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Telegiornaliste N. 31 del 12 dicembre 2005


MONITOR Chiariello, giornalista per vocazione di Filippo Bisleri

Anna Maria Chiariello, sposata con un collega dello stesso cognome (Paolo Chiariello di Sky Tg24) è una donna nata per fare la giornalista. E per fare il giornalismo sul campo.
La incontriamo mentre attende di essere ascoltata dai carabinieri sulle modalità con cui è entrata in possesso dell’identikit (poi diffuso anche da Chi l’ha visto) di una persona che avrebbe a che fare con la scomparsa della piccola Celentano sul Monte Faito.
«Fin da bambina – racconta la Chiariello – volevo fare la giornalista. E ho cominciato con piccole collaborazioni fino ad approdare al mondo dello sport collaborando con Autosprint e poi con Rombo. Ho cominciato a seguire la Formula 1 e le gare delle categorie minori, conoscendo il compianto Ayrton Senna, che era davvero un grande uomo, ma di quelli con la “U” maiuscola. Ad un certo punto, però, si trattava di lasciare la mia terra, la Campania, e andare a Bologna ma non me la sono sentita, trattenuta dalla città che ha i suoi mille contrasti, ma proprio per questa è bella, e dall’amore per la cronaca nera».
È più facile fare la giornalista televisiva o lavorare nella carta stampata?
«Personalmente credo che lavorare nella carta stampata sia molto utile per fare bene la televisione. È vero che la televisione è bella, ma lo è solo se ha le immagini adeguate. Secondo me, per essere un buon giornalista televisivo devi prima essere un bravo giornalista della carta stampata».
Hai mai condotto un Tg?
«Mai, anzi no: una volta, quando ero direttore a Canale8 sono dovuta andare in video a condurre, ma non lo rifarei più. Personalmente amo troppo l’idea di fare l’inviata e non amo il desk, preferisco “sporcarmi le scarpe di fango” seguendo gli eventi sul luogo».
Cosa ricordi di più della tua qualificata carriera professionale?
«Con un po’ di angoscia, ricordo l’intervista ad uno dei tre “orchi” di Silvestro Delle Cave, segnatamente l’uomo accusato di aver aiutato ad occultare il cadavere. L’intervista che invece ricordo con piacere è quella fatta a Roberto Robustelli, il ragazzo sopravvissuto per 72 ore al fango a Sarno. Realizzai il servizio con le riprese della telecamera fatte dall’anestesista e l’intervista il mattino seguente alle 7.00! Che emozione!».
Chi ti ha insegnato di più come giornalista?
«Detto che apprezzo tutti i miei direttori, non posso che citare il compianto Giampaolo Rossetti, per noi “il rosso”, grande giornalista e grande professionista nonché grandissima persona. E grazie a lui e a Mentana (e ora con Rossella si prosegue) la redazione del Tg5 è sempre stata gestita in modo orizzontale e partecipato e non verticistico. Devo anche ricordare Marcello Sabatini, fondatore di Autosprint. Lui mi ha pure insegnato molto, e ricordo di averlo contattato per lettera chiedendo di collaborare. Lui scommise sui di me e, dopo poche settimane, seguivo già gare di motori».
Quali consigli daresti a dei ragazzi che vogliono fare il giornalista?
«Mi fa piacere dare dei consigli, e comincio con il consigliare un cognome famoso. Scherzi a parte, sconsiglio di seguire la mia strada che è quella di una ragazza che ha voglia e curiosità di fare informazione, perché oggi chi fa carriera è il popolo del desk. Io consiglio ai ragazzi di fare le scuole di giornalismo come Urbino o Milano per avere un accesso alle redazioni e per arrivarci preparati. Troppo spesso, infatti, vedo delle nuove leve poco preparate che agevolano il tragico processo di scomparsa della figura dell’inviato».
È difficile conciliare il ruolo di moglie e di giornalista?
«Non è difficile, anche se mi manca la controprova con il ruolo di mamma che ho solo sfiorato qualche anno fa. Forse, però, il fatto che io e Paolo (Chiariello, il marito, ndr) facciamo lo stesso lavoro ci agevola. E così i rientri tardivi dell’uno sono ampiamente compresi dall’altro».
