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Telegiornaliste N. 29 del
28 novembre 2005
MONITOR Lisa Marzoli, nata per scrivere di Tiziano Gualtieri Lisa Marzoli, classe 1979 e tanta voglia di emergere. Si può dire tranquillamente che ha dedicato la sua vita al giornalismo, suo grande amore. Laureatasi con il massimo dei voti alla Facoltà di Scienze della Comunicazione dell'Università di Macerata con una tesi sulla tv digitale terrestre, per tre anni ha fatto la spola tra le Marche e Roma, dove, su RaiUno, curava due rubriche: una di letteratura e una di spettacolo. Da poco il grande salto e l'ingresso, a tutti gli effetti e in pianta stabile, nella grande famiglia di Uno Mattina. Tutto senza mai dimenticare i legami con la sua regione e per Teleadriatica, emittente locale che la vedeva condurre il telegiornale. Ora il salto verso la tv di Stato a tempo pieno. Lisa, il tuo rapporto con il giornalismo inizia fin da giovanissima con la classica gavetta tra i quotidiani locali e regionali. Quanto la gavetta ti ha aiutata nella tua carriera? «Mi ha aiutato moltissimo e sopratutto le umiliazioni. Ricordo ancora quando i miei amici mi prendevano in giro perché invece di andare a ballare andavo a sentire un consiglio comunale di tre ore, e il giorno dopo mi davano appena 10 righe sul Resto del Carlino per la sintesi. Oppure quando non riuscivo a capire il politichese (di cui ora sono esperta...) o alcuni colpi bassi delle colleghe. Sembravo davvero Cappuccetto Rosso, ma ho capito che un mio grande punto di forza è la capacità di "incassare" cattiverie e andare avanti per la mia strada. La gavetta in fondo è questo: la prima selezione naturale. Se superi l'ambiente ostile e le poche soddisfazioni iniziali in cambio di un impegno totalizzante vuol dire che hai il carattere giusto per proseguire. Ma non è stato affatto facile». A 26 anni sei già professionista (da marzo 2005 ndr), hai alle spalle una solida formazione sia scolastica sia sul campo e già tre anni di esperienza in Rai, oltre ad essere tra i volti più noti delle Marche. Possiamo tranquillamente dire che stai bruciando le tappe. Qual è il tuo "trucco"? «Farsi vedere determinata, preparata, ma mai aggressiva. Le donne aggressive si sentono più forti, credono di dimostrare di avere gli "attributi" con un comportamento continuamente sgarbato, poco collaborativo e supponente. Ho molte colleghe così, ma io credo che le donne abbiano altre caratteristiche da sviluppare. Sono naturalmente portate alla mediazione, sanno capire gli stati d'animo degli altri, e spesso gli equilibri interni. Tutte capacità che, se ben usate, aiutano a percorrere la propria strada evitando sgambetti. Senza scimmiottare stupidamente gli uomini». A Uno Mattina ricopri un ruolo particolare: sei inviata. Girerai l'Italia in lungo e in largo per parlare di tradizioni, curiosità, ma anche di problemi che attanagliano il nostro Paese. Potrai così conoscere meglio la nostra penisola, ma soprattutto illustrarla a chi ti seguirà in televisione... «In questo credo mi aiuterà la mia formazione giornalistica. Cerco sempre di trovare in ogni cosa il lato problematico. Va bene parlare delle bellezze di una località, ma non si può fare un arido spot turistico. Bisogna parlare del territorio, dei problemi, delle difficoltà dei cittadini. Senza la presunzione di fare "inchieste" ovviamente, non è il programma giusto». Per tre anni hai fatto la pendolare tra Civitanova Marche e Roma. Poi la decisione di trasferirti nella Capitale. Quali le differenze nel fare giornalismo in una grande città rispetto a un piccolo centro? «La cosa che non sopporto ovunque è la presunzione. Quando si fa questo lavoro, l'umiltà è basilare. Intanto è un valido metodo per superare gli alti e bassi di questo mestiere e in più ti da la capacità di immedesimarti in chi ti ascolta. Bisogna parlare in modo semplice, senza inutili sfoggi di cultura, capire cosa interessa il pubblico e cosa semplicemente chi stiamo intervistando. Nel giornalismo regionale è facile montarsi la testa perché ti conoscono tutti e molti miei colleghi si sentono degli eletti. Niente di più sbagliato. Significa essere miopi, e infatti molti di loro rimarranno in eterno nelle loro piccole certezze senza fare un passo in avanti». Per accettare l'offerta della Rai sei stata costretta ad abbandonare tutto: la tua regione, ma soprattutto i colleghi di TV Centro Marche e Teleadriatica Odeon (emittenti regionali coproduttrici anche del talk show politico, da Lisa condotto, Testa a testa, ndr). Si dice che ci sia un abisso tra le tv regionali e quelle nazionali, Rai in primis. È proprio così? Quali, invece, le similitudini? «Alla Rai si ha una visione più nazionale. Non si rischia di coltivare il proprio orticello ma si guarda con curiosità ad un mondo sconfinato di cose. La competizione è altissima, raramente nascono amicizie vere, ma come palestra è eccezionale. Inoltre rispetto alle tv regionali c'è un gap strumentale incredibile. Abbiamo i mezzi per fare sempre un ottimo lavoro, come gli archivi, i database, le telecamere a infrarossi». Nella tua giovane, ma già ampia carriera, hai lavorato anche per il Resto del Carlino. Se ti chiedessero di scegliere: televisione o carta stampata? «Faccio la snob. Mi piace di più la carta