Homepage di www.telegiornaliste.com
HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO

Archivio
Telegiornaliste anno II N. 23 (55) del 12 giugno 2006


MONITOR Blini, dai giornali scolastici a Mediaset di Filippo Bisleri

Lucia Blini è il volto della redazione di Controcampo, il programma sportivo della domenica sera condotto da Sandro Piccinini. Ma Lucia è anche una bravissima professionista, capace di realizzare servizi di grande valore e intensità oltre a curare, con arguzia e senza mai cadere di tono, qualche pagina più di "colore" per il settimanale cartaceo Controcampo. E non dimentichiamo i servizi e le conduzioni per StudioSport.
Lucia, come hai scelto di fare la giornalista?
«Ho sempre sognato di fare la giornalista e di occuparmi di sport. Negli anni delle scuole medie tenevo un diario e annotavo tutte le mie riflessioni e i miei commenti in merito agli avvenimenti sportivi che seguivo, quasi sempre alla tv. Sono sempre stata una grande appassionata. Ho ancora vecchi quadernetti con risultati, articoletti corredati da foto ritagliate dai giornali sui tornei di tennis di Wimbledon e Flushing Meadows, anni 1982-83 e seguenti. I grandi eventi, in modo particolare, mi esaltavano. Così ho chili di appunti e impressioni sui Giochi Olimpici di Los Angeles 1984, sui Mondiali di calcio e altri ancora.
Al liceo, poi, ho cominciato a mettere in pratica la mia passione, scrivendo sul giornale della scuola. Ovviamente nelle pagine sportive. Mi occupavo di intervistare i giocatori dell'Atalanta, quelli più a portata di mano. Mi sono poi laureata in Giurisprudenza e quindi ho frequentato l'Ifg, la scuola di giornalismo dell'0rdine lombardo».
Cosa ti piace di più della professione giornalistica?
«Sono molto curiosa, il che non sempre è un pregio. Comunque questo lavoro mi permette di soddisfare la mia curiosità: sono sempre informata su tutto quello che succede in giro per il mondo. Naturalmente non tutto mi interessa in eguale misura, ma riesco sempre a tenere viva la mia voglia di sapere e di conoscere».
Cosa significa essere una telegiornalista sportiva di valore nazionale?
«Significa avere il privilegio di poter seguire eventi di portata mondiale, di poter incontrare campioni di valore assoluto, provare emozioni forti. Per chi ama lo sport è un grosso dono».
Hai una preferenza per il giornalismo televisivo o ti piacciono anche altri media come la carta stampata o le radio?
«Ho grande interesse per tutto ciò che è comunicazione. Un forte amore per la tv, che ha il pregio di unire l'immagine alla parola. Un buon testo vestito di ottime immagini, magari con una base musicale, può diventare un gioiello che entra nelle case di chi guarda e ascolta e può andare dritto al cuore».
Nella tua esperienza professionale hai un servizio, un personaggio o un'intervista che più ricordi?
«L'Olimpiade è l'evento che più ti lascia il segno. Un'esperienza unica che non può essere paragonata a nessun altro avvenimento sportivo. Per tre settimane vivi su un altro pianeta, immerso in mille gare da seguire, mille personaggi da conoscere, mille gesti da ammirare. Come singolo evento mi piace ricordare un match di pugilato di Mike Tyson a Memphis. Un clima pazzesco, molto americano, così diverso dal nostro».
Puoi raccontarci un episodio curioso della tua vita professionale?
«Ricordo un'intervista a John McEnroe. L'attesa è durata sei ore, durante le quali avevo ben studiato il discorsetto: Vabbè che sei McEnroe, che sei stato uno dei più grandi di sempre, però tutte queste ore di attesa per avere dieci minuti di intervista! Ebbene, quando poi si è palesato non sono riuscita a far altro che dirgli: Grazie! I contenuti dell'intervista, la sua verve, la sua unicità hanno fatto dimenticare in un attimo quelle lunghissime sei ore in sala d'attesa».
Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
«Quando ero alla scuola di giornalismo il mio primo maestro è stato Angelo Rovelli, un grandissimo cronista della Gazzetta dello Sport. È mancato pochi anni fa, però ricordo in modo nitido il suo modo d'insegnare, di trasmetterti i segreti del mestiere. Con grandissimo stile. Dai capi avuti in questi anni ho cercato di studiare e copiare il meglio di ciascuno. È grazie a loro che ho trovato una mia dimensione».
Tra colleghi e colleghe chi apprezzi di più?
«I colleghi che apprezzo di più scrivono per la carta stampata: Emanuela Audisio di Repubblica e Roberta Perrone del Corriere della Sera. Per entrambi la qualifica di "giornalista" è riduttiva. Sono scrittori di grande sensibilità».
Tu sei madre. È difficile conciliare il ruolo di mamma con quello di giornalista?
«Sono fortunata. Emma, cinque anni, è una bimba brava e con una grande capacità di adattamento. Riesce, nonostante sia così piccola, ad adeguarsi agli orari e allo stravagante stile di vita che abbiamo. Non mi posso proprio lamentare. Svolgo la professione che amo e, quando stacco, riesco ad essere una mamma soddisfatta e realizzata. Unica richiesta di Emma: spegni il telefono! E ha ragione».
Molti sono i giovani che vorrebbero fare i giornalisti. Quali consigli daresti loro?
«Consiglio semplicemente di crederci. Io sono arrivata a Mediaset, allora Fininvest, come stagista della scuola di giornalismo. Avevo scritto per qualche giornalino locale e non avevo mai visto una sala di montaggio. Eppure con tanto entusiasmo, una dose massiccia di buona volontà e grande umiltà sono riuscita ad imparare e a capire, in fretta, che quello era il lavoro che desideravo fare, che quello era il sogno di una ragazzina che si stava realizzando».
CRONACA IN ROSA Le sindache di Erica Savazzi

