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Telegiornaliste anno III N. 22 (100) del 4 giugno 2007


MONITOR Iki e Gilda Notarbartolo, due gemelle all'ombra del Vesuvio di Giuseppe Bosso

Nate a Napoli, iscritte all'albo dei praticanti giornalisti, le gemelle Iki e Gilda Notarbartolo conducono il tg dell'emittente partenopea Canale 8.
Iki, Gilda, perché siete diventate giornaliste?
Iki: «Per passione e anche un po’ per caso. E’ stato un percorso naturale, nel quale però ci siamo trovate catapultate appunto casualmente. In famiglia scriviamo tutti, anche nostra sorella Tjuna è una giornalista e fin da piccole ci ha messo in contatto con il mondo della comunicazione, in particolare lavorando al Premio Letterario Elsa Morante, diretto da lei».
Gilda: «Infatti: proprio in occasione della cerimonia di premiazione della manifestazione culturale, lavorando soprattutto come addette stampa e di conseguenza curando contatti con molte televisioni e giornali, conoscemmo parte della redazione di Canale 8, che seguiva l’evento. Il primo in assoluto, non lo dimenticheremo mai, fu proprio il caposervizio Marzio Di Mezza».
Iki: «Fu così che poi ci chiamarono per un provino, colpiti soprattutto dal nostro essere così uguali, ed eccoci qui!».
Napoli è spesso, purtroppo, in negativo al centro delle cronache. Giovani giornalisti come voi possono essere protagonisti, in tal senso, di un segnale positivo di cambiamento?
Gilda: «Una corretta informazione è fondamentale, l’importante è non falsificare la realtà. Una valida informazione credo sia il primo passo per la costruzione di una realtà pulita. Io sono una grande idealista e credo sia indispensabile continuare ad avere fiducia nel prossimo e nel futuro».
Iki: «E’ questo che dobbiamo cercare di trasmettere. Noi troviamo giusto non soffermarci solo sugli aspetti negativi di una città problematica come può essere Napoli. Sappiamo bene che non è solo camorra e delinquenza, ha caratteristiche e ricchezze uniche. L’amiamo perché ha tanto di bello».
Sorelle e colleghe: quali sono i pregi e quali i difetti dell'essere sempre a contatto nel vostro lavoro?
Iki: «Il pregio maggiore è quello di non essere mai sola, di avere sempre un confronto diretto immediato, con qualcuno di cui ti fidi ciecamente, che innegabilmente ti dà quel pizzico di sicurezza in più».
Gilda: «L’altra faccia della medaglia diventa difetto: stando sempre insieme ci sono momenti di insofferenza, dato un rapporto intenso come questo, e a volte può capitare una minore concentrazione sul lavoro visto che sei sempre portata a pensare di avere due occhi in più».
Su cosa basate il vostro rapporto professionale?
Gilda: «Anche nella professione, il nostro rimane sempre un rapporto iper - personale. Sicuramente più complice rispetto a quello che possiamo avere con altri colleghi. Tra l’altro, essendo gemelle riusciamo a capirci immediatamente e spesso ci capita di sapere prima cosa pensa l’altra».
Iki: «Siamo due persone molto diverse».
Gilda: «Lei è più pratica ed amante della parte giornalistica più stretta del nostro lavoro».
Iki: «Gilda invece ama molto anche il montaggio personale dei servizi, dando quel taglio particolare che forse ci contraddistingue».
E' stata una vostra idea o una scelta della rete, quella di farvi condurre insieme il tg di Canale 8?
Gilda: «E’ stata una scelta editoriale che abbiamo accolto con molto entusiasmo! All’editore Lilly Albano è piaciuta l’idea della conduzione del tg da parte di due gemelle, una cosa originale. Siamo state molto spronate in questo senso».
Iki: «E non solo, dobbiamo dire di essere state anche molto fortunate nel trovare un ambiente che ci ha messo a nostro agio fin dall’inizio, dandoci carta bianca su molte scelte. Siamo molto grate al nostro editore, una vera imprenditrice coraggio!».
Gilda: «Credo che scelte e idee di questo genere siano prerogativa e qualità delle donne. E non dimentichiamo certo la nostra direttora Serena Albano e i nostri colleghi, coi quali ci siamo trovate subito molto affiatate».
