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Archivio Telegiornaliste anno XXI N. 22 (801) del 24 settembre 2025

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TGISTE
Eloisa Moretti Clementi, cambi formativi
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo Eloisa Moretti Clementi, attualmente in forza alla redazione di sede regionale della Valle d’Aosta.

Benvenuta su Telegiornaliste, Eloisa. Pro e contro di raccontare per il servizio pubblico una regione splendida ma, almeno agli occhi di una certa parte d'Italia remota come la Valle d'Aosta.
«Ho scelto di lavorare in questa regione perché amo la montagna tutto l’anno, non solo in vacanza. A volte in città quasi ci si dimentica delle stagioni, qui me le vivo tutte. Per lavoro sono sempre connessa e informata ma quando stacco mi godo la natura e la mia famiglia. La regione più piccola d’Italia, che è anche una terra di confine, vanta eccellenze come il maggior numero di vette sopra i 4.000 metri, un patrimonio di tradizioni e di folclore, una pluralità linguistica orgogliosamente tutelata, un’alta qualità della vita. I contro sono l’isolamento e la carenza di collegamenti efficienti. E’ un territorio dove molti vengono in vacanza ma che pochi approfondiscono. Nel nostro telegiornale parliamo a tutti: ai valdostani da generazioni, ai nuovi residenti, ai turisti interessati alle bellezze naturali ma anche curiosi di scoprire la Valle d’Aosta più autentica».

Come si è svolto il percorso che l'ha portata a Tgr Valle D'Aosta e cosa ha rappresentato per lei questo passaggio, anche territoriale?
«Ho lavorato per 10 anni come cronista per Il Secolo XIX di Genova. Una gavetta fondamentale per farmi le ossa nei tanti settori della cronaca locale, dalla nera alla bianca passando per lo sport e la politica. Ho avuto maestri formidabili come Roberto Pettinaroli. Anni impegnativi e formativi, senza orari, solcando la Liguria da levante a ponente con telecamera, microfono e computer al seguito per girare, montare e caricare i servizi sul web. Se potessi tornare indietro… lavorerei di meno! Purtroppo non è bastato per ottenere un contratto stabile e, dopo 10 anni, ho deciso di tentare la strada del concorso Rai, scegliendo di concorrere per la sede regionale di Aosta. Era il 2020, in piena pandemia. All’epoca mio figlio maggiore era ancora piccolo e l’esperienza del lockdown ci ha segnato. Avevamo tutti bisogno di spazi aperti e di ritrovare una migliore qualità della vita. Grazie anche al supporto del mio compagno, sono riuscita a superare tutte le fasi del concorso. Professionalmente, l’ingresso in Rai ha significato ricevere finalmente il riconoscimento che, dopo 10 anni di gavetta, ero convinta di meritare. Purtroppo nei quotidiani resiste ancora una mentalità maschilista e gerontocratica che non permette ai giovani, e alle donne in particolare, di crescere. Sono in Rai da quattro anni e, nonostante non sia facile essere una mamma lavoratrice in Italia, ho ricevuto tante opportunità e gratificazioni. Consiglio a tutti i giovani di non lasciarsi scoraggiare e di perseverare, studiando e preparandosi sempre».

Cambiare città, spostarsi di continuo è una prerogativa del nostro tempo anche per chi svolge la sua professione: è qualcosa che le ha pesato negli anni?
«Credo che sia sano e formativo cambiare orizzonte e punto di vista, specialmente per chi fa questo mestiere, anche se non nego di essermi sentita a volte una mosca bianca perché i romani non lasciano facilmente la propria bellissima città. Io poi ho scelto di esplorare la provincia e non è stato sempre facile. Sicuramente Genova o Aosta sono città meno glamour di altre destinazioni, ma sono convinta che meritino di essere raccontate».

