Non mortifichiamo il desiderio
di vita di Filippo Bisleri
La sonora bocciatura dei referendum,
fortunatamente, pare non aver spento il dibattito sui temi della vita e
della procreazione medicalmente assistita. E questa è, nel panorama attuale, già
una notizia. Perché, a livello internazionale, sta nascendo il “mercato” di semi
e ovuli. E, come al solito, la “democratica” America è protagonista di
campagne rivolte alle mamme single per avere figli, belli, sani, biondi
e, in parole semplici, dei veri vichinghi.
Dobbiamo ritenere questa iniziativa un insulto, alle donne che desiderano essere
madri, e sperimentare anche questa dimensione della femminilità? Forse sì,
perché il rischio che il nuovo mercato dell'eugenetica si traduca nella
mortificazione della vita e del suo valore è alto.
E la vita viene messa in pericolo ogni giorno in Uzbekistan dove dire
quello che si pensa è difficile, se non impossibile. Come impossibile è, spesso,
ricavare qualche idea da “Porta a porta”: Bruno Vespa, pur bravo
giornalista, sembra a volte più impegnato nel mantenere gli ascolti e nel dare
visibilità ai vari politici che nel fare approfondimento.
Intanto, in Europa si è scatenata la bocciatura della Costituzione europea.
Una Costituzione calata dall’alto, non condivisa, che non tiene conto delle
radici giudaico-cristiane del vecchio continente e che ha ricevuto i secchi
no referendari di Francia e Olanda. Sonora la scoppola per l’Unione europea
nella terra dei tulipani. Tanto che altri Stati che avevano previsto i
referendum li stanno cancellando.
Chiudiamo con il mondo del giornalismo nostrano che, oltre alla consueta
classifica, dedica spazio a Maria Luisa Busi, che lotta per la salvezza
nei playout del campionato, e al caso Enzo Baldoni, sulla cui morte in
Iraq permane il mistero.
MONITOR Il tg di Maria Luisa Busi di Stefania Trivigno
Quando si cresce con dei genitori che all'ora di cena, al posto di
Bim Bum Bam, impongono ai figli di seguire il telegiornale, con ogni
probabilità si continuerà a seguirlo anche da grandi, stessa ora e stesso
telegiornale. Se, poi, in quel tg si ritrovano gli stessi volti che c'erano già
quando si lottava per vedere Bim Bum Bam, le probabilità aumenteranno.
Uno di questi volti è di
Maria Luisa Busi,
conduttrice del Tg1 delle 20.00.
La giornalista, oltre che per il telegiornale e i relativi
approfondimenti (Speciale Tg1 e TV7), è anche nota per il suo
impegno sociale e sindacale a favore di una maggiore libertà di informazione.
Sono molte le occasioni in cui non ha esitato a far sentire la sua
voce, creandosi non pochi problemi all’interno del TG1.
Basti pensare che gran parte dei documenti dell’USIGRAI
(Unione Sindacale Giornalisti Rai) riporta la sua firma in calce.
E non solo. Urla allo scandalo parlando dei licenziamenti di Biagi,
Santoro e Luttazzi, scende in piazza per difendere a
spada tratta Giuliana Sgrena e la sua ricostruzione di quanto accaduto
l’ormai lontano 4 marzo a Baghdad, dice la sua anche una settimana fa in
un’intervista rilasciata dopo aver portato a casa il premio Saint-Vincent
con il servizio “Lezione di vita”
per TV7: “Autonomia, coraggio e umiltà sono gli ingredienti
di questo mestiere, fondamentali e irrinunciabili in ogni stagione politica”.
Passando al clima gioviale del nostro campionato, in questi giorni Maria Luisa Busi, vincitrice
di una delle edizioni passate, sta disputando la gara dei play-out contro
la brava e bella Francesca Senette, sfida decisiva per evitare la retrocessione in
serie B.
L'ennesima battaglia, forse non la più elevata, ma ancora una volta
coinvolgente.