Siete il volto della vostra emittente nella campagna di promozione del digitale terrestre. Come cambierà Canale 8?
Iki: «E’ stata la prima emittente italiana ad ottenere la concessione per il digitale terrestre, e da poco trasmette anche sul canale satellitare 934 del bouquet di Sky. Sicuramente cambierà non poco in futuro sia il nostro lavoro sia il modo stesso in cui il pubblico recepirà l’informazione mediatica, con l’utilizzo di queste tecnologie su larga scala».
Il futuro è in onda, è lo slogan con cui chiudete la campagna promozionale del digitale. E cosa c'è in onda nel vostro futuro?
Iki: «Molto giornalismo e sempre tanta passione nel farlo».
Gilda: «Da quando siamo anche sul satellite ci sono nuove produzioni di cui ci occupiamo, come il Tg Rosa, appuntamento ormai quotidiano. Ma anche completare il nostro percorso di studi, io in Scienze della Comunicazione e Iki in Lingue».
MONITOR Alessia Severin: giornalismo è responsabilità di Mario Basile

Nata a Treviso il 26 luglio 1977, Alessia Severin è iscritta all'Albo dei Giornalisti, elenco Pubblicisti dal 1999. Laureata in Scienze della Comunicazione, nel 1997 inizia la sua attività giornalistica presso la redazione dei notiziari di Antenna Tre Nordest. A partire dal 1999, oltre a condurre diversi programmi televisivi, presenta l’edizione serale dei tg di Antenna Tre Nordest e Telealtoveneto. Dal 2004 collabora inoltre con il Corriere del Veneto.
Quali sono gli aspetti più affascinanti del giornalismo?
«Mi affascina la possibilità di informare le persone: una grande responsabilità, ma anche un grande motivo di orgoglio. Mi affascinano poi la libertà e l’imprevedibilità di questo mestiere, la possibilità di essere al centro degli eventi, di viaggiare e di conoscere ogni giorno tante persone».
Hai iniziato quasi dieci anni fa. Dopo due, sei arrivata a condurre il telegiornale. E’ stata dura la gavetta in redazione? Oppure non la ritieni ancora conclusa?
«La conduzione di un telegiornale, a mio avviso, non è un punto d’arrivo. E’ sicuramente un’esperienza importante, che richiede preparazione tecnica e culturale, oltre che sensibilità e responsabilità nei confronti dei telespettatori. Il lavoro di redazione, di ricerca delle notizie, di contatto con le persone, è però, a mio avviso, più affascinante. Per quanto riguarda la gavetta, non so se dipenda dagli obiettivi e dalle ambizioni di ciascuno di noi, ma nel mio caso non è ancora finita».
Sei stata anche inviata, oltre che conduttrice del tg. Qual è il tuo ruolo preferito?
«La conduzione del telegiornale è impegnativa ma divertente, e soprattutto permette una grande visibilità. Solo nei servizi in esterna però si vive pienamente l'emozione, l’adrenalina, la creatività, l’imprevisto, la ricerca, il contatto con le persone, che rendono straordinario questo lavoro».
Qual è il tuo rapporto con il video? Sei tesa prima del programma? Hai qualche rito scaramantico?
«Credo che la confidenza con il video sia una sorta di attitudine innata. Sin da bambina, infatti, durante le recite scolastiche, giocavo a fare la presentatrice televisiva davanti a telecamere vere o finte. Quando poi sono andata in video per la prima volta ero molto emozionata ma non nervosa o particolarmente agitata. Ora, dopo quasi dieci anni, devo dire che mi sento tranquilla e a mio agio. Mai fatto riti scaramantici».
Nel nostro Paese le telegiornaliste stanno diventando sempre più popolari. Tra loro c’è qualcuna che stimi particolarmente? E tra gli uomini?
«Lilli Gruber, Cesara Buonamici e Cristina Parodi. Tre stili, tre modi molto diversi di porsi nei confronti del pubblico. Tre importanti esempi di giornalismo televisivo. Tra gli uomini, sicuramente Enrico Mentana. Ma anche Gigi Moncalvo, grande professionista che mi ha insegnato l’abc del giornalismo».