Quali sono state le notizie, gli eventi o le interviste che più ritiene formative nel suo percorso di formazione?
«Le alluvioni che hanno colpito le Cinque Terre e Genova e il crollo di Ponte Morandi. In particolare nell’ottobre 2011 decisi di raggiungere Monterosso in treno. Tutti i collegamenti furono poi bloccati da frane e allagamenti e così trascorsi la notte nel paese isolato, documentando il dramma della popolazione insieme a un collega della Stampa. Quando crollò Ponte Morandi ero in campagna con mio figlio di pochi mesi. Lo affidai ai nonni e mi precipitai sul posto. Trovai la devastazione. Avevamo attraversato quel ponte mille volte, l’ultima il giorno precedente alla stessa ora del crollo. Nel febbraio 2020 riuscii a intervistare un marittimo della nave Diamond Princess, che era stata messa in quarantena in Giappone, e venni invitata come ospite a Unomattina, nelle stesse ore in cui i primi focolai di Covid si diffondevano in Italia. Tra gli incontri piacevoli, invece, ricordo quello con il fotografo recentemente scomparso Gianni Berengo Gardin e con l’architetto Renzo Piano nel suo magnifico studio a picco sul mare. Fu una grande soddisfazione anche “scovare” i parenti liguri di Papa Francesco e aiutarli a dimostrare il loro legame, tanto è vero che in occasione della visita a Genova furono invitati a incontrarlo».

L'avvento dei social e la tecnologia sempre più diffusa ha aumentato per l'utente le fonti di informazione ma da un'altra parte maggiore quantità non equivale sempre più qualità. Cosa ne pensa?
«Personalmente sono una consumatrice di giornali e non mi considero particolarmente “social”. Confesso di essere diffidente verso l’IA ma resto ottimista: spero che troveremo un equilibrio anche nell’informazione perché cittadini meno informati equivalgono a cittadini più fragili e manipolabili. In questo senso la cronaca del territorio è fondamentale: essere presente e parlare con le persone è qualcosa di insostituibile».

Gli argomenti di cui non vorrebbe più dover raccontare in futuro?
«Il crollo di un ponte per negligenza e incuria».
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TUTTO TV
Antonella Ferrari, la mia estate in Camper
di Giuseppe Bosso

Era l'autunno del 2001 quando il pubblico italiano con la sua interpretazione nella popolare serie di Canale 5 Centovetrine faceva la sua conoscenza. Fiction, teatro, cinema, ma soprattutto una bellissima storia di resilienza, di una donna che di fronte alle avversità non si è mai piegata. Il presente l'ha vista per il secondo anno consecutivo nel team degli inviati del fortunato programma mattutino in onda su Raiuno Camper. Incontriamo Antonella Ferrari.

Benvenuta sulla nostra testata, Antonella. Com'è iniziata questa tua esperienza da inviata di Camper?
«È una bellissima esperienza che si è rinnovata per il secondo anno. Ricevo tantissimo calore dal pubblico che mi scrive, che mi propone posti da visitare o che mi racconta di essere stato dove io avevo consigliato. Soprattutto ho potuto scoprire luoghi bellissimi e accessibili, un'esperienza più che positiva».

Quali sono stati i luoghi e le esperienze che ti hanno maggiormente coinvolta tra quelli che hai visitato?
«Tante le località che ho visitato in questi due anni. Mi ha sicuramente affascinato visitare gli scavi di Paestum che sono totalmente accessibili alle persone con disabilità, come lo sono tante spiagge di una splendida regione con una mare stupendo come la Puglia che pure è stata una piacevole scoperta, con l'associazione Io Posso o la spiaggia di Sant'Isidoro dei Portatori sani di sorrisi o Torre Guaceto. Una regione davvero inclusiva. Poi esperienze sportive in cui mi sono cimentata come il volo in assenza di gravità a Milano all'Aero Gravity, cavalcare un cavallo e fare una sorta di Pet Therapy ad Asiago, andare in giro in biciletta a Riva del Garda... sono tante le esperienze positive che potrei citarti».

Possiamo dire che questo tipo di format per così dire 'itinerante' non è invecchiato male, ma nel tempo ha saputo rinnovarsi?
«Sì, il format itinerante è sempre attuale e molto seguito ed amato. Siamo andati con Camper alla scoperta dei luoghi di vacanza che desiderano frequentare gli italiani o che hanno frequentato, scoprendo luoghi anche non molto conosciuti dal pubblico, e la rubrica è riuscita a dare tantissimo spazio alla inclusività, che purtroppo non gode di questa attenzione da parte della televisione».

Cosa ha rappresentato per te questa nuova esperienza?
«Una novità. Avevo già fatto in passato l'inviata per il programma O anche no su Raitre; ma sbarcare su Raiuno con un ruolo nuovo per un'attrice quale sono è stato stimolante, per le ragioni che ti ho sopra evidenziato, un'esperienza molto costruttiva».

