletta delle mie priorità: pur non trascurando la professione, adesso al primo posto vengono anzitutto i miei affetti, a cominciare dalla mia bambina». Parli di inflazione di donne che si occupano di giornalismo sportivo: rispetto ai tuoi inizi cosa noti di diverso tra le tue colleghe di allora e quelle di oggi? «La quantità, sicuramente, ma la qualità non è da meno. Se fino a poco tempo fa eravamo davvero poche, ora siamo aumentate. Ma quella frase non voleva assolutamente essere polemica». Il grande pubblico si è accorto di te nel momento in cui, con Stefania Sorrenti, avete formato le “gemelle del gol”: considerando il dilagare di intervistatrici in coppia (che, come dici, vi ha portato a prendere la decisione di separarvi), pensi che siete state buone maestre? «Direi proprio di sì. Marcati stretti, la trasmissione che abbiamo condotto insieme, era davvero tutta farina del nostro sacco. Ricordo che, quando facevamo le prime interviste con due “gelati”, ci guardavano in maniera storta, era davvero una cosa impensabile vedere due persone che intervistavano contemporaneamente fino a quel momento. Questo allora, e guarda adesso… Ci hanno copiato tutti! È anche per questo motivo che io e Stefania ci siamo, per così dire, “separate consensualmente”: il fatto che ci abbiano copiate dappertutto ci ha fatto perdere quell’originalità di cui andavamo fiere». Da laureata in psicologia con una tesi sul calcio, quale credi possa essere la cura per i tanti mali che affliggono lo sport più amato dagli italiani? (Ride, ndr) «Bella domanda davvero, è difficile rispondere. Io credo che prima di tutto occorre credere che lo sport sia tale, e non qualcosa da mercificare, come è accaduto negli ultimi anni; riscoprire quegli aspetti sani e genuini che la disciplina sportiva sa trasmettere, senza trascendere nella violenza e negli altri fatti negativi che abbiamo vissuto negli ultimi anni. E’ una cosa che nei giovani devono riuscire a trasmettere anzitutto le famiglie». Quali sono, tra i personaggi che hai intervistato, quelli che più ti sono rimasti impressi? «Anzitutto Luisa Ancelotti, moglie dell’allenatore del Milan, un vero vulcano! Si è sempre occupata del suo sport, il tennis, e non si è mai adagiata sui successi del marito, persona tranquilla contrariamente a lei… Rimasi colpita dalla sua passione per gli elicotteri, di cui è pilota, e per il fatto che in casa decide sempre tutto lei. Poi, beh, da quando lavoro a In famiglia ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere ragazzi che vivono il calcio in maniera sana ed equilibrata, senza grilli per la testa, contrariamente allo stereotipo, che talvolta i media tendono ad ingigantire, di calciatori protagonisti in discoteca o nelle cronache rosa, come Stendardo della Lazio». A Quelli che il calcio, tu e Stefania eravate le opinioniste “zittite” da Giusti - Biscardi, che non vi faceva mai parlare nella sua parodia de Il processo: nella realtà ti è mai capitato? «Per mia fortuna quasi sempre nei programmi a cui ho partecipato ho avuto i miei spazi ben definiti in cui potevo esprimermi tranquillamente. Gli uomini con cui ho lavorato non mi hanno mai, fortunatamente, “zittita”, come faceva, sia pure scherzosamente, Giusti. Viceversa, c’è stata una donna con cui ho lavorato in passato, non faccio il nome, con cui mi sono trovata veramente male da quel punto di vista, ma è acqua passata. Adesso per fortuna lavoro accanto ad una ragazza d’oro come Adriana Volpe». Tra il serio e il faceto: il programma che vorrebbe condurre Roberta Ferrari. «Sogno un programma come Uno mattina, una trasmissione di servizio che tratti argomenti utili e variegati per la gente, malgrado ti comporti delle levatacce al mattino… Chissà che non mi capiti prima o poi!». Da ormai un anno hai creato il tuo filo diretto con il forum di Telegiornaliste: che idea ti sei fatta della nostra iniziativa? «Mi piace molto, è