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Telegiornaliste anno XIX N. 7 (723) del 22 febbraio 2023
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Elisa Leuzzo, risposte con il cuore
di Giuseppe Bosso
Direttore dell'emittente
SuperJ,
incontriamo Elisa Leuzzo.
Da ormai un anno è iniziata questa avventura a SuperJ: rispetto a
dodici mesi fa quali sono le sue sensazioni e quali aspettative pensa di
aver conseguito?
«Sono abituata a fare bilanci di lungo periodo, ma posso affermare con
convinzione che a distanza di un anno, tutte le mie aspettative hanno
trovato conferma. E non avrei avuto alcun dubbio che sarebbe stato così.
Ho avuto la fortuna e il privilegio di disegnare con il mio editore,
Filippo Di Antonio, un progetto che fosse al tempo stesso ambizioso, ma
ben saldato con i piedi per terra. Un progetto consapevole
dell’importanza del territorio da cui è nato, consapevole delle
potenzialità inespresse da questo strumento che si sta declinando verso
un allargamento a360 gradi. Non parlo solo in termini di perimetro e di
confini territoriali, che pure stiamo allargando. Parlo anche delle
proposte più variegate che stiamo cercando di mettere in campo sotto il
profilo del linguaggio e dell’intrattenimento per soddisfare ogni tipo
di pubblico. Siamo sul pezzo e lo siamo con tutti. E questo è possibile
farlo grazie alla coralità di intenti di proprietà e professionisti che
lavorano, pensano e sentono a cuore in maniera corale l’importanza di
dare voce alle persone di una comunità che si autodetermina anche in
base alla qualità dell’informazione che rende di se stessa. Tutti noi,
dalla redazione alla regia agli uffici commerciali, abbiamo
consapevolezza della delicatezza del compito, ma anche del privilegio di
poter svolgere un “mestiere” bellissimo con un editore capace di
sorreggerci e supportarci in momenti non facili per l’imprenditoria
dell’informazioni. "Mettersi insieme è un inizio, rimanere insieme è un
progresso, lavorare insieme è un successo". L’aspettativa quindi è
quella di andare avanti su questa strada convinta che non potrà che
portare buone cose».
Dalla Calabria a Teramo, ha attraversato un’Italia magari “non
metropolitana”, lontana dalle grandi città ma non per questo meno
importante: in termini di contatto diretto con la cittadinanza questo
può essere un vantaggio?
«Teramo è ormai la mia seconda casa, quella che comunemente si definisce
“comfort zone”. Del resto una piccola realtà come Teramo non è che un
microcosmo, uno spaccato che si replica in una comunità più grande ma
con dimensioni logistiche e logiche di potere proporzionali. Porto
l’esperienza della Calabria nel cuore, conservo pregi e difetti di una
comunità come un bagaglio che arricchisce il mio presente e che, proprio
grazie all’esperienza passata, mi consente di valorizzare ciò che ho e
che vivo. Valorizzare al punto tale che ho rinunciato a progetti più
ambiziosi, in contesti che prestigiosi e magari sovradimensionati,
proprio per amore di questo nucleo che mi consente di avere uno sguardo
completo su tutto, senza sacrificare nulla. Il nostro lavoro ci avvicina
naturalmente alle persone, ai cittadini. Farlo in una piccola comunità
ti fa sentire l’anello più prezioso dell’ingranaggio perché le persone
ti riconoscono e ti affidano la loro voce come una sorta di missione di
rappresentanza. Questo legame in comunità come Teramo è fortissimo e
ineludibile. E sì, ci sto benissimo».
È reduce da un’importante esperienza al fianco di Michele Santoro,
come si è svolta e con quale risultato?
«Ho avuto la fortuna di essere coinvolta nella data zero dell’anteprima
nazionale del suo monologo: La speranza al potere – il sogno di un
Partito che non c’è. Il giornalista che più di tutti ha saputo
coniugare impegno civico, informazione e riflessione politica, ha
proposto una personale analisi sul difficile momento che attraversa la
nostra nazione e sulle difficoltà dello scenario politico contemporaneo.