CAMPIONATO
Dalla Panella
alla brace.
di Rocco Ventre
Playoff:
quarti di finale. Chi l'avrebbe mai detto? La superfavorita Luisella
Costamagna, dopo 17 vittorie
consecutive, viene battuta ed eliminata da Tiziana Panella
con uno scarto di 3 voti. Maria Concetta Mattei vince il
derby del Tg2 ed elimina Maria Grazia Capulli che partiva favorita.
Francesca Todini umilia Ilaria D'Amico, mentre Manuela Moreno ha
la meglio su Monica Vanali e raggiunge la prima semifinale
della sua storia. Difficile adesso azzardare un pronostico, ma visti gli
accoppiamenti delle semifinali, una cosa è certa: la finale vedrà di
fronte una giornalista di Rai2 contro una de La7.
Si chiudono i primi due playout con la retrocessione in serie B
di Petronio e Senette, mentre rimangono in serie A
Busi
e D'Alessandro.
CRONACA IN ROSA Manhattan: lo shopping che fa tendenza
di Tiziana Ambrosi
Mentre in Italia la campagna
referendaria si è conclusa in mezzo alle polemiche delle opposte fazioni,
trasversali ai partiti e ai due “poli”, dagli Stati Uniti giunge una notizia che
lascia perplessi.
A Manhattan, punto di partenza di ogni nuova tendenza in qualsiasi
ambito, è cominciato il trend dell’inseminazione su misura per donne single.
Tra le offerte di questo nuovo mercato, molto singolare quella della
Scandinavian Cryobank, banca danese del seme, che con lo slogan
"Congratulazioni! E' un vichingo!" promette bimbi sani, biondi, e con gli
occhi azzurri.
E' palese che la fecondazione eterologa lascia aperti molti
interrogativi. Certo qui non si vuole dare un giudizio, né una risposta:
piuttosto vogliamo tracciare alcuni spunti per stimolare la riflessione e la
coscienza dei lettori.
Se la notizia ad una prima occhiata può sembrare bizzarra, le
dichiarazioni del responsabile della società danese, Claus Rodgaard sono invece
inquietanti: "Non è poi molto diverso dall'innamorarsi. Ci sono migliaia di
donatori nel mondo e scegliere quello giusto è un po' simile alla selezione
naturale. La gente fa shopping in giro ed esamina liste di donatori, per cercare
qualcuno che gli piaccia. E' davvero come nella vita reale, riflette ciò che
siamo come umani".
Paragonare il concepimento di un figlio allo shopping ci fa
sorgere seri interrogativi morali, che, all’estremo, richiamano alla memoria
espressioni come "selezione della razza": rivolgersi alla banca del seme danese
appare sensato per coppie di origini nordiche, sicuramente lo è meno per chi ha
caratteristiche fisiche e genetiche diverse.
Il problema delle coppie sterili è di grande importanza e attualità, e
non si può correre il rischio che venga banalizzato o, peggio ancora, reso
avulso dalla realtà.
La questione deve essere affrontata con serietà e completezza,
regolamentata in maniera puntuale, se non vogliamo ricadere in estremismi
eugenetici che snaturerebbero il più grande miracolo, quello della nascita,
rendendolo analogo all'acquisto di un prodotto al supermercato.
Sottolineiamo anche che la negazione tramite legge difficilmente può
rappresentare un vero ostacolo, in situazioni così delicate: i rischi
dell'illegalità sono sempre molto elevati (un esempio su tutti: le mammane
quando l'aborto era vietato) e gli escamotages, quando entra in gioco uno stato
di stress psicologico, possono portare su strade tortuose e, soprattutto,
pericolose.
Una regolamentazione cavillosa ma ragionata, non negazionista
in assoluto, un’ottica scientifica, in previsione del futuro, sembra una
strada percorribile per porre quei paletti che spesso la scienza non è in grado
di piantare.
CRONACA IN ROSA Ufficialmente e dietro le quinte
di Fiorella Cherubini
E’ trascorso appena un mese da quando in Uzbekistan – regione
dell’Asia Centrale - il regime uccise brutalmente 750 persone.
Questo genocidio è stato ordinato dal Presidente Karimov, come
abbiamo riferito
nel numero 7 del nostro magazine, per sedare un’insurrezione di matrice islamica
finalizzata alla liberazione di alcuni esponenti di gruppi religiosi locali, e
ha coinvolto anche numerosi civili.