stata davvero una bella trovata, anzitutto per questa possibilità di interagire con il pubblico che ti segue, e poi per avere modo di essere continuamente aggiornati su quello che fanno i tuoi colleghi. Insomma, complimenti davvero a Rocco e a tutti voi!». indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva MONITOR La Loiero scrittrice di Moreno Gussoni Un libro che colpisce al cuore, che racconta l’immigrazione e che ne presenta gli scenari tragici e di lieto fine con gli occhi di chi ha vissuto sul posto, e parliamo di Lampedusa, tragedie e gioie delle persone delle carrette del mare. Stiamo parlando di Sale nero – Storie clandestine, l’esordio letterario, come scrittrice di libri, della giornalista del Tg5 Valentina Loiero. E la brillante giornalista catanzarese, oggi in servizio a Roma, racconta con maestria il suo passaggio da giornalista indifferente agli sbarchi a cronista curiosa di andare oltre quegli sguardi: nei cuori dei clandestini. Il volume, chiuso da una intervista ad Andrea Camilleri, è un viaggio interiore della giornalista, ma anche un invito ai lettori a riflettere. Su quel che è e comporta il fenomeno immigrazione. La stessa Loiero è passata da una routine di cronaca a un coinvolgimento sempre più marcato, tanto da ospitare in casa sua le due Fatima (nel libro è omessa la scoperta che una delle due, inizialmente creduta morta, è in realtà sopravvissuta), e tanto da guardare con un misto di dolore, angoscia e speranza quel molo di Lampedusa dove approdano le carrette dei clandestini. Aperto dalla prefazione di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, il libro è quindi un diario delle storie (cinque) più importanti che hanno segnato l’animo della Loiero. Che concede poco alla bella forma e il massimo spazio a quei sentimenti che si agitano nel suo cuore e nella sua mente, riuscendo a far partecipe il lettore degli eventi di cui lei è stata testimone, a volte per caso, come per lo sbarco (il primo capitolo dedicato alle due Fatima) del 19 ottobre 2003. Dopo il confronto con le due Fatima, alla Loiero tocca l’incontro con Sayed, venuto a Lampedusa per recuperare il corpo della sorella Jama, 29enne morta cercando di raggiungere il sogno di una vita scevra da difficoltà e povertà. Segue un capitolo dedicato a una “mamma coraggio”, Mekdes, che ha più volte tentato il viaggio della speranza e in un tentativo ha visto il suo piccolo figlio partire tra le braccia di un altro clandestino, mentre lei ha dovuto attendere per rivedere il suo “Mosè”, così ribattezzato perché sopravvissuto al viaggio sull’acqua del Mediterraneo. Intenso e coinvolgente il racconto del confronto - scontro tra la Loiero e la famiglia del piccolo bimbo curdo Shorash. Ottima la resa del confronto tra la giornalista, il mediatore culturale, la famiglia e il cardiochirurgo Carlo Marcelletti. Un confronto aspro, a volte dai toni duri, tra una calabrese come la Loiero che vuole essere un angelo per questi stranieri, e la famiglia del bimbo, determinata nel suo Inshallah, nella volontà di Allah. Eppure l’incontro tra le culture crea, alla fine, la solidarietà e il reciproco rispetto: convincendo il papà curdo, Shivan, della bontà degli italiani, e la Loiero della capacità di essere di aiuto. L’ultima storia, la giornalista la dedica alla “tratta” dei clandestini dal centro di prima accoglienza ai luoghi dove servono, un racket in mano ai sudanesi che la stessa giornalista svela nel suo libro. Il libro si intitola Sale nero perché questi uomini e queste donne che arrivano dal nord Africa o dal Kurdistan iracheno sono sale per il futuro del mondo e rappresentano il ponte tra l’opulento continente europeo e i Paesi emergenti dove si soffre la fame. Questi immigrati, che sui barconi raggiungono le nostre coste, sono, per stare alle storie del libro, paradigmi di drammatiche vicende di un’umanità invisibile ma tremendamente vera, molto più