stampata. Ma forse un po' dipende anche dalla richiesta pressante della tv di avere una bella immagine oltre che una professionalità. La prima richiesta mi mette in crisi perché sono abbastanza certa delle miei capacità giornalistiche, ma molto insicura sul mio aspetto fisico, come credo tutte le donne». Tu sei anche direttore di un bimestrale: da quale parte della barricata si sta meglio? «Quando si fa il redattore ordinario ci si lamenta di più, tanto poi è il direttore a sbrigarsela. Quando sei dall'altra parte ti rendi conto che i direttori hanno grane infinite non solo con la propria redazione ma con gli inserzionisti pubblicitari, i politici, i comitati, l'editore...Rispetti chi ha la capacità di mantenere gli equilibri con tutti senza impazzire. Per essere un bravo direttore bisogna essere un bravo giornalista ma sopratutto un grande stratega». Inviata, direttore di testata, anchorwoman; tu non sei solo questo, ma anche una ragazza interessata a tutto ciò che è cultura, politica, tematiche sociali ed arte in generale. Se ti venisse chiesto di scegliere un settore da seguire, quale sceglieresti e perché? «Sono appassionata di politica e credo nel tempo di avere maturato una certa competenza in questo settore». Nella tua tesi di laurea ti sei occupata del digitale terrestre, un nuovo metodo di trasmissione che - però - sembra essere stato accolto in maniera abbastanza fredda dagli italiani e non aver ancora preso piede, nonostante sia sempre più vicina la "morte" della televisione analogica. Cosa si può fare perché gli italiani "accettino" questa novità forse non ancora sfruttata appieno? «Sarà tutto più naturale di quanto sembri. Attualmente chi compra i decoder ha poca offerta di canali in digitale e non nota grandi vantaggi dall'analogico. Gli italiani si trasformeranno in amanti del digitale solo quando i tempi saranno maturi e ci saranno centinaia di canali digitali veri». Un'ultima domanda: sappiamo che anche ESPN, canale sportivo della piattaforma Sky, si è accorto di te. Ci sono sviluppi? «Sono molto, ma molto superstiziosa. Forse perderò qualche punto ma vado sempre in giro con un santino di Padre Pio e un cornetto. Per scaramanzia non te lo dico». MONITOR Benedetta Parodi, la sorellina di Giuseppe Bosso Il mondo del giornalismo,come qualsiasi altro campo, è indubbiamente un percorso molto lungo e difficile per chiunque cerchi di emergervi e farsi strada; a maggior ragione le cose si complicano per chi ha un nome, o meglio, un cognome “pesante”, e una posizione nel giro. E certo non è stato facile per Benedetta Parodi, 33 anni, da Alessandria, professionista dal 1999 e ormai volto storico di “Studio Aperto”, ritagliarsi e mantenere il proprio spazio in quell’ambiente dove una sorella, Cristina, da anni era ormai ritenuta una regina . Oltre che alle inevitabili difficoltà del “noviziato”, i suoi esordi sono stati indubbiamente contrassegnati dalle consuete ironie e perplessità: lavora perché è la sorella di… se non avesse quel cognome non ci sarebbe…eccetera. Pian piano, in questi anni invece la Parodina, come è stata soprannominata dagli appassionati fans delle telegiornaliste, ha saputo smentire le voci maliziose, mettendo in luce, oltre che un’indubbia bellezza e un inconfondibile sorriso (di famiglia evidentemente) anche una notevole competenza e professionalità nella conduzione dell’edizione mattutina del tg di Italia1, conquistando quegli spettatori che sono riusciti a guardare ben al di là del cognome scomodo. Appassionata di cucina, cura un blog sul sito del suo telegiornale, nel quale non di rado “sforna”ricette molto particolari. È sposata con il collega Fabio Caressa, telecronista di Sky, ed è mamma di due splendide bambine. Come dire, quando lavoro e vita privata riescono a conciliarsi in armonia. Vedremo in futuro se continuerà ad occupare la scrivania del tg diretto da Mario Giordano, o se accetterà nuove sfide professionali. Di certo, non le mancherà un nutrito seguito di fans. CAMPIONATO Maria Luisa c'è di Rocco Ventre Maria Luisa Busi è la vera novità di questo turno di campionato: contro Elsa Di Gati ottiene la sua quarta vittoria consecutiva e raggiunge quel sesto posto che significherebbe play-off se il torneo finisse adesso. Luisella Costamagna vince la sfida diretta con Manuela Moreno e si conferma in testa alla classifica insieme alla sempre più convincente Monica Vanali. Maria Grazia Capulli sconfigge nettamente la campionessa Francesca Todini (è crisi per lei) e si ritrova in solitudine al terzo posto. In coda importante vittoria di Cristina Parodi su Maria Leitner. Serie B: eliminate Guarnieri e Botteri; la più votata del turno è stata di gran lunga Maria Cuffaro. CRONACA IN ROSA Se la parità non è solo una parola di Erica Savazzi «Non ho voglia di aspettare 20 o 30 anni affinché ci siano uomini sufficientemente intelligenti per nominare donne nei consigli di amministrazione». Va subito al sodo il ministro per le Pari Opportunità norvegese, Karita Bekkemellem, eletta a settembre in un esecutivo di centro sinistra. Il numero delle donne presenti negli organismi direttivi delle società pubbliche e private del Paese nordico cresce infatti troppo lentamente, nonostante una legge del 2002 fissi delle “quote rosa”: in tre anni si è passati solo (si fa per dire) dal 6% al 21% di presenze femminili. La cooptazione su base volontaria non ha funzionato, e allora il ministro minaccia sanzioni: se entro due anni nei consigli di amministrazione delle imprese quotate le donne non arriveranno al 40%, le aziende saranno chiuse. Una misura troppo drastica secondo la Confindustria norvegese, ma che ben spiega il concetto scandinavo di parità: non solo a parole, ma soprattutto nei fatti. La Norvegia è uno dei Paesi più paritari del mondo: il 37% dei parlamentari sono donne, 9 dicasteri su 19 sono affidati a donne e il tasso di disoccupazione femminile è il più basso d’Europa, al 3,4%. Ma non basta. «Rappresentiamo metà della popolazione, dobbiamo esercitare metà del potere», dice la signora Bekkemellem. Una particolare forma di proporzionale basato sul sesso. In Italia la presenza di donne dirigenti all’interno delle imprese è di solo il 3,5% (la metà della Norvegia di tre anni fa), il nostro Parlamento si colloca al 78esimo posto nella classifica mondiale della presenza femminile e, insieme alla Grecia, è quello con meno donne in tutta Europa. Forse qualcosa si potrebbe imparare. Sono di questi giorni le polemiche sul disegno di legge voluto dal ministro Stefania Prestigiacomo sulle “quote rosa”, che prevede il 33% di donne nelle liste elettorali, bocciato dal Parlamento un mese fa e approvato con fatica la settimana scorsa. I detrattori del provvedimento, ad esempio i ministri Giovanardi, Pisanu e Martino, che hanno votato contro, agitano lo spettro di ghetti femminili. In realtà, se le candidature femminili fossero lasciate al loro buon cuore, probabilmente la situazione non cambierebbe, per un semplice calcolo: una posizione di prestigio in più per una donna significa una poltrona in meno per un uomo. Inoltre, a differenza della Norvegia, in Italia la necessità di una effettiva parità è poco sentita, a cominciare dagli stipendi, più alti per i maschi, come dimostrano numerose statistiche. In pratica le possibilità che il problema della rappresentanza femminile si risolva da solo sono molto scarse. Ben vengano quindi il muso duro e le soluzioni radicali in stile norvegese per introdurre un principio altrimenti disatteso, e soprattutto per far nascere una vera cultura della parità e del rispetto: è ancora fresco il ricordo degli insulti alle parlamentari nelle discussioni sulla fecondazione assistita. CRONACA IN ROSA Il volto nascosto delle donne kamikaze di Rossana Di Domenico Nelle scorse settimane la tv giordana ha trasmesso l’intervista di una donna trentacinquenne, mancata kamikaze, che confessava la sua partecipazione alla strage degli alberghi ad Amman. L’attentatrice arrestata racconta con tono pacato di come lei e suo marito siano entrati in Giordania il 5 novembre scorso con dei passaporti iracheni falsi. La donna entra nell’hotel bardata di una cintura piena di esplosivi, ma solo il marito si fa esplodere, mentre lei fugge assieme alla folla spaventata, pare per il mancato funzionamento del detonatore della bomba che, a sua volta, portava sotto il pesante vestito nero. Sayida, questo è il nome della donna, è sorella di un altro terrorista, Samir Atrus Al Rishawi, morto a Falluja in combattimento contro i soldati americani. Ciò che ha colpito nel suo racconto è la totale indifferenza per la sorte delle vittime dell’attentato all’hotel Radisson: non una parola, non un cenno, non uno sguardo diverso dagli altri. Proprio, "pietà l’è morta". Del resto, la pietà umana non compare mai nelle rivendicazioni dei delitti da parte di Al Qaeda e compagni; ma va aggiunto che non si ha mai notizia di fatwe (sentenze di condanna) emanate da autorità religiose dell’Islam nei Paesi arabi nei confronti degli autori di quelle stragi. E' infatti la prima volta che una folla di cittadini musulmani si è riversata nelle strade per protestare contro un eccidio del genere: ma si è trattato, appunto, della Giordania, colpita in questa occasione. Donne kamikaze solo se devono recuperare l'onore. Questa è, secondo molti studiosi, la principale motivazione per cui le donne verrebbero impiegate per il compimento delle stragi, ossia solo donne che in precedenza abbiano infranto regole d'onore e possano così espiare la loro vergogna. Il loro reclutamento sarebbe subordinato alla loro condizione: solo le donne che hanno trasgredito le norme morali possono diventare kamikaze e lavare così l'onta che macchia l'onore della loro famiglia. Queste donne martiri si fanno esplodere in nome della religione musulmana. Terroriste e assassine, disposte a uccidersi pur di uccidere: imbottite di esplosivo come i compagni maschi che, insieme a loro, tengono prigionieri centinaia di innocenti in un teatro di Mosca, le cinque vedove cecene parlano in tv. E parlano di morte. Col corpo e il volto nascosti dai pesanti veli che sono il simbolo stesso dell'inferiorità in cui le confina la società islamica, esse annunciano di esser pronte a compiere le stesse crudeltà dei loro simili dell'altro sesso. Sì, queste donne sono davvero uguali agli uomini: tanto che, come hanno decretato dotti teologi islamici, è sulla base di questa terribile uguaglianza che anche a loro sarà possibile godere - una volta raggiunto in questa maniera il "paradiso" - degli stessi privilegi fin qui