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Telegiornaliste anno II N. 6 (38) del 13 febbraio 2006


MONITOR Mikaela Calcagno, sportiva nel Dna intervista di Filippo Bisleri

Una giornalista che non poteva che occuparsi di sport, ma anche una donna determinata, che si impegna con tenacia in ogni progetto che la vede coinvolta. E, questo, si traduce in buone prove professionali che l’hanno portata ad approdare a Mediaset.
Come hai scelto di fare la giornalista sportiva?
«Come ho scelto di fare la giornalista sportiva (sorride, ndr)? Potremmo dire che non avevo molte scelte. Mio padre era presidente dell’Imperia di calcio e ha portato la squadra fino alle soglie della C2. Per me, dunque, è sempre stato naturale seguire il calcio e imparare a conoscerne il mondo».
Esiste un servizio che Mikaela Calcagno ricorda con più affetto?
«Non esiste, almeno così su due piedi. Io metto molto impegno in ogni cosa che faccio, come nel recente Esame di Stato. Per me non esiste un servizio più bello o più caro, ogni volta è una prova di tipo professionale e devo dare ai telespettatori il meglio. Forse, però, le emozioni che ho vissuto nei servizi in diretta da piazza San Pietro la notte che è morto il Papa sono quelle che ricorderò per sempre. Spero di averle trasmesse al meglio anche a chi in piazza non c’era».
E quali sono stati o sono i tuoi maestri di giornalismo?
 «Credo che si impari continuamente. Ho imparato molto anche da Aldo Biscardi, che è un vero mago della diretta. Ma anche i colleghi con cui lavoro oggi sono quelli che mi possono insegnare tanto della professione giornalistica. È però essenziale che ogni giornalista rielabori quanto gli viene trasmesso dai colleghi e dalle colleghe per farne utile tesoro. In questo lavoro, è il mio pensiero, occorre sempre mettere tanta umiltà».
C’è un sogno giornalistico nel cassetto di Mikaela Calcagno? I Mondiali di calcio?
«Ti stupirò dicendoti che, ora come ora, sogno di poter realizzare qualcosa di legato al mondo politico».
Cosa pensi del luogo comune che vuole i giornalisti sportivi meno preparati degli altri?
«Penso che sia, come hai detto bene tu, un luogo comune. Nulla di più».
Sei una calciofila o segui anche altre discipline?
«Quando ero a Roma conducevo e coordinavo il Tg sportivo e mi occupavo anche di basket. Il calcio resta però il mio sport preferito, tanto che, se c’era una partita in tv, anche di categorie minori, la preferivo alle uscite coi fidanzati che spesso non mi capivano e poi finivano col lasciarmi. Ma, ti dirò, anche sole non si sta malissimo».
Dunque, se ti chiedo se è possibile conciliare il ruolo di mamma con quello di giornalista devi rispondere ad intuito... «Esatto, caro collega. Io direi che, sulla carta, i ruoli siano conciliabili, almeno per quanto vedo con le colleghe Mediaset (Lucia Blini e Beatrice Ghezzi, ndr)».
MONITOR Speciale Campionato. Interviste a Maria Concetta Mattei e Maria Grazia Capulli di Alvaro D'Occhio

L’undicesimo campionato delle telegiornaliste si è concluso da pochi giorni con la vittoria di Maria Concetta Mattei.
Un utente del forum di Telegiornaliste, Alvaro D'Occhio, ha raggiunto a Saxa Rubra la vincitrice e la quarta classificata, Maria Grazia Capulli, per raccogliere le loro dichiarazioni all’indomani della chiusura.

Intervista a Maria Concetta Mattei
Lei segue il nostro campionato?
«In questi ultimi tempi, a causa di gravi problemi familiari che mi hanno tenuta a lungo in ospedale, non ho potuto farlo personalmente, anche se vi conosco e reputo l’idea del campionato molto divertente. In compenso sono stata regolarmente informata da conoscenti, che si complimentavano per i risultati».
Tra voi colleghe del Tg2 c’è una rivalità, anche scherzosa, a questo riguardo?
«Tra noi colleghi c’è un clima sereno e di amicizia. Non parlerei di rivalità, ma di sana competizione, quella buona, che serve a lavorare al meglio».
Neanche battute come Tu con quella hai pareggiato, io invece ho vinto?
«Io sono sempre di corsa – oltre alla conduzione, coordino Tg2 Dossier Storie, il settimanale di approfondimento che va in onda il sabato in… terza serata! – perciò mi capita raramente di scambiare frasi scherzose… in redazione si parla quasi solo di lavoro e problemi organizzativi».
Delle prime quattro classificate di quest’ultimo campionato, tre sono del Tg2. Cosa ne pensa?
«Innanzitutto credo che debba esserne contento il Direttore».
Da questo punto di vista siete il primo telegiornale italiano.
«Forse perché ognuna di noi ha caratteristiche diverse, e un modo di porgersi altrettanto differente, però sempre professionale e genuino allo stesso tempo. Credo che il pubblico apprezzi soprattutto la spontaneità».
La Sig.ra Capulli è, nella storia del nostro campionato, la giornalista con i migliori piazzamenti, e generalmente risulta tra le più votate. Lei, di sette incontri, tra stagione regolare e play-off, ne ha persi solo due e pareggiato uno; questi incontri non si sono mai conclusi con un distacco notevole, ma sono sempre stati decisi da pochi voti.
«A livello personale non posso che esserne felice. Stimo molto Maria Grazia, una ragazza dolcissima e molto elegante, oltre che un’ottima professionista. Il fatto che le sfide tra di noi siano sempre state sull’orlo del pareggio secondo me significa che lei moralmente è co-vincitrice del campionato».
Da quattro campionati la vincitrice di quello precedente non riesce a qualificarsi per i play-off. L'ultima che vi è riuscita è proprio Lei; crede che riuscirà a ripetere l'impresa?
«Non pongo limiti alla generosità del pubblico: se continuerà ad apprezzare la sincerità, la passione con cui affronto ogni giorno la magnifica sfida di raccontare ciò che succede nel mondo, può darsi che ciò accada. Ne sarei davvero felice, in caso contrario continuerò con lo stesso entusiasmo a fare ciò in cui credo. Grazie per lo vostra simpatia e per l’ospitalità. A presto».