dei tanto pompati reality. indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva CRONACA IN ROSA Guerre di liberazione dalla nostra corrispondente Silvia Garnero BUENOS AIRES - L'Italia è anche questo. Non potevamo sorvolare sulle mutue accuse che nascono dalle intenzioni - e dalle dichiarazioni - del leader della Lega Nord italiana Umberto Bossi, che continua con le sue idee separatiste e reazionarie. Uno stile che gli italiani conoscono da anni, e sopportano chissà perché. Il presidente della Camera dei Deputati italiana, Fausto Bertinotti, è stato contundente: ha accusato Bossi di «fomentare l'odio», quando in un atto pubblico ha parlato di dichiarare una «guerra di liberazione» per dividere il nord dallo Stato italiano. Bossi ha detto in quell'occasione: «La nostra libertà non può essere conquistata attraverso un Parlamento democratico, ma con uomini lanciati in una guerra di liberazione». Ha inoltre affermato di essere sicuro che per questa guerra avrebbe contato su dieci milioni di lombardi e altri abitanti del nord, specialmente del Veneto. Quando leggo questo tipo di dichiarazioni, ricordo la nota Oriana Fallaci, quando agli inizi degli anni Ottanta, in Argentina, fece ricordare a noi tutti che «avevamo un nano fascista dentro di noi». E aveva ragione. Non per quel "nano", che secondo me fu sconveniente, ma per la sua descrizione dello spirito fascista, che molti coltivavano, perché altrimenti una dittatura militare non si sarebbe sostenuta tanti anni (1976-1983). Ma tornando in Italia e pensando a "spiriti interni", mi domando se quell'ipotesi di un esercito di lombardi, pensata per dividersi dalla bella nazione e per seguire un leader che vuole "cannonate" per gli immigrati, non risponda ad uno spirito reazionario e poco aperto ai consensi. È pure certo che, nonostante tanto impeto di cambio e slanci, nelle passate elezioni la Lega Nord sia stata solo capace di riunire un milione e mezzo di voti, un 4,5% dell'elettorato nelle sue città più forti. Da sempre conosciuto per i suoi eccessi, Bossi questa volta è stato minimizzato dal suo principale alleato politico, Silvio Berlusconi, che ha affermato che il suo compagno «usa sempre un linguaggio colorito, ma nella pratica ha dimostrato un grande senso di responsabilità». Come ci si poteva aspettare, tali dichiarazioni sono state respinte da tutto il centrosinistra italiano, soprattutto dal presidente dei Deputati, il quale ha assicurato che quel linguaggio fomenta l'odio «in un Paese dove esistono già forti tendenze disgregatrici». Bertinotti, dirigente della Rifondazione Comunista, ha detto inoltre che in Italia c'è stata solo una guerra di liberazione vera: la lotta contro il fascismo. In questo modo, ha pure sfidato Berlusconi perché dica se è con questa classe di dirigenti che pensa a tornare al governo. Ma chi lo sa, Sig. Bertinotti, le lotte non finiscono mai, quando è il potere a fare parte del gioco. Cambiano solo i personaggi. Ed eventualmente gli stili. indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva FORMAT Gli orrori della Comunicazione di Nicola Pistoia La comunicazione, si sa, è un elemento importante per conoscere e sapersi confrontare, necessaria per il saper vivere e per il saper comprendere. Si parla molte volte di comunicazione giusta e sbagliata. Gli errori che la comunicazione commette, che noi commettiamo come artefici di un atto comunicativo, sono tanti. Talvolta simpatici, divertenti e leggeri. Altre volte invece possono generare perplessità in chi ascolta, e diventare, da errori, veri e propri "orrori". Belli o brutti che siano, gli sbagli della comunicazione vengono resi noti e argomentati, ogni giovedì, da Giuseppe Maria Galliano. Esperto di comunicazione, dal fiuto arguto e disfattista, ideatore e conduttore del programma Orrori di Comunicazione, che va in onda, dalle 20.00, sul sito Make Tv. Una web tv dove ogni telespettatore o