riconosciuti solo ai maschi. CRONACA IN ROSA Comunicato stampa Prosegue la rassegna Intorno alle donne Proseguono gli appuntamenti della rassegna Intorno alle donne, promossa dalla Consigliera di Parità della provincia di Viterbo, avv. Maria Antonietta Russo, ideata e condotta dal giornalista Pasquale Bottone, direttore dei quotidiani www.viterbocitta.it e www.iltempodileggere.com. In questo terzo appuntamento, che ha luogo lunedì 28 novembre alle 18.00 in via Saffi, nella sala del consiglio della Provincia di Viterbo, sarà discusso il tema di grande attualità Donne che fanno notizia. Di scena autorevoli esponenti del mondo femminile che si adoperano, a vari livelli, svolgendo funzioni diverse, in uno dei settori senza dubbio di maggior interesse: quello della informazione e della comunicazione. Saranno presenti rappresentanti del mondo del giornalismo viterbese, della televisione e della carta stampata, assieme all’ospite nazionale di scena, Silvia Grassetti, direttore del settimanale e portale nazionale www.telegiornaliste.com, nato e gestito come osservatorio sulle protagoniste della carta stampata e del video, ma anche come efficace mezzo di descrizione dei fermenti socio-culturali; l’ultima frontiera dell’informazione dunque, quella che attraverso la rete quotidianamente, in tempo reale, riesce a mettere a fuoco la realtà e a darne conto. A sottolineare i tratti salienti del giornalismo “in rosa” ed a esaminarne il grado di inserimento e di incisività sarà Arnaldo Sassi, caposervizio della redazione de Il Messaggero di Viterbo. FORMAT L’Europa sul 3 di Erica Savazzi Mezz’ora per raccontare l’attualità e farci sentire un po’ più cittadini europei. È questo l’ambizioso obiettivo di TgR Europa, programma curato da Grazia Coccia e Alessandro Casarin, nato nel 1991 e ancora oggi una delle poche finestre televisive completamente dedicata alla vita dell’Europa unita. La sigla indica da subito il carattere multiculturale e multilinguistico dell’Europa: ideata da Franco Battiato, unisce la lettura di brani in tedesco, inglese e greco antico a un sottofondo musicale quasi surreale. Se l’Unione Europea è una organizzazione elefantiaca spesso impossibile da comprendere per i suoi cittadini, la trasmissione è invece agile, chiara e trasparente. Merito di servizi completi e curati, sia dal punto di vista informativo che delle immagini, realizzati dai giornalisti della sede Rai di Milano e da corrispondenti dislocati nelle diverse capitali europee. Eliminate le questione tecniche e i dibattiti politici, protagonista assoluta della trasmissione è la vita quotidiana delle persone, con una attenzione particolare per immigrati e minoranze e per le loro problematiche; grande spazio anche per la cultura e le tradizioni dei diversi popoli europei. Si racconta l’attualità, ma un posto d’onore è riservato all’arte, con servizi sull’architettura, una rubrica dedicata alle mostre organizzate nei principali musei europei e al cinema europeo in proiezione nelle sale italiane. La conduzione di Grazia Coccia, telegiornalista molto particolare con i suoi occhiali con la montatura di plastica e la zazzera rossa, è immediata ed efficace. Unico neo l’orario di messa in onda, la domenica in tarda mattinata su Rai3: non invoglia certo alla visione. Anche la scarsa pubblicità fatta al format non aiuta: considerando l’importante opera di divulgazione e di informazione, TgR Europa meriterebbe davvero una collocazione migliore. FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i – di Filippo Bisleri Prima posizione della nostra classifica, questa settimana, per Barbara Pedri. Il biondo volto del Tg5 delle 13.00 si conferma come una delle più brave giornaliste del panorama nazionale e, come ci ha spiegato in Telegiornaliste n. 27 Salvo Sottile, suo compagno di conduzione, una delle più esperte nel saper porgere le notizie nel modo adeguato, in grado di calamitare l’attenzione del pubblico. A questo punto vi aspettereste un voto intorno all’8, e invece no. A Barbara Pedri tocca, per la quasi perfezione, un “10-”. Secondo gradino del podio conquistato da Mikaela Calcagno. Brava, dinamica, preparata, è arrivata in un momento travagliato per la redazione sportiva di casa Mediaset (leggasi vicenda Serie A), ma ha saputo tirare fuori le sue qualità professionali e conquistarsi, fin dai primi mesi di lavoro a Cologno Monzese, una vera novità per una romana come lei, il suo gruppo di fan, che ci scrivono e sono numerosi. Complimenti. “9”. Torna sul podio la meravigliosa amica di Telegiornaliste.com Chiara Ruggiero. I suoi recenti speciali sul salone del ciclo al polo esterno di Rho-Pero della Fiera di Milano hanno riscosso successo di pubblico e di critica. E anche noi promuoviamo la mora (ex bionda) tgista milanese in forza al gruppo di Telelombardia. Una telegiornalista ballerina, nel senso che ama il ballo e specialmente quello latino-americano, ma decisamente ben salda quando si tratta di confezionare servizi di buon livello. Promossa. “8”. Resta ancora sul gradino più basso del podio Xavier Jacobelli. Il direttore de Il Giorno e del quotidiano sportivo Qs sta cavalcando la polemica del nuovo calcioscommesse. Un fenomeno denunciato a suo tempo ad alcuni dirigenti sportivi da calciatori che vedevano i compagni non