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Archivio Telegiornaliste anno XXI N. 10 (789) del 19 marzo 2025

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TGISTE
Ludovica Guerra, era tutto scritto
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo Ludovica Guerra, volto di Sky Sport MotoGp

Lei e i motori: come nasce questo incontro?
«Nasce grazie a mia nonna, Angela che già negli anni '60 si dilettava in gare di kart e girava l’Europa con macchine veloci. Passione tramandata a mia mamma che ha ben deciso di crescermi a pane e motori educandomi al motorsport e raccontandomi al posto delle favole della buonanotte le gare della 500 e dei suoi protagonisti degli anni '70/80. Ogni sera c’era un eroe e un pilota diverso, accompagnato dalle foto e dalle diapositive fatte su rullino da mia madre a spasso per i paddock d’Europa. Storie incredibili di vita e adrenalina che mi hanno fatto innamorare di questo mondo e che mi hanno permesso di coltivare una passione e di renderla poi il mio lavoro. Così, quando nel 2017 ho avuto l’opportunità di fare uno stage a Sky in concomitanza con gli studi universitari, mi sono detta “nonna era già tutto previsto, e forse tu un po' lo sapevi”. Tra i miei portafortuna, il cronometro che mia madre usava per prendere i tempi dei piloti in rettilineo».

Le sue prime impressioni sulla nuova stagione del MotoGP.
«È stato un inizio di stagione che ha consacrato il ritrovato Marc Marquez nella sua era del Todo Rojo. Maturità, guida pulita, composto e sorriso sono gli ingredienti che hanno caratterizzato il debutto in Ducati dell’otto volte campione del mondo. Un compagno di Box importante e stimolante per Pecco Bagnaia, due volte iridato, con il quale sta creando un ottimo rapporto da team mate con l’obiettivo di mantenere il titolo in casa Borgo Panigale. La superiorità di Ducati è sancita anche dagli ottimi segnali dati anche nei test invernali da parte di Alex Marquez e Franco Morbidelli. Assente importante, il campione del mondo 2024 Jorge Martin che ha portato il numero 1 sul cupolino della sua Aprilia. Un infortunio nella pausa invernale l’ha costretto a fermarsi per recuperare e tornare magari a insidiare quella che potrebbe essere un egemonia ducati. Segnali lenti ma positivi per quanto riguarda le case giapponesi di Honda e Yamaha, crisi e terremoto interno in Ktm con un Pedro Acosta, rookie maravilla del 2024 in netta difficoltà. Se di rookie parliamo non possiamo non citare il debuttante nella classe regina Ai Ogura, vincitore in Moto2 lo scorso anno che ha stupito tutti... e chissà magari continuerà a essere l’outsider che si confermerà costante nelle prestazione con la sua Aprilia TrackHouse. Ci aspetta una stagione, che farà bene al motorsport con talento, passione e piloti che ad ogni gara scrivono una pagina di storia della MotoGP».

Quali sono state, secondo lei, le più importanti innovazioni tecnologiche di questi anni e in che modo hanno impattato?
«Negli ultimi anni la MotoGP ha visto un continuo progresso tecnologico volto a migliorare le prestazioni, la sicurezza e l’affidabilità delle due ruote. Dall’elettronica avanzata con l’arrivo delle centraline per una gestione più precisa della moto, alla miglioria del motore con le conseguenti implementazioni sui sistemi di recupero, pneumatici più performanti, aerodinamica impattante sulla sicurezza e stabilità in curva fino ad arrivare al data analyst con i sistemi avanzati di telemetria. Tutto questo con un unico minimo comune denominatore: alzare il livello di efficacia sicurezza e spettacolo della MotoGP».

Tra i personaggi che ha avuto modo di intervistare o con cui ha interagito tra i protagonisti delle due ruote quali le sono rimasti impressi maggiormente?
«Beh, come non menzionare la prima intervista che ho fatto per Sky proprio a Valentino Rossi durante la 100km dei campioni al suo ranch. Mano che tremava, mutismo selettivo sbloccato da una domanda banale. Vale ha capito mi ha guardata e mi ha detto “prima volta?”; siamo scoppiati a ridere. Vale è così, riesce a metterti a tuo agio in qualsiasi momento e a creare una perfetta connessione. Un altro momento che ho impresso e incorniciato per bene nella mia testa è stata l’intervista all’Eicma a Casey Stoner lo scorso novembre, quando dopo anni è tornato su una moto e si è esibito in traversi davanti a tantissime persone. Con la coda dell’occhio mi vedevo nel maxi schermo e pensavo a quando da bambina lo vedevo danzare sui circuiti del motomondiale con la sua ducati. Li era davanti a me, in carne e ossa a parlare un inglese australianizzato scherzando insieme a me sul fatto che non aveva più il fisico di una volta ma per me, per noi appassionati Casey sarà per sempre Casey».