Durante le recenti elezioni amministrative i riflettori si sono accesi per due donne che sono state elette alla guida di città molto diverse ma complesse in modo analogo: Napoli e Milano, agli antipodi non solo per posizione geografica, unite nella scelta di due “sindache” anche loro agli antipodi, a cominciare dallo schieramento politico di appartenenza.
Letizia Brichetto Moratti, prima donna sindaco di Milano, riassume in sé i caratteri della città: imprenditrice, si è sempre occupata di affari, partendo dal brokeraggio assicurativo, passando per Comit e approdando infine alle telecomunicazioni.
Nominata presidente della Rai ai tempi del primo governo Berlusconi (1994 - 1995), nella passata legislatura è stata ministro dell’Istruzione. La tanto contestata Riforma Moratti della scuola prende nome, infatti, da lei.
Letizia Moratti si è impegnata a gestire Milano «come una famiglia», nel suo programma elettorale ha promesso bonus bebè, asili nido, riduzione del traffico e dell'inquinamento ed eliminazione dell’Ici sulla prima casa.
Eletta al primo turno con il 52% delle preferenze, sostenuta da tutto il centrodestra, insiste per apparire radicalmente diversa dal predecessore Albertini. Una sensibilità femminile non potrà che fare bene a Milano, città indifferente ai più deboli e poco amichevole per i residenti.
Le sfide principali saranno la qualità dell’ambiente, i servizi alle persone – soprattutto bambini e anziani -, i trasporti pubblici e i lavori di riqualificazione che coinvolgono diverse aree cittadine. Un unico dubbio: se il predecessore su molti temi, principalmente quelli ambientali, ha fallito pur avendo deleghe e potere, potrà avere la forza necessaria una signora che già ora si vede tirare la giacca dai partiti per l’assegnazione degli assessorati?
Rosa Russo Iervolino è stata eletta al suo secondo mandato come sindaco di Napoli col 58,2% delle preferenze. È sempre stata la prima della classe: prima donna a parlare all’Assemblea Generale dei Vescovi italiani e a commentare i documenti pontifici sull’Osservatore romano, prima presidente donna del Consiglio nazionale della Democrazia cristiana, prima dirigente donna del Partito popolare italiano, prima donna a ricoprire la carica di ministro dell’Interno.
Rosa Russo Iervolino è stata anche ministro della Pubblica Istruzione e del Lavoro. Ha contribuito alla riforma del diritto di famiglia e come parlamentare si è occupata di disabili, volontariato e tossicodipendenze.
Candidata dell’Unione, nel suo programma punta su lotta alla criminalità, difesa del territorio, sviluppo e valorizzazione della città e della sua posizione strategica nei rapporti con i Paesi mediterranei.
I cittadini napoletani l’hanno riconfermata perché proseguisse il lavoro già iniziato. La lotta alla criminalità, con le varie faide, la riqualificazione di aree degradate – ad esempio, il famigerato quartiere Scampia – e la valorizzazione delle potenzialità dei giovani, troppo spesso lasciati all'influenza dei gruppi criminali, sono priorità: ma allo stesso tempo sono difficili da realizzare. Pare anzi che Napoli sia sempre più vicina al punto di non ritorno. Riuscirà il sindaco a ottenere risultati e a fare quello che non è riuscita a realizzare nella sua prima legislatura?
CRONACA IN ROSA Un tabù che va scemando di Stefania Trivigno