Sono parecchi gli utenti del nostro forum che ti seguono. Cosa provi ad avere così tanti ammiratori?
«Mi lusinga sapere che ci sono delle persone che tutte le sere guardano i miei telegiornali, che apprezzano il mio lavoro. E approfitto di questa intervista per ringraziarle».
CRONACA IN ROSA I nostri primi 100 di Erica savazzi

93 interviste a telegiornaliste, 73 ai loro colleghi uomini, 33 a personaggi del calibro di Livia Turco, Filippa Lagerback e Giulia Mozzoni Crespi; ogni settimana una panoramica su televisione, cultura, sport, e sul mondo femminile. Tutto questo è Telegiornaliste.
Oggi festeggiamo con voi lettori, con i professionisti dell'informazione e con gli ospiti che si sono concessi ai nostri microfoni i primi 100 numeri.
«Vogliamo parlare di giornalismo televisivo e di telegiornaliste, far parlare loro sulle nostre pagine di pixels. Vogliamo essere un punto di raccordo critico ed efficace fra la comunicazione sul web e quella via etere e farle incontrare nella dimensione di multimedialità che è diventata una loro caratteristica preponderante.
Vogliamo far crescere la peculiarità del giornalismo odierno: il feedback dei lettori e dei tele-ascoltatori. Creare un circolo virtuoso, e non soltanto virtuale, tra coloro che informano e chi viene informato».
Questa la dichiarazione d'intenti scritta dalla nostra Direttora il 18 aprile 2005, per l'uscita del primo numero di Telegiornaliste. Possiamo affermare che quegli intenti sono ancora oggi la nostra guida, pur essendo per certi versi andati oltre: sempre al centro del magazine restano il giornalismo televisivo e i suoi protagonisti, ma nel corso di questi due anni molte altre tematiche si sono aggiunte, per allargare la visione del lettore a una realtà che va oltre la mera celebrazione del giornalismo, ma per essere giornalismo in se stesso, con la visione del mondo tutta particolare di Telegiornaliste.
Ecco allora l’importanza delle rubriche che si sono affiancate nel tempo alle interviste ai giornalisti, ecco allora il tentativo di esprimere «un punto di vista femminile» sull’attualità, di raccontare storie di donne del passato e del presente, di celebrare i successi sportivi senza smettere di riflettere sugli aspetti meno nobili, di segnalare libri ed eventi culturali che sentiamo meritevoli di attenzione, di criticare, a volte in male, a volte in bene, la televisione del nostro Paese. Per arrivare infine al sostegno alle campagne per l’8x1000 e per Addiopizzo.
Lo diceva la Direttora in quel primo articolo, lo confermiamo oggi: il lettore e i suoi feedback sono essenziali. Finora con L'angolo del lettore nel forum, da oggi in poi con il blog ufficiale di Telegiornaliste.
Perché è bello raccontare il mondo e il giornalismo in prima persona. E dare spazio a chi ha qualcosa da dire.
FORMAT La bruttina che fa miracoli di Nicola Pistoia

In un panorama catastrofico come quello che sta interessando quasi tutte le reti tv nazionali, Italia1 propone, finalmente, un nuovissimo telefilm, che pare stia riscuotendo notevole successo.
Il nome è tutto un programma: Ugly Betty o Betty la brutta, in onda ogni venerdì alle 21.00. La storia è quella classica, semplice e genuina di un ragazza, Betty Suarez, figlia di immigrati messicani, bella solo dentro, grazie a un’intelligenza brillante, che viene assunta in una patinata rivista di moda perché è talmente brutta da non costituire una distrazione per il suo datore di lavoro, playboy incallito.
Betty vive insieme a suo padre Ignacio, la sorella Hilda e suo nipote in una casa tipicamente messicana. Ama mangiare, odia truccarsi e trascorre il suo tempo libero guardando le colorite telenovelas messicane. Nonostante la sua non bellezza, Betty riuscirà a trovare un ragazzo, ad accaparrarsi la simpatia dei colleghi e soprattutto la stima del suo capo Daniel.
La serie tv, che in America è stata seguita da oltre 18 milioni di telespettatori dando vita addirittura ad un fan club, ricorda molto le favole che hanno accompagnato l’infanzia di tutti noi, come Cenerentola o Il Brutto anatroccolo, fino al più contemporaneo successo cinematografico Il Diavolo veste Prada.
