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Telegiornaliste anno XXI N. 1 (780) del 15 gennaio 2025
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Anna
Maria Baccaro, passione calcio
di Giuseppe Bosso
Da volto emergente di Rai Gulp a frizzante giornalista sportiva,
incontriamo nuovamente Anna Maria Baccaro.
Bentrovata Anna Maria, ci eravamo
lasciati nel 2016, ricordando il tuo esordio davanti alle telecamere ti
eri definita “impacciata” e in auspicio per il futuro speravi di diventare
attrice: così è stato, ma non solo, vero?
«Non posso dirmi pienamente realizzata dal punto di vista della recitazione,
ma sono soddisfatta del percorso che ho intrapreso; ho scelto di diventare
giornalista sportiva quando ho capito che la mia strada era questa, e sono
riuscita a raggiungere questo traguardo».
Dalla tv per ragazzi al calcio a tempo pieno, per caso o per passione?
«Entrambe, aggiungendo anche un po' l'incidenza del destino. Da sempre sono
un'appassionata di calcio, ho avuto la fortuna di iniziare giovanissima
conducendo trasmissioni per bambini, come ricorderai dalla nostra prima
intervista, e come si dice 'da cosa nasce cosa', sono arrivate anche le
prime conduzioni legate al mondo del calcio, con le quali ho capito che la
passione poteva combaciare con il mio lavoro, e così finita l'università mi
sono indirizzata in questa direzione.
Fai parte di una generazione di giovani giornaliste sportive che,
nonostante stereotipi o diffidenze ancora restie a dissiparsi, si sono fatte
progressivamente strada con riconoscimento: hai mai dovuto fronteggiare
ostacoli di questo tipo?
«All'inizio, forse. Ma ero anche abbastanza piccola, mi chiedevano “ma sei
davvero appassionata di calcio o è un mezzo per entrare nel mondo della
televisione?”. Se fossi stata uomo questi pregiudizi non ci sarebbero stati
probabilmente. Ma grandi problemi non ne ho avuti».
Raccontare la serie B ti porta anche a occuparti della tua squadra del
cuore, la Salernitana, retrocessa l'anno scorso dopo un triennio nella
massima serie: come hai vissuto questi anni e quali sono le tue aspettative
future?
«A parte la stagione 2022-2023 che è stata davvero un'annata da record sono
stati sempre anni vissuti sul filo del rasoio. Non siamo mai stati
tranquilli, ma è nel dna della Salernitana e il tifoso ne è consapevole. È
stato un periodo che è combaciato anche con i miei primi successi
professionali, ho avuto modo di intervistare protagonisti di questi anni e
vivere quelle salvezze emozionanti in prima persona. Ora siamo in una fase
più negativa, c'è sempre lo stesso entusiasmo e spero che alcune cose
possano cambiare, al di là di voci relative alla società e ai giocatori.
Vediamo cosa succederà con il mercato di gennaio, sappiamo che è in
primavera che si decidono i giochi anche in serie B, tutto è in discussione.
Ma la passione a Salerno c'è sempre».
Tra i personaggi che hai avuto modo di intervistare o incontrare per gli
eventi di cui sei stata moderatrice in questi anni, chi ti ha confermato le
aspettative che avevi?
«Parecchi, sicuramente una bellissima scoperta è stata con mister Fabio
Capello con cui ho potuto conversare per un'ora a tu per tu, un momento che
mi ha stupito in positivo per la sua simpatia e la sua cultura. Presto
vedrete anche l'intervista che ho realizzato con Walter Sabatini, un
dirigente che ho sempre stimato, ma conoscerlo di persona è stata una
conferma totale».
Sarebbe anacronistico un ritorno al passato della domenica unico giorno
consacrato al calcio, ormai ci siamo dovuti abituare allo 'spezzatino' in
cui tra campionato e coppe praticamente non c'è giorno della settimana in
cui il calcio non si ferma mai: questo non rischia di essere
controproducente in termini di interesse?
«In parte sì, mi rendo conto che seguire tutte le partite diventa
impossibile visto che si gioca davvero tutti i giorni tra campionati e
coppe; questo può compromettere la possibilità per gli appassionati di
seguire determinate squadre, oltre a quella per cui si tifa».