Il primo Paese europeo a riconoscere le unioni fra omosessuali e a dar loro il diritto di sposarsi fu la Danimarca nell’ormai lontano 1989.
Il lento e sofferto passo dell’Europa in favore di un’apertura alle coppie gay ha subito uno scossone significativo grazie alla Spagna di Zapatero, che nel giugno del 2005 modifica il Codice Civile facendo rientrare fra coloro che hanno il diritto di contrarre matrimonio anche persone dello stesso sesso.
Fu subito polemica. La Chiesa non tardò a esprimere il proprio dissenso, così come si alzò forte la voce contraria di alcuni partiti politici e di quella fetta di opinione pubblica che era, ed è ancora, convinta che per amare ed essere amati sia necessario che i due individui siano di sesso opposto. Lasciando fuori dai diritti anche soltanto morali una grande percentuale di cittadini.
Un’altra vittoria per le coppie gay è arrivata in questi giorni. Ancora una volta dalla Danimarca: una nuova legge, infatti, consente l'inseminazione artificiale a coppie lesbiche e donne single.
E arriva proprio quando, anche nell'Italia reduce dal disastroso risultato del referendum sulla procreazione assistita, sembra muoversi qualcosa.
Giorni fa, infatti, Fabio Mussi, ministro per la Ricerca, ha ritirato da Bruxelles il no dell’Italia all’utilizzo di embrioni per la ricerca scientifica.
Sono piccoli passi verso un futuro più equo per le coppie omosessuali. Un futuro che non tutti vogliono accettare o concedere. Troppo grande la paura di ciò che è diverso. Anche se i sentimenti sono universali.
FORMAT MEDIA & MINORI A tutta Vetrina di Serenella Medori

C’è un altro aspetto dello spettacolo che si cela dietro alla pubblicità. Mentre si scatena la gara alla denigrazione di chi vuole partecipare ai reality-show per acquisire un po’ di notorietà mai avuta o semplicemente recuperare la notorietà persa, la pubblicità, o meglio, le televendite rendono già da anni lo stesso servizio: tenere a galla nomi e volti della tv che non sono impegnati in veri e propri programmi televisivi.
Alcuni esempi sono Walter Nudo, Pamela di Non è la Rai, e Susanna Torretta, l’amica della contessa assassinata, che sono emersi e riemersi grazie ai reality. Patrizia Rossetti e Giorgio Mastrota hanno in comune la conduzione di televendite, cosa che condividono con Cesare Cadeo e Orietta Berti.
È vero che dopo aver avuto anche brevi esperienze televisive è evidentemente difficile restare lontani dagli schermi troppo a lungo. Resterebbe come sicuro punto di riferimento la professione giornalistica che non sembra contagiata troppo dalla pubblicità. Eppure Vittorio Feltri e Gad Lerner mangiano krumiri accennando alla politica in un periodo in cui imperversa la par condicio a causa delle elezioni.
C’è anche chi ha lasciato il tg per presentare programmi mattutini e finire in lavatrice nel ruolo di "uomo in ammollo", come Tiberio Timperi, ma c’è pure chi ha avuto una significativa carriera di cantante e ora si trova a parlare di cucina dietro ai fornelli della televisione.
Forse bisognerebbe parlare di stile. L’immagine di un personaggio televisivo nasce e cresce in base al numero e al tipo di presenze sul piccolo schermo. Per lasciare che l’immagine, l’icona creata mantenga il suo fascino ed il suo feeling con il pubblico è necessario che resti il contatto visivo. Niente tv, niente feeling. Niente tv, niente cibo per narciso. Niente tv uguale crisi di astinenza per molti.
In questo mondo ricco di vetrine c’è anche chi compie i suoi diciotto anni davanti alla telecamere, illudendo generazioni di telespettatori e telespettatrici che non c’è nulla di meglio. La giovane età aiuta il desiderio a vedere un roseo futuro... televisivo, e comincia l’attesa di una qualche proposta di lavoro. Non per tutti arriva la desiderata telefonata. Si resta così in ombra perché in tv non ci sono ruoli secondari.
In tv tutti riescono a godere della stessa luce, ed ecco che la stella comincia a brillare. Strano? No, affatto. Avete presente quando vi dicono «A proposito, ti ho visto in tv».
O luci o ombre.
(11-continua)
FORMAT È nata la tv in formato “baby” di Nicola Pistoia