Ugly Betty, attraverso la simpatia della sua protagonista, vuole abolire gli stereotipi dell’essere belli per forza e si propone di dare una speranza a tutti coloro che, a prescindere dalla bellezza, contano sulla propria sensibilità e intelligenza.
CULT Telegiornaliste fa 100 di Valeria Scotti

Cento di questi numeri. Telegiornaliste taglia oggi il traguardo del centesimo numero.
Un lungo percorso, inaugurato il 18 aprile 2005 e che ha visto crescere, con cura e dedizione, il nostro settimanale dedicato al mondo del (tele)giornalismo e alle sue protagoniste.
Telegiornaliste festeggia, spegnendo 100 candeline. E per l’occasione lancia una nuova iniziativa sul web: parte oggi infatti il blog ufficiale, il nuovo spazio d’informazione e comunicazione per fare sentire la propria voce e dare una visione dei fatti ancora più aperta al lettore.
Il blog, che va ad affiancare il settimanale con una linea editoriale più dinamica, darà l’opportunità a tutti di prenderne parte inserendo commenti, spunti di riflessione e suggerimenti in tempo reale.
I lettori potranno, così, intervenire e partecipare in prima persona alle tematiche d’attualità che si alterneranno ai contenuti pubblicati dagli stessi redattori di Telegiornaliste.
Un’occasione per contribuire a dare uno sguardo nuovo e continuare a seguire le iniziative promosse dal nostro magazine online. Pensando già ai prossimi cento numeri…
DONNE Édith Piaf, mito del bel canto di Tiziana Ambrosi

La Belleville, portata alla ribalta dal Malaussène di Pennac, fu protagonista dell'infanzia di una delle più grandi chanteuse di Francia. Solo ai più attenti e agli appassionati il suo vero nome può dire qualcosa: Édith Gassion.
Una vita leggendaria, già dalla nascita. Il mito racconta che la madre la partorì per strada aiutata da un poliziotto, pochi giorni prima del Natale 1915. Dai quartieri poveri della Parigi
di inizio secolo, si trasferisce per parte dell'infanzia nel bordello della nonna paterna in Normandia.
Ripercorrendo le orme materne, Édith inizia a cantare per strada, per guadagnare quel tanto che basta per sopravvivere. Canta La Marsigliese, con la voce ruvida e inasprita dalla vita sofferente che già da bambina è costretta a vivere. La stessa voce aspra e ruvida, in seguito addolcita e modulata, sarà quella che la farà entrare, indimenticata, nell'Olimpo della canzone.
Appena diciottenne, Édith ha una figlia, Marcelle, che muore a soli due anni a causa di una meningite. La svolta per una vita tanto breve quanto drammatica arriva quando Édith incontra l'impresario Louis Leplée. Un'audizione al Gerny, e nel 1935 il debutto. La bellezza della voce di questa ragazza esile e fragile è un apprezzamento che corre di bocca in bocca. Molti dei personaggi di quello che oggi definiremmo lo star system non perdono i suoi spettacoli.
Arriva il primo contratto con una casa discografica. Leplée le cambia il nome, ricordando la sua figura minuta. Édith Gassion diventa Édith Piaf - passerotto nell'argot parigino - ed è la nascita del mito.
Durante la Seconda Guerra Mondiale Édith è contro la Francia collaborazionista, canta per i militari e nei campi di prigionia. Qui nasce la bruciante passione per l'allora sconosciuto Yves Montand.
Cantano insieme nei più importanti locali di Parigi, ma quando lui comincia a diventare un nome famoso si lasciano.
Nel 1946 la Piaf scrive le parole di quello che diventa quasi un secondo inno francese. La rinascita dopo la guerra, la voglia di ricominciare a vivere dopo i lutti, La vie en rose.
Nel 1948 Édith conosce il pugile Marcel Cerdan. Come tutti i suoi amori, anche questo è travolgente. La felicità si spezza presto, con la morte, in un incidente aereo, di Marcel. Édith cade in uno stato di profonda depressione, comincia a bere e a fare uso di droghe. Scrive e dedica all'amore perduto
Hymne à l'amour, che la proietta nel palcoscenico mondiale. Nonostante tutto, nessun rimpianto, Je ne regrette rien, melodia che, insieme con Le vagabond, Milord, La foule, è destinata a diventare un classico.