impegnarsi più di tanto. Il problema è che, dopo le intercettazioni su Fazio, anche la pubblicazione di alcune intercettazioni telefoniche e interpretazioni di dialoghi ha portato il telegiornalista di 7Gold a ricevere qualche querela. Ahi ahi ahi… “4”. Secondo gradino del contropodio per Michele Cucuzza che, forse, sperava di far dimenticare le bufere che hanno coinvolto La vita in diretta con un cambio di look. Noi giudichiamo il professionista e non gli stilisti o gli esperti di look e rimandiamo il telegiornalista. Quando smetterà i panni dello show-man per ridarci il bravo giornalista che conoscevamo? Da rivedere. “5”. Contropodio per un paio di servizi troppo caricaturali anche se la bravura della tgista non si discute. Parliamo di Laura Piva, che in un paio di occasioni ha forse accettato i consigli di qualche collega più esperto di “fattacci” (prendiamo a prestito una frase di Salvo Sottile), alzando e abbassando il tono della voce come se fosse sul palco di Sanremo o prossima allo scoop. Rivogliamo la Laura Piva stupenda giornalista che neutramente informa il telespettatore. Lei lo può fare. La rimandiamo. Con un “6”. TELEGIORNALISTI Serie A, bravo Mentana di Filippo Bisleri Complimenti a Enrico “mitraglietta” Mentana. Il suo Serie A, riveduto e corretto dopo la disastrosa gestione Bonolis, è un programma cui si potrebbe attribuire, tranquillamente, un bel 9 in pagella. Vivace, brioso, con subito i gol in primo piano e il siparietto denominato “talk” confinato nella coda della trasmissione così come drasticamente ridotta è stata la presenza della Gialappa’s. Che pure ha prestato il proprio intervento per “salutare” l’ex conduttore e mitigare i toni dello scontro tra giornalisti sportivi Mediaset e il vecchio conduttore riabilitando, anche Ettore Rognoni, capo dei servizi sportivi Mediaset. Già, perché se Bonolis l’aveva chiamato “Er penombra”, Mentana ha scherzato con quelli della Gialappa’s sul fatto che lui era in penombra. E il comico trio ha provato a mostrare come si poteva fare un programma ancora più snello evidenziando gol e lisci. A noi, comunque, la nuova versione di Serie A è parsa finalmente una trasmissione giornalistica e anche ben fatta. Gli stessi giornalisti di casa Mediaset sono soddisfatti. E, a dispetto delle voci, e dopo le prove che l’avevano vista in studio, anche la splendida Monica Vanali è tornata ad essere la signora dei posticipi. Con una grande performance professionale come solo Monica può fare. Tornando al programma, un bravo a Mentana per avere valorizzato tutte le presenze giornalistiche a disposizione, dimostrando di essere entrato nel mondo dell’informazione pallonara da grande professionista. Velocità, rapidità, essenzialità e tempestività sembrano essere i quattro pilastri che reggono l’architrave della trasmissione calcistica di Mediaset che ci ha ricordato molto il bellissimo 90° minuto dell’indimenticabile Paolo Valenti. Pochi fronzoli durante la trasmissione e tanta informazione sportiva con adeguata tempistica per chi ha la visione del calcio sul satellite - e di estremo interesse per quanti non hanno decoder e parabole. Se la prima è così, crediamo che il futuro di Serie A possa essere sempre più roseo. Peccato davvero che le prime giornate siano, eccezion fatta per la puntata “only-Vanali”, state letteralmente buttate alle ortiche. Se poi Mediaset vincesse la battaglia legale con la Rai che è accusata di violare gli accordi Lega-Mediaset con la trasmissione di Simona Ventura (che ora rivendica un diritto di cronaca che a suo tempo negò essa stessa alla Mediaset), per Mentana il futuro sarebbe in discesa. E i dati Auditel in picchiata. Ma verso l’alto. Per la gioia di Persilvio “Dudu” Berlusconi. VADEMECUM L'esperto risponde Barbara chiede: Chi esercita attività di editore, per diventare giornalista pubblicista o professionista, deve sempre pubblicare i 60 articoli in due anni? E' possibile registrare al tribunale una pagina web con un direttore responsabile e fare informazione? Risponde Filippo Bisleri: Chi esercita l'attività di editore, per diventare giornalista pubblicista dovrà comunque realizzare i 60 articoli previsti per l'iscrizione all'albo e dovrà avere un direttore responsabile della rivista (magari iscritto all'elenco speciale) che dichiari la sua collaborazione alla rivista stessa. Quanto alla pagina web, Telegiornaliste.com è la prova della risposta affermativa. Il vincolo è la dichiarazione in tribunale e all'Ordine della periodicità e del nominativo del direttore responsabile. Come previsto dalla vigente legge sulla stampa. Gianluca di Napoli scrive: Salve, volevo sapere se per diventare pubblicisti c'è un numero minimo di articoli da scrivere nell'arco dei 24 mesi; se la collaborazione deve essere continuativa; se si possono sommare articoli scritti per due testate diverse e se eventualmente le rubriche fotografiche valgono come articolo; dove inoltre posso trovare gli indirizzi necessari per richiedere la modulistica? Risponde Filippo Bisleri: Caro Gianluca, in ogni Ordine regionale esiste un numero minimo di articoli per iscriversi nell'Ordine dei giornalisti (elenco pubblicisti). La collaborazione deve essere continuativa e le eventuali interruzioni giustificate con, ad esempio, la chiusura per ferie della redazione