La richiesta del Presidente uzbeko, di evitare che la questione, da
interna, potesse trasformarsi in internazionale, raccolse il repentino benestare
dei suoi alleati: Mosca e Stati Uniti- e pertanto alla vicenda fu dato
pochissimo risalto sui mass media.
A riaccendere i riflettori sull’accaduto, però, è stato il
Parlamento Europeo che, il 9 giugno scorso, ha chiesto alle autorità locali
dell’Uzbekistan di predisporre le misure necessarie affinché si possa procedere
ad un’inchiesta internazionale sul massacro
consumato ad Andija, e contestualmente ha invitato la Commissione
Europea a sospendere gli aiuti fino al termine dell’inchiesta.
Una raccomandazione particolare è stata poi rivolta dai deputati
europei agli Stati Uniti con l'invito ad interrompere i negoziati con Karimov
per l’installazione di basi militari USA in Asia Centrale.
Il quotidiano Washington Post, sulla base di alcune
indiscrezioni trapelate dall’amministrazione Usa, ha denunciato infatti, giorni
fa, che alla conclusione di questi accordi l’America e l’Uzbekistan si
starebbero dedicando già da diversi mesi. Comprensibili appaiono, dunque, i
timori di alcune organizzazioni umanitarie che venga compromesso
l’obiettivo, più volte dichiarato dal Presidente Bush, di voler instaurare un
regime democratico nei paesi dell’ex Unione Sovietica.
Ulteriore conferma di un ormai noto atteggiamento degli Stati Uniti:
tranquillizzare l'opinione pubblica mondiale attraverso una versione
edulcorata dei propri intenti, mentre gli interessi politici ed economici
prevalgono sugli impegni assunti ufficialmente e sugli accordi ratificati.
Con grande discrezione.
FORMAT “Porta a porta”, rivoluzione mancata
di Filippo Bisleri
“Porta a porta” si pensa
sia un programma Rai. Allo stato delle cose, però, è un programma realizzato dal
suo conduttore, Bruno Vespa, che ne ha registrato il “format” e che l’hai
poi rivenduto alla Rai: la quale ne ha fatto il suo contenitore di punta.
Nato come la risposta al “Maurizio Costanzo show”, passo dopo
passo, in questi mesi il programma di approfondimento (ma non sempre è tale) di
Bruno Vespa ha finito con l’essere il re della serata informativa.
Unico apprezzabile concorrente (eccettuato il fallimentare esperimento
di “Otto e mezzo” di Giuliano Ferrara e il non quotidiano
“L’infedele” di Gad Lerner) appare essere il settimanale
“Ballarò” di Giovanni Floris
che, sorpresa delle sorprese, dopo le regionali è riuscito, grazie
alla determinazione del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha
scelto, per una volta, un’area di confronto non certo ovattata, ad accaparrarsi
la presenza del numero 1 del Governo in carica.
Bel colpo per Floris, lo abbiamo già scritto in questo magazine, ma
un boccone amarissimo per Vespa. Che si è consolato facendo il prezzemolino
(in questo è un maestro) nelle trasmissioni legate alla morte di papa Giovanni
Paolo II (che lo chiamò durante una trasmissione) e quindi al conclave che ha
portato Joseph Ratzinger sul soglio di San Pietro con il nome di Benedetto XVI.
Il commovente addio al papa polacco, a “Karol il Grande”, e i commenti
precisi di Vespa sul nuovo papa, decisamente diversi dal resto del coro e resi
unici dalla possibilità di entrare in tutte le case proprio mentre arrivava la
fumata tanto attesa, ha quasi cancellato dalla mente degli italiani, almeno
quelli meno interessati dalla politica (o comunque i meno partigiani, inteso
come persone schierate con questo o quel partito) il patetico teatrino della
firma di Silvio Berlusconi del “Contratto con gli italiani”.
Aspettiamo che “Porta a porta” chieda al Presidente del
Consiglio, che a questo punto concluderà la sua legislatura, a che punto siamo
con il “Contratto”.