Una donna che canta l'amore è alla ricerca disperata dell'amore. Nella sua vita passano - spesso da lei lanciati - i più grandi chansonnier francesi: Aznavour, Bécaud, Constantine.
Nel 1961 Édith sposa Theo Sarapo, un altro cantante che lancia nel mondo artistico francese.
Il fisico esile, l'infanzia vissuta in povertà, gli stenti patiti ancora adolescente non l'aiutarono nella convalescenza da una forte broncopolmonite.
Una ricaduta la portò via nell'ottobre del 1963. Il suo corpo giace nel cimitero delle celebrità di Père Lachaise di Parigi.
In questi giorni il mito rivive grazie al film La Vie En Rose, diretto da Olivier Dahan.
TELEGIORNALISTI Paolo Giani: iniziare bene la giornata di Giuseppe Bosso

Nato a Roma nel 1956, Paolo Giani è giornalista professionista dal 1982. Conduce con Elisa Anzaldo, Luca Giurato ed Eleonora Daniele Uno Mattina, dopo averne condotto, nel 2002, l'edizione estiva con Sarah Felberbaum. Ha condotto tutte le edizioni del Tg1,tranne quella serale.
Come sta vivendo questa nuova esperienza a Uno mattina, di cui conduce gli spazi riservati al Tg1?
«Con il massimo impegno e anche con una punta di nostalgia, avendo visto crescere questo programma fin dalla prima edizione, nel 1986; è stata la prima redazione che ho avuto modo di frequentare al Tg1, dopo sette anni passati in una sede regionale della Rai. A Uno Mattina ho condotto le edizioni del telegiornale, e mi sono dedicato a reportages e collegamenti esterni. Ho anche condotto l’edizione estiva, nel 2002, con Sarah Felberbaum, una ragazza che, nonostante fosse giovanissima, mi ha colpito per la sua acutezza. Quest’anno ho risposto con entusiasmo alla chiamata di Riotta».
In questi ultimi anni Uno Mattina si è caratterizzata per un’ideale combinazione tra informazione e spettacolo, tra giornalisti e personaggi della tv: lei come affronta questa “commistione”, se così si può dire, tra intrattenimento e news?
«Da parte mia ho sempre cercato di fare informazione in modo meno ingessato dal solito. E’ bene distinguere tra serietà e seriosità: qualcuno fa confusione tra questi due termini, magari chi non riesce a non essere solo serioso… Secondo me è la seriosità che, in misura eccessiva, può non piacere al pubblico. Quindi, pur essendo inflessibile su rigore e professionalità, con Elisa cerco sempre di dare un po’ di brio alla conduzione, non disdegnando una battuta quando si può fare. Dai riscontri che ho, credo che la cosa venga apprezzata».
Che differenza riscontra tra condurre un tg e curare gli spazi di informazione di una trasmissione?
«In un programma come Uno Mattina hai maggiori spazi per muoverti e puoi anche dare spazio a una maggiore… “estrosità”, conducendo un tg non ci si può scansare troppo da atteggiamenti “classici”, e credo vada bene così. Anche se devo dire che molti colleghi, soprattutto colleghe, negli ultimi anni hanno trovato una maniera diversa dal solito di condurre le edizioni del tg».
E' essenziale il feeling tra colleghi per ottenere buoni ascolti?
«Assolutamente sì, e penso che Riotta abbia orientato le sue scelte proprio tenendo conto di questo, oltre che ovviamente tenendo conto delle capacità professionali di ognuno di noi; Luca Giurato è un amico che conosco da una vita, Elisa da circa una decina d’anni e posso dire che l’affetto è lo stesso. Eleonora Daniele è stata una piacevole scoperta, siamo subito entrati in sintonia e del resto è come la vedete in tv, solare e spontanea, per cui l’affiatamento con tutti è ottimale».
Dopo la vicenda Mastrogiacomo, e gli altri casi di sequestro di giornalisti di guerra, pensa che bisognerebbe limitare la libertà di azione dei colleghi?