internauta, 24 ore su 24, può partecipare alla creazione di un prodotto, modellandolo secondo i propri gusti. In Orrori di Comunicazione la gente segnala espressioni di giornalisti un po’ tarati, immagini assurde che vanno in tv, spot pubblicitari dal significato equivoco o semplicemente insegne di attività commerciali dai nomi buffi e spiritosi. Di orrori nella comunicazione, soprattutto quella televisiva, ce ne sono tantissimi. Alcuni esempi: le immagini pietose e insulse che arrivano dall'Isola dei Famosi, i bamboccioni di Padoa-Schioppa, i tronisti di Maria De Filippi e l'assurdità di alcuni spot, uno su tutti lo scoiattolo che spegne l’incendio emettendo gas. E ancora: i litigi pesanti tra politici vogliosi di apparire a tutti i costi nei talk show; i fiumi di lacrime che si spargono nei varietà di tutte le reti. Fino ad arrivare a gaffe simpatiche come la scuola materna dal nome Bulli e Pupe o lo spot delle Poste Italiane che termina con la frase «...su Poste.it» ma che invece si ascolta «Supposte.it». Cento, mille, infiniti errori che ci circondano. Il programma di Galliano ha un lato comico e divertente e un messaggio concreto: non bisogna lasciarsi imbambolare da certe espressioni o da certi messaggi che, inevitabilmente, tendiamo ad assorbire. La capacità critica e una buona dose di attenzione sono ottimi rimedi agli orrori della comunicazione. indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva CULT Le Cirque du Soleil parla italiano di Valeria Scotti Meno di un mese all'arrivo in Italia del nuovo spettacolo firmato Cirque Du Soleil. Delirium debutterà a Pesaro il 10 novembre. Poi sarà la volta di Milano e Torino. Balli acrobatici, movimenti aerei, suoni tribali e una forte connotazione multimediale per questo evento – il primo del Cirque du Soleil – destinato ad arene e palasport. Niente tendone quindi per i 36 artisti in scena. Tra questi, il percussionista quarantanovenne Raffaele Artiglieri. Unica presenza italiana sul palco – Napoli la sua città d’origine - è il creatore ed esecutore del numero Africa/Bour Mowote. Abbiamo incontrato Raffaele telefonicamente durante la tappa inglese, a Manchester, di Delirium. Qual è stato il suo percorso artistico? «Dopo aver studiato musica a Napoli sono partito per l’Africa. Grazie al Ballet National du Senegal ho cominciato ad avvicinarmi al ballo e alla musica africana. Poi mi sono trasferito in Canada dove ho partecipato, in un piccolo paese al Nord del Quebec, alla prima festa dal Cirque du Soleil prima che diventasse tale. Dieci anni fa, il primo grande lavoro: Dralion, la produzione con la maggior parte di artisti cinesi. E due anni e mezzo fa, è iniziata l’avventura di Delirium». Come si lavora con tante persone di nazionalità diverse? «La produzione di Delirium accoglie 17 Paesi stranieri. E’ necessario quindi conoscere l’inglese, la lingua ufficiale del Cirque. L’ambiente è bellissimo perché gli artisti sono fatti tutti della stessa pasta. I ballerini e gli acrobati sono tutti giovani e per questo un po’ più liberi rispetto a noi dell’orchestra che siamo padri di famiglia». Quella del circo è una vita nomade. E gli affetti? «Oltre a una figlia di 25 anni, ho una bimba di quattro mesi e mezzo ed è nata mentre ero in tournée con Delirium. Dopo venti anni insieme alla mia compagna, il destino ha voluto che avessimo questa bambina ora. E’ stato difficile per me lavorare lontano mentre era incinta. Fortunatamente lei e la bimba ora possono contare sull’aiuto della mia famiglia a Napoli, ma presto seguiranno con me il resto della tournée. Nei miei incubi temo sempre che mia figlia inizi a parlare o a camminare senza che io possa essere partecipe». Ci racconta il lavoro preparatorio per Delirium? «Di solito le prove di uno spettacolo del Cirque du Soleil durano dai sei mesi a un anno. Delirium è una delle produzioni che ha richiesto meno lavoro, solo tre mesi di prove