CAMPIONATO Tre per uno  di Rocco Ventre

Dopo Monica Vanali e Maria Grazia Capulli (vittoriose anche in quest'ultimo turno), sono certe della qualificazione ai play-off anche Maria Concetta Mattei, Manuela Moreno e Luisella Costamagna. Rimane ancora un solo posto da assegnare e se lo contenderanno in tre: Maria Luisa Busi, Francesca Todini e Laura Cannavò.
La lotta per non retrocedere rimane ancora incerta e la stessa Maria Leitner che sembrava spacciata, vince lo scontro diretto con Marica Morelli e, pur rimanendo ultima, si rimette in gioco. 
Il torneo di serie B proprio in vicinanza dell'epilogo perde per strada una delle favorite: Cinzia Fiorato, oltre a Paola Rivetta; le sei finaliste che si contenderanno i quattro posti per la promozione sono Chiara Ruggiero, Maria Cuffaro, Roberta Predieri, Milena Gabanelli, Valentina Bendicenti, Tiziana Ferrario.
CRONACA IN ROSA Quota mille di Stefania Trivigno

Appena dieci giorni fa a Kenneth Lee Boyd, condannato per l'omicidio della moglie e del suocero nel 1988, è stata praticata l’iniezione letale.
L’ultima chance di salvezza per Boyd è svanita poco prima dell’esecuzione: il governatore dello Stato, Mike Easley, dopo aver revisionato il caso, ha dichiarato che non vi erano ragioni per accordare la grazia al detenuto. Non un pensiero né una riflessione sul fatto che Boyd fosse un veterano del Vietnam e, come la maggior parte dei "colleghi", anch'egli avesse avuto conseguenze psicologiche decisamente negative. E ricordiamo che, in Vietnam, Boyd era stato spedito proprio dal governo USA.
Poco prima di morire, Boyd aveva dichiarato di essere infastidito dal fatto di venire citato e ricordato come un numero: il “giustiziato numero 1000”.
Neanche toccava a lui quel numero, ma a un altro detenuto nel Braccio della Morte che, a poche ore dall’esecuzione, ha ottenuto la grazia perché c’erano margini di dubbio sull'equità del processo.
Ma il governatore che ha concesso la grazia, commutando in ergastolo la pena di morte, è il democratico Mark Warner, potenziale candidato alla nomination per le elezioni presidenziali del 2008: considerazioni politiche e sondaggistiche diverse, con tutta probabilità.
L'esecuzione dal numero bifronte, 1001, fissata al 13 dicembre ai danni di Stanley “Tookie” Williams, ex boss di una gang di neri, oggi candidato al Nobel per la pace e premiato da Gorge W. Bush, solleverà di certo nuove polemiche sulla pena di morte.
Nei lunghi anni trascorsi nel Braccio della Morte di San Quentin, a nord di San Francisco, infatti, Tookie non solo si è trasformato in un detenuto modello ma è diventato uno scrittore per ragazzi: ha scritto nove libri in cui racconta la vita del carcere e incita i giovani dei ghetti a non buttare via le loro vite e le speranze, come ha fatto lui.
Dal 1976, anno in cui la Corte suprema ha reintrodotto la pena di morte negli Stati Uniti d’America, ci sono state, come detto, 1000 esecuzioni.
Nonostante l’esame del DNA abbia più volte dimostrato l’innocenza di molti giustiziati, per l’americano medio la pena capitale continua a essere ritenuta un ottimo deterrente contro il crimine.
Le percentuali e le statistiche contraddicono nei fatti che la criminalità sia diminuita. Sarà forse a causa dell'esempio che in tal modo dà lo Stato? Un omicidio per punire un omicidio. Se è giusta, o efficace, la politica dell’occhio per occhio, chi avrà l’onore di fissare la data dell’esecuzione degli USA?
CRONACA IN ROSA Il reality shock di Cogne di Rossana Di Domenico

In questi giorni si celebra a Torino l’ultimo processo ad Annamaria Franzoni, la mamma del piccolo Samuele assassinato nella sua casa di Cogne. I resoconti riferiscono di code all’ingresso del tribunale, gente che arriva alle sei del mattino pur di riuscire ad entrare, produzione autogestita di biglietti numerati come al banco di un supermercato, pullman organizzati provenienti da ogni regione italiana per assistere al più orrendo degli show.