Dagli americani ci saremmo aspettati di tutto, anche la realizzazione di una canale dedicato completamente ai bambini. E in effetti è successo.
Ma non stiamo parlando di un canale televisivo come gli altri: infatti Baby First Tv è stato pensato solo ed esclusivamente per i neonati e per bambini di età compresa tra zero e due anni. Nasce come canale d’intrattenimento dove, 24 ore su 24, vengono trasmesse ninne nanne, storielle molto dolci e allegre, canzoncine e consigli per le mamme.
Tra i programmi previsti dal palinsesto ce n'è uno molto particolare: si chiama I Can Sign e insegna a parlare con i gesti. Il tutto senza spot pubblicitari.
Il canale Baby First Tv a giugno dovrebbe arrivare anche in Italia. Inevitabilmente sono affiorate le polemiche. Telefono Azzurro, tramite il suo presidente Ernesto Caffo, si è schierato a favore dei pediatri americani che hanno bocciato in pieno questo nuovo progetto televisivo. I medici, infatti, ritengono che sia sbagliato parcheggiare bambini così piccoli davanti a una tv, definita educativa dagli inventori, ma che di educativo non ha nulla. «Certo è molto meglio di tanta tv spazzatura che si vede in giro - ha aggiunto Ernesto Caffo - ma un canale televisivo non può certo prendere il posto di mamma e papà».
Chiara la risposta degli ideatori alle tante e inevitabili polemiche: «I genitori metterebbero comunque i figli davanti alla tv, ed è dunque meglio offrire loro contenuti adatti e affidabili».
Staremo a vedere come andrà a finire, intanto maestre e baby sitter sono avvisate.
ELZEVIRO Cinema e fumetto a confronto a Rovereto di Antonella Lombardi

Fratelli nella vita, ma anche nella sorte. Sono il cinema e il fumetto, due mezzi espressivi nati a breve distanza l’uno dall’altro.
Il cinema nasce ufficialmente a Parigi, il 28 dicembre 1895, per opera dei fratelli Lumière; il fumetto, il 16 febbraio 1896, quando Outcault pubblica la prima tavola di quello che viene ritenuto ormai simbolicamente il primo eroe dei comics, The Yellow Kid.
La sorte li farà diventare importanti e popolari intrattenimenti di massa, grazie alla loro capacità di ridefinire l’immaginario collettivo attraverso l’uso della narrazione per immagini.
I due media accompagnano e, spesso, anticipano modi e tematiche del Novecento, interagendo con esiti artistici talvolta altissimi, riuscendo al tempo stesso ad essere perfettamente fruibili dal grande pubblico.
Non è quindi un caso che tra i due media esistano da oltre un secolo rapporti significativi, né che oggi si assista ad un massiccio ritorno su pellicola degli eroi disegnati.
Al Mart di Rovereto, fino al 17 settembre, la mostra Cinema & Fumetto vuole evidenziare la rete di relazioni che i due media hanno intrattenuto, partendo dai primi anni del Novecento fino ai giorni nostri. All’interno dell’esposizione, curata da Roberto Festi, ampio spazio è dedicato alla produzione americana ed europea, grazie agli oltre 350 pezzi originali esposti: manifesti cinematografici spesso accompagnati dai bozzetti originali, tavole e strisce dei comics, costumi, foto di scena, colonne sonore, pubblicazioni dell’epoca.
Protagonisti: il Tex a striscia di Bonelli e Galep e la versione su pellicola interpretata da Giuliano Gemma; Diabolik, Kriminal, Valentina, Flash Gordon, Superman, Tintin, Asterix, Lucky Luke, fino ai recentissimi Spiderman e Batman.
Ma sono soprattutto i grandi e multicolori manifesti a conferire un valore di assoluta originalità alla mostra, come quelli americani, ideati per i personaggi cult del genere: Buck Rogers, Dick Tracy, Flash Gordon, Superman, Jim della Giungla.
A questi si affiancano le mirabili esecuzioni dei cartellonisti di scuola italiana che combinando opera d’arte e sintesi comunicativa determineranno il successo di una pellicola.
La mostra sarà presente per la durata di un anno in quattro prestigiose sedi italiane: dopo Rovereto sarà la volta di Carpi, Pordenone, Vicenza.
Ogni sede espositiva presenterà al pubblico, durante il periodo di apertura, una rassegna di film.
Per informazioni, si può consultare il sito del Mart.
DONNE Più attenzione per l’ambiente di Antonella Lombardi