Intervista a Maria Grazia Capulli
Il nostro campionato si è chiuso da poco e ha visto trionfare la tua collega di tg, Maria Concetta Mattei; Manuela Moreno si è classificata terza, e tu quarta. Vi siete mai scambiate commenti sull’andamento del torneo o sfrecciatine come Io con quella ho vinto, tu no?
«No, almeno in mia presenza».
Il fatto che tre delle prime quattro classificate di questo campionato siano del Tg2 è un riconoscimento al valore della testata, o lo reputi un successo personale indipendente dalla comune struttura di appartenenza?
«In parte potrebbe essere merito anche della testata, che per una coincidenza piuttosto fortunata porta in dote un nutrito numero di giornaliste in gamba, preparate e di bella presenza. E aggiungo che ce ne sono molte, anche tra quante non vanno in video e che fanno un lavoro per così dire dietro le quinte, ma sempre molto importante».
La conduzione in piedi, meno formale, può avervi dato una mano?
«Non saprei. E’ un tipo di conduzione che non prediligo. Manca ad esempio la possibilità di prendere appunti, se i fogli cadono di mano è una tragedia, anche perché noi non abbiamo il gobbo, poi, col fatto che ci sono tre telecamere, oltre a comunicare la notizia in maniera esatta dobbiamo stare anche attente a quale camera sta registrando… La conduzione classica, dietro la scrivania, al contrario, agevola il giornalista».
Nella storia del Campionato delle telegiornaliste sei la professionista che ha ottenuto i migliori piazzamenti: prima, seconda, terza, seconda, seconda, settima e quarta. Credo tu ne possa essere contenta.
«Certo, mi fa piacere, perché questa costanza di rendimento significa che sono apprezzata in maniera costante, anche quando non appaio in video; oltretutto da questa stagione i conduttori del Tg2 sono aumentati, quindi non mi capita più di condurre una settimana su tre, ma una su otto, per esempio».
Inoltre molto spesso risulti essere la concorrente più votata, o quella con il rapporto voti a favore - voti contrari tra i migliori.
«Wow, allora dovreste istituire un premio a parte!», (ride, ndr).
Però, nonostante tutto questo, c’è sempre qualcosa che va storto, qualcuno che si frappone fra te e la vittoria finale.
«In questo forse c’è una sorta di corrispondenza con la mia situazione professionale: quante volte mi sono sentita rivolgere apprezzamenti per il mio lavoro, per gli ascolti, quante interessanti prospettive annunciate… poi guarda caso non se n’è mai fatto nulla. Avrei anche qualche idea sulle motivazioni ma preferisco glissare. Noblesse oblige!».
Così, però, fai provare la “sindrome da Inter” anche a chi, nerazzurro ma di fede atalantina, ne farebbe volentieri a meno: un anno fa sul Corriere della Sera dichiaravi di non capire come mai fossi arrivata in finale. Te lo chiedi ancora adesso?
«No (sorride, ndr)! Ma non avevo detto questo. Mi avevano domandato come mi vesto per andare in onda, forse perché credevano che il vostro criterio di voto si basi esclusivamente sull’aspetto fisico, e io ho risposto che non mi vesto in maniera sexy. Forse adesso mi curo un po’ più che gli anni scorsi, ma comunque non esagero mai. Evidentemente l’autrice dell’articolo ha rielaborato un po’ troppo la mia risposta».
Un ultimo appunto sulla tua popolarità preso di noi: le discussioni che ospitano le tue partite registrano costantemente un numero di accessi molto superiore a quello delle altre partite. Qualche volta è successo che le visite di tutte le altre sfide, sommate, non raggiungessero quelle della tua.
«Ariwow!» (ride, ndr).
Una tua collega mi ha detto che le sembra strano che ci sia qualcuno che vi chiede autografi, perché, diceva sempre lei, il vostro “è un lavoro normale”. Che effetto ti fa vedere che questo trattamento non è riservato solo a calciatori, attori e cantanti?
«E’ quantomeno inaspettato che questo accada anche nei nostri confronti. Ma ti risponderò con la battuta di uno dei miei film preferiti sul mondo del giornalismo, L’ultima minaccia: E’ la stampa, bellezza! Da rivedere e correggere così: E’ la tv, bellezza!».
E per concludere, una curiosità: durante la tua ultima settimana di conduzione sei stata presentata a video come “Maria F. Grazia Capulli”. La “F.” sta per…?
«E’ il mio terzo nome: in realtà io avrei dovuto essere “Maria Francesca Grazia Capulli”, ma all’anagrafe hanno combinato un pasticcio. Adesso sto valutando se correggerlo e ripristinare lo stato originario delle cose… vedremo».
CRONACA IN ROSA RU486 a importazione limitata di Valeria Pomponi