Per l’anteprima abruzzese ha scelto Super j e sono stata onorata di
questa interlocuzione. Al di là del suo pensiero politico, nel suo
ultimo monologo Santoro ha cristallizzato con la lucidità del
professionista quale è, i momenti di fragilità che stiamo vivendo e lo
ha fatto con gli occhi di chi ne paga il prezzo. È stata una
collaborazione che ha aggiunto un tassello prezioso alla mia esperienza
professionale e a quella dell’intero gruppo di lavoro che ha avuto il
privilegio di confrontarsi con il taglio di un professionista che,
seppur di parte, è riuscito a essere chirurgico sotto il profilo
dell’analisi e della riflessione politica».
Sono passati ormai tre anni dalla drammatica esperienza del lockdown:
quanto ha cambiato allora e adesso quell’esperienza il suo modo di
affrontare il giornalismo come filo diretto con le persone?
«Credo che il lockdown abbia cambiato tanto sotto il profilo
psicologico, economico e sociale le nostre comunità, ma credo abbia
intaccato pochissimo la nostra professione. Noi giornalisti, insieme ai
sanitari e a poche altre categorie siamo stati gli unici che hanno avuto
il dovere di continuare a lavorare e raccontare ciò che stava accadendo.
Lo abbiamo fatto in un momento che comunemente inquadriamo come
“comunicazione di crisi”. E quindi molti di noi sono stati chiamati a
una maggiore responsabilità. Un perimetro che peraltro è già
disciplinato dalle nostre carte deontologiche. Ma se vogliamo il Covid
già ha indotto a riflessioni ulteriori. E le comunità hanno capito
quanto fosse importante in un periodo così caotico avere un’informazione
chiara, riconoscibile… in una parola, di cui avere fiducia. Noi abbiamo
conservato questa fiducia. E ne siamo onorati».
Quali sono le novità che state per affrontare?
«Il nostro vangelo, in primis, è il radicamento sul territorio. Nel
segno di questa logica dopo la redazione di Teramo e della seconda
redazione sulla costa, a marzo ne apriremo una a Pescara. Inauguriamo
una nuova redazione proprio per via di quella spinta che vogliamo dare
al nostro progetto di comunione con l’Abruzzo e non solo. A partire
dall’inaugurazione della nuova redazione seguiranno tante altre novità,
ma che novità sarebbero se me le brucio tutte ora?».
Cosa farà Elisa Leuzzo da grande?
«Con l'avanzare dell'età le domande non cambiano. Cambiano le risposte.
E le risposte ce le dà sempre il cuore. Quindi farò quello che amo, che
poi, sono sicura, è già quello che sto facendo».
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Margherita
Cirillo, racconto l’Europa League
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Margherita Cirillo, volto di Sky Sport che, in
occasione della ripresa delle competizioni europee di
calcio, torna a raccontare settimana dopo settimana l’Europa
League.
Riparte l’Europa League con Juventus e Roma ancora in
corsa, squadre alle prese con due situazioni molto diverse
per varie ragioni, i bianconeri soprattutto extracampo, che
però sono incappate in una sconfitta i giallorossi e in un
pareggio in casa i bianconeri che complica non poco il
passaggio al prossimo turno: malgrado questo, ritieni
possibile un successo italiano in questa competizione, erede
dell’antica Coppa Uefa, che non c’è mai stato?
«Malgrado appunto Roma e Juventus non siano partite con il
piede giusto nella gara di andata, entrambe possono ancora
qualificarsi e proseguire il loro cammino verso gli ottavi.
Intanto si sono riscattate in campionato vincendo contro
Verona e Spezia. Lazio e Fiorentina hanno fatto bene già
all’andata e se sapranno gestire il vantaggio conquistato
non avranno problemi a passare il turno. La vittoria finale?