Abbiamo imparato a conoscerti anni fa quando entrasti nel cast della soap di Canale 5 Centovetrine. Hai più volte raccontato, anche con uno spettacolo teatrale, la tua storia che tra infinite difficoltà è anzitutto quella di una donna che non si è mai lasciata andata. Qual è stato negli anni il riscontro più gratificante?
«Sono nata, “televisivamente” parlando proprio con Centovetrine, un'esperienza che ringrazierò sempre, una palestra utilissima che è durata cinque anni e mi ha dato tanti ricordi bellissimi. La gente che incontro ancora oggi si ricorda di Lorenza, mi chiama Lorenza e parla ancora di Centovetrine, sebbene una volta conclusa quella parentesi io abbia fatto anche altre serie, lavorando anche con grandi del cinema come Pupi Avati».

In prospettiva futura ti senti più proiettata verso la recitazione o la programmazione tv?
«Negli ultimi anni ho avuto più occasioni televisive che cinematografiche, e questo mi dispiace. Tranne l'anno scorso con la parentesi di un anno fa a Il paradiso delle signore sto lavorando meno come attrice, e mi dispiace perché è un lavoro che amo, e a chi mi chiede quale sia il mio sogno rispondo senza esitazioni recitare, perché è quello che so fare meglio, che mi dà davvero una grandisima soddisfazione. Ma mi piace anche e mi gratifica cimentarmi nelle vesti di opinionista o di inviata».

Non posso fare a meno di chiederti un tuo ricordo del nostro caro Pietro Genuardi che ci ha lasciati da poco. Un episodio o un aneddoto che ricorderai per sempre.
«Pietro era un carissimo amico che avevo rivisto proprio in occasione della mia parentesi a Il paradiso delle signore, ci eravamo riavvicinati, avevamo fatto anche delle foto insieme, siamo stati bene e mi aveva raccontato di sentirsi felice in quel periodo per quell'esperienza. L'avevo incontrato a giugno, pochi mesi prima che scoprisse di avere quella terribile malattia; ci eravamo scritti più volte, finché improvvisamente è arrivato un silenzio che mi ha profondamente preoccupata, fino purtroppo al momento in cui è venuto a mancare. È stata una grandissima perdita sia come amico che per il panorama televisivo, una splendida persona positiva piena di vita a cui sono legata per i tanti momenti che abbiamo condiviso sia a Centovetrine che al Paradiso».

Ti spaventa il pensiero di un futuro dove la tecnologia prevalga sull'essere umano, come sembra che pericolosamente rischiamo?
«Mi spaventa, sì. Ormai si usa l'intelligenza artificiale anche per scrivere sceneggiature, copioni... sta diventando veramente una cosa invadente questa tecnologia, continuo a pensare che le buone sceneggiature vengano fuori da buone menti, in carne e ossa, e che il lavoro dell'attore, dello sceneggiatore, del regista non debbano essere sostituiti dall'intelligenza artificiale, mi auguro con tutto il cuore che il panorama artistico italiano continui ad essere gestito da persone in carne e ossa».

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DONNE
Ilaria Latini, voce in simbiosi
di Giuseppe Bosso

Abbiamo il piacere di intervistare Ilaria Latini una delle più amate e conosciute doppiatrici del panorama italiano, esponente di una delle più consolidate dinastie, iniziata con suo padre, proseguita poi da lei e dai suoi fratelli e oggi dai suoi figli e nipoti, che hanno reso questa professione una vera e propria eccellenza italiana.

Benvenuta su Telegiornaliste, Ilaria, per noi è un piacere incontrare una delle voci più amate del doppiaggio italiano: i tuoi tre figli Riccardo, Emanuele e Sofia hanno seguito le tue orme proprio come è stato per te e i tuoi fratelli. Come hai vissuto questo passaggio, anche confrontato con i tuoi inizi?
«Ciao a tutti e innanzitutto vorrei dire che il piacere è tutto mio Per me vedere i miei figli percorrere la mia stessa strada è stata una bella emozione, anche se io sempre li ho lasciati liberi di scegliere perché credo fermamente che ognuno di noi sia qui per mettere in atto i propri talenti, qualunque essi siano. Quindi loro troveranno sempre il mio appoggio per ogni strada che vorranno percorrere. Io ho faticato più di loro, perché mia madre non era tanto d’accordo che io intraprendessi questa strada da piccola, lei temeva che avrei trascurato gli studi anche se poi questo non è avvenuto. Io ragiono in maniera un po’ diversa e cerco sempre di creare le condizioni, come dicevo, affinché chiunque mi circonda e chiede il mio supporto possa fare ciò che sente davvero di voler fare. Posso quindi dire che è stato un piacere per me agevolare i miei ragazzi dove ho potuto, in realtà ci tengo anche a dire che non è così semplice come sembra seguire le orme dei propri genitori nel nostro settore, perché in realtà ciascuno di noi costruisce da solo la sua strada e nel doppiaggio le raccomandazioni ti possono regalare eventualmente (e di rado) un’esperienza, ma non il tuo intero percorso. E poi io all’epoca ero solo una doppiatrice che venivo chiamata a lavorare dagli altri, non potevo veramente fare molto per loro. Magari gli hanno dato fiducia sapendo che erano “figli d’arte” ma hanno fatto anni di “piccolissimi ruoli” e ai sono distinti un pò solo perché hanno studiato e studiano recitazione (e canto) da anni. Anzi colgo l’occasione ler fare loro i miei complimenti!».