«Il giornalismo è un mestiere bellissimo, ma anche pieno di rischi: non ci sono alternative, se vuoi fare un’informazione completa e reale, devi andare a toccare con mano quello che poi vuoi raccontare. Lo sapeva benissimo Daniele e lo sanno tutti i colleghi che si recano in quelle zone.
Penso che sia fin troppo facile limitarsi a fare le corrispondenze chiusi nella tranquillità di una stanza d’albergo, quindi sono sicuramente dalla parte di quei colleghi che, pur tra mille pericoli, cercano di portare nelle case della gente un’informazione completa ed esauriente».
OLIMPIA Come sta il nostro calcio? di Mario Basile

Si è chiuso una settimana fa il primo Campionato di Serie A post Calciopoli. Il primo senza la Juventus, vinto dalla corazzata Inter, e che ha chiuso la favola del Chievo, tornato tra i cadetti.
Qui, la lotta per la promozione ha visto la Juve riappropriarsi della serie che le compete, e due nobili decadute quali Genoa e Napoli a un passo dal ritorno nel calcio che conta.
Fiumi di parole sono stati versati sulle disquisizioni tecniche, altrettanti su quanto è accaduto circa la gestione degli eventi calcistici.
I tragici fatti di Catania sono ancora una ferita aperta, sia per il nostro calcio che per la nostra società, con il governo costretto a risolvere in fretta e furia un problema antico e delicato quale la sicurezza negli stadi.
Ci vuole il pugno di ferro si disse, e così è stato. Via ai tornelli e agli stadi messi a norma in tempi record. Alle partite senza tifosi e alla pesante, ma giusta, ingerenza dell’Osservatorio del Viminale sull’organizzazione delle partite, quasi come se si fronteggiasse il pericolo di atti terroristici.
Una grave situazione, che ha certamente contribuito alla mancata assegnazione degli Europei del 2012. Pazienza, almeno la violenza è uscita fuori dal calcio. Non importa se non si lavora attivamente sulle menti dei tifosi di oggi e di quelli di domani ripetendo il vecchio slogan Lo sport è rispetto, rispetta lo sport: la linea dura paga, e dovremmo essere tutti più felici.
Invece non è così. Se la tragedia di Catania fu una sconfitta per il nostro calcio, lo sono anche le trasferte vietate ai tifosi ospiti, le partite in notturna negate per il rischio di incidenti e quelle giocate a porte chiuse per motivi di ordine pubblico, gli striscioni banditi dagli spalti. Quindi, giusto tenere sotto controllo la situazione anche con metodi drastici, ma senza mettere da parte la speranza di non dover più ricorrere ad essi: grazie all’insegnamento di valori come il rispetto e la civiltà.
La violenza nel nostro calcio, intanto, è rimasta anche dopo l’attuazione del pugno di ferro. Lo sa bene il governo che, per gli assalti di “pseudotifosi” giallorossi prima e dopo Roma - Manchester di Champions League, ha sfiorato l’incidente diplomatico con quello inglese. E lo sa bene, suo malgrado, il povero tifoso romanista picchiato a San Siro qualche settimana fa. Lui, diversamente abile, si è visto malmenare da una quindicina di delinquenti solo perché stava festeggiando la vittoria in Coppa Italia della sua squadra del cuore.
In questo senso anche i giornalisti si sono trovati in momenti difficili. A marzo Antonio Di Donna, venticinquenne commentatore delle partite del Foggia Calcio, in occasione della trasferta di Manfredonia, finì in ospedale con un trauma cranico dopo un'aggressione da parte di alcuni tifosi locali. A loro avviso aveva salutato con troppa soddisfazione una rete del Foggia nel match di andata.
Un episodio simile è capitato una decina di giorni fa ai cronisti partenopei che seguivano la trasferta del Napoli a Verona. Al secondo gol degli azzurri, alcuni scalmanati hanno reso impossibile il lavoro di cronaca con minacce, sputi e lancio di bottigliette, infischiandosene della magra figura che hanno reso all’intera tifoseria veronese.
Se tutti ragionassero in questo modo, non osiamo immaginare cosa avrebbero fatto i tedeschi al buon Caressa ai gol di Grosso e Del Piero nella semifinale dei mondiali.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole. Purtroppo.
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