Si, sarebbe bello vedere per il secondo anno consecutivo una
squadra italiana trionfare in una competizione europea
soprattutto in Europa League, anche perché dopo il successo
del Parma in Coppa Uefa nel 1999 non c’è stata più
un’affermazione italiana in questo torneo. Molto dipenderà
da quello che vedremo nelle gare di ritorno soprattutto per
Juve e Roma. La Roma è reduce dal successo nella prima
edizione della Conference League e in Serie A è in piena
zona Champions, in linea con gli obiettivi stagionali, la
Juventus dopo la penalizzazione in Serie A vuole riscattarsi
e può trovare nell’Europa League un motivo per rilanciare la
sua stagione. Prima di pensare alla vittoria finale
guardiamo cosa accadrà nelle gare di ritorno, ormai ci siamo
mancano gli ultimi 90 minuti».
A proposito del successo della squadra di Mourinho dello
scorso anno: la rinascita del calcio italiano pensi potrebbe
partire anzitutto imponendosi in queste competizioni che
magari hanno meno fascino (e introiti) rispetto alla
Champions, ma dove le concorrenti sono probabilmente meno
agguerrite, anche sul versante finanziario?
«Certo, bisognerebbe puntare di più a queste due
competizioni, che danno la possibilità a compagini che per
tante ragioni sono tagliate fuori dal giro della Champions
League di potersi divertire e affermare anche in ambito
internazionale. Le competizioni cosiddette ‘minori’ devono
essere una strada da percorrere con serietà, intensità e
ambizione, per poter poi ambire a palcoscenici più
importanti. La Champions League è sicuramente più alla
portata di squadre come il Manchester City, che pure però
adesso sta vivendo un momento di incertezza, ma possiamo
confidare nel Napoli che sta facendo un bellissimo
campionato e che può portare avanti l’Italia anche in quel
contesto».
Quanto pensi potrebbe influire, per le squadre ancora in
gara, lo stress del Mondiale da poco concluso?
«Molti allenatori hanno più volte parlato, nelle loro
analisi post partita, di giocatori ‘spremuti’ da questa
novità che abbiamo vissuto. Penso che influirà sia in
negativo che in positivo. Da un lato alcuni pagheranno la
stanchezza fisica, dall’altro ci sarà l’entusiasmo di chi ha
vinto che potrebbe dare la carica giusta. Avrà il suo peso
la forma fisica ed emergerà la bravura di chi avrà saputo
preparare al meglio i propri atleti per farli arrivare in
fondo a una stagione lunghissima e ricca di appuntamenti».
Quanto ha cambiato la tua vita la maternità?
«Tanto – ride, ndr – per la prima volta si ha la
responsabilità di accudire qualcuno che ha bisogno di te e
tutto viene in secondo piano. È la cosa più bella che
esiste, cambia tutte le priorità».
Conciliare lavoro e vita familiare nell’Italia di oggi
sembra un’impresa ardua: è una cosa che ti spaventa?
«Sì, spaventa un po’ perché il lavoro, se vuoi farlo bene,
ti richiede di stare sempre sul pezzo con attenzione e la
vita familiare, con l’arrivo dei figli, è sempre più intensa
con più responsabilità e preoccupazioni. Però alla fine è la
natura che fa il suo corso, il lavoro oggi è importante sia
per gli uomini che per le donne e proprio per questo serve
grande organizzazione e collaborazione in famiglia. Solo
così può passare un po' di quella paura».
Negli ultimi anni grande successo e seguito riscontra
anche il calcio femminile: vorresti occupartene in futuro?
«L’ho fatto in occasione di competizioni come gli Europei
della scorsa estate e la Serie A in passato. Prima di
approdare a Sky ho avuto modo di vivere la nascita della
Roma femminile perché lavoravo per i media del club
giallorosso. È un mondo bellissimo, in crescita, lo dimostra
il passaggio al professionismo. È stato fatto un passo
importante ma la strada è ancora lunga, in Italia siamo
ancora lontani dal raggiungere il livello di alcuni paesi
europei. Penso alla Francia che, per esempio, ha visto una
squadra come l’Olympique Lione campione d’Europa 8 volte.