a Montreal. Ma queste sono continuate anche dopo la prima data. Fino a oggi abbiamo contato quasi quattrocento spettacoli e cento città tra Stati Uniti, Canada, Messico. Insieme ai due milioni di persone che ci hanno applaudito». Secondo lei, l’Italia come accoglierà questo nuovo capitolo del Cirque du Soleil? «In Europa si è molto abituati al teatro e il pubblico è più colto, al contrario dello spettatore americano che si impressiona subito. Per questo motivo, temevamo la risposta durante le nostre prime tappe europee. Per fortuna lo spettacolo ha riscosso molto successo, ad esempio in Germania. Mi aspetto la stessa reazione in Italia, anzi migliore. Il trattamento poetico delle musiche, poi, è stato realizzato proprio da un italiano, Franco Dragone. L’Italia, si sa, ama la musica. Spero che allo stesso modo amerà Delirium e la ripresa dei brani più famosi dei nostri venti anni di circo». indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva DONNE Il bilancio di genere, strumento per le pari opportunità di Silvia Grassetti L’Unione Europea ha raccomandato agli Stati membri il gender budgeting come strumento di governo indispensabile per l’attuazione di politiche antidiscriminatorie nel 2007, anno europeo per le pari opportunità. Il gender budget, o bilancio di genere, è lo strumento che consente di distribuire la spesa pubblica secondo criteri di pari opportunità e di integrare la prospettiva di genere nelle politiche e nella programmazione di bilancio. L’adozione del bilancio di genere può rappresentare, dunque, l’occasione per raggiungere una piena cittadinanza delle donne, oggi negata dall’impari accesso e impiego delle risorse anche nell’organizzazione economica e finanziaria dello Stato. L’UE chiede ai governi eletti di rendere visibili le entrate e gli impieghi delle risorse pubbliche, rendendo così evidente il diverso impatto delle politiche sulle condizioni concrete di vita di uomini e donne. Secondo la sottosegretaria alle Pari Opportunità, Donatella Linguiti, oggi in Italia i tempi sono maturi per accelerare l’avvio di un processo che porti all’assunzione su scala nazionale della sperimentazione del bilancio di genere, per coniugare obiettivi di equità sociale e partecipazione democratica con obiettivi di crescita del sistema economico e sociale. In questa ottica, nei giorni scorsi ha avuto luogo il convegno internazionale “Il bilancio di genere in Europa: esperienze e prospettive”, che ha visto rappresentanti delle istituzioni nazionali ed europee confrontarsi sulle misure più adatte a favorire l’adozione del bilancio di genere nelle pubbliche amministrazioni. I lavori sono continuati in un tavolo di confronto fra il dipartimento Pari Opportunità e rappresentanti di alcune Regioni italiane, con il supporto tecnico della Fondazione Brodolini e dell’Isfol. La sottosegretaria Linguiti, che ha coordinato l’incontro, ha aperto i lavori illustrando il progetto sperimentale affidato all’ISFOL: un gruppo di lavoro studierà le forme normative più adeguate - il Lazio e le Marche si sono già dotati di una legge - e sarà affiancato da un’equipe che, partendo dall’analisi del Bilancio Nazionale del 2007, introdurrà scelte a favore del riequilibrio della spesa. Un terzo momento fondamentale della sperimentazione vedrà il coinvolgimento della società civile in una partecipazione attiva alla costruzione del bilancio di genere: un Tavolo di Rete, per avviare un percorso partecipato e condiviso dalle Regioni che, a loro volta, potranno attivare sul loro territorio momenti di scambio con Province e Comuni, oltre che con l’associazionismo, soprattutto di donne. Una convenzione, quella fra Isfol e dipartimento, già firmata e operativa che parte dalla valorizzazione dell’esistente e cioè di una rete già consolidata di alcune Province e Comuni (Genova, Modena, Siena) e di alcune Regioni (Marche, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio, Liguria) che