Difendere e tutelare il patrimonio artistico italiano dagli abusi edilizi, dall’oblio e dagli scempi di speculatori senza scrupoli.
Preservare la bellezza del paesaggio per trasmettere un patrimonio di conoscenza e valori alle generazioni future. Questa la missione del Fai, fondo per l’ambiente italiano; questo il senso dell’instancabile attività della sua presidentessa, Giulia Maria Mozzoni Crespi che, in questa intervista gentilmente concessa a Telegiornaliste, racconta come si è arrivati a trasformare in Eden il giardino dimenticato della Kolymbetra ad Agrigento, della lettera aperta a Silvio Berlusconi sulle pagine del Corriere della Sera, delle raccomandazioni che farebbe al nuovo governo. E altro ancora.
Quando e come nasce il suo interesse per l’ambiente e la sua attività nel Fai?
«Il mio interesse per l’ambiente nasce dal 1965, quando lavoravo in Italia nostra. Il mio interesse per il Fai è nato perché ho conosciuto il Fai inglese che è il National Trust. In Italia nostra mi occupavo di attività nelle scuole e tra queste attività c’era, molto in evidenza, tutto il problema ambientale».
Lei è alla guida del Fai da tanti anni.
«Dalla sua fondazione, nel 1974».
Quali “conquiste” ricorda in particolare?
«Ricordo per esempio quando ci è arrivata la prima grande donazione dai principi Doria, che è il paese di San Fruttuoso, situato nel parco di Portofino in Liguria con le tombe Doria, la basilica del Duecento, l’antica torre Doria e tutto il comprensorio che ci è stato donato dalla principessa Orietta Doria negli anni Ottanta. Fu il primo grande lancio nel Fai».
E’ stato difficile, soprattutto nei primi anni di vita del Fai, sensibilizzare la gente comune e le istituzioni sul concetto di tutela ambientale?
«E’ stato difficile allora, ma è difficile anche ora, perché gli italiani non realizzano l’importanza sociale, storica e anche, direi, umana che hanno il paesaggio, l’arte e la bellezza, sia per l’anima sia per il corpo».
Alla conferenza stampa di presentazione della giornata di primavera lei ha avuto uno scambio di opinioni con lo scrittore Baricco sul significato della tutela del paesaggio e sulla memoria dei luoghi da preservare. Qual è il suo pensiero in proposito e quale il contributo del Fai?
«Noi riceviamo in donazione, in comodato, e talvolta, raramente, acquistiamo anche dalle Regioni, come tutela, dei beni di natura o di arte. Li restauriamo e li apriamo al pubblico; il che mi sembra che sia un fatto molto importante per il tempo libero, per incentivare il turismo in Italia e oltretutto per far capire alla gente il valore delle loro radici e l’importanza dell’Italia nel mondo».
Anche quest’anno il successo della giornata di primavera del Fai ha superato a pieni voti le vostre previsioni. C’è un luogo strappato al declino o al degrado ambientale a cui lei è particolarmente legata?
«Il giardino della Kolymbetra di Agrigento: era un ammasso di rovi e spine sotto le rovine di Agrigento, dove confluivano anche maleodoranti fognature. Il Fai lo ha avuto in comodato dalla Regione Sicilia. Abbiamo ripulito tutto, incanalato le fogne e abbiamo ristrutturato gli antichi ipogei che erano delle canalizzazioni dell’acqua nel tufo della montagna dove è costruita Agrigento; questi ipogei, costruiti nel 300 a.C. dal tiranno di Agrigento, essendo stati svuotati sono ritornati ad avere l’acqua che ora confluisce nella valle della Kolymbetra e irriga i nostri orti, i nostri limoni, i nostri aranci, in questo giardino che è diventato bello come un Eden».
Lei ha scritto un editoriale, in un numero del giornale del Fai, sul decreto per la nuova normativa ambientale che Ciampi ha poi rispedito alle Camere…

«Ho scritto anche una lettera aperta a Berlusconi sul Corriere della Sera. Mi rispose il ministro Matteoli, tra l’altro insultandomi, dicendo delle cose non corrette, profondamente villane, da causa. Comunque, spero vivamente che il nuovo governo elimini questa normativa, perché sarebbe un fatto assolutamente distruttivo per il nostro ambiente. Non soltanto dal punto di vista estetico, ma anche per la salute, perché non c’è più un vincolo per le discariche, dove si può buttare di tutto,
dai reperti radioattivi ai rifiuti ospedalieri… e questi possono anche contaminare la falda acquifera.
Inoltre non c’è più l’analisi di impatto ambientale, per cui si può costruire ovunque… e altri fatti drammatici del genere».
Quali raccomandazioni farebbe al nuovo governo per incentivare la tutela dell’ambiente e il turismo in Italia, spesso sottovalutato?
«Prima di tutto chiederei al ministro dell’Ambiente di cambiare questa pessima normativa. In secondo luogo chiederei al ministro dei Beni Culturali, Rutelli, di prestare particolare attenzione alle Sovrintendenze, perché esse sono i veri guardiani del nostro territorio. In più chiederei al ministro Rutelli, che è anche ministro del Turismo, di dare una mano affinché venga fatto e concepito un turismo ecocompatibile, che non privilegi solo le grandi città d’arte ma anche i piccoli centri, i tratti di natura straordinari, attraverso dei circuiti, dei piccoli musei o con la creazione di piccoli alberghi, non alberghi immensi; e, soprattutto, che questi nuovi circuiti possano essere conosciuti dagli stranieri, da quelli che fanno i giri a cavallo, in motocicletta, o in mountain bike».
DONNE Fascino immortale di Tiziana Ambrosi