Siamo passati dall'anno del covid che ha fermato per mesi anche il calcio
con una frettolosa ripartenza senza pubblico in estate all'anno dell'ultimo
mondiale con i campionati che si sono fermati da novembre a dicembre per
consentire lo svolgimento della competizione in Qatar a questa stagione che
si concluderà con il molto criticato mondiale per club la prossima estate:
non sarebbe ora di ripensare a una diversa struttura dei calendari, anche
per salvaguardare le condizioni dei calciatori?
«Questo sì, anche perché ormai i nostri giocatori giocano una quantità
indescrivibile di partite; purtroppo è la conseguenza di quando è il
business a prevalere, che prescinde dall'interesse dei singoli, anche se è
fondamentale per tenere in piedi l'industria calcio. Trovare magari un
compromesso sarebbe auspicabile».
Le tue aspettative per il nuovo anno.
«Ci saranno tante novità che per ora non posso svelare, ma ci saranno nuove
soddisfazioni e nuovi traguardi da conseguire, ho sensazioni positive. Piano
piano spero di continuare sempre così».
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Metis
Di Meo, on the road per il Belpaese
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare nuovamente
Metis Di Meo per parlare della sua recente ultima
fatica televisiva:
Italia On the Road, programma innovativo
di turismo esperienziale che ha reso protagonisti i luoghi
meno noti dell’immenso patrimonio artistico, storico e
naturalistico italiano. Turismo italiano a quattro ruote e
sicurezza stradale per promuovere l’offerta turistica del
nostro paese, incentivando un turismo destagionalizzato, che
mette in luce le province meno note del Bel Paese,
attraverso la scoperta di percorsi del nostro territorio che
celano occasioni di svago, avventura, cultura e
divertimento.
Bentrovata, Metis. Anzitutto parlaci della trasmissione,
quali riconoscimneti ha conseguito e come l'hai sviluppata.
«La trasmissione ha vinto il Premio Moige come miglior
branded content dell’anno, grazie all’Osservatorio dei
Media, per qualità, originalità e contenuti; un linguaggio
fruibile e consigli pratici per tutta la famiglia. È un
programma che ho scritto, data l’esperienza dei tanti
programmi di viaggio e territorio, dando vita ad un
game-travel prodotto da Lilith Factory con Rai Pubblicità,
fruibile su Rai Play e su Rai Italia. In ogni puntata un
testimonial, un personaggio noto al grande pubblico e
strettamente legato al territorio, è diventato protagonista
mettendosi in gioco in una sfida e raccontandoci il
territorio attraverso i suoi occhi. In Abruzzo l’attore
Niccolò Galasso, protagonista di Mare Fuori, ha
portato il pubblico a conoscere parchi e piccoli borghi;
nelle Marche la cantante, vincitrice di X Factor,
Kimono ha fatto conoscere la costa Adriatica, mentre nel
Lazio la travolgente attrice Laura Adriani, reduce
dall’ultima serie A casa tutti bene di Gabriele
Muccino, è stata protagonista dei luoghi del suo cuore, fra
Lazio ed Umbria. La cantante Ilaria Mongiovì, voce d’oro
vincitrice dell’ultimo campionato di Tale e Quale, ha
fatto conoscere la Sicilia sudoccidentale fra sport e
natura; mentre al nord fra Brescia e Bergamo, lo chef e
personaggio tv David Fiordigiglio, è stato il cicerone della
regione Lombardia».
Da chi siete stati sostenuti e promossi, in particolare?
