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	 Telegiornaliste anno XVIII N. 28 (712) del 9 novembre 2022
 
	 
		 
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			 | TGISTE Virginia 
		Camerieri, notizie senza filtri di Giuseppe Bosso 
 Abbiamo il piacere di intervistare 
		Virginia Camerieri, direttore di rete 
		di 
		Byoblu.
 
 Grazie della sua disponibilità, Virginia: anzitutto com’è iniziata 
		questa sua avventura a Byoblu tv e cosa ha rappresentato per lei 
		diventare direttore di rete?
 «È iniziata, semplicemente, dopo aver risposto ad un annuncio di lavoro. 
		Dopo la scuola di giornalismo ho avuto subito l’opportunità di lavorare 
		sia per Sky Tg24 che per News Mediaset. Tra una pausa contrattuale e 
		l’altra, casualmente, ho letto della ricerca di una figura giornalistica 
		da impiegare in Byoblu. Non avevo la completa cognizione di causa di 
		cosa rappresentasse questa realtà che, comunque, mi incuriosiva. Dopo 
		averne incontrato l’artefice e attuale mio editore, Claudio Messora, ho 
		compreso che avrei potuto vivere un’esperienza professionale in un mondo 
		dell’informazione parallelo a quello della narrazione a senso unico, e 
		perciò, estremamente reale. Non mi sarei dovuta più occupare di mode e 
		tendenze, di agenzie da diffondere acriticamente, ma di raccontare i 
		fatti privi di condizionamenti di logiche di terzi. Parlare di ciò che 
		il mainstream ignorava o evitava. Dalla curiosità è nato l’interesse, in 
		chiave soprattutto giornalistica. Messora mi ha assunta dopo il primo 
		colloquio, ha creduto in me e io ho deciso di investire tutte le mie 
		energie in un progetto di comunicazione che centrava una domanda di 
		pubblico importante. Chi, del resto, non vorrebbe conoscere come stanno 
		veramente le cose? Noi facciamo questo di mestiere: diamo notizie senza 
		filtri e addolcitori. Siamo, oggettivamente, la negazione del 
		“metaverso” nel quale vorrebbero relegare la nostra vita. Essere 
		direttore responsabile di redazione e di rete, ora che Byoblu è, a tutti 
		gli effetti, una testata giornalistica che si avvale di un network 
		efficace: televisione nazionale su digitale terrestre, radio, portale 
		web, social media e, di recente, anche di una rivista cartacea, non è 
		facile da descrivere. Perché non ho avuto mai il tempo per riflettere su 
		questo. Posso solo dire che siamo cresciuti, tutti, in questa impresa 
		voluta e sostenuta dai cittadini, alla velocità della luce, ovvero, la 
		stessa che raggiunge il nostro desiderio di fare sempre più e meglio per 
		confermarci strumento di libertà di opinione. In questo obiettivo 
		quotidiano trovo grande soddisfazione».
 
 Cosa significa essere giornalisti oggi, in un’epoca in cui siamo 
		passati da una terribile pandemia a un conflitto e una delle peggiori 
		crisi economiche di sempre?
 «La figura del giornalista, in questo particolare momento storico, 
		avrebbe dovuto fungere da garante della società, indagare e scoprire, 
		rispetto allo stato di emergenza continuo, alimentato principalmente 
		dalla paura, quali meccanismi perversi sovrastano il principio di 
		trasparenza e ragionevolezza a discapito delle comunità. Mi rendo conto 
		che questa è utopia, le redazioni dipendono da editori, che a loro volta 
		dipendono da imprenditori, che a loro volta dipendono da… ecco, da noi, 
		in Byoblu, dipendiamo solo dal consenso delle persone che ci seguono. 
		Non esiste un editore padrone che invita a fare o a dire. Questo 
		esperimento di reciproche volontà che all’unisono intendono far emergere 
		quanto di più vero e utile si possa diffondere, è esclusivo e 
		irripetibile. Non esiste al mondo, infatti, un canale di informazione 
		completamente autogestito con il solo contributo economico dei 
		cittadini. Per quanto riguarda il coraggio di cercare la verità e 
		all’impossibilità, a volte, di affermarla, non possiamo non riferirci al
		
		giornalista Julian Assange. Quale esempio più drammatico di 
		come l’informazione viaggi con il guinzaglio e di come siano in pochi a 
		comprenderne il rischio e a reagire contro questa situazione?».
 