Un fascino ambiguo, misterioso, sofisticato. Capace di riempire lo spazio scenico. Il bianco e nero della pellicola che sfuma e attenua i contorni.
Questa l'immagine di Marlene - contrazione di Marie Magdalene - Dietrich che la storia del cinema ha fissato nel tempo.
Marlene Dietrich è figlia di quella Germania che ha intrecciato la propria storia con la storia del mondo. Nasce ad inizio del secolo scorso, in un sobborgo di Berlino. Figlia di una gioielliera e di un ufficiale dell'esercito prussiano, precocemente scomparso. Dopo le seconde nozze della madre, il patrigno sarà ucciso durante il primo conflitto mondiale.
E' probabile che la mancanza stabile di una figura paterna abbia spinto Marlene a cercarla nell'ambito affettivo. Caratteri forti come Josef von Sternberg, Erich Maria Remarque, Billy Wilder, Orson Welles.
Proprio il regista Josef von Sternberg, letteralmente folgorato, la lancia verso l'olimpo cinematografico. Il primo vero ruolo di spessore è quello di Lola Lola, ne L'angelo Azzurro, tratto dal libro di Heinrich Mann. Un professore, Herr Unrat - il Signor Spazzatura - perde la testa e la dignità per la ballerina di un teatrino di infima categoria.
Seguono Marocco, Shangai Express, Venere bionda, solo per citarne alcuni.
Marlene, con i suoi capelli biondi e la sua bellezza perfetta, sembra uscita dai manifesti del Terzo Reich. Il ministro della Propaganda Goebbels tentò in molte occasioni di presentarla agli occhi del mondo come una delle icone della nuova Germania, risorta dopo l'annientamento della Prima Guerra Mondiale.
Numerose offerte, se non addirittura corteggiamenti dello stesso Fuehrer, non riuscirono a convincere Marlene a prestare la sua immagine alla propaganda.
Tanto che negli anni Trenta emigra definitivamente negli Stati Uniti.
Questa rottura secca e trasparente con il nazismo le causò astio e diffidenza dai suoi stessi concittadini: il gran rifiuto che la bollò come traditrice della patria.
La filmografia americana si arricchisce di pietre miliari della storia del cinema: Scandalo internazionale di Billy Wilder, Paura in palcoscenico di Hitchcock, L'infernale Quinlan di Orson Welles.
Durante il periodo di guerra si impegna, rimarcando ancora una volta la sua distanza dal nazismo, con spettacoli e canzoni per allietare il morale delle truppe americane. Indimenticabile la sua interpretazione di una delle più famose canzoni contro la guerra: Lili Marlene, cantilenata con la sua voce calda e profonda di fumatrice.
Anticonformista da sempre, un fascino androgino, una sessualità ambigua che la portò ad avere relazioni sentimentali indifferentemente con uomini e con donne (alcuni parlano anche di Greta Garbo), passa gli ultimi anni della sua vita a Parigi, abbandonate le scene. Si spegne nel 1992, riappacificata anche con la sua Germania e la sua Berlino, alla quale dedica il suo lascito, oggi raccolto nel Museo del Cinema in Potsdamer Platz.
TELEGIORNALISTI Alessandro Bonan, giornalista Mondiale di Silvia Grassetti