Telegiornali, programmi di approfondimento, lo stesso Porta a porta di Vespa, ma anche Verissimo su Canale5, e persino Mentana che aveva criticato in modo sarcastico gli altri programmi, parlano di Cogne. I mass media e noi tutti siamo contagiati da una cognite contagiosa.
Senza entrare nel merito della vicenda giudiziaria e senza nessun giudizio di colpevolezza o innocenza, ripercorriamo brevemente la saga della Franzoni. Dall’omicidio di Samuele, la donna appare piangente in tutte le televisioni e giornali d’Italia: Bruno Vespa realizzerà ventisette puntate normali e due speciali, dal canto suo Maurizio Costanzo farà il colpaccio, garantendosi la presenza al suo show della Franzoni e del marito.
La donna si rivolge all’avvocato Taormina, bravissimo a bucare lo schermo, che dopo aver difeso mafiosi e assassini, decide che quella è la volta giusta per farsi pubblicità.
Taormina cambia strategia: abbandona la linea del precedente legale («miriamo all'ergastolo con la tv a colori») e annuncia, uno dopo l'altro, una serie di assi nella manica. L'avvocato sa chi è l'assassino ma non lo dice per prenderlo di sorpresa, poi non sa più chi è, poi fa capire che comunque deve essere comunista, infine ammette che non ci capisce una mazza e chiede l'ergastolo con la tv a colori.
Taormina, da perfetto showman della situazione, organizza un video con il marito della Franzoni, trasformandolo in un attore. Il video, che poi sarà mostrato alla corte, ha l’obiettivo di dimostrare l’innocenza della donna, mentre il marito che veste i panni del probabile assassino. Ma non è tutto. Il confessore della donna decide di uscire allo scoperto, rivelando una Franzoni mamma fragile e affettuosa, come da copione.
La Franzoni, condannata a trent’anni in primo grado, adesso dovrà affrontare questo nuovo processo, che la vedrà colpevole o innocente in maniera definitiva. Sperando che tutto si concluda al meglio, in nome di un innocente che non si era ancora affacciato alla vita.
FORMAT Gli amici del weekend di Giuseppe Bosso

Sabato, domenica &.., contenitore di Raiuno interamente dedicato alla salute e al benessere, che negli ultimi due giorni della settimana fa compagnia agli spettatori del primo canale,è una delle piacevoli sorprese del palinsesto Rai.
Informazioni, curiosità e segreti
su ciò che è utile da sapere per il proprio benessere psico-fisico, tematica quanto mai presente sugli schermi, soprattutto nelle prime ore della giornata, sotto la brillante conduzione dell’inedita ma riuscitissima coppia formata dalla sensuale Sonia Grey, e dal vulcanico Corrado Tedeschi, ai quali si affiancano i giornalisti Vira Carbone e Stefano Ziantoni, la bella italoindiana Sarita Agnes Rossi, nonché i due "medici di fiducia" Fabrizio Duranti e Giovanni Scapagnini e i due inviati Dado Coletti e Irene Benassi.
Chiarezza e attenzione i punti cardine di questa trasmissione, che si propone di informare costantemente il pubblico sulle ultime novità dal mondo della scienza sul come mantenersi in forma e curare il proprio aspetto, temi che nell’era della società basata sull’immagine sono all’ordine del giorno. Ma al tempo stesso una finestra per consentire ai telespettatori di segnalare cosa va e cosa non va nel mondo sanitario, non sempre purtroppo alla ribalta in positivo nelle cronache, che evidenziano come spesso quel "diritto alla salute" riconosciuto dalla Costituzione non è garantito a tutti gli effetti.
Il tutto all’insegna della competenza e della simpatia dei due conduttori, veterani del piccolo schermo, che, sia pure diversamente, agli inizi della loro carriera avevano percorso ben altre strade (Tedeschi prima attore teatrale poi conduttore di programmi musicali e di intrattenimento; la Grey sexy star di programmi come Striscia la notizia e Yogurt), per poi declinare, con successo, sulla tv utile: Cominciamo bene per Corrado, Uno mattina per Sonia.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i – di Filippo Bisleri

Concluso il ciclo delle prime puntate di Report, assegniamo il primo gradino del podio a Milena Gabanelli, ribattezzata anche “Gabanella” per la qualità, altissima, che mette in ogni puntata della sua trasmissione. Una grande giornalista che meriterebbe sempre più spazi a discapito, magari, di qualche reality show. Per la bravissima Milena un meritato “9”.