Chi credeva che la polemica sulla pillola abortiva RU486 fosse placata dovrà ricredersi.
Il ministro Storace, durante la Consulta di An tenutasi a Firenze lo scorso 30 gennaio, annuncia: «Modificherò il decreto del '97». Cioè la norma che permette l'acquisto all'estero di farmaci non commercializzati in Italia.
Lo scopo è quello di regolamentare in senso restrittivo l'introduzione della pillola abortiva nel nostro Paese.
«C'è una corsa all'aborto» afferma il ministro della Salute.
E la Toscana, definita dallo stesso Storace "regina dell'incentivo all'aborto", è la principale accusata: «Proprio in Toscana - secondo il responsabile del dicastero - sono state effettuate il 90% delle procedure d'acquisto della pillola abortiva, di cui il 55%, dallo stesso medico, Massimo Sbreton, responsabile del reparto di ginecologia all'ospedale di Pontedera».
Non si fa attendere la replica dell'assessore alla Sanità della regione Toscana, Enrico Rossi, che assicura il totale rispetto da parte dell'ospedale di Pontedera delle norme riguardanti le procedure di richiesta all'estero del farmaco.
Il polverone sollevato dalla polemica in corso non lascia dubbi: sentiremo ancora parlare della pillola abortiva.
Ma in tempo di elezioni si riuscirà a non trasformare una così delicata e controversa questione in argomentazione propagandistica per la campagna elettorale?
CRONACA IN ROSA IL MONDO DELLE DONNE Record nordico di Erica Savazzi

 È la donna dei record, Tarja Halonen. Prima donna a essere eletta presidente della Repubblica finlandese nel 2000, oggi è nuovamente nella storia del suo paese: è la prima donna ad aver ottenuto un secondo mandato alla massima carica dello Stato.
Nata alla vigilia di Natale del 1943 in un quartiere operaio di Helsinki, ha studiato legge. Il suo attivismo politico inizia nei primi anni ’70, quando entra nel partito socialdemocratico. Da allora ha avuto un cursus honorum di tutto rispetto: ministro degli Affari Sociali, della Cooperazione, della Giustizia, degli Esteri. Oggi è presidente.
È stata riconfermata al secondo turno delle elezioni col 51,8% dei voti, battendo il candidato conservatore Salvi Niinisto. Pur non avendo poteri governativi, il pensiero e i principi che guideranno la sua azione presidenziale sono chiari: la sua campagna elettorale è stata infatti imperniata sull’importanza e sulla valorizzazione dello stato sociale e su un convinto europeismo. Lo stato sociale finlandese è uno dei più avanzati al mondo. Viene finanziato con un’elevata tassazione, ma in cambio offre servizi assistenziali di altissimo livello, per tutto l’arco della vita. Membro dell’Unione europea dal 1995, la Finlandia fa parte dei primi dodici stati che hanno adottato l’euro nel 2002.
Con la rielezione di Tarja Halonen si conclude un ciclo iniziato esattamente un secolo fa: nel 1906 la Finlandia fu il primo Paese al mondo a concedere il diritto di voto alle donne. Una lunga tradizione di rispetto, di diritti civili e di uguaglianza tra i sessi che ha portato al migliore epilogo possibile.
FORMAT  Una "iena" dal viso d'angelo di Giuseppe Bosso

Era il 19 settembre 2004 quando il palcoscenico di Salsomaggiore Terme, sede dello storico concorso di bellezza patrocinato da Enzo Mirigliani, la incoronava come più bella del reame Italia. Statuaria (un metro e ottantatre), una cascata di capelli biondi, due profondi occhi azzurri, un sorriso smagliante e una vocina accattivante che aveva stregato la platea di Miss Italia.
Così è iniziata l’ascesa di Cristina Chiabotto, classe ’86, di Torino. Prima dolce fatina allo Zecchino d’oro, in seguito inviata esterna al Sanremo targato Bonolis, che l’aveva già voluta al suo fianco nella puntata finale di Affari tuoi abbinato alla Lotteria Italia, poi protagonista di uno spot tormentone accanto al suo idolo calcistico Alessandro Del Piero; e quindi sensuale danzatrice a Ballando con le stelle, dove ha vinto al fianco del maestro Raimondo Todaro.
Infine, cioè adesso, la chiamata delle Iene, che le hanno affidato un’ardua missione: sostituire nientemeno che Alessia Marcuzzi, conduttrice storica della trasmissione, al fianco di Luca & Paolo, ma soprattutto nel cuore degli affezionati spettatori dello show d’assalto di Italia 1.
Una scelta decisamente coraggiosa; un po’ perché potrebbe apparire controcorrente rispetto a quell’immagine di brava ragazza acqua e sapone che finora l’ha accompagnata, un po’ anche perché raccoglie un’eredità pesante.
Ma Cristina non si spaventa per questo, piace per la sua spontaneità e schiettezza, e del resto ha già ricevuto l’ investitura ufficiale in diretta dall’illustre predecessora, ora padrona di casa del Grande Fratello.
Già le prime puntate, in ordine di ascolti, hanno soddisfatto i vertici di Cologno Monzese, nonostante un’agguerrita concorrenza, sia interna (Carabinieri), sia esterna (Ballarò).
Non ci resta che aspettare il prosieguo, ma su una cosa si può stare sicuri fin d’ora: Cristina, dietro quel viso d’angelo, ha grinta e carattere da vendere. Una vera iena!
FORMAT Il Tempo di Ambra Angiolini di Nicola Pistoia

