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Archivio Telegiornaliste anno XIX N. 27 (743) del 8 novembre 2023
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TGISTE
Patrizia Senatore, più dialogo con gli spettatori
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo Patrizia Senatore, volto del Tg3.

Condurre Fuori Tg, in alternanza con Maria Rosaria De Medici, cosa rappresenta per lei?
«Fuori Tg è uno spazio molto interessante per i temi che affronta. Dopo due anni di conduzione insieme a Maurizio Mannoni a Linea Notte, si tratta di una nuova esperienza».

Nel momento di grande incertezza, economica e sociale, che stiamo vivendo, queste ‘strisce’ non meriterebbero maggiori spazi?
«Magari! Ma più che altro credo servano spazi televisivi che dialoghino di più con i telespettatori. La tv non è più solo quella che va in onda ad un certo orario secondo la programmazione: c’è chi si rivede la punta su Raiplay (patrimonio infinito, avete mai girovagato sulla piattaforma Rai? Ci sono delle rubriche e dei programmi interessantissimi), c’è chi si rivede i servizi sui social. A Fuori Tg c’è una bella interazione con i telespettatori su Facebook. A Linea Notte si era creata una bella comunità che a mezzanotte si dava appuntamento su Twitter, ora X. Li avevo chiamati Lineanotters. Leggevo i commenti e le riflessioni in diretta. Alcuni ci vedevano anche fuori dall’Italia e davano una lettura interessante dei fatti dall’estero. Molti di loro adesso mi hanno seguita su Fuori Tg e devo dire che è una bella soddisfazione; è un gruppo veramente interessante».

Quanto è stata importante la gavetta nel suo percorso che, tra stage e collaborazioni varie, l’ha portata al Tg3?
«Beh la gavetta è fondamentale e credo che si veda. Io ho accompagnato ospiti dietro le quinte, ho fatto firmare le liberatorie, ho montato servizi per il tg in pochi minuti o fatto dirette in condizioni incredibili. Serve tutto. E tutto insegna. Non avete idea di quanto sia stato prezioso il lavoro sul campo, con montatori, operatori e tecnici che sono diventati per me una grande famiglia allargata. Se penso ai servizi sul terremoto insieme a Vincenzo Grieco, Walter Gaballo, Andrea Polici o montaggi tra scosse e neve alta con Annalisa Annoscia, oppure Riccardo Mischianti… ai pezzi sui presidi degli operai, i pezzi montati in macchina con l’auto in movimento alla ricerca del segnale altrimenti non sapevamo come inviare… è un lavoro faticoso, ma bellissimo. Per me il più bello del mondo. Poi certo, devi anche avere direttori che credono in te. Io devo tanto a chi mi ha scelto all’inizio in Rai: Sara Veneto e Stefano Coletta. Stefano ormai è famoso come dirigente, ma ai tempi era un autore e mi ha insegnato tanto. Per darvi un’idea di che professionista è, parliamo di tanti tanti anni fa, è stato con me a scegliere ospiti fino a tarda notte, a spiegarmi perché una persona era più efficace di un’altra, quando c’era da smontare e rimontare una puntata di Mi manda Raitre all’ultimo minuto. E poi ho avuto la fortuna di avere come direttori Bianca Berlinguer, che mi ha fatto seguire la lunga battaglia per i diritti del mondo arcobaleno, Luca Mazzà, Mario Orfeo che mi ha fatto crescere e Simona Sala che ha creduto in me e mi ha fatto condurre da sola Linea Notte quando Maurizio Mannoni non c’era. Sono stata fortunata. Ma credo anche di aver dato tanto, impegno e passione, al Tg3».

Siamo passati nel giro di un paio di anni da una pandemia a una spaventosa guerra che sta inevitabilmente condizionando le nostre vite e a un periodo dove l’emergenza climatica è una realtà tangibile sotto i nostri occhi: quale pensa debba essere il ruolo dell’informazione in questo contesto?
«Il potere dell’informazione e soprattutto della tv, sia quella di mostrare storie e ispirare, far riflettere. L’informazione deve offrire una mediazione ragionata dei fatti, ma anche raccontare le persone. Quelle che si danno da fare, quelle in prima linea».

