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Telegiornaliste anno XIX N. 24 (740) del 11 ottobre 2023
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Jennifer Di Vincenzo, la mattina di Rete 8
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo Jennifer Di Vincenzo, volto dell'emittente abruzzese
Rete 8.
Benvenuta Jennifer: anzitutto a cosa sta lavorando adesso e dove la
vedremo prossimamente?
«In questo momento sto lavorando al mio nuovo programma televisivo:
Otto Mattina in famiglia una trasmissione quotidiana in diretta ogni
mattina dalle 11.00 alle 13.40 su Rete 8, la prima tv d’Abruzzo. Tante
rubriche che affrontano le tematiche della quotidianità: benessere,
moda, alimentazione, genitorialità, mondo Wedding e ovviamente tanta
buona cucina».
Durante il lockdown ha registrato a casa sua alcune puntate della sua
trasmissione Chef in cucina: possiamo dire che è stato il suo
modo di rimboccarsi le maniche in quel difficile momento che ha segnato
gli ultimi anni delle nostre vite?
«Sicuramente è stato un modo per rimanere in contatto con il pubblico,
in quel momento la cucina era la metafora della vita, per cui pur non
essendo una cuoca ho messo a disposizione dei telespettatori quelle
preparazioni semplici che ognuno poteva riprodurre anche nella propria
casa con quello che aveva a disposizione».
Parlare di gastronomia spesso viene considerato come una sorta di
giornalismo ‘minore’, per così dire: invece, soprattutto in questi tempi
non facili dal punto di vista dell’economia (e del clima aggiungo)
concorda nel dire che sono temi più che mai vicini alla quotidianità del
pubblico che la segue da casa?
«Concordo nel dire che sono temi che creano quell’empatia giusta con il
pubblico e che avvicinano moltissimo. Non ho mai pensato che si tratti
di un giornalismo minore, né mai ho percepito questo stigma addosso,
forse perché nella mia esperienza professionale non mi sono occupata
solo di raccontare il cibo ma ho affrontato anche molte altre tematiche
diverse. Io credo che la narrazione del cibo, se fatta con la giusta
leggerezza mista alla dovuta competenza dell’argomento, sia uno dei
filoni più importanti del giornalismo italiano».
Il contesto territoriale della sua emittente per lei rappresenta una
sorta di “stagno piccolo per un pesce grande” o una maggiore possibilità
di essere più a stretto contatto con la sua comunità?
«Io credo che la realtà territoriale abruzzese sia una enorme prateria
per chi fa il mio lavoro, c’è così tanto da raccontare che io
paragonerei il mio territorio, la mia regione, precisamente l’Abruzzo,
ad un oceano piuttosto che ad uno stagno».
Guardando indietro al suo percorso, quello che ha attraversato finora
intendo, cosa rimpiange e cosa rifarebbe?
«Rifarei tutto senza rimpianti, se sono soddisfatta del presente, perché
rimpiangere ciò che mi ci ha condotto?».
Una ricetta o una specialità abruzzese che consiglierebbe ai nostri
lettori di altre regioni?
«Le pallotte cacio e ovo!».
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Un'estate
fa con Lino Guanciale
di Silvestra Sorbera
Arriva su Sky la miniserie con Lino Guanciale
Un'estate fa, un mistery romance che
terrà il pubblico con il fiato sospeso.
Un'estate fa si svolge su due piani temporali:
l'estate del 1990, quella della scomparsa
della criptica adolescente Arianna (Antonia Fotaras),
e il presente, in cui Elio (Lino Guanciale) - ora un
avvocato e padre di famiglia - deve affrontare il passato
quando il corpo di Arianna, di cui era innamorato,
viene rinvenuto. È l'ultimo ad aver visto Arianna
in vita, e per questo è stato per anni il sospettato
numero uno. Ma all'epoca fu trovato sotto shock e senza
alcun ricordo di ciò che era successo.
Dopo il rinvenimento del corpo della giovane, Elio ha un
incidente in auto, perde i sensi e al suo risveglio
si ritrova nel 1990, nell'infermeria del campeggio. Ha
di nuovo 18 anni ma la coscienza di un adulto. Sta
finalmente recuperando la memoria o sta diventando
pazzo? Quello che sa, mentre la sua mente continua a
spostarsi nel tempo tra l'oggi e il 1990, è che qualcuno
ucciderà Arianna e lui intende scoprire chi è stato,
in modo da scagionarsi dell'accusa di essere lui l'assassino
e, chissà, forse cambiare le cose.
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Giulia
Mazzoni, istinto e curiosità
di Giuseppe Bosso
Compositrice e pianista,
Giulia Mazzoni si apre con noi.
Benvenuta Giulia, è reduce da un grande riconoscimento al
Festival di Venezia per il suo lavoro alla colonna sonora di
Anna, pellicola di Marco Amenta. Come nasce questa sua
collaborazione?
«Grazie per il vostro invito e per le domande. Questa
collaborazione nasce in un torrido giorno di agosto quando
ricevo la telefonata di Marco Amenta, il regista del film, che
mi propone subito di scrivere la colonna sonora. Era un lunedì e
voleva la musica registrata, mixata e finita per il venerdì. Una
impresa che siamo riusciti a portare a termine grazie
all’ispirazione che fortunatamente è arrivata subito. Ho
composto Wildness, il tema centrale del film, in sole 48 ore e
il terzo giorno ero già in studio a registrare. Abbiamo
registrato allo studio Sonoria di Prato con Francesco Baldi. Per
questo progetto ho coinvolto anche un quartetto d’archi
straordinario. Ho suonato un pianoforte molto speciale, uno
Steinway&Sons della collezione Fabbrini&Bussotti preparato
appositamente per me da Claudio Bussotti. Coinvolgere questi
professionisti ha aggiunto quell’ingrediente segreto necessario.