hanno fatto da capofila per tutti gli altri. indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva TELEGIORNALISTI Maurizio Mosca: «Sapevamo tutto di Calciopoli, e allora?» di Pierpaolo Di Paolo Conduttore, opinionista e giornalista sportivo, il vulcanico Maurizio Mosca è uno dei volti più noti della tv italiana. Una popolarità conquistata prima sugli schermi delle tv locali lombarde e poi su quelli nazionali. Telegiornaliste l'ha incontrato per una chiacchierata sul mondo del giornalismo sportivo, sulla sua carriera e sul calcio: da sempre sua grande passione. Nel mondo della tv lei è certamente un "personaggio": la sua personalità esplosiva ed esuberante l'ha fatta considerare dal pubblico uno showman prima ancora che un giornalista. Trova questa idea lusinghiera o offensiva? «Non la ritengo affatto offensiva perché non è vero che la gente mi valuta soltanto da quel punto di vista. Io faccio l'opinionista e lavoro tanto. Lavoro a Guida al Campionato, a Studio Sport, la domenica sera a Controcampo, e lo faccio sempre con impegno e dedizione: che poi al momento mi venga di fare la battuta o la scenetta estemporanea, la faccio anche volentieri e non me ne vergogno affatto». Quindi non c'è un abisso tra la carriera del giornalista, del conduttore e quella dello showman. Ma sono davvero aspetti che riescono a convivere in perfetta armonia, facce intercambiabili di una stessa medaglia, o a volte son ruoli che si contraddicono un po'? «Certo che sono intercambiabili, sono caratteristiche proprie di chiunque lavori in tv. Oggi c'è un tale caos televisivo che io non sto certo a crearmi un problema di questo genere: faccio il mio mestiere come mi viene. Non sono più un ragazzino, penso di essermi costruito una carriera decente e sempre sulla mia pelle, lavorando 12, 13 ore al giorno o più e non ho nulla da nascondere né da rimproverarmi». I programmi televisivi mostrano immagini di un giornalismo sportivo spesso urlato, fatto di voci che si sovrappongono e litigate a volte farsesche: questo scenario può conciliarsi con le esigenze di professionalità che si richiedono alla categoria o pensa che bisognerebbe cambiare qualcosa? «E' oggi che succede questo. Quando facevo la tv privata o anche il Processo del lunedì mi veniva spontaneo intervenire, litigare, fare delle battute. Adesso è tutto costruito e a ciascun giornalista è assegnato un ruolo prestabilito: uno fa "la parte" del Milan, un altro quella dell'Inter, della Juve, del Napoli e così via. Si lanciano delle occhiate quando non sono ripresi per far capire a chi tocca parlare, chi deve gridare, quando bisogna litigare e questo a me non piace. Il mio giornalismo è altro. Io sono sempre stato uno che lavora con grande spontaneità, non ho mai recitato a comando, a differenza di quello che avviene oggi». Lei ha lavorato al Processo del lunedì fino al 2002, diventando amico e collega di Aldo Biscardi: il coinvolgimento di quest'ultimo nello scandalo Calciopoli ha per lei cambiato qualcosa? «No, assolutamente. Non mi è sembrata una cosa di grande scalpore e di certo la gente non le ha dato tutta questa importanza. Biscardi è un giornalista conosciuto così come è conosciuta la sua naturalezza e il suo modo di condurre il programma, e non credo minimamente che Calciopoli abbia inciso nella sua carriera o ridimensionato la sua immagine». Ma Calciopoli ha cambiato qualcosa nel mondo del giornalismo sportivo? «Non ha cambiato nulla. Tutti noi giornalisti sapevamo perfettamente cosa faceva Moggi, cosa faceva Giraudo e cosa facevano altri. Tutti sapevano tutto, poi per varie ragioni ognuno ha valutato più opportuno tenerselo per sé, ma questo è un altro discorso». In una recente puntata di Controcampo lei ha detto con un tono di scherno: «Ma chi è questo Hamsik?». Non pensa di aver snobbato troppo in fretta un calciatore che a soli 20 anni sta infiammando una