e dunque della pubblicazione del giornale (o del sito web, della tv, della radio). Naturalmente, a patto di avere le dichiarazioni di tutti i direttori delle testate con le quali si collabora, sono ammesse tutte le collaborazioni che si vuole con il vincolo che abbiano la durata di 24 mesi. Le rubriche fotografiche sono conteggiate, nel momento della presentazione della domanda per l'elenco pubblicisti, in modo particolare. Solitamente gli Ordini regionali scindono le domande per i fotocineoperatori e per quanti scrivono. Tutti gli indirizzi degli Ordini regionali sono sul sito www.odg.it al link Ordini regionali. Ciao e a presto nell'Ordine. Orietta chiede: Gentile dr. Bisleri, sto attualmente collaborando come volontaria con una testata online nella mia città (da circa 7 mesi), sia in redazione che scrivendo articoli miei. L' intenzione è quella di iscrivermi all'albo dei pubblicisti al termine dei due anni previsti. Mentre collaboro con questa testata pensavo però se non fosse utile iscrivermi a qualche corso di formazione, vista l'Italia della Burocrazia in cui viviamo. Potrebbe indicarmene qualcuno nella mia regione (Piemonte) valido ed accreditato? Risponde Filippo Bisleri: Gentile Orietta, preciso che, per l'iscrizione all'Ordine dei giornalisti, sono necessari i pagamenti, dunque è da capire la forma di volontariato. Anche perchè devono essere presentate, all'atto della presentazione della domanda per l'iscrizione all'Ordine, almeno 6 attestazioni di pagamento con ritenute versate all'Erario e gli importi percepiti dall'aspirante giornalista. Non reputo particolarmente importante l'iscrizione ad un corso di formazione. Piuttosto può frequentare qualche iniziativa formativa organizzata dall'Ordine dei giornalisti (www.odg.it link Ordini regionali; selezionare Piemonte). Gianfranco di Verona scrive: Buongiorno Dott. Bisleri, avrei bisogno di una "dritta"; come è più conveniente mettersi in contatto con le testate, riviste eccetera per poter cominciare a scrivere per il patentino di pubblicista? Risponde Filippo Bisleri: Caro Gianfranco, prima di tutto non si dice patentino ma tesserino. Specificato questo io ritengo che il mezzo migliore per contattare una rivista per collaborare sia l'invio di un curriculum ben fatto via mail, cui far seguire un contattato telefonico. Prova a contattare anche Telegiornaliste.com indirizzando la email al direttore responsabile. In bocca al lupo. Carla di Roma chiede: Gent.mo signor Bisleri, faccio parte della schiera di aspiranti giornalisti che vorrebbero affermarsi in questa professione. Attualmente collaboro con un quindicinale, ho scritto recensioni di cinema per una rivista di cultura, ho esperienze come redattrice in case editrici, ma non riesco a trovare delle testate (anche online) che mi permettano di collaborare con continuità per diventare giornalista. La mia formazione è orientata alla critica cinematografica e di costume, ma mi sembra un settore più chiuso di altri! Può darmi qualche consiglio in merito? È meglio proporsi come free lance, o cosa? Risponde Filippo Bisleri: Cara Carla, la tua lettera mi fa tornare indietro di qualche anno quando anch'io speravo di affermarmi nel mondo del giornalismo in uno specifico settore. Ho capito però presto che, per "imparare il mestiere", dovevo confrontarmi anche con argomenti meno piacevoli per me e cominciare a lavorare nelle piccole redazioni. Ho seguito questa strada e, dopo circa 15 anni, oggi mi occupo, come redattore assunto, dell'argomento che ho sempre sognato seguire. Se vuoi fare un'esperienza di critica cinematografica online contatta il direttore di Telegiornaliste.com, Silvia Grassetti. È molto brava professionalmente e in grado di farti crescere come giornalista perchè l'online è una bella palestra di giornalismo. Intanto, al posto tuo, manderei anche qualche curriculum a testate locali segnalando la competenza maturata e i tuoi gusti ma dicendoti anche disponibile a seguire altri settori. Pur con la crisi dell'editoria in atto (purtroppo in Italia si legge poco e gli editori sono sempre meno) credo che qualche collaborazione la troverai. Margherita di Palermo scrive: Aspirante giornalista, collaboro da mesi con un quindicinale locale. Vorrei diventare pubblicista ma non so come fare. Devo, prima del termine previsto dei due anni, iscrivermi all'albo in qualche registro? Inoltre vorrei sapere qual è il percorso che un pubblicista deve fare per diventare giornalista professionista. Grazie e buon lavoro! Risponde Filippo Bisleri: Carissima Margherita, prima di tutto verifica che la collaborazione sia pagata almeno 2 o 3 volte all'anno con regolari ritenute d'acconto. Prima dei 24 mesi non è necessario fare nulla se non questa verifica sui pagamenti che ti sono dovuti. Una volta diventata pubblicista (ti aspettiamo presto nell'Ordine) allora ti si potrà aprire la porta del professionismo. Che potrà avvenire, salvo modifiche di legge che sono a buon punto, con 18 mesi di pratica da assunta in redazione cui segue l'Esame di Stato (con scritto e orale). Se la modifica dell'accesso alla condizione di professionista sarà votata dal Parlamento (bozza Siliquini) allora potrai diventare professionista tramite Università con i corsi appositi presentati nelle scorse puntate del