Vespa deve ricordarsi che la sua trasmissione, la “sua” creatura è
irradiata in Italia e nel mondo dalla Tv di Stato e che gli italiani hanno
bisogno, dopo le promesse, di sapere quante delle cose ascoltate sono diventate
realtà. Questo sarebbe fare approfondimento, caro Vespa, altrimenti ci saremmo
potuti accontentare di un contenitore di personaggi come il “Costanzo show”
e dei suoi “consigli per gli acquisti”.
Consigliamo noi, a Vespa, di mettere qualche volta in meno la mano in
tasca e, magari, di invitare meno big e di farli interagire con il cittadino
medio. Perché non pensare di far fare il bilancio del “Contratto” a Berlusconi,
anziché davanti a Prodi (crediamo lei abbia pensato a questa puntata a sorpresa,
vero?) davanti ad un gruppo di cittadini? Sarebbe davvero “Porta a porta”:
sarebbe davvero rispondere alla gente.
Sarebbe l’applicazione di quella rivoluzione che, finora,
l’approfondimento di Vespa ha sempre solo promesso e raramente attuato.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri
Il gradino più alto del podio viene conquistato ancora una volta da
Federica Balestrieri della Rai che, in una stagione difficile per la Ferrari, sta comunque
facendo registrare degli ottimi dati di ascolto per le trasmissioni
dedicate al mondo dei motori, e della Formula 1 in particolare. Da sottolineare
la grande professionalità della Balestrieri che accompagna una naturale
simpatia: qualità che il pubblico dimostra di apprezzare. Brava Federica. Un
bel “7.5”.
Secondo posto del podio e una meritata segnalazione per Alessia Tarquinio,
la telegiornalista di Sky che dimostra grande verve e professionalità
nei servizi giornalistici, rendendoli molto fruibili e di ottimo impatto. Un
modo di fare la telegiornalista, quello della Tarquinio, che probabilmente è
un modello per la nuova tv satellitare spesso troppo omologata sull’old
style della
D’Amico. Per la brava Tarquinio un ottimo “7”.
Premiando la sua notevole crescita, vogliamo assegnare il terzo gradino del
podio a
Paola Buizza di “Brescia punto tv”. La giornalista della tv locale bresciana appare
pronta per platee anche più grandi dove, siamo sicuri, sarebbe
apprezzata per il suo stile preciso e mai sopra le righe. In tempi
in cui molte tgiste puntano più sul look che sulle notizie, la Buizza è una
bella realtà di telegiornalista che punta sul fatto, sulla notizia. Per lei il
primo podio e un bel “7-”.
Non ce ne voglia, ma Giampiero Mughini, almeno nelle ultime settimane,
sta riservando tutta una serie di dichiarazioni poco rispettose dei suoi
telespettatori e lettori, che dovrebbero indurlo a più serie riflessioni sul suo
pubblico. Perché se lui lavora in tv, se scrive, se fa il giornalista, è perché
qualcuno lo segue. E contestare anche in termini pesantucci le critiche del
pubblico è segno di una strana idea dell’essere giornalisti: mi informo per
me. Bocciato. “4.5”.
Contropodio anche per Susanna Galeazzi di Sky. Che, bel bella, si vanta
di essere la figlia del popolare “bisteccone”, alias Giampiero
Galeazzi, e del fatto che questo sia per lei un vantaggio che apre molte
porte nella carriera. Dichiarazioni simili “uccidono” le vocazioni al
giornalismo (specie quello televisivo) e non depongono a favore della
preparazione professionale di chi le fa. Consigliamo una ripassatina del manuale
delle buone dichiarazioni. Per lei “5”.
Gradino più basso del contropodio per Fabio Cortesi di Rai3. I suoi
ultimi tg erano una propaganda pro depressione. Toni sempre bassi, quasi
stesse dissertando per strada con gli amici del colore del muro e non, magari,
parlando di eventi importanti di livello mondiale. È vero che conduce sul tardi,
ma un po’ di brio serve… Rimandato. Con un “5-”.
TELEGIORNALISTI
Matteo Dotto, la
“moviola”
di Filippo Bisleri
Lo chiamano “moviola-umana”, non certo per lentezza, quanto
per la bravura nel saper analizzare con la moviola gli episodi
controversi delle partite di calcio del campionato italiano.