 Byoblu è stata l’unica emittente, infatti, a dare rilievo alla triste 
		vicenda di Assange: per voi punto di orgoglio?
 «Il caso Assange è la prova che viviamo in un sistema dell’informazione 
		anestetizzato nei centri vitali che, altrimenti, dovrebbero essere di 
		stimolo costante al pensiero critico. Non siamo orgogliosi di averne 
		parlato e di continuare a parlare di Assange, piuttosto, siamo 
		preoccupati. Non si tratta di un giornalista lasciato solo a subire un 
		assurdo e impietoso trattamento per aver cercato di fare il proprio 
		lavoro, è un’ingiustizia irreparabile che lede i valori propri del 
		giornalismo. Apre le porte alla condanna a prescindere, per poi 
		sbatterle in faccia alla libertà di stampa».
 
 Lo sviluppo tecnologico e la possibilità di ricorrere a più fonti, 
		dal suo punto di vista, ha comportato anche un miglioramento qualitativo 
		dell’informazione?
 «Lo sviluppo tecnologico non coincide, a mio avviso, con la crescita 
		culturale e la qualità dell’informazione. Grazie alle nuove tecnologie 
		andiamo tutti di fretta. Forse, per questo, stiamo perdendo tra i tasti 
		del computer o del telefonino, una dimensione umana più congeniale. Si 
		sono ridotti al minimo i tempi per riflettere e agire conseguentemente a 
		valutazioni frutto dell’analisi. Le dita sulla tastiera corrono rapide 
		generando solo freddi input. Dall’altro lato della medaglia, grazie a 
		internet, ai nuovi mezzi di comunicazione, abbiamo la possibilità di 
		andare oltre i nostri confini, di percorrere strade sempre aperte a 
		chiunque. Un modo democratico di poter comunicare e condividere: di 
		conoscere. Almeno così credevamo. Byoblu è nata grazie a un blog, si è 
		evoluta grazie a YouTube, lo stesso social che, come è noto, ne è 
		diventato il censore. In un attimo è stato cancellato il patrimonio di 
		anni di impegno, insieme al quasi milione di iscritti al canale, così, 
		senza preavviso, motivo, solo per il fatto che Byoblu era, ormai, 
		proprio in virtù del suo successo, un ospite sgradito da eliminare. In 
		sintesi, quindi, la tecnologia è il valore aggiunto per accelerare i 
		processi, ma non dobbiamo cadere nella rete degli algoritmi o finire 
		vittime dei finti fact- checkers che pretendono di monitorare le notizie 
		false o fuorvianti, quando sono proprio questi soggetti autori di 
		falsità ai danni di chi risulta scomodo, in quanto irriverente, ai nuovi 
		centri decisionali dominatori del web».
 
 Si sente realizzata?
 «Credo che il tempo sia il migliore scultore e che la vita sia un 
		progetto in divenire, ogni giorno ci riserva opportunità, si può 
		migliorare e perfezionare ciò che facciamo e ciò che siamo. Non dobbiamo 
		mai accontentarci e sentirci realizzati. Oggi vivo con questa 
		consapevolezza, questa esperienza è davvero unica, sono gratificata e 
		responsabile della fiducia che mi è stata concessa per gestirla e 
		rappresentarla».
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			 | TUTTO TV Tutto 
					per mio figlio, la ribellione di Zeno di Silvestra Sorbera 
 Tutto per mio figlio, un film Rai con 
					Giuseppe Zeno che racconta una storia difficile e 
					complicata.
 