Vademecum. Se hai bisogno di ulteriori chiarimenti scrivimi di nuovo. A tua completa disposizione. Veronica di Napoli chiede: Salve, io scrivo da quasi due anni per una testata locale per ottenere il tesserino da pubblicista, però chi fa parte di questa redazione non ottiene compensi perchè abbiamo firmato una liberatoria affermando che le retribuzioni erano a discrezione del direttore editoriale, a me non importa di non essere pagata, ma con questa formula posso avere problemi per farmi rilasciare il tesserino? Risponde Filippo Bisleri: Cara Veronica, problemi ne avrai senz'altro. Salvo che, comunque, forfettariamente, non facciano figurare dei pagamenti fatti a tuo favore con relative ritenute d'acconto. Il fatto della liberatoria è una clausola capestro che potrebbe addirittura far scattare il praticantato d'ufficio. Comunque verifica bene se l'editore, perché è l'editore che paga, non il direttore, almeno ti rilascia le ritenute d'acconto, anche per cifre minime, ma relative ad un biennio. Fammi sapere. Ciao. Sergio di Roma scrive: Lavoro da circa due anni con il corrispondente in Italia di una importante testata giornalistica giapponese. Lavoro regolarmente 5 giorni a settimana, retribuito (anche discretamente) e spesso partecipo attivamente alla redazione degli articoli. In pratica compilo dei report in lingua inglese sulla base dei quali viene preparato l'articolo in giapponese che viene successivamente spedito al nostro ufficio centrale di Tokyo. La domanda è: posso diventare pubblicista? O in alternativa ottenere un qualsiasi altro tipo di riconoscimento? Risponde Filippo Bisleri: Caro Sergio, occorre sapere se in Italia tu hai un direttore responsabile, regolarmente iscritto all'Ordine (e non all'Albo speciale) in grado di rilasciarti la dichiarazione di collaborazione e se regolarmente hai le ritenute d'acconto. In caso contrario nessuna iscrizione è possibile. L'alternativa è rivolgersi all'Ordine interregionale di Lazio e Molise (www.odg.it e selezioni Ordini regionali) o recarti al Lungotevere dei Cenci 4 per sottoporre il tuo caso. Troverai persone pronte a risolverlo. Fammi sapere come si evolve la tua vicenda. Ciao. Nicole di Bergamo chiede: Caro Filippo, da quattro anni collaboro con il quotidiano L'eco di Bergamo e mi sto informando per l'iscrizione all'albo dei pubblicisti. Una bella avventura anche se sottopagata. Ho 25 anni e non ho ancora terminato l'università, facoltà Scienze Politiche. È un mestiere che mi piace ogni giorno di più, ma ho capito che trovare un posto fisso che tranquillizzi mio padre sarà molto dura. Come posso collaborare con la vostra testata online? Risponde Filippo Bisleri: Cara Nicole, a Telegiornaliste.com per ora si collabora gratuitamente, con grande spirito di amicizia e di reciproco aiuto a crescere professionalmente. Contatta pure il direttore, Silvia Grassetti, alla mailbox segreteria@telegiornaliste.com e, se lo desideri, tramite lei potrai anche raggiungermi direttamente via email per ulteriori consigli su come arrivare ad un posto fisso da giornalista. Aspetto la tua chiamata anche perchè so che all'Eco di Bergamo i collaboratori sono sempre molto preparati e dinamici. Elia di Roma scrive: Quali sono le varie tappe per potersi iscrivere all'Ordine dei giornalisti? ed i corsi per una buona preparazione? Risponde Filippo Bisleri: Caro Elia, le tappe per iscriversi all'Ordine sono le seguenti: collaborazione biennale retribuita con una rivista per diventare giornalista pubblicista e, quindi, praticantato presso una rivista ed Esame di Stato. La situazione sta però portando verso una modifica dell'Esame di Stato (ne abbiamo parlato nelle prime puntate di Vademecum) con l'accesso all'Esame di Stato tramite Università. Per i corsi di preparazione puoi fare riferimento alle Università o all'Ordine regionale. Se contatti l'Ordine interregionale del Lazio (www.odg.it, Ordini regionali, Lazio-Molise) avrai ottime indicazioni. EDITORIALE Chi è l'analfabeta? di Tiziano Gualtieri Ma siamo davvero un'accozzaglia di ignoranti? Guardando gli elementi che formano la società italiana di oggi viene proprio da pensarlo. Chi, almeno una volta, non ha avuto la sensazione - a torto o a ragione - di vivere davvero in mezzo a un assembramento di persone con una preparazione, e non solo scolastica, inferiore alla propria? Qualche giorno fa la sensazione ha avuto una conferma ufficiale. È stato diffuso, infatti, un dato che fa davvero accapponare la pelle: secondo uno studio dell'Università di Castel Sant'Angelo dell'Unione Nazionale per la Lotta contro l'Analfabetismo, quasi sei milioni di italiani - quindi dodici su cento - sarebbero totalmente analfabeti. Un dato spaventoso. Si tratterebbe di persone che non sanno né leggere né scrivere: cosa che in un Paese civile del XXI secolo si fa davvero fatica ad accettare. Sì, perché se una volta il tutto poteva essere determinato dalla povertà e dalla necessità di mandare a lavorare invece che a scuola più braccia possibile, ora non è per nulla giustificabile. Forse, però, una spiegazione potrebbe essere trovata nel fatto che la popolazione italiana sta invecchiando e quindi quelle persone che a scuola non hanno potuto andarci continuano a gravitare nella società e analfabete debbono essere considerate. In