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Archivio Telegiornaliste anno XX N. 21 (768) del 11 settembre 2024
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TGISTE
Eliana Jotta, felice del mio percorso
di Giuseppe Bosso

Abbiamo il piacere di incontrare Eliana Jotta, volto noto al pubblico di Telelombardia e altre emittenti lombarde negli anni ’90, protagonista con Rosanna Marani della trasmissione calcistica Novantesimo donna.

Anzitutto Eliana oggi di cosa si occupa, conclusa la sua parentesi da telegiornalista?
«Faccio traduzioni di libri, ultimamente una pubblicazione inglese sulle Mille Miglia che esce ogni anno, che è dedicata a figure come Tazio Nuvolari».

Possiamo dire che è stata in qualche modo una ‘pioniera’, in un’epoca in cui non erano moltissime, ma a poco a poco aumentavano, le telegiornaliste sportive, anche nella conduzione di Novantesimo donna, programma che all’epoca poteva forse suonare come un “sacrilegio”, se mi passa il termine: cosa pensa oggi che sono ormai quasi la maggioranza queste ragazze che negli anni si sono affermate?
«Raramente esprimevo pareri in quel contesto, non mi sentivo all’altezza, avendo iniziato anni prima in un’emittente di proprietà dello storico presidente della Cremonese Domenico Luzzara. Poi sono arrivata a Novantesimo donna con Rosanna che possiamo definire realmente la prima giornalista sportiva donna, Maria Teresa Ruta e una giovanissima Paola Ferrari come ospiti fisse. Penso che sia giusto dare anche a noi donne la possibilità di esprimerci su questo sport così diffuso e amato, e non parlo certo delle cosiddette ‘vallette’, figure femminili un po’ scosciate che si usavano all’epoca. E posso dire di aver dovuto superare molte battaglie, raramente indossavo minigonne o vestiti scollati, ero quasi costretta a volte a farlo nonostante mi battessi per potermi esprimere».

Non sono tuttavia mancati episodi spiacevoli, da protagonisti del mondo del calcio che anche in maniera sgarbata, come Sarri o il compianto Mihajlovic nei confronti di Mikaela Calcagno, si sono rivolti alle giornaliste sportive, ai casi di vera e propria molestia che hanno coinvolto un paio di anni fa Greta Beccaglia: lei si è mai trovata a fronteggiare situazioni di questo tipo e come ha reagito?
«Per me è stato più che altro un discorso di occhiatacce che mi venivano rivolte quando intervistavo agli stadi calciatori e altri protagonisti dello sport, che ho sempre ignorato. Io non ho mai dato adito a grosse interpretazioni o giudizi, proprio perché nei miei atteggiamenti non ho suscitato valutazione negative. Ho un pensiero diverso rispetto al caso della ragazza molestata da lei citato: a costo di sembrare superficiale dico che è stata una grossa esagerazione su una storia che è stata semplicemente quella di un uomo che torna dallo stadio, felice ed esaltato da un risultato positivo, che ha fatto quello che ha fatto senza nemmeno soffermarsi, ma proprio alla mordi e fuggi. Ho trovato davvero eccessivo questo continuo parlarne in vari telegiornali e trasmissioni; personalmente a me non è mai capitato, al massimo qualche esclamazione che però, se devo proprio essere sincera, a me facevano piacere, proprio perché non fatte in maniera morbosa».

Ha vissuto di pari passo il periodo d’oro della Cremonese, culminato con la permanenza in serie A per tre anni consecutivi e l’affermazione nello scenario di Wembley del Torneo Angloitaliano. Poi il lungo declino e lo sporadico ritorno in massima serie l’anno scorso con immediata retrocessione e finale persa ai play off: nonostante tutto resta una piazza appassionata?
«Molto. C’è stata delusione per la sconfitta a Cosenza nella prima giornata. I cremonesi sono affezionati alla loro squadra, non vogliono però assistere a spettacoli brutti come la prestazione in questa partita, qualcuno ha addirittura invocato subito la cacciata di Stroppa ma come le dicevo è proprio per questo attaccamento che si pretende massimo impegno, non certo disamore».