Secondo gradino del podio per Enrico mitraglietta Mentana, che ha risollevato le sorti del programma Serie A e salvato l’investimento aziendale in campo di diritti sul calcio. A lui il secondo posto anche per la bravura nell’allevare, professionalmente, una nutrita pattuglia di telegiornaliste/i che oggi fanno del Tg5 uno dei tg più autorevoli. Complimenti al nostro “Chicco nazionale” e grazie da parte dei telespettatori. Per lui un ottimo “8.5”.
Terzo gradino del podio per Maria Luisa Busi, una vera e propria anchor woman del Tg1. La bionda telegiornalista dimostra sempre molta grinta e professionalità. Ed è soprattutto questa estrema professionalità, in studio come in esterna, che la porta ad essere presa a modello da molte aspiranti telegiornaliste. Complimenti. “8”.
Lo avevamo bocciato alcune settimane fa ma, evidentemente, non vi è peggior sordo di chi non vuol sentire. Parliamo di Xavier Jacobelli che continua a palleggiare la propria presenza tra Qs e Italia7 Gold. Passabile la versione cartacea, quella televisiva è decisamente da rivedere. Cominciando dall’abc… Respinto con un “4.5”.
Al contropodio ci è quasi affezionato e, forse, quasi ne avrebbe a male se passato nel podio dei promossi. Noi lo accontentiamo perché se lo merita e confermiamo Aldo Biscardi al suo solito “confino”, il contropodio. Le ultime puntate del Processo hanno toccato fondi di decenza mai raggiunti. E il dramma è che hanno registrato alti picchi di ascolto… Misteri dell’Auditel o, come direbbe Striscia, potenza dei “Nuovi mostri”. Respinto. “5”.
Nel contropodio anche Anna La Rosa, le cui ultime uscite sono di scarso livello giornalistico. Noi siamo convinti che i numeri per fare del buon giornalismo li abbia e ci stupiamo che non li metta in pratica. Quantomeno per fronteggiare il tentativo di Bruno Vespa di ulteriormente accreditarsi come mediatore tra politici e cittadini affermando la propria ignoranza. Se anche Anna usasse questo stile potrebbe balzare al podio dei promossi. Per ora nel contropodio con un “6+”.
TELEGIORNALISTI Il giornalismo per la ricerca scientifica di Erica Savazzi

Enzo Mellano, direttore della rubrica televisiva Il faro, è l’ideatore della proposta di modifica della Legge 222/85 sull’8x1000, che vorrebbe affiancare alle alternative di scelta già presenti (Stato e confessioni religiose) la possibilità di devolvere la propria quota dell’Irpef alla ricerca scientifica. Per promuovere la raccolta di firme necessarie a presentare il testo in Parlamento e per sensibilizzare l’opinione pubblica, ha realizzato un sito internet: www.clubfattinostri.it/8x1000.
Come le è venuta l’idea di inserire la ricerca scientifica tra i beneficiari dell’8x1000?
«Intanto voglio dire che secondo la mia opinione, alla ricerca dovrebbe pensarci lo Stato con adeguate risorse. Ma, come si dice, a mali estremi, estremi rimedi. Se da anni non ci pensa lo Stato, le scelte sono due: soccombere o reagire. Io ho scelto la seconda. Da giornalista e da cittadino mi infastidiscono i proclami politici del tipo “bisogna aiutare la ricerca”, senza spiegare come e senza far seguire i fatti alle parole.
L’idea dell’8x1000 mi è venuta quando ho saputo che 22 milioni di contribuenti (il 60%) non firmano per nessuno. Quindi ho pensato che senza pesare né sul bilancio statale né sulle tasche dei cittadini, con ulteriori prelievi obbligatori, e salvaguardando la libertà di scelta di quanti preferiscono devolvere il proprio 8x1000 a una religione o allo Stato, i contribuenti che attribuiscono alla ricerca un alto profilo sociale avrebbero potuto liberamente scegliere di dirottare verso la ricerca il 60% del gettito 8x1000 dell’Irpef».