«Il branded content è promosso da ACI,
l’Automobile Club d’Italia, nato più di cento anni fa con lo
scopo di favorire l’automobilismo in Italia, oggi in grado
di disegnare l’orizzonte strategico di una nuova cultura
della mobilità, sempre più sicura e sostenibile. ACI ci
porta alla scoperta dei territori grazie alle sue strutture
radicate sul territorio, leve strategiche per tutelare e
sviluppare l’economia turistica nazionale. Partner del
branded content è Anas
(Società del Polo Infrastrutture del Gruppo FS Italiane),
per promuovere la cultura della sicurezza stradale,
prerogativa del Gruppo. Anas è da sempre promotrice di
iniziative concrete di conoscenza e di fruizione del
territorio in grado di definire, nel loro insieme, la forza
e il valore del nostro Paese. Sponsor delle puntate è DR
Automobiles Groupe, casa automobilistica italiana, che ha
intrapreso da anni un percorso di comunicazione teso ad
esaltare le bellezze naturalistiche nonché artistiche e
culturali nel nostro paese. Il programma, in collaborazione
con Rai Contenuti Digitali e Transmediali e Rai Pubblicità,
è scritto con Dario Folchi, ha la collaborazione di Denis
Falconeri, direttore di produzione Emiliano Celsi, la regia
è di Andrea Conte».
E l'anno che ci siamo appena lasciati alle spalle è stato
anche un'occasione per riscoprire l'Italia, vero?
«Sì, il 2024 è stato l’anno delle radici italiane nel mondo,
con Italia on The Road stiamo girando il mondo per
incentivare gli italo discendenti a tornare alla ricerca
delle loro radici, a visitare la terra dei loro avi e
riscoprire i luoghi delle loro origini».
La trasmissione è anche un’occasione per scoprire il
volto dell’Italia di oggi, nelle sue particolarità, che ha
forse in parte smarrito quella sua caratteristica di “Paese
dei 100 campanili”?
«Ho partecipato, realizzato come inviata, autrice e
conduttrice oltre 60 format tv, di cui la maggior parte di
viaggio e valorizzazione del nostro territorio. Questo mi ha
permesso di scoprire e conoscere bene il nostro Paese, di
cercare sempre di favorire il turismo, la divulgazione
trovando nuovi modi per viaggiare. Le curiosità, i misteri,
le esperienze, le attività collettive sono alcuni delle
modalità che possono affascinare di più i viaggiatori. Non
basta avere bellezze artistiche e naturalistiche, bisogna
saper affascinare ed incentivare il pubblico, trasformarlo
da turisti a esploratori appassionati».
In qualche modo si collega alla tua precedente esperienza
di
Metrorpolis-Urban Art Stories, che era però un
format circoscritto ai luoghi artistici, anche se accomunato
dalla stessa idea di fondo: andare alla scoperta dei luoghi
anche più nascosti del nostro Paese, nell’era della
iperconnessione dove sembra che ogni luogo sia
raggiungibile. Come sei andata alla ricerca di questi luoghi
che hai raccontato e quali sono i posti che ti sono rimasti
impressi?
«Metropolis-Urban art stories nasce dalla mia grande
passione per l’arte, la creatività e la comunicazione urbana
che ho da circa 16 anni. Scatto foto, colleziono opere,
cerco storie ed artisti in tutti il mondo nei miei tanti
viaggi. Essendo una grande appassionata avevo l’imbarazzo
della scelta nella selezione delle storie, delle opere,
delle città. Nel mio cuore c’è Roma ovviamente, anche se
questa mia passione è nata fra Budapest e New York, due
città dove ho vissuto per alcuni mesi della mia vita.
Metropolis parla di storie di arte urbana, una serie di
documentari dove le storie dei personaggi, gli itinerari
delle città, i temi di puntata, creano un viaggio unico nel
suo genere».
Com'è nato questo format?
«Ho scritto questo format tanti anni fa per il desiderio di
guardare con occhi diversi le nostre città, di scoprire
pensieri e dare luce a chi non ne ha ma sente forte il
sentimento di esprimersi. Gli eventi sociali raccontati nel
format uniscono passato e presente e si raffigurano
attraverso le street art e le sue molteplici espressioni in
un linguaggio pop e immediato».
Chi ti ha appoggiato e sostenuto questo progetto?