Negli anni abbiamo assistito all’affermazione di giornaliste sportive che sono diventate dei veri e propri personaggi mediatici, come Diletta Leotta o Ilaria D’Amico, anche grazie ai social e alle piattaforme che a poco a poco si sono sviluppate: cosa le suscita, appartenendo a una diversa scuola e generazione, che era ben lontana da questa mediaticità?
«Ammiro molto Diletta Leotta, nonostante la sua estrema bellezza ha dimostrato bravura e competenza, è la giornalista sportiva completa della quale gli uomini non avrebbero nulla da dire. Come altre, come Ilaria D’Amico appunto; non vedo differenze tra loro e un giornalista uomo, la rilevanza mediatica è giusto, un fattore moderno che è giusto ci sia. In un mondo che fino a pochi anni fa è stato prettamente maschile, dove eravamo viste con scetticismo, poteva apparire azzardata l’idea di Rosanna di iniziare una trasmissione come Novantesimo donna che però gli ascolti hanno premiato a lungo».

Eliana Jotta è soddisfatta del suo percorso e delle scelte che ha compiuto?
«Moltissimo. Ero insegnante di ruolo di inglese quando ho iniziato, in casa mi dicevano “non lasciare una sicurezza”, soprattutto al pensiero che per una donna questo lavoro televisivo finisce quando appaiono le prime rughe. Sono molto contenta per quello che ho fatto, modestamente mi conceda di dire che avevo un grande seguito, ma ho dovuto lasciare per esigenze familiari, e l’ho fatto senza indugio perché gli affetti familiari vengono prima di ogni avanzamento di carriera. Ancora oggi ricevo complimenti da persone che mi seguivano allora. Seguo ancora il calcio, la A e la B sono le mie passioni».

Sa cosa farà da grande?
«Quello che faccio adesso, le cose che amo».
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TUTTO TV
Gli Italians di Rai Italia
di Giuseppe Bosso

Partito in sordina nell’autunno del 2022, affidato poi alla conduzione della poliedrica Roberta Ferrari, Gli Italians è ormai un consolidato e affermato programma firmato Rai Italia che racconta le storie e le vite di nostri connazionali che hanno lasciato la madrepatria e si sono integrati nei vari angoli del mondo, ma senza mai smarrire le proprie radici saldamente piantate nel Belpaese.

Che si tratti di una affermata ginecologa di un ospedale della Catalogna, di un brillante chef operativo a Toronto o di un innovativo musicista di Città del Messico (solo per citarne alcuni dei tantissimi protagonisti delle storie fin qui raccontate) il comune denominatore è sempre lo stesso: Italiani che, per necessità o per scelta, si sono stabiliti in altri Paesi, perfezionato la loro professionalità, costruito il loro nucleo familiare, assimilando quegli stili di vita e quelle abitudini, ma che hanno saputo altrettanto brillantemente portare un pezzo d’Italia in giro per il mondo.

Non è certo una novità del nostro tempo quella dell’emigrazione italiana, ma ben diversa da quella sviluppatasi tra il XIX° e gli inizi del XX° secolo: ben lontana è oggi l’immagine delle imbarcazioni di indigenti, spesso disperati, che solcavano per lo più l’Atlantico alla ricerca del tanto sospirato “sogno americano” con più incertezze che concretezze in prospettiva; Roberta Ferrari, brillante giornalista che da anni è ormai un volto noto e presente soprattutto in trasmissioni di attualità (e che, come ci racconterà lei stessa prossimamente, è prossima a dare alle stampe la sua ultima fatica letteraria) ci porta alla scoperta di una variegata realtà fatta da imprenditori, manager, professionisti e artisti che sono spesso diventati dei veri e propri ambasciatori del made in Italy, stimati dall’Istat in circa 6 milioni, e che sono stati ben felici di aprirsi e di raccontare alle telecamere e ai telespettatori di Rai Italia le loro vite e di come non abbiano mai dimenticato, ma anzi preservato, le loro origini.
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DONNE
Maria Rosaria Vitiello, la mia rinascita
di Giuseppe Bosso

Una bellissima storia di rinascita e di impegno la sua. Dalla grande paura e l’angoscia dopo un terribile incidente, accaduto in una giornata di dicembre risalente a ormai dieci anni fa, nella sua Scafati; dopo un lungo periodo in coma, la lenta ripresa, le difficoltà che però Maria Rosaria Vitiello ha saputo trasformare in un nuovo inizio, che ci racconta.