I lettori di Telegiornaliste.com come possono aiutare l’iniziativa?
«Sul sito ho scritto: “Se condividi la mia proposta aiutami a diffonderla”. Ognuno puo’ farlo nel modo che ritiene più opportuno in funzione delle proprie possibilità. Comunque ho riportato anche alcuni consigli utili nelle pagine "Come diffondere l'iniziativa" e "Come sostenere l'iniziativa"».
Perché è importante partecipare?
«Per alcune ragioni particolarmente importanti. Innanzitutto perché è dalla ricerca che la collettività può aspettarsi quelle risposte innovative, capaci di promuovere il progresso sociale e il miglioramento della qualità della vita. Ma più fondi alla ricerca vogliono dire anche favorire l’occupazione di tanti giovani ricercatori. Frenare la fuga di cervelli dall’Italia, in cerca di migliori condizioni di lavoro e di carriera: un prezioso patrimonio nazionale che stiamo perdendo. Infine, è preferibile che una buona scoperta emerga dal lavoro di italiani eseguito in Italia. Ne guadagnerebbe il prestigio nazionale nel mondo, soprattutto se le scoperte segnano traguardi determinanti».
Non teme che l’inserimento di un nuovo beneficiario dell’8x1000 possa suscitare critiche e opposizione da parte degli enti che già ricevono le quote?
«Certo. A nessuno piace vedersi decurtare somme di denaro. Ma per onestà di informazione occorre fare dei distinguo:
1) Se la mia proposta mirasse a far cambiare idea a chi, ad esempio, sceglie le religioni, la mia sarebbe una battaglia contro qualcuno e non a favore di qualcosa di utile a tutti. Ma dal momento che, come ho detto prima, la proposta salvaguarda la libertà di scelta di tutti, è palese che non si vogliono togliere quote a nessuno purché siano espressamente devolute dai contribuenti.
2) La critica è inevitabile e legittima, a condizione che eventuali enti che si ritengono penalizzati non mettano in discussione la volontà sovrana del contribuente di scegliere senza condizionamenti a chi destinare il proprio 8x1000.
3) Se poi a criticare è un ente che, grazie a un inghippo dell’art.47 della legge che ha istituito l’8x1000, da anni incassa “indebitamente per legge” anche la maggior parte delle quote che 22 milioni di contribuenti non gli devolvono, allora chi critica dimostra di avere faccia tosta e poco rispetto per i contribuenti, magari di un altro Stato».
Perché un giornalista decide di lanciarsi in una battaglia di questo genere, che ha a che fare con la politica?
«Con la politica non ho niente a che fare. Non ho mai voluto farne parte. Da giornalista la politica ho sempre preferito interrogarla, soprattutto in diretta televisiva. E fatte salve rare eccezioni, nella mia esperienza mi sono accorto che la politica predilige la cultura dell’apparire a quella dell’essere e pertanto l’attenzione per farle le cose, invece di annunciarle soltanto, è sempre più scarsa. Per queste ragioni diventa essenziale che qualcuno si dimostri attivo nel sociale. Se non fosse così, forse potremmo avere un ulteriore decadimento della politica».
Secondo lei, perché le modifiche alla normativa sull’8x1000 non sono state proposte dai Parlamentari, ma è dovuto intervenire il cittadino comune?
«Anche se è imbarazzante, o non conveniente, mettersi contro i cosiddetti “poteri forti”, alcuni parlamentari hanno presentato una proposta di legge, anche su mio suggerimento. Infatti, nei primi mesi del 2002, in una delle mie dirette televisive, due parlamentari, uno di destra l’altro di sinistra, accettarono di fare propria la mia proposta di legge. Dopo pochi mesi, ognuno presentò una propria proposta, sostanzialmente differente dalla mia. Quindi, i due parlamentari disattesero l’impegno assunto con me e con i telespettatori. La proposta che presentarono, come ha fatto anche qualche altro parlamentare, non poteva conseguire miglioramenti significativi per la ricerca, perché mirava solo all’utilizzo di parte della quota a gestione statale, che in totale ammonta a poco più di 200 miliardi del vecchio conio. Ma agire solo sulla esigua gestione statale non cambia le cose e non interferisce con “certi equilibri”. Al contrario, inserire una nuova casella per la ricerca cambia le cose e questo richiedeva più coraggio».