 Raffaele Acampora è un uomo come tanti. Ha una
					moglie, Anna, e quattro figli, di cui il più 
					grande, Peppino, ha quattordici anni, e come molti 
					ragazzi della sua età comincia a cercare la sua strada 
					nel mondo.
 
 Ogni settimana Raffaele e i suoi colleghi sono vittime 
					del racket criminale, che impone loro il pizzo e 
					vessazioni di ogni tipo. Fino a quando, un giorno, Raffaele 
					decide di ribellarsi, anche per Peppino.
 
 Il 7 novembre abbiamo visto questo nuovo prodotto su
					Raiuno con un cast stellare: oltre a Zeno, che 
					in queste settimane vediamo anche nell'altra serie di 
					successo della rete ammiraglia, Mina Settembre, 
					ci sono Antonia Truppo, nel ruolo di Anna, Tosca 
					D’Aquino e Giuseppe Pirozzi interpreta Peppino.
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			 | DONNE Vicky 
				Piria, passione motori di Giuseppe Bosso 
 Il suo nome è ormai conosciuto e apprezzato tra gli appassionati 
				delle quattro ruote. Dagli esordi da giovanissima nei kart fino 
				al presente, tra W Series e Formula Renault; nonché 
				commentatrice e volto televisivo, abbiamo il piacere di 
				incontrare 
				Vicky Piria.
 
 Come nasce il suo amore per i motori?
 «Da bambina ho iniziato a correre con i go kart, e mi sono 
				innamorata perdutamente di questo mondo, e da lì è iniziato il 
				mio percorso da pilota».
 
 Ricorda la sua prima gara?
 «Avrò avuto dieci anni – ride, ndr – e arrivai nona. Ma una 
				soddisfazione unica, perché capii che sarebbe stata quella la 
				mia vita».
 
 Dove correrà prossimamente?
 «Nel mondo Gran Turismo, con la Porsche; credo proprio che 
				l’anno prossimo resterò sempre in questo ambito, ma deciderò 
				all’inizio del 2023».
 
 Ha da poco ripreso la collaborazione con il programma di 
				Italia Uno
				
				Drive Up: com’è nata questa partecipazione e cosa 
				l’ha spinta ad accettare questa proposta?
 «Mi hanno invitato a fare una prova, che ha reciprocamente 
				soddisfatto sia me che la produzione della trasmissione, che mi 
				ha dato la possibilità di guidare macchine pazzesche, 
				apprezzando il grande lavoro che c’è dietro, all’inseguimento 
				dello stesso obiettivo di realizzare un buon servizio per il 
				pubblico. Ho trovato un gioco di squadra come quello di un team 
				delle corse, ho accettato molto volentieri di proseguire questa 
				avventura anche quest’anno».
 
 Diventare un personaggio così mediatico come ha cambiato la 
				sua vita?
 «Sicuramente mi ha dato delle opportunità importanti, è un 
				aspetto che curo con la stessa attenzione che dedico alle gare e 
				alle altre cose; è un impegno che mi ha dato emozioni e 
				opportunità».
 
 Non possiamo non parlare di sicurezza stradale, tema più che 
				mai attuale viste le tante tragedie che purtroppo si verificano 
				sulle strade: come si è impegnata in questo senso?
 «Cerco di portare il mio migliore esempio; mi diverto in pista, 
				ma rispetto tutte le procedure e i limiti, e nella vita di tutti 
				i giorni al volante dico sempre di agire in modo serio e 
				responsabile, ne vale del bene mio e degli altri. Gli autodromi 
				e le piste servono per dare sfogo alle passioni, ma per il resto 
				sono lieta di partecipare e dare sostegno a campagne di 
				sensibilizzazione come ho fatto per
				ACI e
				
				Autostrade per l’Italia, che ho seguito ben volentieri, 
				per comunicare un messaggio importante».
 
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