Sono passati tanti anni da quando la vedevamo sgambettare negli studi di Non è la Rai con il suo fido auricolare per carpire ogni minima dritta del suo talent scout Gianni Boncompagni.
Oggi Ambra è una donna nuova, responsabile e professionalmente molto preparata. Dopo tanti programmi più o meno importanti, che nel bene e nel male l’hanno vista protagonista di critiche talvolta troppo forti, ritorna con una trasmissione nuova che segna la sua maturità.
Venerdì 3 febbraio, alle 23.40, su Rai3, è partito Dammi il tempo. Un programma dedicato ad un particolare tipo di generazione, quella dai 30 ai 45 anni, di cui si è gia detto fin troppo, quella che è cresciuta con le comodità, quella che non si decide a sposarsi.
In ogni puntata viene trattato un argomento portante e la discussione avviene tramite le considerazioni personali di un ospite famoso, grazie alle interviste semiserie di Lillo & Greg e al resoconto di Giampiero Mughini. Una trasmissione che, neanche a farlo a posta, scandisce il passare del tempo di Ambra, che certamente non può ritenersi inclusa in questa tanto criticata generazione.
La showgirl, compagna del cantante Francesco Renga (si sono conosciuti durante il Festival di Sanremo del 2000), a 28 anni è gia mamma della piccola Iolanda ed è in attesa del secondo pargolo. Per lei questo è un periodo positivo: dopo aver presentato Chicas sul canale satellitare Fox Life, e dopo aver condotto, l’estate scorsa, il contenitore Cominciamo bene, insieme a Michele Mirabella, oggi si cimenta nella conduzione di un programma in cui sarà lei la vera protagonista.
Quella di Ambra è una duplice sfida: porterà in televisione il suo pancione. Del resto, come lei stessa ha dichiarato, è «incinta, mica malata».
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i – di Filippo Bisleri

Gradino più alto del podio per Anna Maria Chiariello. L’ottima cronista ci ha regalato, nei giorni scorsi, un pezzo da antologia dedicato al film L’oro di Napoli con ritrovamenti di scene mai viste. Mettendo in un servizio di spettacoli e di cultura la sua altissima professionalità acquisita nei vicoli di Napoli e in Campania, la Chiariello conquista il primo gradino del podio. “9”.
Secondo gradino del podio per Sandro Provvisionato, un giornalista sempre preparato e di grandissima professionalità. I suoi servizi per Terra! sono l’esemplificazione di come si possa fare dell’ottimo giornalismo e dell’approfondimento vero senza enfasi e partigianeria. Complimenti. “8”.
Terzo gradino del podio per Didi Leoni. Il ritorno in conduzione ha restituito al pubblico una brava professionista, adeguatamente impostata per aiutare il telespettatore a entrare nel clima della notizia restando attaccato agli schermi, come se ogni servizio fosse il più importante dell’edizione del tg. Brava. “7
Cosimino “Mino” Taveri è un bravo giornalista ma, purtroppo, durante la conduzione di Diretta stadio, è più preoccupato di non “bucare” gli annunci pubblicitari che delle domande ai protagonisti della domenica pallonata. E così la valletta Elisa Triani, vista l’emarginazione alla postazione Internet dell’ottima Mikaela Calcagno, deve fare le domande. Cui prodest? Da rivedere. “6”.
Secondo gradino del contropodio per Bruno Vespa. Si pensava che la puntata sulla chirurgia estetica (con tanto di verifica manuale sulla donna in studio) avesse toccato il minimo di Porta a porta e invece no: con l’approssimarsi delle politiche il “nostro” Bruno sta dando il peggio di sé. Chissà che sarà di noi durante la campagna elettorale. Non ci stiamo. “5”.
Gradino più basso del contropodio per Maurizio Costanzo. Anche i suoi Corti di cronaca convincono sempre meno. Una formula informativa, la sua, da rivedere e poco scindibile dalle comparsate spettacolari di Buona domenica. Bocciato. “4”.
ELZEVIRO  Munich, la rabbia e l’orgoglio di Antonella Lombardi

1972, Monaco, benvenuti alle “Olimpiadi della pace e della gioia”. Trionfa con sette ori nel nuoto l’atleta tedesco Mark Spitz, vincono per l’Italia i nuovi talenti, Pietro Mennea e le donne: Antonella Ragno, Paola Pigni, Novella Calligaris. Il mondo guarda. Mancano sei giorni alla fine dei Giochi.
Otto uomini scavalcano una recinzione, hanno delle tute, sembrano degli sportivi, ma sono un po’ maldestri, non riescono ad entrare nel villaggio olimpico. Passano di lì alcuni atleti americani che li aiutano, ignari. Via le tute, sbucano le armi. E’ la perdita dell’innocenza. Sequestri, trattative, richieste, uccisioni. Bagno di sangue finale all’aeroporto di Monaco. La tv prima annuncia: «Tutti salvi!». Poi smentisce. Tutti morti. La guerra dei mondi inizia, e Spielberg mostra la reazione delle due parti in causa alla notizia: esultanza tra i palestinesi e sgomento tra gli israeliani.
E’ un film controverso, Munich, che ha già fatto discutere. Tratto dal romanzo Vendetta di George Jonas, riscritto per l’occasione dal Premio Pulitzer, Tony Kushner, il film, in realtà, non scava a fondo nelle ragioni dell’una e dell’altra parte, mostra la rigidità delle due parti in lotta, immaginando quanto accadde dopo, con la reazione di Israele, ma sostenendo anche la tesi dell’inutilità della vendetta.
Lo scopo di Spielberg non sembra quello di voler fare luce sui fatti, piuttosto gettare un’ombra sulla legittimità di un odio che si autoalimenta, sterile. E le ombre si estendono al presente: il film è uscito nelle sale italiane il 27 gennaio, giorno della memoria. La storia oggi ci dice che Hamas ha vinto le elezioni.
«Ogni civiltà scopre che arrivano momenti in cui è necessario negoziare i suoi più alti valori con dolorosi compromessi» dice Golda Meir nel film. E’ con questa investitura che Avner, figlio di un eroe di Israele, diventa agente del Mossad e capo di una squadra che con lui dovrà uccidere, con discrezione, senza sparare nel mucchio, le menti di quella strage.
E’ una squadra composita, quasi a voler rappresentare diversi modi di essere ebreo; il regista dosa rabbia e orgoglio, con frasi che alternano la certezza al dubbio. Se il più duro dice: «E’ il sangue ebreo l’unico che mi sta a cuore e sono l’unico che vuole uccidere davvero i palestinesi», ce n’è un altro che ribatte: «E’ per questo che non te lo facciamo fare». E se vacillare nelle proprie motivazioni è un lusso che non ci si può permettere in una missione del genere, è sufficiente pensare a se stessi non come assassini, ma «come soldati in guerra» per andare avanti.
Ma ogni guerra segna indelebilmente un soldato e ogni guerra è costellata da episodi grotteschi. Come l’ottusa richiesta di ricevute dettagliate da parte di un burocrate del Mossad per le spese necessarie ad ogni assassinio. O come la condivisione di una stanza d’albergo tra ebrei e palestinesi, una convivenza forzata nel film come nella storia.
L’orgoglio per una patria da difendere diventa rabbia, che, se prima risparmia una bambina palestinese, poi si abbatte cieca e oscena sul corpo di una donna, colpevole di aver teso una «trappola col miele».
Insieme al sangue aumentano i dubbi, i punti di vista si moltiplicano, frammentati, tra specchietti retrovisori, zoom e stilemi del genere thriller anni ‘70.
Come conciliare la ragion di Stato con le leggi dello Stato di Israele, contrarie alla pena di morte? Gli spazi riflettono questa tensione e se prima sono ospitali, con grandi tavole imbandite, poi diventano claustrofobici, minacciosi.
Persino il proprio letto può ospitare un ordigno, e se le ansie notturne suggeriscono ad Avner di dormire in una cabina armadio, con armi sempre a portata di mano, di giorno è lecito sognare una casa che ti accolga, davanti alla vetrina di un negozio di cucine, pensando alla propria famiglia lontana, all’oscuro di tutto.
There’s no place like home, cantava Judy Garland. E anche in questo film di Spielberg, come negli altri, si sogna un focolare che non c’è, un Eden perduto, una casa che accolga, ospitale.
Nel corso della missione Avner è sempre più tormentato; a lui dirà l’anarchico patriarca francese con cui condivide la passione per la cucina: «Siamo uomini tragici: mani da macellaio, animi gentili».
Alla fine Avner invita Ephraim, suo contatto interno al Mossad, a spezzare il pane a casa sua «perché è scritto da qualche parte», ma Ephraim rifiuta, restando fermo sulle proprie posizioni. Alla fine di tutto questo non c’è la pace. Sullo sfondo si intravedono le Twin Towers.
ELZEVIRO Orgoglio e pregiudizio: 65 anni dopo di Nicola Pistoia