A che punto è la raccolta di firme?
«Circa 15.000 firme di privati. Ma stanno aumentando i comuni e le province che mi chiedono la documentazione per la delibera di Consiglio».
Fino a quando proseguirà?
«Proseguirà fino al raggiungimento di almeno centomila firme e mille delibere di Consiglio».
Un messaggio per invitare i lettori ad appoggiare questa iniziativa.
«Per consentire a 22 milioni di contribuenti, che non devolvono l’8x1000 né alle religioni né allo Stato, di poter scegliere di firmare per la ricerca scientifica. Perché tra gli scopi di interesse sociale, la ricerca scientifica è oggettivamente fra quelli di carattere prioritario.
Perché la ricerca merita più attenzioni per assicurare più certezze anche a te.
Perché le disattenzioni verso la ricerca danneggiano tutti: ricchi e poveri, privati e politici di destra e di sinistra, atei e religiosi.
Per frenare la fuga all’estero dei nostri cervelli, potenziare la ricerca e migliorare il prestigio nazionale nel mondo».
VADEMECUM Il dizionario del giornalismo/2 di Filippo Bisleri

Nuova puntata del dizionario del giornalismo. Partiamo dalla definizione di fondo, ovvero quell’articolo che esprime, su un determinato argomento che si ritiene il più importante del giorno o della settimana, il parere del direttore, di un redattore o collaboratore illustre.
Se non è firmato, il fondo assume la denominazione di editoriale in quanto, comunemente, si ritiene rispecchi la posizione dell’editore su quel determinato argomento.
L’intervista è invece il colloquio tra un giornalista e un interlocutore che l’ha accettato conoscendone le finalità. Nella stesura, il giornalista deve rispecchiare fedelmente le dichiarazioni e i concetti espressi dall’intervistato.
Per lead, invece, si intende l’attacco del servizio. Deve contenere i dati più significativi della notizia e rispondere alla regola delle 5 W inglesi.
Menabò è lo schema, o schizzo, su scala ridotta o a grandezza naturale, della pagina da realizzare. Si realizza su una base prestampata detta gabbia. Si è di fronte ad una pagina vetrina quando le foto prevalgono sugli articoli.
Con la locuzione passare la notizia si intende l’elaborazione di un testo, la sua titolazione e il collocamento in pagina o traduzione in un servizio televisivo o radio. Con pastone si definisce il servizio che riassume tutte le notizie su uno stesso argomento provenienti da una stessa città.
Rubrica è la sezione di un giornale o di un tg che tratta in modo sistematico un argomento, la spalla l’articolo che nei giornali appare con il titolo in alto a destra della pagina.
Tabloid è il termine inglese che indica i giornali, quotidiani o settimanali, di formato più piccolo rispetto ai nove colonne.
Taglio, invece, è la posizione nella pagina degli articoli: taglio alto è quanto sta sopra la metà della pagina, taglio medio quello che sta a metà e taglio basso tutto quanto è sotto. Il tamburino è il riquadro delle pagine spettacoli con i cartelloni di cinema e teatri.
La terza pagina è lo spazio del giornale per cultura e letteratura. Nacque il 10 dicembre 1901 nel quotidiano Il Giornale d’Italia a Roma.
Tiratura: numero di copie stampate di un giornale. Il titolo, infine, è la sintesi che anticipa e presenta un articolo. La sua misura è data dalle colonne e può avere o meno l’occhiello (elemento introduttivo) e il catenaccio (sommario con carattere più evidente).
A livello radiotelevisivo è da citare il programma o palinsesto che è l’insieme dei contenuti destinati alla fruizione del pubblico mediante diffusione video o radio.
(14 – continua)
VADEMECUM L'esperto risponde

Mario di Caiazzo ci chiede:
Ho 24 anni, sono di Caserta, e ho una grande passione per il giornalismo. Volevo sapere come si diventa pubblicista e come si diventa giornalista professionista: c'è bisogno di una squola? Io ho cominciato a scrivere, per fare un poco di esperienza, su un sito internet che si occupa di basket, che è la mia grande passione, ma gli articoli che sto facendo mi permettono di diventare pubblicista?