«Devo ringraziare Maurizio Imbriale, Direttore Rai Contenuti
Digitali e Transmediali, che ha avuto il coraggio di portare
avanti un format innovativo che parla di temi underground,
così dibattuti e poco protagonisti della tv, quest’idea è
diventata una serie original di Rai Play. Volevo lanciare il
messaggio che l’arte urbana è gratuita, democratica,
provocatoria, ironica ed effimera, seppur maleducata, come
nessun’altra forma d’arte, è rimasta una delle sole ad
essere capace di raccontare i pensieri e i sentimenti della
gente scuotendone le coscienze. Il programma è un viaggio
tra i cambiamenti storici, politici e culturali del nostro
Paese, interpretati attraverso le opere d’arte urbana
presenti sui muri delle nostre città che ci aiutano a
comprendere meglio l’evoluzione generazionale e sociale
dell’Italia degli ultimi decenni. Siamo riusciti a farlo con
una produzione interna Rai, grazie anche ad un attento
lavoro con Rai Teche e la postproduzione presso la Rai di
Torino, con Stefano Salandini come Capostruttura, Vanilla
Tartagni come Produttrice, Maurizio di Cesare per la regia e
Lorenzo Di Majo per la finalizzazione».
Facendo un passo indietro e tornando alla nostra
prima intervista, mi avevi detto che risentivi del fatto che
nonostante la tua consolidata esperienza capitassi spesso in
gruppi di lavoro dove ti ritrovavi ad essere la più
“piccola”, per così dire: è ancora così o qualcosa è
cambiato?
«Sto crescendo e devo dire che finalmente arriva qualcuno di
più giovane, più che altro ruoli tecnici e di produzione,
spesso sono ancora la più giovane ed essendo donna questo
spesso rende le situazioni ancora più complesse. Svolgo il
ruolo di direttore creativo, l’ho svolto in varie aziende,
media company e non solo, con difficoltà da parte di molti
ad accettare il ruolo di una giovane donna. Il problema nel
mondo del lavoro per le donne è molto ampio, radicato e
complesso, sappiamo bene che le donne vengono pagate di
meno, hanno mansioni ben superiori a quello che dicono i
loro contratti e non tendono ad essere riconosciute e
rispettare di meno nei ruoli gerarchici, come se ogni loro
vittoria dovesse essere sempre il risultato di un lavoro non
meritato. Ma sono convinta che sul campo, con i risultati,
con le tante capacità umane e professionali, poi ci si fa
rispettare e si merita la stima. Combattendo di più, ma con
maggior soddisfazione».
Mi avevi detto che la tua aspirazione era proseguire in
quel percorso di “infotainment” dove avevi coniugato
intrattenimento e informazione: ma ha ancora senso parlare
di questa tipologia che forse ha raggiunto una vera e
propria inflazione non solo sulle reti Rai? Non sarebbe ora
anche alla luce delle nuove esigenze del pubblico televisivo
che questi due ambiti prendessero ognuno la propria
direzione senza contaminazioni?
«La commistione di generi è sempre e maggiormente
inevitabile a mio avviso. Informare è un dovere dell’azienda
di stato, farlo creando intrattenimento è una giusta forma
di divulgazione adatta ad un pubblico più giovane. L'etica
della Rai impone il mettere sempre al primo posto
l’informazione equa e corretta, parlare ad un target ampio
che va dai bambini agli anziani. Io ho sempre avuto una
passione per il pubblico più giovane, ho realizzato
programmi per adolescenti e ritengo che a prescindere dagli
ascolti sia un dovere continuare a fare programmi che
uniscono l’informazione e l’intrattenimento per un target
più giovane ed ampio, specialmente quando si tratta della
valorizzazione dell’Italia».
Dopo essersi sperimentata o cimentata in svariati
contesti, attrice, conduttrice, autrice, anche concorrente
di Ballando con le Stelle, Metis Di Meo ha trovato la
sua collocazione definitiva o è ancora aperta a ogni nuova
esperienza?
«Ho iniziato, inconsapevole, a fare l’attrice a due anni.