La nuova versione di Orgoglio e pregiudizio, tratto dal celebre romanzo di Jane Austen pubblicato nel 1813, segue il primo adattamento cinematografico sui grandi schermi nel 1940 (con Laurence Olivier e Greer Garson), e quello più recente, televisivo, altrettanto famoso, perlomeno in Gran Bretagna, trasmesso dalla BBC esattamente dieci anni fa, quando lanciò Colin Firth nel ruolo del protagonista maschile.
Il "nuovo" film è interpretato dalla più recente stella inglese, la bellissima Keira Knightley ( già vista in Sognando Beckham, La maledizione della prima luna e King Arthur), oltre che da Rupert Friend, Matthew Macfadyen e Simon Woods.
IL film è girato tutto nell’Inghilterra agreste in vere case d’epoca. L’intento è abbandonare del tutto lo stereotipo televisivo di un’imbalsamata aristocrazia campestre e rifiutare la tradizione pittorica del film in costume.
Inoltre la scelta di ambientare la pellicola in esterni è molto particolare: ma la campagna promozionale per sfruttare a fini turistici il successo del film induce a pensare che la regione abbia accolto con enorme favore l’iniziativa.
Il film diventa così una sorta di pubblicità di un viaggio nel Peak District. Oggi, infatti, questi luoghi meravigliosi sono al centro delle visite guidate per i curiosi provenienti da tutta Europa.
Per quanto riguarda la parte prettamente cinematografica, non è certo facile interpretare le eroine letterarie, ma Keira Knightley ci riesce molto bene rendendo una Elizabeth Bennet smorfiosa, sarcastica, coraggiosa, e nello stesso tempo turbata dall’inevitabilità di un destino che non sente suo. Tutta la pellicola ruota intorno alla figura della protagonista Lizzie, al suo modo di guardare le cose e all’angoscia di una ragazza che percepisce lo "sbaglio" di essere nata in un’epoca non adatta a lei.
Il regista Joe Wright, molto apprezzato dalla critica, ha cercato di rimanere il più possibile ancorato alla trama originale, anche se sono presenti piccole modifiche, per porre l’attenzione sulla dura realtà economica e sociale del periodo e sulla difficile condizione delle donne sottomesse, il tutto con molta intelligenza e leggerezza.
Il film risulta un po’ lungo ma comunque ottimo, e dimostra ancora una volta come cinema e letteratura possano fondersi in un perfetto equilibrio.
TELEGIORNALISTI Cherubini, lo sportivo che ama la radio di Filippo Bisleri