Domanda magari un po' banale ma glielo chiedo: si è mai sentita discriminata o sottostimata in quanto donna nell'avvicinarsi a questo ambito?
«Quello che dico da sempre è la donna nello sport farà notizia quando non farà più notizia. Il numero di quote rosa nel nostro settore aumenta sempre di più, facendo sì che in qualsiasi nuovo ambiente di lavoro io mi sia approcciata, sono stata accolta nel migliore dei modi senza mai farmi sentire un pesce fuor d’acqua. Non nego però che all’inizio del mio lavoro sono passata sotto a sguardi, giudizi sospettosi e poco convinti, ma per il carattere che ho per me è stata una sfida incredibile riuscire a far ricredere chi pensava che fossi arrivata solo per passaggio senza passione e senza preparazione tecnica. Se li ho fatti ricredere? Sì, tutti».

In futuro potrebbe anche considerare di dedicarsi ad altri settori del giornalismo o la passione per i motori resterà sempre qualcosa che la contraddistinguerà?
«I motori sono la colonna sonora della mia vita e se dovessi immaginarmi tra 10/15 anni in una qualsiasi parte del mondo, mi vedrei su in circuito: è una cosa troppo viscerale quella che mi lega all’asfalto e al profumo degli autodromi quindi non sono mai riuscita a vedermi in altri settori. Però facendo della velocità e dell’adrenalina il mio lavoro e anche il mio cervello sono sempre alla ricerca di nuovi stimoli ma saranno sempre legati alle due e alle quattro ruote». 
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TUTTO TV
In memoria di Pietro Genuardi
di Giusepe Bosso

I primi passi nel mondo del teatro; gli esordi nel cinema in pellicole come Il bambino e il poliziotto di Carlo Verdone. Poi, la grande popolarità con la soap, su tutte le interpretazioni del carismatico Ivan Bettini in Centovetrine e poi di Armando Ferraris ne Il paradiso delle signore.

Commozione e tristezza ha suscitato la scomparsa di Pietro Genuardi, attore amato da colleghi e fan, dopo una lunga malattia. Tutti si sono stretti idealmente in un forte abbraccio al figlio Jacopo e alla moglie Linda Ascierto, che fino all'ultimo gli sono stati accanto nella sofferenza che la malattia gli aveva portato.

Amico mio, mi spezzi il cuore così... Oggi ci hai lasciati, non riesco ad accettarlo”, così sulla sua pagina Instagram il ricordo di Anna Safroncik, che con Genuardi/Ivan, nei panni di Anna Baldi, ha vissuto una delle storyline più coinvolgenti e ricordate dai fan di Centovetrine. “Amico caro,
amico e collega speciale... da oggi senza te non sarà più lo stesso
 “, ricordo di un'altra, amata, collega, Vanessa Gravina.

Non meno sentito e commosso il pensiero dei tantissimi fan che avevano avuto modo di incontrare l'attore nel corso degli anni, rimanendo sempre piacevolmente colpiti dalla cordialità e dalla gentilezza che ha sempre manifestato nei loro confronti.
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DONNE
Pamela Brega, tra cinema e cosplay
di Giuseppe Bosso

Attrice, ma non solo, abbiamo il piacere di intervistare Pamela Brega.

Benvenuta sulle nostre pagine, Pamela. Anzitutto parliamo della sua ultima interpretazione, La tigre veste di rosso, sequel di un altro corto che l’ha vista protagonista, La tigre veste di nero: senza ovviamente spoilerare, cosa può dirci, anche in continuità con il precedente capitolo?
«Grazie a voi per avermi invitata! La tigre veste di nero è un mediometraggio no budget, abbiamo sperimentato per vedere se al pubblico piaceva questo genere horror/thriller e alla fine dopo varie proiezioni è andata molto bene. Per il secondo capitolo abbiamo deciso di farlo diventare un lungometraggio, oltre ad essere la protagonista del film sono anche la produttrice. Ho voluto investire su nuove strumentazioni come fari, telecamera, computer, macchina per il fumo. A differenza del primo, questa volta possiamo dire che c’è un vero budget dietro al film. Inoltre per la prima volta abbiamo veri attori che hanno studiato recitazione e provengono dal mondo del teatro. Nel cast ci sará Ilaria Monfardini, grande nome del cinema indipendente di genere, Roberta Sarti e Gino Bove. Ovviamente il film sarà scritto da Roberto Ricci, il parrucchiere del brivido, sceneggiatore del primo capitolo mentre alla regia e al montaggio sempre Luca Pincini. Le musiche avranno la firma di Riccardo Sabbatini in arte “Rick Dope”, anche programmatore di videogiochi».