piazza difficile come Napoli? «E' solo una battuta, questo è il mio modo di fare e in quel momento l'avrei detto anche di Ronaldinho. E' un modo divertente, sdrammatizzante di affrontare le questioni sportive, ed io ho la presunzione di averlo inventato, questo modo di fare sport. La Gialappa's, con grande onestà, ha sempre detto che L'Appello del martedì ha dato il la ad un nuovo modo di fare giornalismo: un giornalismo in grado di spettacolarizzare lo sport invece di renderlo noioso. Siccome a me viene naturale, io sono questo. Che poi piaccia o meno è un altro discorso». E' vero che all'inizio della carriera di Maradona in Italia un frase del genere offese Diego al punto da farvi litigare? «Mai litigato con Maradona, sia ben chiaro, quando ci vediamo scherziamo e parliamo normalmente. Certo lui è fatto in una maniera, io in tutt'altra. Io sono uno che quando pensa una cosa la dice, questo a volte può anche dar fastidio. Piuttosto a mio parere il vero problema è che intorno alla figura di Maradona c'è sempre stato, da parte degli intellettuali in generale, ma soprattutto da parte dei napoletani, un protezionismo eccessivo che ritengo sia stata la vera causa della rovina di Maradona a Napoli». indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva SPORTIVA Anche la politica gioca a scopone di Pierpaolo Di Paolo Lucia Correale: presidente dell'A.S.Co.V. (Associazione Scopone Comuni Vesuviani) e consigliere della F.I.G.S. (Federazione Italiana Gioco Scopone). Lo scopone scientifico è così diffuso che esistono una federazione italiana e associazioni locali sparse in tutto il Paese? «Sì, esiste una federazione nata dall'impegno e dalla passione di rappresentanti di tante associazioni, dal nord al sud Italia, tra le quali la giovane A.S.Co.V., di cui mi onoro di essere presidente. Esistono poi associazioni su tutto il territorio nazionale: partiamo da La Spezia e arriviamo a Lecce, con un punto forte in Campania, dove contiamo il maggior numero di associazioni, tra le quali anche la più antica, quella napoletana». Un'organizzazione imponente; ma perché lo scopone scientifico? Cosa c'è in questo gioco da giustificare un tale coinvolgimento collettivo che non si riscontra per altri giochi di carte? «Lo scopone scientifico è un gioco dal grande fascino, che impegna molto la mente e non ha nulla da invidiare ai più blasonati bridge o scacchi quanto a complessità strategica. A differenza di questi, lo scopone appartiene alla nostra tradizione e questo ci rende ancora più orgogliosi nel portarlo avanti. Per noi è soprattutto una questione di passione, intorno al tavolo di gioco si crea un'alchimia che solo in un gruppo di amici si avverte. C'è passione, impegno, sfottò, goliardia e delusione che sono il vero obiettivo del nostro impegno: rendere lo scopone momento di aggregazione e di amicizia». Ma come è possibile che con una organizzazione così ramificata ci si sorprenda nell'apprendere che esiste una F.I.G.S.? A cosa attribuisce questo deficit informativo? «Noi abbiamo fatto tutto ciò che era nelle nostre possibilità: dal punto di vista telematico, con il sito ufficiale della federazione, e il gioco online. Fisicamente, andando in giro per l'Italia con tornei e manifestazioni. E' ovvio che non abbiamo ancora la visibilità di altri sport, ma la federazione ha pochi anni di vita e siamo in continua crescita». Gli scacchi e il bridge sono stati riconosciuti quali giochi olimpici: ritiene che questa sarà la naturale evoluzione anche per lo scopone? «Certamente, ci stiamo muovendo anche in questa direzione esaminando la possibilità di una richiesta al Coni per il riconoscimento dello scopone scientifico come sport. In questo modo cadrà l'ultima discriminazione e avremo portato finalmente questo gioco al palcoscenico che merita». Vi sentite discriminati? «No, ma è anche vero che l'ignoranza di una realtà come la nostra porta a giudizi