Marco Cherubini oggi è un apprezzato giornalista della redazione sportiva di casa Mediaset. Un volto ben noto per gli sportivi di Guida al campionato e di altre trasmissioni sportive delle reti del biscione, come i collegamenti per le gare di Champions League. L’abbiamo raggiunto in una pausa del suo lavoro per farci raccontare qualche aspetto del giornalista Marco Cherubini.
Come ha scelto di fare il giornalista?
«Sono figlio d’arte, visto che mio padre Virgilio è stato un grande giornalista degli anni Sessanta e Settanta».
Cosa ti piace di più della professione giornalistica?
«La cosa che più mi affascina della professione è la ricerca della notizia, il lavoro che serve per arrivarci».
Quali sono gli argomenti che preferisci affrontare?
«Dovendo scegliere, lo sport e la cronaca».
Hai una preferenza per il giornalismo televisivo o ti piacciono anche altri media come la carta stampata o le radio?
«Beh, ad essere onesti, la radio è la mia grandissima passione. Da sempre».
Nella tua esperienza professionale hai un servizio, un personaggio o un'intervista che più ricordi?
«Anche qui rispondo senza alcun dubbio e dico le due Olimpiadi di Barcellona e Sydney: indimenticabili».
Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
«Per formarmi come giornalista mi sono rifatto agli insegnamenti di Roberto Chiodi e Massimo Corcione».
Tra colleghi e colleghe chi apprezzi di più?
«Ne scelgo tre, e precisamente Stefano De Grandis, Roberto Beccantini e il mio “maestro” Massimo Corcione».
Molti sono i giovani che vorrebbero fare i giornalisti. Quali consigli daresti loro?
«Direi che si può dire loro semplicemente di insistere, non mollare. Anche se l'accesso alla professione è una giungla».
TELEGIORNALISTI Il 5x1000 serve alla politica o alla società? di Enzo Mellano

Troppi politici si riempiono la bocca di parole di grande significato del tipo: libertà, democrazia, partecipazione sociale, trasparenza, e chi più ne ha più ne metta. Ma, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E visto che la visibilità della politica è diventata prioritaria rispetto alla necessità di predisporre reali vantaggi per la collettività, si spiega come mai in politica si consolidi sempre di più la pratica dell’apparire a danno della pratica dell’essere.
Un esempio eclatante della pratica dell’apparire è dato da un provvedimento voluto dal ministro Tremonti. Si tratta del 5x000 previsto dalla finanziaria 2006, a favore della Ricerca o delle associazioni di volontariato. Non dura negli anni ma è temporaneo, come tutti i provvedimenti della finanziaria.
In effetti, lo si può considerare un provvedimento fumoso, voluto per ragioni di campagna elettorale. Infatti, dà un contentino alla Ricerca e alle associazioni di volontariato senza risolvere i problemi di nessuno, e non tocca l'8x1000 per non scontentare la Chiesa.
Il provvedimento è fumoso per varie ragioni.
Se il limitato budget del 5x1000 voluto da Tremonti venisse tutto devoluto alle associazioni, è evidente che non risolverebbe i problemi di nessuno. Si avrebbe solo a una distribuzione a pioggia di denaro pubblico, cioè uno spreco.
Attraverso continue apparizioni in tv e articoli sui giornali, si sta propagandando l’intenzione del governo di voler fornire un supporto economico aggiuntivo alla Ricerca, con l’istituzione del 5x1000. Implicitamente, però, il messaggio mediatico sottintende anche la consapevolezza del governo che la ricerca è in sofferenza. Perché allora non decidere una cifra da destinare alla ricerca e aggiungerla direttamente alla dotazione statale prevista dalla finanziaria? Sarebbe stata certamente una scelta più coerente con i propositi enunciati e più convincente per tutti.
La terza ragione è data dal fatto che se, per assurdo, nessun contribuente firmasse per devolvere il 5x1000 alla ricerca, lo Stato non aggiungerebbe un centesimo alla dotazione statale, cioè non ci sarebbe nessun aiuto finanziario. Ma allora, questa ricerca la vogliono aiutare o prenderla in giro?
Un amico, presidente di un’associazione di volontariato molto radicata sul territorio nazionale, mi ha confermato che si è messa in moto una vera e propria organizzazione per “piantonare a turno” tutti gli uffici in cui ci si reca per poter scegliere di firmare per devolvere il proprio 5x1000. E le dimensioni dell’ “arrembaggio” al 5x1000 sono notevoli se si considera che in Italia esistono decine di migliaia di associazioni di volontariato in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. E’ chiaro che sotto l’aspetto meritocratico non tutte le associazioni sono uguali, e quindi premiare soprattutto chi si distingue per impegno sociale non era da preferire per il ministro Tremonti, che perciò ha preferito innescare una sorta di “guerra dei poveri”, pur di distribuire il contentino a tutti. La campagna elettorale, si sa, ha precise necessità che vanno rispettate.
Insomma, i provvedimenti fumosi certamente fanno bene alla politica per poter esercitare la pratica dell’apparire. Di certo non fanno bene ai cittadini che, invece di ricevere vantaggi, si vedono solo recapitare puntualmente il conto da pagare.
Nel predisporre atti legislativi, sarebbe cosa buona e giusta che un ministro tenesse conto anche del rispetto dell’ intelligenza dei cittadini, anziché trattarli da peones. Ma, nel caso di Tremonti, potrebbe anche trattarsi di semplice incapacità amministrativa. Sarà così?
OLIMPIA Non è più un gioco di Mario Basile