Risponde Filippo Bisleri:
Come già scritto in altre risposte e nel Vademecum, servono, per diventare pubblicista, 24 mesi di collaborazioni retribuite con almeno una sessantina di articoli firmati, siglati o riconosciuti, come scritti dal richiedente la tessera di pubblicista, dal direttore responsabile della rivista. Verifica il lato pagamenti ed evita le q nella parola scuola...
Debora di Roma ci scrive:
Vorrei sapere qual è la retribuzione minima per gli articoli da presentare per il conseguimento del tesserino da pubblicista
Risponde Filippo Bisleri:
Cara Debora, in linea di principio non esiste un minimo per il pagamento degli articoli prima della presentazione della domanda per il tesserino da pubblicista. In pratica, però, l'editore dovrebbe osservare un tariffario riveduto di anno in anno dall'Ordine dei giornalisti e consultabile via Internet (www.odg.it  ).
EDITORIALE Imbecilli di Tiziano Gualtieri

Mi perdoneranno i colleghi della Rosa, se mi sono ispirato al loro titolo in prima di qualche settimana fa. Solo così, però, può essere definito chi - domenica 27 novembre - ha ripetutamente insultato Mark Zoro, giocatore del Messina, per il colore della sua pelle.
So già cosa state pensando: ancora questa storia; facciamola finita, evitiamo di dare spazio a quattro personaggi che non rappresentano nessuno e che godono di tutto lo spazio mediatico a loro dedicato. Sì, forse è vero, ma in questo pezzo voglio sottolineare come il gesto di Zoro - che ha minacciato di abbandonare il campo - non sia servito a nessuno.
Parma-Inter, ottavi di Coppa Italia. La partita, come tutte quelle giocate fino a domenica scorsa, comincia con cinque minuti di ritardo per stigmatizzare ciò che è avvenuto alcuni giorni prima. Una posizione forte che consentirà di risolvere il problema? Secondo le menti illuminate di chi governa il calcio italiano sì, in realtà era facile prevedere che non sarebbe stato così.
I soliti imbecilli al seguito non perdono l'occasione, anzi ringraziano per gli ulteriori cinque minuti di protagonismo regalati, e ne approfittano per far vedere tutto il loro disprezzo verso chi ha la pelle di un colore diverso dal loro.
Il calcio non è malato di razzismo solo da qualche domenica a questa parte. Scritte contro giocatori ebrei, croci celtiche, manichini impiccati in curva, sono solo alcuni esempi dell'imbecillità di tifosi che farebbero meglio a utilizzare le sciarpe per coprirsi il viso dalla vergogna.
Bella la scritta "No al razzismo" apparsa sugli striscioni tenuti in mano dai calciatori. Ma siamo davvero sicuri che serva a qualcosa? Qual è il risultato che si ottiene, se uno sparuto gruppo di tifosi interisti - ma cambiando il colore delle maglie sarebbe lo stesso - riesce, in uno stadio pressoché deserto, a insultare chi ha avuto l'ardire di sottolineare il problema razzismo?
È vero, non è facile tenere sotto controllo un gruppo di imbecilli, ma neppure far finta di nulla può aiutare. La cosa più strana è che gli insulti e tutto il polverone mediatico siano nati proprio da supporter (ma sarà poi vero?) di una delle squadre più multinazionali del mondo, che fa anche dell'internazionalità il suo credo, a partire dal nome fino a giungere all'emblematica scesa in campo di undici stranieri, per concludersi con l'esultanza a ogni gol della coppia d'oro - guarda caso di colore - Martins e Adriano.
Un fuoco di paglia? No, il razzismo non si estirpa facilmente e i tifosi viola, che non hanno nulla da invidiare all'idiozia altrui, due domeniche fa hanno ribadito il concetto prendendo di mira lo juventino Vieira.
Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime giornate se non si da un segno forte, magari anche giungendo alla squalifica del campo o a vere e proprie punizioni comminate alle società?
Sì, perché lo sappiamo tutti, esistono pericolose connivenze tra squadre di calcio e supporters. Una sorta di scambio alla pari, un accordo - a volte neppure tanto placido - del tipo "io non rompo le scatole a te e tu non lo fai a me".