Possiamo in ogni caso dire che il messaggio che traspare fin da La tigre veste di nero è che il male, la follia, sono molto più propensi a nascondersi dietro la facciata apparentemente più insospettabile?
«Si, la follia è sicuramente la base che permette al villain di compiere le sue azioni. Sul fatto che sia insospettabile non saprei, nel mediometraggio conosciamo poco il personaggio per via della tempistica. In verità dietro ad un semplice giallo con un twist finale di Roberto Ricci, abbiamo voluto inserire elementi da film slasher, ponendo la donna come protagonista assoluto. Le vittime sono donne, ma anche il villain. L’unico uomo rilevante del mediometraggio fa una brutta fine, mentre l’eroe è una donna testarda che si salva da sola. Insomma c’è una base fortemente “Girl Power.”».

Finora si è caratterizzata soprattutto nell’interpretazione di corti e pellicole indipendenti che, pur lontane dal grande circuito della distribuzione mainstream, non sono certo una categoria minore, potendo anzi contare sul seguito di appassionati. Si sente in qualche modo, per così dire, “pesce grande in uno stagno piccolo”?
«Parlando di distribuzione di film horror indipendenti in Italia non credo che ci sia troppo spazio. Piccoli film a volte trovano la loro strada grazie a un investitore che crede nel progetto, ma la maggior parte delle volte film anche meritevoli finiscono nell’oblio. Non funziona così in America per esempio, dove anche il film senza mezzi trova la sua distribuzione sul mercato dvd o sulle piattaforme. La differenza sta nel fatto che in America, ma anche in altri paesi come la Germania, hanno degli eventi fatti appositamente per queste cose. Ogni settimana hanno un evento a tema horror e solo horror dove chiunque in un modo o nell’altro riesce a fare vedere il proprio film. Su questo in Italia siamo sacrificati parecchio, anche perché i festival sono pochi e i nomi che circolano sono sempre gli stessi. Sulla parte se mi sento un pesce grande in uno stagno piccolo non saprei. Trovo che i corti sono ottimi per iniziare, poi se effettivamente valgo qualcosa saranno gli altri ad accorgersi di me. Mi sono coperta di sangue finto e ho fatto ogni volta i miei piccoli stunt, per ora ne sono soddisfatta e se un domani ci sarà un cosiddetto stagno più grande non vedo l’ora di farci un tuffo».

Com’è nata e come si è sviluppata nel tempo la sua passione per l’horror?
«La mia passione è nata grazie ai miei fratelli, quando ero bambina guardavo le loro videocassette dei film horror. Da lì non riuscivo a farne a meno. Quando ho conosciuto la mia dolce metà, Luca Pincini, ho avuto modo di ampliare ancor di più questo mondo, iniziando a collezionare dvd, bluray, action figures, poster e tanto altro. Tra le soddisfazioni più grandi, oltre a tutti i piccoli cortometraggi realizzati insieme, anche loppo di conoscere i nostri attori e registi preferiti. Persone che vedevo sullo schermo da bambina e che non pensavo mai di poter abbracciare dal vivo, come Bruce Campbell e Roberto Englund».

Qual è stata finora l’esperienza professionale che l’ha maggiormente gratificata?
«Tutti i progetti in cui ho partecipato mi hanno gratificata moltissimo, anche perché è sempre una bella esperienza stare su un set, inoltre è il mio sogno da quando ero piccola. L’ultimo progetto che ho fatto, La tigre veste di nero, ho voluto dare il massimo e al pubblico è piaciuto, mi sono divertita tantissimo e spero di continuare a collaborare con tanta bella gente».

Ha acquisito una notevole popolarità anche come ‘cosplayer’. Come si è avvicinata a questo ambito e cosa l’ha colpita in particolare?
«Era il 2007 e su YouTube mi sono imbattuta in un video dei cosplayer alla fiera del fumetto di Lucca. Fino a quel momento non sapevo dell’esistenza del cosplay, l’unico momento per mascherarsi era il carnevale. Da quel momento ho iniziato a prendere le prime cose che trovavo in casa e ho cominciato a creare i miei primi costumi. Forse non erano perfetti ma erano mie creazioni, e il fatto di non averli comprati mi dava molta soddisfazione, specialmente se piacevano anche agli altri. Così ho iniziato a frequentare le fiere del fumetto e a partecipare alle gare cosplay, vincendo anche qualche premio. Passeggiare in mezzo ai cosplayer mi fa stare bene e mi fa dimenticare tutti i problemi. Sono in una fiera del fumetto? Non sono più Pamela, ma Alexa Bliss, e farò divertire le persone».

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