limitativi: lo scopone scientifico è un gioco italiano di grande tradizione, risalente al medioevo e codificato nel 1700 da Chitarrella, monaco napoletano che per primo ha messo per iscritto le regole del gioco. Sulla reale esistenza di questo personaggio non è stato possibile raccogliere informazioni certe: si dice che fosse cieco, secondo altri non è mai esistito e il suo libro sarebbe stato scritto da numerose mani: insomma, un Omero napoletano». Le donne e lo scopone: è un gioco prettamente maschile o esiste un rilevante coinvolgimento femminile? «Assolutamente. Qui, come in tutte le cose del resto, non c'è nulla di prettamente maschile. In questo momento i giocatori più forti sono uomini, ma la presenza di donne si fa sempre più imponente e la leadership maschile ha le ore contate». Ci sono personaggi famosi tra i giocatori? «Quella dello scopone è una passione comune a tantissimi personaggi famosi: sportivi, procuratori antimafia, uomini politici di spicco... Come non citare Pertini, Ciampi e sua moglie Franca, Andreotti, Oscar Mammì, Bearzot e Dino Zoff...». Intorno al tavolo da gioco si sviluppano intrighi e amicizie, successi e litigi: conosce qualche aneddoto interessante con protagonisti famosi? «Ce ne sarebbero tanti, ma trovo suggestivo l'episodio della partita giocata nel 1984 tra il presidente della Repubblica Pertini, il segretario del PCI Enrico Berlinguer, il ministro degli esteri Andreotti e il giovane Massimo D'Alema sull'aereo che li trasportava a Mosca per i funerali del capo del governo sovietico Andropov. Pertini e Berlinguer sfidano Andreotti e D'Alema. La contesa si rivela molto equilibrata ma ad un certo punto Pertini, che era tanto appassionato dello scopone quanto persona irascibile e giocatore scadente, compie un grave errore giocando una carta che favorisce gli avversari. D'Alema, sorridendo sotto i baffi, esclama: «Presidente, questa è proprio la carta che non avreste mai dovuto giocare!». La partita cala nel silenzio generale, con Pertini che schiuma rabbia per l'imminente sconfitta, ma soprattutto per l'impertinenza subita. Quando i destini sembrano decisi, accade l'imprevedibile: all'ultima carta Andreotti fa una giocata da principiante che capovolge il risultato, regalando l'insperata vittoria alla coppia Pertini - Berlinguer. Sollievo di Berlinguer e tripudio del presidente, che tutto tronfio dice a D'Alema: «Ne devi mangiare di fave ragazzo, prima di dare lezioni di scopone a me!». D'Alema guarda incredulo Andreotti, non capendo come il ministro possa aver compiuto un errore così grossolano, al che Andreotti gli sussurra: «Caro ragazzo, non si batte un presidente della Repubblica che si chiama Pertini e per di più dopo averlo sfottuto!». Una lezione di cui il giovane D'Alema ha certamente fatto tesoro». E' vero che nel famoso film Lo scopone scientifico con Aberto Sordi, il regista Luigi Comencini chiese la collaborazione di un vostro associato per preparare le mani e le discussioni tra i giocatori? «No, questa voce è infondata. Anzi, posso dire che nel film non viene riservato grande spazio all'aspetto tecnico del gioco, che avviene molto alla buona. Durante le partite vengono fatte prese assurde e scope impossibili, e probabilmente l'unico scopo del regista era evidenziare la faciloneria di Sordi che si faceva raggirare dai suoi avversari. Lo scopone non viene approfondito come il titolo del film lascerebbe supporre». Quando la vedremo a capo della F.I.G.S.? «Mai. Abbiamo un presidente eccezionale, l'avvocato Sebastiano Di Paolo, che col suo grande impegno e la sua dedizione ha reso possibile ciò che siamo adesso. Finché ci sarà lui alla guida della federazione non ho alcun motivo di nutrire velleità maggiori delle attuali». indice della pagina: Monitor (1) | Monitor (2) | Cronaca in rosa | Format | Cult | Donne | Telegiornalisti | Sportiva |
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