Pugni chiusi e saluti romani. Croci celtiche e bandiere rosse. No, non sono immagini di manifestazioni politiche: arrivano dagli stadi italiani. Non è certo una novità che la curva, il settore in cui abitualmente comandano gli ultrà, sia diventata col tempo una zona franca dove vengono esibiti striscioni razzisti e politici.
Ma chi sono questi ultrà? E cosa c’entrano politica e razzismo con la fede calcistica? Rispondere alla prima domanda è semplice: gli ultrà sono i tifosi più accaniti e violenti che ci siano. Vivono solo per la maglia, il loro tifo è religione allo stato puro.
Alla seconda questione è quasi impossibile rispondere. L’unica cosa certa finora è che il fenomeno del conflitto politico tra tifoserie sta crescendo sempre di più e si è andato ad aggiungere ai già diversi motivi di guerre tra supporters.
In tanti pensano che il tifo della curva sia una sorta di una guerra ritualizzata, e che cori razzisti e idee politiche siano solo espressioni rituali di un gruppo. Non è così.
Tradizionalmente i riti uniscono gli uomini: questi comportamenti, invece, mirano a diversificare i conflitti e a dividere le persone. La violenza, gli inni a campi di concentramento e a criminali di guerra non rappresentano una ferocia sconsiderata, ma riflettono il vuoto sociale e culturale che affligge la nostra società.
E’ emblematico che gli striscioni inneggianti al nazismo siano comparsi all’Olimpico nel periodo appena successivo alla Giornata della memoria per le vittime dell’Olocausto. Ciò che succede allo stadio e nelle curve non è altro che la manifestazione di una collettività depressa e agitata. C’è ben poco di rituale nella prepotenza e nello scontro politico gratuito. Servono a poco le multe e le squalifiche che si infliggono ai club. Il danno arrecato a quei valori su cui si fonda il vivere civile è inestimabile.
Eppure esistono i regolamenti. Le misure restrittive del nuovo decreto Pisanu, entrato in vigore quest’anno, puniscono severamente coloro che allo stadio si rendono protagonisti di atti violenti o provocatori, ma c’è qualcosa che ancora non funziona.
E’ troppo facile per i gruppi estremisti infiltrarsi allo stadio ed infiammare un ambiente già caldo. Il ministro ha promesso la tolleranza zero d’ora in poi. Staremo a vedere.
Il problema va però risolto alla base: i regolamenti serviranno a poco finché la società non decida di cambiare rotta, prendendo esempio, magari, dagli altri Paesi europei, dove il rispetto del prossimo e degli ideali altrui, nonché il vivere civile, hanno la meglio sulla violenza.
E i calciatori? Loro, le divinità degli ultrà, i primi attori dello spettacolo in scena, cosa fanno? Sarebbe opportuno che si impegnassero a gettare acqua sul fuoco, ricordando a tutti che il calcio, oltre che uno sport, è prima di tutto un gioco.
Ed invece: c’è chi alza un braccio per salutare il suo “popolo” in barba alle leggi dello Stato; chi grida al complotto contro la sua squadra perché la tifoseria è di fede politica diversa da quella dei governanti.
Errore madornale: i supporters andranno allo stadio pensando di fronteggiare un nemico non solo sportivo ma anche politico. Si rendano conto, questi signori, che hanno il dovere di infondere un clima di lealtà e civiltà. Lo facciano per le tante persone che a tutt'oggi hanno voglia di vivere le emozioni del calcio senza spranghe né striscioni offensivi, ma armati solo di sana passione. Lo facciano per insegnare ai bambini, che la sanno più lunga: a loro basterebbe un prato verde e un campione da amare per vivere un sogno.
OLIMPIA Al via Torino 2006 di Mario Basile

Sono iniziati a Torino i XX Giochi Olimpici invernali. Cinquant’anni dopo Cortina, il braciere olimpico torna ad ardere in Italia. Ad accenderlo Stefania Belmondo al culmine di un’emozionante cerimonia d’apertura. Una cerimonia che ha lasciato tutti a bocca aperta, stampa estera compresa.
Alcuni l’hanno definita una “mostra d’italianità”. Hanno ragione. Tutto lo spettacolo è stato un omaggio alla nostra cultura: dalla voce del maestro Albertazzi che ha recitato alcuni versi della Divina Commedia, allo show sul ghiaccio della Ferrari di Luca Badoer; dalle musiche di Claudio Baglioni, al gran finale, col Nessun dorma cantato da Luciano Pavarotti. Il calore dei 35.000 dello Stadio Olimpico ha fatto il resto.
Ma l’inaugurazione dei giochi è stata soprattutto all’insegna della femminilità: erano donne gli ultimi due tedofori; ed erano otto grandi donne del mondo quelle che hanno portato la bandiera olimpica: Sofia Loren, Manuela di Centa, Isabel Allende, Susan Sarandon, Wangari Maathai, Somaly Mama e le atlete Nawal el Moutawakel e Maria Mutola.
In chiusura, ancora una sorpresa, con Yoko Ono che manda un messaggio di pace, ricordando le parole di Imagine, di John Lennon, poi cantata da Peter Gabriel.
Dal punto di vista organizzativo, Torino 2006 sarà una prova molto dura per il nostro Paese. Tutto il mondo ci guarda e l’Italia vuole essere all’altezza. Per questo sono state fatte le cose in grande: impianti nuovi di zecca, tre villaggi olimpici in grado di ospitare circa 4.000 persone e un enorme dispiego di forze dell’ordine. Tantissimi i volontari arruolati. Saranno impegnati nelle attività più disparate, su tutte l’accoglienza e l’assistenza agli ospiti. L’anima dell’organizzazione sono loro.
Nei giorni precedenti al via, il viaggio della fiaccola olimpica ha subito qualche piccolo intoppo per le proteste dei no global, ma questo non ha scalfito più di tanto lo spirito olimpico che avvolge tutta Torino.
Gli atleti azzurri vogliono fare bella figura. L’obiettivo minimo è di nove medaglie. Con dieci, l’Italia degli sport invernali entrerebbe nella storia, arrivando a cento podi conquistati ai Giochi Olimpici; ma nel clan azzurro c’è chi pensa addirittura di poter arrivare a dodici. Intanto, mentre scriviamo, Armin Zoeggeler ha già conquistato l’oro nello slittino. Incrociamo le dita, sperando che altre medaglie ed emozioni ci vengano presto regalate dagli atleti italiani.
Il presidente Ciampi, in visita al Villaggio Olimpico, ha incitato gli atleti al grido di: «Fateci sognare». E con lui sogna tutta l’Italia sportiva.
VADEMECUM La storia del giornalismo/3 di Filippo Bisleri