Abbiamo raggiunto telefonicamente Alessandro Bonan, veterano del satellite, conduttore di Sky Sport, che ci ha parlato del suo impegno con Ilaria D'Amico in occasione del Mondiale e del "sistema calcio" italiano.
Alessandro, sei uno dei giornalisti più invidiati dagli italiani, potendo vivere a contatto di gomito con il sogno sexy di tanti, Ilaria d'amico...
«Io sono un po’ preoccupato (ride, ndr), perché quei 30 centimetri di differenza tra me e Ilaria, 41 col tacco, determinano un po’ di apprensione durante la diretta, come quella che ci coinvolge per i Mondiali. Tornando seri, Ilaria è una persona eccezionale, molto semplice e alla mano, che va conosciuta, perché l’immagine che a volte ne danno i mass media non le rende giustizia, anche se ultimamente questa tendenza sta cambiando».
Come ha reagito la redazione di Sky all'arrivo di troppi opinionisti esterni per i Mondiali?
«Perché troppi? Il Mondiale è una cosa grande, non mi sembra siano troppi: in studio siamo io, Ilaria, Giorgio Porrà e due opinionisti, Mario Sconcerti e Beppe Servegnini, poi ci sono i collegamenti: una squadra mondiale è composta da molti campioni. Sono tante le partite che seguiremo, tante le squadre di cui parlare, diversificheremo le informazioni focalizzando anche le realtà dei Paesi di provenienza delle squadre: per esempio, sul Sudamerica avremo gli interventi di Altafini. Ma questo è solo un esempio: ci sono moltissime cose di cui parlare, e per farlo bene dobbiamo essere tanti. Non “troppi”».
Tra allenatori e giocatori, qual è il carattere più spigoloso per un intervistatore?
«Senza dubbio, quello di Fabio Capello. A me piacciono molto l’ironia e l’autoironia, e Capello non abbonda in questo. Ricordo che una volta Capello era ospite in trasmissione in diretta, e ho dovuto rompere la liturgia classica del programma perché si era creato un clima di diffidenza: ho sdoganato la questione denunciando, a telecamere accese, che c’era tensione. Capello è una persona chiusa, a cui piacerebbe piacere di più, ma gli riesce fino a un certo punto. Chiuse il programma dicendo che mai come in quel caso si era sentito bene a parlare di calcio».
E il carattere più facile?
«Ci sono allenatori che conosco da tanti anni, come Spalletti, con cui ho un rapporto di amicizia. Allenatori che mi piaccciono per la correttezza, di una qualità superiore, tipo Prandelli, che mi trasmette delle sensazioni positive. Poi ci sono gli eleganti: Mancini lo è, e con lui si può anche scontrarsi, il confronto è vivace e leale. Lippi, che ho imparato a conoscere un po’ meglio negli ultimi anni, è anche lui un po’ chiuso; dice di essere permaloso, perché altri gli hanno detto che lo è, è uno non facile perché interrompe, se non gli va la domanda non la subisce, ma contrattacca. I più accattivanti sono i grandi vecchi, tipo Mazzone».
Chi vince i Mondiali?
«Dovrei dire l’Italia. In realtà non ci credo molto, ma noi italiani siamo un po’ particolari: in mezzo alle difficoltà più grandi troviamo risorse che sembravano non esserci. Questo sarà un Mondiale non normale, nel bene o nel male, ma non normale. Il Mondiale di Trapattoni fu triste, sottotono, questo sarà molto sopra o molto sotto le righe. Secondo me comunque vincerà il Brasile: ma spero nella follia dell’Italia».
La moviola, favorevole o contrario? Non è che se ne fa troppo uso?
«La moviola è sovrastimata: di per sé non fa tutti questi danni. La moviola è un fatto tecnico, ma chiaramente se viene strumentalizzata si fa un’operazione intellettualmente disonesta e sbagliata. In questi anni la moviola rappresentava la prova che c’era qualcosa di sbagliato nel calcio, che è poi venuto fuori. Vedrai che, da ora in avanti, la moviola rappresenterà l’errore dell’arbitro o l’occhio del professionista. Torneremo a vedere l’errore arbitrale come un semplice errore».
Calciopoli: come vedi il coinvolgimento dei giornalisti nella vicenda?
«Ho letto due o tre nomi: non mi sembra una cosa diffusa. Non basta per definire la categoria coinvolta. Avremmo potuto denunciare con un po’ più di coraggio le situazioni anomale. Alcuni lo hanno fatto, altri non avevano una forza editoriale in grado di sostenerli».
E’ giusto tornare alla vendita collettiva dei diritti televisivi per avere una distribuzione più equa delle entrate tra le varie società?
«Sì. Ma qualcuno sostiene che la tv ha rovinato le società: in realtà la tv ha messo a disposizione una grande quantità di denaro che invece di finire nelle mani dei giocatori doveva essere distribuita in maniera adeguata. Tutti hanno l’interesse a far sì che il campionato sia equilibrato: più lo è, e più il campionato è bello. Quindi, il denaro che Sky mette a disposizione del calcio, dev’essere il calcio a far sì che sia ripartito in maniera equilibrata, nel rispetto di un principio tecnico: le società già forti non possono essere ulteriormente avvantaggiate».
Con Fuori Zona avete dimostrato che una trasmissione sul calcio, senza esasperare i toni e senza accesi dibattiti, può far colpo sul pubblico…
«Io quest’anno ho fatto un programma di presentazione del week end calcistico, il venerdì, molto informale: direi che è la strada di Sky, rendere tutto molto leggero, anche se parlare di leggerezza in questi giorni stona un po’. Mi piacerebbe fare in futuro una trasmissione sul calcio ancora molto ironica».