È lui a “Controcampo”
(e purtroppo non a “Pressing Champions League” dove continua ad
imperversare Maurizio Pistocchi) a proporre gli episodi discussi della
serie A italiana e non solo. Già, perché il bravo Dotto, non solo è un
esperto di moviola, ma è anche il telegiornalista che meglio di ogni altro
conosce il calcio sudamericano e quello argentino
in particolare.
Chi scrive l’ha visto felice come per la nascita di un figlio o la
vittoria della propria squadra del cuore semplicemente raccontando, per le vie
di Milano che costeggiano “La Scala”, una “rabona”, ovvero un preziosismo
calcistico tipico dei calciatori sudamericani e specialmente argentini.
Amante del look casual, Dotto è un giornalista poco formale
e molto alla mano. Disponibile, è sempre pronto al confronto con
tutti gli ospiti in studio (anche con l’ex arbitro Graziano Cesari). E, quel che
più conta, si mette in gioco, si confronta anche con i possibili avversari
domenicali che sono la sua croce e delizia: gli arbitri.
In più occasione, infatti, Matteo Dotto ha affrontato con serenità i
momenti di confronto con gli arbitri di calcio sia di livello nazionale sia del
Comitato Regionale Lombardo. Nel 2001, dopo una serie di confronti, a Matteo
Dotto, la sezione Aia (Associazione Italiana Arbitri) di Milano, nella cornice
del prestigioso auditorium Hoepli, ha ricevuto il premio “Number One”
perché, recitava la motivazione, “è possibile parlare degli arbitri, dei loro
errori umani ed ineliminabili con competenza e aiutando la loro crescita:
proprio come fa Matteo Dotto ogni settimana con la sua moviola”.
Ricevere un premio dagli arbitri, per un moviolista è certamente
un motivo di onore, di vanto, e un attestato di grande professionalità. Anche
perché gli arbitri amano giudicare alla moviola e non essere giudicati. Dotto,
però, ha saputo trasformare la moviola in un momento di crescita del mondo
sportivo e di dialogo tra mondo del telegiornalismo, e dei media più in
generale, e quello sempre criptico degli arbitri che, con Dotto, ha un ottimo
rapporto.
TELEGIORNALISTI
Enzo Baldoni ancora in Iraq di Tiziana Ambrosi
Non appartengono a Enzo
Baldoni i resti riportati in Italia e dal Commissario della CRI Maurizio
Scelli.
Enzo Baldoni, in Iraq per "Diario" non dà più notizie di sè a partire
dal 19 agosto 2004, mentre scorta verso Najaf un convoglio della Croce
Rossa.
Inizialmente si pensa alla difficoltà di comunicazione, che in un Paese
martoriato come quello iracheno, è all'ordine del giorno. La preoccupazione sale
quando viene trovato morto il suo interprete e l'angoscia si fa palese
quando la solita Al Jazeera trasmette, quattro giorni dopo la scomparsa,
un video con Baldoni davanti ad uno sfondo nero e scritte in arabo.
L'"Esercito Islamico", lo stesso che rapì i due giornalisti francesi Chesnot e
Malbrunot, liberati dopo quattro mesi, rivendica il sequestro e pone la
condizione del ritiro delle truppe italiane entro 48 ore.
I canali degli intermediari vengono aperti, ma il 26 Agosto la doccia gelata:
Enzo Baldoni viene assassinato. Questa barbara uccisione, rimase il
cruccio più grande di un altro protagonista della recente storia italiana,
Nicola Calipari, a sua volta ucciso, ma da raffiche di mitra americane
mentre portava a compimento un'altra brillante operazione, la liberazione di
Giuliana Sgrena.
Il corpo di Baldoni non è mai stato trovato, e si lavora su diversi fronti per
ridare alla famiglia almeno un corpo su cui poter piangere.
Quest'ultima sembrava la volta buona. Tramite i soliti intermediari, tra cui
il medico Navar, una sorta di braccio destro di Scelli in Iraq, già
protagonista nel rilascio delle due Simone, sono stati riconsegnati i resti di
due corpi, dei quali sono stati inviati dei campioni di tessuto alla
Procura di Roma. Dagli accertamenti risulta che uno dei due campioni sia
compatibile con il codice genetico di Salvatore Santoro, anch'egli ucciso in
Iraq il 16 dicembre scorso.