Attrici affermate come Katie Holmes e Amy Adams, personaggi animati di varia tipologia dal non proprio tenerissimo (mio parere personale, ndr) Titti ad anime come Neon Genesis Evangelion, ogni personaggio una simbolica maschera per così dire: qual è la difficoltà nel dare voce a tutte queste diverse figure e personalità?
«Il nostro lavoro si basa esattamente su questo: la capacità di diversificare. Noi siamo attori che entrano in simbiosi con quello che facciamo e con una recitazione già scelta nella versione originale. Vi sembrerà paradossale, ma questo avviene anche nei cartoni animati, quindi noi siamo attori che recitano rispettando scelte già fatte e inserendo piccole inevitabili parti creative senza disturbare troppo la versione originale. Questo è esattamente quello che avviene in tutti i mestieri che cercano di portare un’opera d’arte in un’altra lingua permettendo al fruitore di godere comunque dell’opera (non voglio arrogarmi il diritto di dire come se la vedesse in originale, ma…) nella versione più simile all’originale. E riguardo a Titti sono d’accordo con te(ride anche lei, ndr)».

Non posso evitare di parlare anche con te, come con gli altri tuoi colleghi, delle problematiche e insidie legate all'utilizzo dell'intelligenza artificiale, che negli ultimi tempi anche relativamente al vostro ambito ha registrato anche episodi spiacevoli come quello legato al programma Splendida Cornice con il compianto Claudio Capone che ha giustamente indignato anzitutto i suoi familiari, una problematica che a poco a poco si sta ampliando anche ad altri ambiti, non esclusivamente legati al settore artistico: al di là delle singole iniziative di protesta che si sono sviluppate, tu cosa ne pensi?
«Un episodio come quello capitato alla famiglia Capone è estremamente spiacevole e come tu stesso hai detto questo fenomeno è molto pericoloso perché mette in pericolo l’autenticità di tutti noi in qualunque contesto e per questo va “normato”. Dovranno esserci solide leggi a tutela di ciascuno di noi e parlo dei cittadini in generale non solo dei doppiatori. Detto questo, io credo che l’essere umano ami il contatto con l’essere umano. In poche parole a nessuno di noi basterà avere funzioni riprodotte dalla IA… continueremo a cercare il contatto umano che ci rende vivi e vibranti, questo secondo me vale per tutti i contesti e ovviamente anche per il contesto artistico. Tutti noi, quando abbiamo seguito una band musicale, non ci siamo solo innamorati delle canzoni ma ci siamo anche interessati dell’essere umano che c’era dietro ; stessa cosa per gli sportivi, per gli autori, gli inventori, per arrivare persino alle casse del supermercato, dove le persone ancora scelgono l’essere umano rispetto alle macchine. Ci piacciamo noi esseri umani, ci critichiamo ma ci cerchiamo e non possiamo prescindere gli uni dagli altri. La tecnologia potrà aiutare e ben venga ma noi esseri umani cerchiamo calore umano, anche nel lavoro, nel quotidiano, nell’arte, lo fa persino il più burbero… questo penso io».