OLIMPIA La riscossa di Marion di Mario Basile

«I’m back». Deve essere stato questo il primo pensiero di Marion Jones appena tagliato il traguardo del Reebok Grand Prix di New York.
La vittoria nei 100 metri allo "Icahn Stadium" è il suo terzo sigillo stagionale, dopo quelli di Veracruz in Messico e di Hengelo in Olanda.
Questi ultimi, senza dubbio, erano stati importantissimi data la lunga assenza dalle corse della statunitense, ma vincere sulla pista di casa contro le migliori è un’altra storia. E soprattutto vuol dire che la regina è tornata.
Marion si era fermata volontariamente undici mesi fa. Ha voluto rimanere lontana dalle gare per quasi un anno. Lontana da quella che è la sua vita: correre e regalare emozioni. Tutta colpa di quel Victor Conte, fondatore dell’industria farmaceutica BALCO, che in un’intervista nel dicembre 2004 rivelò che la Jones, per tutto l’arco della carriera, aveva fatto uso di sostanze dopanti.
Lo stesso Victor Conte in quel periodo era al centro di uno scandalo perché la sua BALCO era accusata di aver fornito steroidi anabolizzanti a diversi sportivi americani. Conte e gli altri imputati hanno poi patteggiato la pena. Su Marion invece non è stato trovato nessun elemento compromettente. Neanche in merito a un suo possibile uso di stupefacenti, su cui gli stessi inquirenti del caso BALCO arrivarono ad indagare.
Ma i successi della statunitense erano ormai macchiati, anche quelli di Sidney 2000: quelli che l’avevano fatta entrare nella storia. Alle Olimpiadi australiane vinse cinque medaglie: nessuna donna c’era riuscita in una stessa edizione dei giochi.
Così Marion dovette fare i conti con l’ostracismo degli organizzatori delle più importanti manifestazioni di atletica, specialmente quelle europee, che non gradivano la sua partecipazione. Da qui la decisione di fermarsi. E come se non bastasse, in mezzo a tutto ciò arrivò anche la separazione dal compagno Tim Montgomery, da cui aveva avuto un figlio poco prima che anche lui restasse coinvolto nello scandalo BALCO.
Quest’anno a Marion è stato concesso di tornare a gareggiare, o meglio, di tornare a vivere. Le vittorie in Messico e in Olanda erano già un gran traguardo, ma a Marion non bastava. Voleva vincere a casa, davanti alla sua gente, davanti alle migliori. Solo così avrebbe dimostrato di essere ancora la numero uno. «A New York correrò più forte», aveva avvisato.
Ha mantenuto la promessa. Anche la giamaicana Veronica Campbell leader mondiale 2006 dei 100 metri, si è dovuta arrendere a sua maestà Marion Jones.
Di certo la rinascita di Marion non è finita qui. Ora ha in mente un solo obiettivo: Pechino 2008.
EDITORIALE Un limite al peggio di Silvia Grassetti

«Ancora mi chiedo perchè ci ostiniamo a volere che gli arabi siano come noi, non succederà mai».
Apro l’editoriale con queste parole di Patrizia Camassa, caporedattore di Teleregione Puglia. Dopo l’ultimo attentato costato la vita e la salute ad altri militari italiani, credo che le parole di chi nei Paesi musulmani, Iraq, Afghanistan, c’è stato, costituiscano una testimonianza importante per tutti.
«In Iraq ci sono stata quando rapirono Umberto Cupertino – prosegue Patrizia -, di San Michele di Bari. Un'esperienza forte, un altro mondo, ma che merita rispetto, e tanto».
In Afghanistan Patrizia ha visto «bimbi di quattro, cinque anni che sbucavano fuori dal ciglio della strada all'improvviso e a piedi nudi, con le guance rosse dal freddo, vestiti a malapena con una tuta, e gridavano, stendendo le manine, Italiani, NATO, fame... pane! Noi ci fermavamo – continua la telegiornalista -, con tutti i rischi del caso, e i nostri militari, persone meravigliose, gli davano biscotti, merendine, li prendevano in braccio e li coccolavano, come se fossero figli loro».
Forse il busillis sta proprio qui, nella confusione tra missione di pace e missione di guerra che fin dal primissimo giorno dopo gli attentati alle Twin Towers ha contraddistinto le successive operazioni militari: come potevano stare assieme la benevolenza verso gli “italiani brava gente” e l’appoggio incondizionato agli USA nella loro volontà di occupazione di nazioni sovrane e delle loro risorse?
Allora tiriamoci fuori dal coro dei “via l’Italia subito” e dei “restiamo fino alla fine”: la democrazia non si esporta, non è merce ma un fatto culturale. E cultura è rispetto delle differenze, e responsabilità.
Poso la penna, ma resto a riflettere su queste altre parole di Patrizia Camassa, che forse indicano la direzione corretta su cui concentrare gli sforzi per un futuro più giusto, a Occidente come a Oriente:
«Quando sono rientrata in Italia era il 24 dicembre, la notte di Natale, non riuscivo a smettere di pensare a quei bambini e guardavo l'abbondanza intorno a me. A mio figlio dissi che era un ragazzo davvero fortunato.
Dopo qualche giorno ho iniziato a contattare aziende di prodotti alimentari, pasta, olio, pelati, acqua minerale e latte, ho comprato tantissima cioccolata, tanta da riempire un camion, la FIGC pugliese mi regalò palloni e mascotte. Contattai il Colonello che comandava il contingente e il cappellano militare in missione, e grazie a loro ho spedito tutto, con la preghiera di rifornire gli orfanotrofi e i bimbi, le loro famiglie per strada. Così è stato. Ho adottato due bambini a distanza, che ho conosciuto lì. Ogni tanto spedisco del vestiario.
Ma come si può restare insensibili?».
versione stampabile
 
HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO
Facebook  Twitter  Instagram

Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
Vietata la riproduzione, anche parziale, senza l'esplicito consenso del webmaster