Benvenuta sulle nostre pagine, Maria Rosaria: si dice sempre che c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ questi eventi che ci colpiscono; chi era Maria Rosaria Vitiello ‘prima’ di quel 16 dicembre di dieci anni fa che ha cambiato la tua vita?
«Una donna impegnata, iperattiva e sicura di sé, molto presa dalla sua professione di giornalista e attiva sul coordinamento e la conduzione di eventi politici e culturali. Poi arriva quel giorno, in cui mi trovavo a Scafati per moderare un convegno organizzato dall’amministrazione comunale sul tema della sicurezza stradale. Al termine, vengo travolta da un’auto mentre attraversavo sulle strisce pedonali. Un esercizio commerciale che aveva la telecamera di sicurezza in funzione ha ripreso la scena dell’incidente, ma solo di recente mi sono fatta forza e ho voluto guardare. Non ricordo nulla di quei momenti, l’impatto violento e la caduta a terra. Sono entrata subito in uno stato di coma. Alcune cose mi sono state raccontate dai testimoni, a cominciare dal soccorso che mi ha prestato un tenente della polizia municipale, allora in servizio e che di recente è andato in pensione. Io, oggi, sperimento una seconda vita. È cambiata la mia scala dei valori. Ciò che è rimasto intatto, ne vado fiera, è la mia limpidezza. Io sono come appaio. Dico ciò che penso e, se non lo dico, emerge dal mio sguardo. Sono lo specchio di me stessa, l’immagine di una donna concreta, determinata, fiera e spontanea. Ciò può rendermi al contempo gradevole o antipatica. Ma sono io».

Sgomberiamo il campo da un potenziale equivoco in cui potrebbe incappare chi non conosce la tua storia: il tuo impegno sociale nel campo della sicurezza stradale non nasce certo con la tua personale esperienza?
«No, anzi. Già in precedenza ero molto impegnata su questo versante, mi relazionavo spesso con la polizia municipale di Scafati. Poi, ancora, quando mi sono svegliata dal coma e ho affrontato le difficoltà del percorso di riabilitazione, che continuo tuttora. In quel momento ho capito che avevo ricevuto un dono, la possibilità di rinascere, che purtroppo non tutti quelli che sono coinvolti in una situazione analoga hanno avuto. Ho deciso di impegnarmi attraverso la mia testimonianza, proprio perché la vita può cambiare da un momento all’altro e cose che tendiamo a dare per scontate in realtà possono sparire all’improvviso».

La tua rinascita si è manifestata attraverso la creazione dell’associazione di cui sei presidente, Per le strade della vita, e nel tuo libro La forza della vita. Storia di una ripartenza, i cui proventi vanno in beneficenza, mirati ad attività rivolte ad alimentare la cultura della sicurezza stradale. ‘Vita’, un termine ricorrente, a maggior ragione dopo l’esperienza che hai vissuto: cos’è ‘vita’ per Maria Rosaria Vitiello?
«La vita è una scoperta continua. È gioia. È amore. Io mi rivolgo a chi vive la propria esistenza dando tutto per scontato, senza apprezzare il piacere che una semplice risata con gli amici, un abbraccio con una persona cara ti possano dare. Ancora adesso mi emoziono quando incontro per strada persone che mi raccontano di quanto abbiano pregato per me, nel mio lungo mese di coma, che è stato seguito da due mesi di ricovero in un centro di risveglio. Queste confessioni così tenere costituiscono per me la forza, la carica che mi sprona a persistere nel mio impegno».

La tua famiglia, tuo marito e i tuoi figli, i tuoi affetti più cari, come hanno preso questa tua decisione di impegno, dopo l’angoscia di quel periodo così difficile per la vostra vita?
«I miei figli erano abituati ad avere una mamma impegnata e amante del proprio lavoro. Hanno poi vissuto l’angoscia del mio periodo di coma, la riabilitazione che ho fatto a Crotone, molto lontana da loro; non li ho consapevolmente voluti sottoporre a un via vai tra Scafati e la Calabria in quel periodo. Per quanto possibile, ho voluto che cercassero di continuare la loro vita, i loro impegni scolastici e per questo sono grata a mio marito che ha fatto le mie veci in quei mesi e non solo. Mi è stato accanto e lo fa ancora oggi. Nel mio libro, lo definisco “il mio angelo custode”. Lo è davvero. Questa esperienza mi ha insegnato anche a sviluppare con tutti loro un rapporto più schietto, più diretto, basato sulle cose concrete della vita».

Esporti in questo modo in prima persona relativamente a un’esperienza così privata e personale è qualcosa che hai fatto senza indecisioni o tentennamenti?
«Sì, inizialmente non parlavo della mia esperienza personale. Ho cambiato idea quando mi sono resa conto di quanto questa vicenda mi avesse plasmato, mi avesse aperto le porte di una nuova vita e che attraverso il suo racconto io potessi avere la possibilità di aiutare gli altri, portando anzitutto un messaggio di amore e di speranza».