L'altro campione risulta invece incompatibile con il DNA del padre di
Baldoni. Saranno effettuate nei prossimi giorni ulteriori analisi, ma la strada
per riportare Enzo a casa sembra ancora lunga.
EDITORIALE
L'Europa che ha paura
dell'Europa di Giuseppe Bosso e Tiziano
Gualtieri
Alla fine, come ha
intitolato "Le Figaro" all’indomani della vittoria del no in Francia alla
Costituzione europea, ha vinto la peur du plombier polonais
(la paura dell'idraulico polacco). Il tutto per la gioia dei leader di
destra Le Pen e de Villers, mentre dall’Eliseo - il presidente
Chirac
- sostenitore della Carta firmata a Roma l’anno scorso, si è limitato a
un commento in tipico stile inglese: «è stata una scelta democratica da
rispettare».
Una sconfitta che, a dire il vero, in terra d'Oltralpe è stata più
contenuta
nelle percentuali rispetto a quella che, non più di tardi di una
settimana dopo, si è riscontrata in Olanda: anche in quel caso più del
60% degli elettori della terra dei tulipani, ha infatti bocciato la Magna
Charta europea, con grande delusione del premier europeista Balkenende.
Non si può dire certo un inizio incoraggiante per questo ulteriore
passaggio del processo di integrazione europea, che dura ormai da mezzo secolo.
Perché no? Perché dopo tanti obiettivi centrati (dalla libera
circolazione di persone, servizi e capitali al raggiungimento della moneta
unica) improvvisamente questa marcia indietro, proprio nei Paesi in cui tutto
ebbe inizio? Non è facile dare una risposta univoca, tanti sono i fattori
che hanno influito in tal senso.
Una prima causa probabilmente è riscontrabile proprio nell’apertura a Est
dell’Unione, con l’allargamento realizzato l’anno scorso, come metaforicamente
espresso dal popolare quotidiano d’Oltralpe: il timore dell’arrivo di orde di
lavoratori abituati a salari bassi, facilitato dall’abbattimento delle
frontiere, non piace alle classi lavoratrici occidentali.
I media hanno attribuito questa sconfitta anche alla stessa moneta unica,
che un po’ dappertutto ha creato crisi economica, tanto che da più parti si
auspica un ritorno alle antiche valute. Non sembra invece, sempre secondo Le
Figaro, che in tutto questo abbiano influito questioni di natura geopolitica,
prima fra tutte il paventato allargamento dell’Unione anche alla Turchia.
Eppure, tre referendum popolari e due no schiaccianti. A questo punto
viene davvero da chiedersi quanti, ma soprattutto chi, vuole
davvero questa Europa. Esasperata laicità, disoccupazione,
quote latte, caro-Euro: nomi diversi per uno stesso problema,
apparentemente, di difficile risoluzione: unire sotto un'unica idea, ancora
prima che sotto una sola bandiera, popoli vicini geograficamente, ma
lontanissimi come mentalità; gente che trova proprio nella "battaglia"
contro l'Europa, nuovo nemico della propria cultura popolare, l'unico punto di
contatto.
Allora che fare? Coltivare il proprio orticello senza curarsi di ciò che
accade altrove, oppure buttare l'occhio oltre la siepe cercando di "carpire" le
cose migliori offrendo le proprie? Forse è troppo presto per dare una risposta,
forse le risposte dovevano essere fornite prima di andare al voto. Un dato di
fatto, però, c'è. Gli altri Stati membri iniziano a rimandere le consultazioni
referendarie sulla Costituzione europea. Una nuova sberla
potrebbe essere dietro l'angolo e un nuovo no, sarebbe davvero troppo
soprattutto per l'immagine da dare all'estero.
È indubbio infatti che, mai come oggi, a fare paura non sono più i popoli
che vivono fuori dai confini della Grande Europa, bensì quelli
che dentro ci vivono e che possono decidere.
Decidere in maniera diversa da quella che quasi tutti i politici si aspettavano.
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