Purtroppo ha dovuto anche lei quasi abituarsi a convivere con edizioni del tg in cui le notizie di terribili episodi di violenza contro le donne, fino ai casi più estremi e tragici, sono tutt’altro che infrequenti: quali sensazioni le suscita il dover parlare di queste vicende?
«Mi addolorano gli scivoloni che commettiamo come categoria quando raccontiamo male o con superficialità i femminicidi. È importante aggiornarsi e stare sempre attenti alle parole da usare».

Un argomento di cui non vorrebbe più dover trattare in futuro e uno che invece vorrebbe fosse maggiormente trattato?
«Banalmente mi piacerebbe che avessero più spazio le buone notizie, quelle che ispirano, che motivano e ci fanno sognare un mondo migliore».

Chiudiamo con una piccola nota di colore: dal punto di vista del look, quando deve andare in onda, quali sono gli accorgimenti o le piccole sfaccettature a cui non rinuncia mai?
«Cerco di mantenere un look sobrio, giusto un po’ di colore per non annoiarmi e non annoiare. Ci riesco?».
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TUTTO TV
Clarissa Tartaglione, sempre più in alto
di Giuseppe Bosso

Sfilate, servizi fotografici, set: la piccola Clarissa Tartaglione, originaria di Marcianise, è sicuramente un talento in crescita, ma con i piedi ben piantati per terra.

Benvenuta sulle nostre pagine, Clarissa. Come inizia questo tuo percorso artistico?
«Questo percorso artistico è iniziato da quando avevo 4 anni, passeggiando per Napoli, mi sono imbattuta in una kermesse a cui partecipai e da lì si sono aperte tante porte ,infatti ho vinto il concorso Summer Kids in Spagna, poi sono stata a Milano dove ho sfilato per diversi brand. Faccio tanti shooting per molti brand e mi piace moltissimo».

Dalle sfilate alla recitazione, come ti sei trovata a relazionarti con professionisti esperti sia della moda che dello spettacolo?
«Dalle passerelle al cinema la mia carriera è in ascesa ovviamente è sempre bello lavorare con professionisti sia nella moda che nel cinema... mi piace tantissimo imparo tante cose nuove e mi diverto che per me è la prima cosa».

Avere questa visibilità ha cambiato qualcosa nel rapporto con la tua famiglia e con i tuoi coetanei?
«Assolutamente no, perché i miei genitori mi hanno insegnato ad essere sempre umile».

Dove potremo vederti prossimamente?
«Prossimamente farò parte nella serie di Raiuno Vincenzo Malinconico è una nuova esperienza e sono molto emozionata ed onorata di far parte di questa nuova serie».

Sei molto presente anche sui social: quali sono le cose che più ti ha fatto piacere leggere dai tuoi fans?
«Mi seguono tante persone, perché sono una bambina molto Simpatica e sicuramente sono entrata nel cuore di tutti».

Cosa farà Clarissa da grande?
«Cerco comunque di proseguire quello che sto facendo e di mirare sempre più in alto».
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DONNE
Candida Livatino, killer in scrittura
di Giuseppe Bosso

In libreria dal 25 settembre Grafologia e criminologia. Killer e vittime analizzati attraverso la loro scrittura, edizioni Mursia, il nuovo libro della giornalista e perito grafologo Candida Livatino che getta luce sulla personalità di assassini e vittime, con particolare attenzione ai femminicidi. Presentato in anteprima nazionale a Milano martedì 3 ottobre presso la libreria Rizzoli Galleria con l’intervento, insieme all’autrice, del Generale Lucio Garofano che ha curato la prefazione.

Come mai ha scelto questo tema?
«Gli episodi di violenza che accadono ogni giorno, in particolare i femminicidi sempre più frequenti ed efferati, mi hanno indotto a dare un contributo, dal punto di vista grafologico, per capire la personalità di chi li ha commessi ed eventualmente prevenirne altri. Attraverso l’analisi dei segni grafologici si possono infatti scoprire i disturbi d personalità, la rabbia, il rancore, il senso di possesso e altro di coloro che sono arrivati ad uccidere la persona che dicevano di amare».