Quali sono le iniziative che avete in programma per i prossimi mesi?
«Ho avuto la possibilità di collaborare con il consigliere regionale della Campania Tommaso Pellegrino alla stesura di una proposta di legge, da lui sottoscritta, sul tema della sicurezza stradale e, in particolare, sull’istituzione di un osservatorio regionale per la sicurezza sulle strade. È una cosa a cui tengo molto. Ora, siamo in attesa che passi alla fase della discussione in Consiglio. Dopo l’estate, riprenderò il mio percorso di incontri nelle scuole, che amo tantissimo, proprio per la possibilità di poter interagire con tanti studenti e condividere la mia esperienza, per aprire loro la mente sulle insidie che si possono presentare per strada. Non si interrompe mai, invece, il mio confronto e la mia collaborazione con le associazioni che si battono per dare voce alla sicurezza stradale, come la mia. Dietro molte di queste organizzazioni c’è il dolore di madri sventurate, che si sono viste strappare i propri figli sulla strada e che ora desiderano offrire un contributo alla società».

I dati sulla sicurezza stradale, purtroppo, non sono per nulla incoraggianti, e le notizie di incidenti anche mortali sono diventati qualcosa che nelle scalette dei telegiornali e sulle pagine dei quotidiani rappresentano praticamente l’ordine del giorno: sicuramente è importante partire da un’analisi delle cause che sono all’origine, ma in particolare tu su quali aspetti attraverso l’attività dell’associazione hai cercato di porre particolare attenzione?
«Si parla troppo poco, a mio parere, di prevenzione. È fondamentale sensibilizzare le persone a una guida sicura e attenta, che non si esaurisce semplicemente in raccomandazioni elementari come “non bere prima di guidare, non correre, non usare lo smartphone mentre sei al volante”. Bisogna far comprendere realmente ai ragazzi (e ai non ragazzi ovviamente) cosa possa succedere dopo, quali siano le conseguenze di una condotta irresponsabile al volante, coinvolgere il loro interesse e la loro attenzione. Basta davvero un attimo e tutta la tua vita può essere stravolta, come è successo a me».

Sei anche membro della commissione per le pari opportunità presso il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Campania, insieme ad alcune nostre conoscenze; pari opportunità e parità di genere sono temi costantemente all’ordine del giorno, ma per ogni piccolo passo che si può fare avanti puntualmente emergono nuove problematiche: cosa ne pensi?
« Sono molto orgogliosa di questo mio ruolo nella Commissione Pari Opportunità dell’ODG Campania, presieduta dalla collega Titti Improta. Siamo impegnate in tantissime iniziative in cui ci battiamo per i diritti delle donne. Ma la strada è ancora lunga, persistono le discriminazioni, c’è ancora molto da fare. Per fortuna, percepisco nelle nuove generazioni a cominciare dagli studenti che ho avuto modo di incontrare in convegni come quello che si è svolto lo scorso mese di maggio a Nocera Inferiore al liceo Sensale, una particolare sensibilità sulla problematica. È un segnale positivo, anche se la conquista della parità di genere è una questione che va scandagliata, perché non conosce confini, né geografici né di classi sociali».

Da quando ti sei ripresa è cambiato anche qualcosa nel tuo modo di essere giornalista e di affrontare la professione?
«Non è stato facile per me riprendere il mio lavoro dimostrando di essere ancora la Maria Rosaria di prima. Ho cambiato immagine e percorso, decidendo di dedicarmi a tempo pieno non solo al campo della sicurezza stradale, ma anche alle battaglie per i diritti delle donne, al volontariato e all’associazionismo. Le politiche sociali sono al centro del mio impegno».

“Futuro” e “morte” sono pensieri che ti spaventano?
«Assolutamente no. Dopo l’esperienza che mi è capitata, ho imparato a vivere alla giornata, a godermi il momento, sempre con un occhio attento a quello che potrebbe non esserci all’improvviso. Sono serena riguardo al concetto di ‘futuro’. In merito alla morte, la mia esperienza mi ha dato la consapevolezza che sia qualcosa che può arrivare, che ho rischiato di sperimentare quel giorno di dieci anni fa, ma che può capitare tout a coup a chiunque. Quello che ho passato mi ha aiutato ad avere una nuova visione di vita e di morte».

Ti infastidirebbe di più essere incompresa, inascoltata o imbavagliata?
«Imbavagliata assolutamente mai, è importante poter scrivere e dire quello che sento e che accade. L’obiettività è uno dei principi fondamentali del giornalismo. Non accetterei di essere costretta a scrivere cose che non ritengo corrette, per cedere a pressioni esterne». 
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