realtà, analizzando i dati si scopre che così non è. Ma non è mica finita qui. Se i dati degli analfabeti non sono confortanti, si aggiunge il fatto che venti milioni di italiani sono senza alcun titolo di studio o sono in possesso dell'istruzione minima, data dalla licenza elementare. Possibile che un italiano su tre abbia un'istruzione così bassa? Difficile da crederci. Ma non è, forse, che tutto dipende dal fatto che sta aumentando il numero di extracomunitari che diventano italiani? Ragionamento che potrebbe non fare una piega, se non ci fosse il particolare, neppure tanto secondario che - in realtà - molti di loro hanno in tasca il cosiddetto pezzo di carta. A metterci il carico da novanta un altro dato: il numero di chi, pur avendo un titolo di studio, è considerato illetterato perché in possesso o della sola licenza elementare o della sola scuola media, titoli del tutto insufficienti a vivere e produrre nel mondo di oggi. Ebbene, in questo caso, oltre la metà della popolazione italiana risulta essere del tutto analfabeta o appena alfabeta. Il dato, anche in questo caso, è davvero al limite dell'incredibile: gli italiani "ana-alfabeti", raggiungono quasi trentasei milioni di persone, pari al 66% degli abitanti del "Bel paese". Ci sarebbe davvero da mettersi le mani nei capelli, se non fosse per un piccolo particolare. L'Istat, l'ente preposto per le statistiche ufficiali, subito dopo la diffusione di questi dati allarmanti, ha "risposto" pubblicando i dati del censimento della popolazione riferiti al 2001, ovvero lo stesso periodo dello studio della UNLA. Ebbene, all'Istituto Nazionale di Statistica risulta che il numero di analfabeti è pari a 782.342. Che è successo? E gli altri 5 milioni e rotti? Non saranno mica spariti o andati a scuola negli ultimi minuti. Niente di tutto ciò. Forse si è verificato un semplice disguito o una diversa (errata?) analisi dei dati. Ma siamo davvero sicuri, allora, che analfabeta sia solo colui che non ha un titolo di studio, o se ce l'ha non è sufficiente per vivere nella società di oggi? No, perché anche chi non è capace di fare i conti, o non analizza e confronta i dati prima di spararli sui giornali e le tv, farebbe bene a tornare a scuola. Se non altro per imparare come si fa informazione. COLPO D'OCCHIO Internet non è solo il mandante di Tiziano Gualtieri Non bastavano le bande di ragazzi che per giorni hanno scorrazzato indisturbati lungo le vie delle periferie francesi, riscandandosi con il calore sprigionato delle auto trasformate in fiammelle della rivolta: il ministro degli Interni francese Nicolas Sarkozy (o più semplicemente il signor Sarkozy come preferisce farsi chiamare) ha trovato due nuovi nemici: Internet e i blog. Sarebbe stata la tecnologia, infatti, a consentire il tam tam - e non solo mediatico - capace di radunare migliaia di ragazzi nelle strade delle banlieues. Gli ordini d'attacco che giungono in tempo reale sul telefonino e Sarkozy che lancia la sua personale controffensiva tramite web. Le nuove guerre civili sono queste: altro che armi intelligenti o di distruzione di massa. Qui si parla di tecnologia, di strumentazioni che impallirebbero davanti al computerone di War Games, ma in grado di mobilitare un numero sterminato di persone. La comunicazione fin da sempre è stata fulcro e spinta verso questa o quell'altra parte, ce lo ha insegnato - nei tempi moderni - il leader nazista Adolf Hitler che le diede ampio spazio istituendo il ministero della Propaganda, dato in mano a uno dei più grandi artisti della (falsa) informazione: Joseph Goebbels. Lo hanno capito pure i rivoltosi francesi che si sono organizzati anche attraverso la nuova frontiera della tecnologia: i cellulari. Grazie a un fitto scambio di sms, i giovani ribelli d'Oltralpe si sono coordinati nel corso delle loro scorribande. Più facile, veloce e immediato che il vecchio passaparola. «Per vincere il nemico, bisogna sconfiggerlo con le stesse sue armi», deve aver pensato Sarkozy; e allora ha dato il via alla confroffensiva mediatica: prima una petizione online, poi gli arresti. Così anche il servizio fornito da Google, uno dei più famosi motori di ricerca del mondo, può essere utile a riportare la calma. Basta "acquistare" alcune parole come «auto bruciate», «violenza» o «polizia» che una volta inserite come chiavi di ricerca, fanno comparire il collegamento a un messaggio ben preciso: «Sostenete la politica di Nicolas Sarkozy per ristabilire l'ordine». Anche in questo caso, le risposte non si sono fatte attendere e migliaia di web-surfers hanno aderito all'invito. A ciò si aggiungono controlli sempre più serrati operati proprio sul web per valutare, individuare ed eventualmente chiudere tutti quei siti e blog che incitano alla violenza; un po' quello che è successo a due ospitati su Skyblog, il servizio lanciato da Skyrock e diventato punto di riferimento per i giovani francesi. Blog pro e blog contro: come quello personale di Sarkozy da cui si possono estrapolare informazioni su ciò che le forze dell'ordine stanno svolgendo in città. Speriamo solo di non trovarci a che fare con emuli di Goebbels e della sua massima: «Qualsiasi bugia, se ripetuta frequentemente, si trasformerà gradualmente in verità». |
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