Quest’anno la Roma è ai quarti e affronterà una delle
favorite, il Barcellona. Sarà un appuntamento da non perdere
per gli appassionati di calcio femminile anche se
l’avversario è davvero complicato. Tutto questo in attesa
del mondiale che si disputerà in estate e che spero di poter
raccontare». |
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Floriana
Lamonarca, un libro per terapia
di Giuseppe Bosso
Operatrice olistica e autrice del romanzo, tutto al femminile,
L’arcobaleno oltre le nubi, edizioni
Kubera, incontriamo Floriana Lamonarca.
Benvenuta, Floriana. Anzitutto qual è la genesi di
L’arcobaleno oltre le nubi, com’è nato e perché questo
titolo?
«Questo libro è nato in un periodo per me molto particolare. È
stata la mia terapia e mi ha aiutato ad uscire da un periodo di
buio. Durante il primo lockdown avevo da poco partorito mio
figlio Diego e questo, oltre alla gioia, mi aveva portato anche
un forte esaurimento nervoso. Poter aver tanto tempo a
disposizione mi ha aiutato a scaricare attraverso la scrittura,
tutte le paure e le angosce che in quel periodo mi
attanagliavano. Il titolo è lo specchio del libro stesso e
vorrei che fosse il messaggio che tutti traggono nel leggerlo:
nonostante il buio e le avversità che la vita ci pone davanti,
lì oltre le nubi, c'è sempre un arcobaleno per tutti ad
attenderci».
Farah, la protagonista, si potrebbe definire una donna del
nostro tempo?
«Sì, assolutamente sì, ma anche una donna mistica e di altre
ere. La vedo come una grande sacerdotessa e maga che si prende
cura degli altri attraverso tecniche antiche anni luce. Ma ha lo
spirito e la resilienza della donna di oggi».
Un viaggio introspettivo sul vissuto della protagonista per
comprendere chi si è diventati e chi si potrà essere in futuro:
si potrebbe così sintetizzare?
«Assolutamente sì. Un insegnamento a non arrendersi mai e a
scovare comunque il lato positivo anche e soprattutto nelle cose
brutte».
Nel romanzo non mancano i riferimenti anche al suo lavoro,
con la presenza delle piante usate a finalità curative, vero?
«Sì, tutto ciò che è energia e naturopatia, mi affascina
tantissimo e credo fermamente in un mondo "particolare" fatto
non solo di materia ma anche di etere e di forze sottili.
Attraverso tecniche come reiki, cristalloterapia, meditazione e
naturopatia, da sempre ci si aiuta a stare meglio e ad avere più
consapevolezza di noi e del nostro corpo, comprese le esigenze
che il nostro corpo richiede».
Pensa di dedicarsi ancora alla scrittura in futuro?
«Io scrivo in continuazione. Non riuscirei a vivere senza. Mi
piace scrivere poesie, pensieri, diari segreti che lascerò a mio
figlio. Purtroppo ora il tempo che ho a disposizione è davvero
poco e quindi non penso di riuscire nell'immediato a scrivere e
pubblicare altro. Ma mi piace pensare che la storia di Mia (la
nipote di Farah) sia ancora tutta da raccontare. Ma, anche per
questo, aspetto il momento giusto, l'universo mi invierà il suo
segno».
Chi è Floriana Lamonarca, al di là dell’opera che ha
realizzato?
«È una mamma che ama suo figlio più di sé stessa e ama vederlo
crescere. Floriana è una moglie imperfetta ma innamorata come il
primo giorno di suo marito. Floriana è una lavoratrice
instancabile che è riuscita a fare del suo dono una missione di
vita. Aiutare gli altri con le sue mani e con le sue parole. È
una donna come tutte piena di paure, ma che ama la vita e le
mille sfaccettature di essa. Floriana è una figlia che ama i
suoi genitori alla follia e crede nei grandissimi valori della
famiglia. Floriana è un'amica fedele che ama fare festa e
circondarsi di anime affini da amare. E infine, Floriana è una
donna che crede ancora che il mondo si possa trasformare in un
posto migliore in cui l'empatia, l'amore e la dolcezza possano
essere valori aggiunti e non limiti».
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