Il libro analizza anche la personalità di alcune delle vittime.
«Si, ho voluto far vedere come nella scrittura di alcune di loro, le adolescenti Sarah Scazzi e Yara Gambirasio, ci fosse gioia di vivere, curiosità verso il futuro che avevano davanti e che è stato loro negato. Ma ho anche evidenziato il disagio, la sofferenza che alcune donne stavano vivendo prima dell’epilogo tragico».

C’è poi un lungo capitolo dedicato ai serial killer: cosa mi può dire?
«Ho analizzato la scrittura di alcuni dei più crudeli serial killer per evidenziare come molti segni del grave disturbo di personalità siano comuni a molti di loro. Sia quelli della collera, del “bisogno di uccidere”, del piacere di veder soffrire le vittime, della mancanza di ogni senso di colpa, sia quelli che probabilmente li hanno portati a compiere gli efferati delitti dei quali si sono macchiati. In molte delle loro scritture infatti si trovano i segni di un’infanzia e di una adolescenza di grave sofferenza. Abusi, maltrattamenti, abbandoni da parte dei genitori hanno generato dei mostri, che hanno scaricato la rabbia accumulata su vittime inermi».

Quali tra i serial killer l’hanno maggiormente colpita?
«Direi Leonarda Cianciulli, “la saponificatrice di Correggio”, per il senso di soffocamento e di confusione mentale che provava, reso evidente dall’occupazione totale del foglio, per il suo Ego smisurato e la convinzione di essere superiore agli altri. Ma mi ha anche colpito il bisogno di attenzioni che si era trascinata da un’infanzia che ne era stata priva».

Ma la grafologia può essere utile anche per prevenire eventi delittuosi?
«Alcuni segni possono costituire un campanello d’allarme utile a far capire, come nei casi di femminicidio, che il compagno ha un disturbo di personalità e quindi a prevenire una escalation della sua violenza. Nel libro sono riportati i segni più facili da individuare anche ad un occhio non esperto. Certo non è semplice, ma se la donna ne ritrova alcuni e magari subisce il primo episodio di violenza allora l’allarme deve scattare immediatamente».

Quindi può essere utile per una donna che già vive una situazione di disagio dare un’occhiata al suo libro?
«Penso di sì, soprattutto quando i segnali della possibile violenza da parte del compagno sono ancora deboli. Quando invece sono purtroppo più evidenti è bene che si rivolga subito ad un Centro di prevenzione e di tutela contro la violenza alle donne, che l’accompagnerà nelle azioni più utili da intraprendere».

La storia di Leonarda Cianciulli dimostra che un killer può essere anche donna: ha avuto modo di riscontrare qualche differenza, non solo relativamente a questo specifico caso, se pensiamo anche a qualche recentissimo caso di cronaca nera che abbiamo vissuto?
«Innanzitutto va detto che la percentuale di donne fra i serial killer e anche nei delitti maturati in ambito familiare è inferiore, decisamente minoritaria. Dal punto di vista comportamentale i delitti commessi da donne sono in genere meno truci, per assurdo più “sofisticati”, anche se proprio nel caso di Leonarda Cianciulli è macabro il modo in cui si è disfatta del corpo delle sue vittime. Dal punto di vista della scrittura ci sono alcune delle differenze tipiche che caratterizzano le scritture maschili e femminili, che peraltro si stanno sempre più attenuando in conseguenza del ruolo che le donne hanno assunto in ambito sociale. Sono invece comuni alle scritture dei serial killer uomini e donne alcuni segni che rimandano agli abusi subiti, agli abbandoni da parte dei genitori e, ad altre gravi sofferenze vissute nell’infanzia e nell’adolescenza».

Nel suo libro ha cercato anche, per così dire, di 'sfatare' qualche luogo comune o convinzione errata che si tende ad avere riguardo queste personalità?
«Non ho un’idea precisa di quali potrebbero essere i luoghi comuni che riguardano questi personaggi. Forse si pensa che, in qualche modo, fossero estranei alla vita di tutti i giorni, che vivessero isolati dal mondo. In realtà alcuni di loro, fra un delitto e l’altro, avevano una vita comune, perfettamente inseriti nel contesto sociale. Qualcuno, come Gary Ridgway, che uccise almeno 49 persone, era addirittura considerato un marito modello».
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