Nella storia del giornalismo non bisogna dimenticare le belle esperienze che stanno vivendo anche i supplementi settimanali editi da diversi quotidiani: Magazine del Corsera e Venerdì di Repubblica su tutti, ma anche le interessanti iniziative editoriali come quella del settimanale News, che mette anche a disposizione un piccolo spazio per i lettori perché siano loro a realizzare il giornale di settimana in settimana a fianco della redazione.
E non possiamo naturalmente dimenticare il capitolo, sempre più importante, del giornalismo televisivo. Il primo telegiornale viene trasmesso in Italia, da quella che oggi si chiama Rai, nel 1954. La seconda rete, e nuovi spazi per il telegiornale, nascono nel 1961, mentre Rai3 appare nel 1979.
Non si possono trascurare, poi, le interessanti esperienze dei telegiornali delle tv cosiddette commerciali o private. Telemontecarlo, oggi La7, aveva già un buon telegiornale nel 1976, e mano a mano l’ha fatto crescere fino agli ottimi livelli di oggi.
In casa Mediaset il telegiornale, con alla conduzione Emilio Fede, nacque nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 1991. Fu Studio Aperto, chiamato così per la forma dello studio, e fu il primo tg a dare, in diretta, in un drammatico tempo reale, l’annuncio dell’attacco iniziale della prima guerra del Golfo.
È invece il 13 gennaio 1992 quando Enrico Mentana presenta il Tg5 (oggi nelle mani di Carlo Rossella). Il 1° giugno dello stesso anno nasce quindi il Tg4 che poi Emilio Fede, il “papà” del telegiornalismo di casa Mediaset, ha sviluppato fino ai livelli odierni, dopo aver lasciato a Paolo Liguori la direzione del suo Studio aperto.
Nel frattempo, sia in Rai, sia a Mediaset e La7, le redazioni sportive si sono affrancate, nelle responsabilità, da quelle dei vari telegiornali. Va quindi citata l’innovativa esperienza di Skynews24 con tg continui (ottima la loro copertura della vicenda tsunami nel dicembre 2004), affiancata da quelle dei vari tele- e radio- giornali delle reti televisive e radiofoniche locali, che ora sfruttano spesso il satellite o la modernissima tecnologia del digitale terrestre.
(21 – continua)
VADEMECUM L'esperto risponde

Federica di Roma ci chiede
:
Quali sono le regole per diventare pubblicisti scrivendo per una rivista web: numero articoli, lunghezza, documenti, eccetera?
Risponde Filippo Bisleri:
Ogni Ordine regionale fissa, di anno in anno, norme e numeri. Consulta il sito dell'Ordine dei Giornalisti, seguendo il link all'Ordine del Lazio.
Un anonimo lettore ci scrive:
Sono l'Amministratore di una srl e vorrei avere chiarimenti sul tipo di contratto da sottoscrivere con un direttore responsabile per una rivista trimestrale.
Risponde Filippo Bisleri:
Il contratto può essere Fnsi o Aer-Anti-Corallo, dipende dalle vostre esigenze e dalle richieste di tutela del giornalista.
EDITORIALE Via col vento di Silvia Grassetti

Sostituire il direttore del Tg5 così a ridosso delle elezioni politiche sembra al momento una mossa improponibile. Ma l’aria che tira a Mediaset somiglia poco ad una fresca brezza primaverile: pare il refolo che prelude alla tempesta.
In realtà, le avvisaglie si sono verificate già da qualche settimana, con il proverbiale occhio del ciclone (leggi Fedele Confalonieri) sospeso sopra Verissimo, il format pomeridiano dell’ammiraglia Mediaset, nonché vero traino dell’audience dal pomeriggio alla prima serata: la flessione negli ascolti ha portato al cambio dei conduttori Benedetta Corbi e Giuseppe Brindisi, sostituiti dalla soubrette Paola Perego, e all’ingresso quale vicedirettore Tg5, con delega al programma, di Piero Vigorelli.
Pochi o nulli i margini di trattativa lasciati alla redazione giornalistica: o la Perego e il Vigorelli, o il programma sarebbe passato “alla rete”, sarebbe cioè stato sottratto al Tg5 e 25 giornalisti si sarebbero aggiunti alle fila dei colleghi “a spasso”.
Non stiamo neanche a soffermarci sulla professionalità propria di un format giornalistico, né sulla deontologia, per carità! In fondo, si tratta di un programma realizzato per la casalinga di Frosinone, va già di lusso che alle spalle della Perego una redazione ci sia ancora.
Piero Vigorelli, saltato fuori dal cilindro di Confalonieri (mai contento di avere sul sofà di casa quel Rossella tanto amico di Della Valle e Montezemolo, a loro volta non - amici di Berlusconi), craxiano della prima ora, forzista con bandiera del partito a sventolare per i corridoi Rai all’indomani delle elezioni del 1994, aveva appena lasciato, guarda caso, la condirezione con Mauro Crippa di Videonews, la testata giornalistica di Mediaset.
Al Tg5 i vice di Rossella erano già sette: Cesara Buonamici, Toni Capuozzo, Andrea Pamparana, Vittorio Testa, Enrico Parodi, Lamberto Sposini e Alessandro Banfi. Non stupisce che Vigorelli sia già stato definito “l’ottavo re di Roma”.
Intanto, a Videonews è arrivato il successore, Giorgio Mulè, direttore di Economy di Mondadori, già caporedattore di Panorama e guardato amorevolmente da Berlusconi, che lo aveva in precedenza indicato come “suo prediletto” per la direzione del settimanale.
Vigorelli e Mulè sono solo due dei pretendenti al trono del Tg5; altri nomi vengono sussurrati nei corridoi: Maurizio Belpietro, direttore del Giornale, ma anche Clemente Mimun del Tg1, che aveva già cerchiato in rosso la data del 9 aprile nella propria agenda.
Domani è un altro giorno, diceva quell’altra Rossella. E speriamo che non sia, non continui ad essere, l’informazione vera a fare le spese di un balletto di poltrone.
 
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