E come se non bastasse, c'è anche chi, non capendo nulla, sostiene che i "buuu" di scherno siano figli del patriottismo.
Lo stesso patriottismo che aveva spinto Joseph Blatter a chiedere l'eliminazione degli inni nazionali. Sì, perché l'ignoranza si manifesta, spesso, anche in quello: canzoni rappresentative di una nazione deturpate da fischi delle tifoserie avversati o da - e noi italiani lo sappiamo bene - giocatori che non sanno le parole e non cantano.
Peccato che il signor Blatter, che - tu guarda il destino - viene dalla Svizzera, unico Stato al mondo ad avere un inno cantato in tre lingue, non sapesse o capisse la differenza che passa tra patriottismo e nazionalismo.
Ebbene, ne avrei approfittato volentieri per ricordaglielo io: il patriottismo è la fierezza di appartenere a una nazione, il nazionalismo - invece - è l'odio di tutte le altre.
Ma questo, forse, sarebbe il caso che lo imparassimo tutti. Tifosi della curva o signor Blatter del momento, perché il calcio è - e deve restare - lo sport più bello e appassionante del mondo.
Tanto per la cronaca, il signor Blatter è tornato indietro sulla sua proposta: gli inni al mondiale di Germania 2006 ci saranno. È giusto così, anche perché sarebbe stato un peccato mondiale non poter ascoltare le note di quello di Trinidad & Tobago.
COLPO D'OCCHIO Il doppio protagonismo di Penelope di Fiorella Cherubini

E’ all’operato dell’eroina omerica che probabilmente si ispira la nostra Chiesa, che per un verso fa e per l’altro disfa.
Dal Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo giunge, infatti, l’ennesima stonatura della Chiesa cattolica, la nuova crepa nell’edificio del “bel concetto” secondo cui per Dio siamo tutti uguali: «No ai preti gay!», pronunciamento della Congregazione per il Culto e i Sacramenti (la storica Inquisizione), che Papa Ratzinger ha ratificato in toto e reso pubblico alcuni giorni fa.
L’emancipazione omosessuale è incappata di nuovo nelle tagliole dei falsi benefattori, e l’espediente per rivisitare alcune “istruzioni” relative ai seminaristi ed ai loro orientamenti sessuali è stato sollevato da recenti episodi di pedofilia, prevalentemente omosessuali, da parte di alcuni preti statunitensi.
Poche righe estrapolate dal documento del Vaticano risulteranno sufficienti, ai lettori, per rilevare l’assurdità della decisione, oltre alla manifesta discriminazione: «Può essere "ordinato prete" chi vive "in castità" da almeno tre anni: verranno cioè esclusi i "candidati" che hanno avuto rapporti omosessuali lungo l’ultimo triennio dell’iter formativo».
Non serve essere un teologo per capire che la condicio sine qua non per essere un buon prete è la devozione a Dio e alla collettività, unita ad un dovere di castità che, in quanto previsto per l’esercizio di tale ufficio, poco importa, rectius, ugualmente importa, che a praticarla sia un etero o un omosessuale.
Su quali basi, allora, poggia la superbia di considerare falsa la “chiamata” di un gay?
Per quale ragione la scelta del sacerdozio è una scelta consapevole e ponderata se fatta da un eterosessuale e nient’altro che una via di fuga se fatta da un omosessuale?
Discriminare gli uomini tra gli uomini è ingiusto, anche se, ragionando per assurdo, è una realtà a cui siamo quasi assuefatti; ma discriminare gli uomini anche davanti a Dio è un diritto che la Chiesa, quale messaggera di pace e di accettazione, non dovrebbe arrogarsi.
Che ben vengano dunque i gay pride, le manifestazioni in piazza, le rivendicazioni degli omosessuali per difendere il loro diritto ad esistere, per salvare quella libertà che, per Gaber, è partecipazione.
Anche se a fatica, la Chiesa dovrà pur convincersi che l’omosessualità non è una febbre malarica da cui difendersi, né tanto meno è scritta nel dna di un gay la sua inadeguatezza alla vita sacerdotale.
E parliamo di convinzione, non di rassegnazione. Questa, l’unica condizione umana, realmente, contronatura.
 


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