Nel corso degli anni, anche con l'avvento dei social, ma non solo, siamo passati da un doppiaggio, per così dire, nell'ombra, a un vero e proprio fenomeno di divulgazione di massa, tramite fiere ed eventi dove siete gettonati e richiesti, a format come quelli creati da Alessio Cigliano a cui anche tu hai partecipato in questi anni, una cosa che magari la cosiddetta 'vecchia scuola' a cui anche tuo padre Franco Latini apparteneva sarebbe stata piuttosto restia ad accettare. Come hai vissuto questo progressivo emtrare in contatto con questo fandom diffuso?
«Io non credo che la vecchia scuola sarebbe stata restia ad accettare questo, semplicemente ha vissuto un’epoca differente dove Internet e i social erano impensabili. Loro vivevano nell’ombra ma appena si presentava l’occasione salivano sul palco e recitavano, cantavano si mettevano in gioco. Oggi è tutto cambiato e questo è uno di quei casi in cui credo che la tecnologia venga in aiuto dell’essere umano proprio perché abbiamo bisogno di rapporti umani… vedi? Ci piace tanto sapere chi c’è dietro le cose ci piace sapere chi è che ha inventato una ricetta, chi ha fatto un disegno, chi ha avuto per primo un’idea geniale e così via. Questo è ciò che accade con i social. E quindi eccoci qui oggi e i fari sono arrivati anche nel buio delle sale. Guarda caso in un’epoca in cui l’IA minaccia la fine di molte figure artistiche, la stessa tecnologia che crea quest’ultima unisce gli umani più di prima e tutti possiamo farci un “salutino” reciproco anche per un istante. Tutti entriamo e vogliamo entrare in frammenti della vita di chi ci ispira. Non è un divertente gioco della sorte? Tutti noi vogliamo scoprire chi c’è dietro ogni cosa mentre tutti temiamo che dietro a ogni cosa d’improvviso da un giorno all’altro ci possa essere solo una macchina. E poi? A chi scriveremo? Chi intervisteremo? Quale storia di vita ci verrà curiosità di conoscere ascoltando una canzone se dietro quelle note ci sarà un autore inesistente e un interprete virtuale? Sono forse una sognatrice, ma credo che mediamente non ci piacerebbe. Ci sarà un genere forse, il “genere IA”, ma non credo che una intera società sia disposta a morire e spegnersi così».

I tuoi figli sono spagnoli per parte di padre: hanno mai avuto o stanno prendendo in considerazione la possibilità di cercare esperienze artistiche nella loro seconda patria?
«I miei figli sono per metà spagnoli, ma sono ragazzi del mondo, parlano benissimo anche l’inglese e studiano altre lingue. Sognano di continuare ad essere figli del mondo».

Non posso fare a meno, in conclusione, di parlare di Laura. Non sono mancate occasioni in questi anni in cui sei stata chiamata a ricordare tua sorella, sia in quell'occasione a Radio Cigliano insieme a Eleonora De Angelis che ha vissuto il vostro stesso dolore, sia ultimamente da Paola Saluzzi. Queste occasioni di ricordo fanno parte in qualche modo del vostro percorso di elaborazione della perdita che avete subito?
«Nell’occasione specifica di cui parli, Alessio mi invitò alla sua trasmissione e fu una mia decisione coinvolgere Eleonora per parlare dei nostri fratelli. Avevamo entrambe vissuto da poco questa esperienza e non ce la sentivamo di andare in una trasmissione a parlare di noi… ci sentivamo meglio ad andare lì e metterci in ombra per parlare di loro. Ci è sembrato così di fare una serata insieme a loro, terapeutica forse come tu dici; io mi reputo una persona fortunata perché ho avuto un rapporto bello e sano con mia sorella con tutti i limiti e tutte le virtù della nostra relazione e oggi che vedo tante famiglie che hanno problemi di comunicazione e grandi distanze generate dagli eventi penso che aver avuto questo privilegio non ha prezzo. Laura e io ci siamo sempre sorrette e ci siamo sempre cercate quando qualcosa ci ha leggermente allontanate, quindi io ho avuto il privilegio di avere un rapporto di unione con lei e credo che sia meglio perdere qualcosa che hai avuto piuttosto che non viverla mai. Che poi in fondo non ho mai perso nulla perché come ho detto in trasmissione da Paola sento che lei è sempre con me. Lei con la sua esperienza di malattia mi ha insegnato a vivere e oggi do ancora più valore a tante cose e ad esempio, io e mio fratello Fabrizio cerchiamo di amarci sostenerci e stare tanto insieme anche se a volte non è stato facile proprio perché la vita ci ha insegnato il valore di tutto questo. Quindi ogni occasione in cui posso parlare di lei, è per me un’occasione di dimostrare a me stessa che lei continua a stare accanto a me e ad accompagnarmi in tante situazioni. Lei che apparentemente “andandosene” mi ha insegnato a vivere».
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