È stato un lavoro di squadra, cuore e vera passione. Ringrazio
Marco Amenta e la produzione del film per avermi coinvolta in
questo progetto».
Si riconosce nella protagonista del film?
«Si è creata una connessione profonda tra me e Anna interpretata
magistralmente da Rose Aste. Anna è forte, non si arrende mai,
selvaggia e vera. Questi sono i tratti che ci accomunano ».
Da Firenze, sua città natale, ha molto viaggiato, non solo
portando la sua musica, ma anche venendo a contatto con diverse
culture e ovviamente diversi modi di vivere e intendere la
musica e il suono: cosa in particolare ha appreso da questo
contatto e chi l’ha maggiormente influenzata?
«Muovermi abbandonando ogni pregiudizio è stata una chiave
importante. Viaggiare, incontrare, immergermi musicalmente e
culturalmente in contesti diversi mi ha permesso di arricchire
il mio linguaggio di artista e persona e guardare le cose da
tante prospettive diverse. Ho respirato bellezza quando ho
aperto gli occhi per la prima volta. Crescere in una città piena
di cultura e risposte universali ha fatto la differenza ma è
stata anche un limite. Volevo così trovare le mie risposte e
immergermi nell’incertezza. Ho scelto una strada di dubbi e
salite. La fatica è l’elemento che ho amato di più, le cose
semplici mi hanno sempre spaventata perché si corrodono subito.
Ho iniziato il mio percorso musicale per caso, non avevo neanche
il pianoforte a casa e tutto per me è stato una conquista.
Questa stessa fiamma mi ha permesso poi di raggiungere obiettivi
e realizzare alcuni sogni, esibirmi in paesi profondamente
diversi come la Cina per esempio dove ho suonato in tutti i
principali teatri dell’opera del paese e conosciuto
profondamente questa cultura millenaria. Ho imparato e continuo
a imparare da ogni singola esperienza e persona che incontro ma
se dovessi citarti qualcuno forse menzionerei Michael Nyman,
grande compositore inglese e padre del minimalismo, autore di
colonne sonore indimenticabili come Lezioni di piano,
Gattaca, moltissimi film di Greenaway e altri capolavori.
Senz’altro uno dei miei punti di riferimento musicali con il
quale ho avuto il piacere di collaborare. Abbiamo realizzato e
eseguito insieme una speciale versione di The departure
per due pianoforti contenuta nell’album Room 2401. Tanti
altri incontri mi hanno segnato, Jeff Koons, Dolores O’ Riordan,
Todd Phillips e molti altri».
Musica è anzitutto emozioni, sensazioni: lei da dove le trae?
«Dall’istinto e dalla curiosità. Sono una persona sempre
affamata. Leggo, amo l’arte, le mostre, il cinema, la vita. La
bellezza. Questo alimenta una sensibilità che si spegnerebbe.
Scatto tante fotografie che poi conservo e sviluppo attraverso
il pianoforte. Ogni disco è qualcosa che ho vissuto ed è il
risultato di storie, sogni, ricordi che per me hanno avuto un
significato, suscitato una emozione. Scrivo musica vera. Non
riuscirei a scrivere una musica di plastica, che “funziona” solo
per il mercato. So farlo tecnicamente ma se non funziona per me
non mi interessa. La musica che scrivo è imperfetta, vera,
autentica ma respira come me. È una esigenza e non un capriccio.
Il mio rapporto profondo con il pianoforte poi fa il resto».
Qualche anno fa ha avuto modo di prendere parte al progetto
Oltre le mura che l’ha vista collaborare con il coro
femminile del carcere di San Vittore: la musica può essere anche
una rinascita, per il contatto che ha avuto con queste donne?
«Ho conosciuto e toccato storie segnate da bruttezza, violenza e
disperazione. La musica in questo contesto è stato un elemento
di ascolto, fuori dal tempo e dal pregiudizio. In quella cella
eravamo tutte uguali e si è espressa un’umanità che non
conosceva questo mezzo potente. Sono stata anche io sconvolta
dalle “ragazze”, così le chiamavamo. La musica è scoperta,
liberazione, consapevolezza. Credo che unita ad altri strumenti
terapeutici e culturali sia necessaria in un percorso di
reinserimento nella società. Non tutti sono recuperabili ma
molti si sono solo persi e dobbiamo aiutarli a ritrovare la
strada».
La sua più grande soddisfazione?
«Suonare con il mio pianoforte di fronte a 10.000 persone in
Cina e scoprire che la maggior parte del pubblico era composta
da ragazzi e bambini. Sentire che cantavano le melodie come se
fossero “canzoni”. Questo è stato sicuramente emozionante per me
proprio perché rappresentava la realizzazione di uno dei miei
desideri più profondi ovvero l’idea che il pianoforte fosse per
tutti, percepito come qualcosa di “cool” e non qualcosa di
vecchio, austero, giudicante e polveroso. La battaglia che
continuo a portare avanti. La mia musica toglie le ragnatele nel
rispetto di una grande tradizione».
I suoi prossimi impegni?
«Ho appena terminato il mio nuovo album, un progetto
internazionale con professionisti incredibili. La produzione del
grande Thom Russo, vincitore di 16 Grammy e altri segreti che
spero presto di svelarvi e raccontarvi».
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