Pubblicità e fiction, poi il teatro e dei film da
giovanissima. Poi anni di teatro. Ma non ho capito subito
che quella vita con era adatta a me, al mio carattere, al
mio modo di vedere la vita, ai miei valori. Amavo scrivere,
viaggiare, scoprire, studiare, raccontare il mio punto di
vista e parlare con il pubblico, senza una maschera e delle
imposizioni. Così ho scoperto la conduzione, poi la
scrittura per la tv. Per molti anni ho fatto doppie vite, da
una parte facevo l’autrice e la creativa, dall’altra
l’inviata e la conduttrice. Poi le passioni si sono unite,
ho iniziato a realizzare programmi originali, scritti e
condotti da me e con i professionisti e amici con i quali
lavoro da sempre come Il Nostro Capitale Umano, viaggio
nel mondo del lavoro in Italia oggi, Made In Italy,
eccellenze italiane su Rai1; Lezioni di Bon Ton
su Rai5; Augurerai, il futuro dell’Europa su Rai2;
Testimoni di Pace su Rai3. La vita da apprendista
ballerina è stata breve ma intensa, come tutti i
partecipanti di Ballando con le Stelle che si
affiancano a professionisti e campioni del mondo di ballo,
non ci si può dopo definire che dei partecipanti ad un
grande talent di successo della Rai. Anche perché nella mia
famiglia di ballerina c’è solo la mamma, tersicorea e grande
professionista, quindi ho grande rispetto per l’impegno e la
dedizione che necessita questa professione alla quale non mi
sono mai avvicinata se non per gioco. Oggi mi dedico alla
vita da creative manager, ho lavorato per varie media
company della didattica e dell’intrattenimento, è sono stata
consulente per Mediaset e per Rai, reparto creatività e
sviluppo nuovi format. Questo già mi porta a realizzare
sempre nuove avventure come scrivere documentari
pluripremiati come Azzurro Shocking, come le donne si
sono riprese il calcio per Rai 1. Dedico tutto il mio
tempo e impegno per l’associazionismo, dando priorità ai
progetti di tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, alla
valorizzazione della diversità, al dialogo interreligioso,
combattendo per contrastare le difficoltà del mondo
femminile, le violenze e gli abusi. Sono sempre aperta a
nuove avventure, ma più passa il tempo più la ricerca di
serietà, professionalità e rispetto portano ad una selezione
automatica delle opportunità che si hanno di fronte…».
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Cecilia
Sala, un calvario a lieto fine
di Silvestra Sorbera
Dopo ventuno giorni di angoscia si è finalmente concluso il
calvario della giornalista Cecilia Sala, rientrata in Italia
dopo essere stata detenuta in Iran. Felice conclusione di una
vicenda che ha animato a ridosso delle festività il dibattito
politico, non solo in Italia, con pesanti ripercussioni anche su
scala internazionale. Fine di un incubo che ha tenuto con il
fiato sospeso la famiglia della giornalista, che si è tenuta a
stretto contatto con le autorità per arrivare all'epilogo.
Cecilia Sala nel 2015 ha iniziato a collaborare come inviata e
reporter con Vice per poi iniziare a lavorare con Michele
Santoro a Servizio pubblico su LA7, dove diventa giornalista
professionista. Dal 2022 diventa autrice e voce di un nuovo
podcast, Stories, pubblicato quotidianamente su
Chora Media.
E proprio per realizzare un ciclo di puntate sul Paese
asiatico dove, com'è noto, ancora oggi persistono problematiche
legate al patriarcato e alla sistematica repressione
degli oppositori politici che è iniziata questa tormentata
vicenda, che ha visto Cecilia Sala essere arrestata e rinchiusa
nella tristemente nota prigione di Evin, fino al suo
rilascio.
Prescindendo dalle considerazioni politiche legate anche alla
parallela vicenda dell'ingegnere iraniano Mohammad Abedini
Najafabadi, rattrista e indigna constatare come ancora oggi
in molte zone del mondo, nemmeno tanto remote rispetto alla
nostra Europa, fare semplicemente il proprio lavoro,
ossia raccontare e documentare la realtà di un luogo,
anche nei suoi aspetti più contraddittori e problematici,
comporti il rischio di vedersi privati della propria libertà.
La nostra speranza, che confidiamo sia condivisa dalla stessa
Cecilia Sala, è che un giorno queste tristi vicende non
debbano ripetersi ulteriormente.
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