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Archivio Telegiornaliste anno XVIII N. 16 (700) del 11 maggio 2022
 
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TGISTE Fenesia Calluso, la Rai è la mia casa di Giuseppe Bosso

Incontriamo Fenesia Calluso, Consulente per la comunicazione del Presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, alle spalle una lunga esperienza in Rai come inviata di cronaca, inviata in aree di crisi, e fino a luglio 2021 addetto stampa del Presidente del Consiglio di Amministrazione Rai, Marcello Foa.

Ringraziandola della sua disponibilità le chiedo anzitutto come sta vivendo in questa veste istituzionale questo periodo di grande preoccupazione per il conflitto in Ucraina.
«Premetto che questo conflitto mi ha lasciata attonita. E da giornalista mi sono ripetuta tante volte: ma davvero nel 2022 stiamo rispolverando la figura dell'inviato di guerra? E mi sono anche domandata come sarebbe stato per me raccontare questo conflitto. Stando accanto al Presidente del Senato mi faccio altre domande. Stando dalla parte delle Istituzioni rifletto sulla democrazia, sull'amicizia tra i popoli, sulla sovranità degli Stati, sulla diplomazia. E mi chiedo come sia stato possibile arrivare a questo».

L’incarico che ricopre ha comportato per lei dei cambiamenti rispetto alla sua prospettiva del modo di fare informazione?
«Il lavoro che sto facendo adesso è totalmente diverso dal lavoro in redazione o da inviata. Normalmente parlo ai telespettatori, adesso ho degli interlocutori, che sono i miei colleghi. Come addetta stampa del Presidente della Rai avevo avuto il mio primo approccio con la comunicazione istituzionale ma quello del Senato è un altro universo: altri tempi, altri ritmi, e soprattutto un altro linguaggio. Debbo dire però che a mio favore gioca il fatto che il Presidente Casellati ha una lunga esperienza e anche conoscenza del mondo dell'informazione, e questo rende il mio lavoro più facile».

Lei ha avuto anche una lunga e significativa esperienza in Afghanistan come direttore della radio del comando italiano a Herat: cosa ricorda di quel periodo e cosa ha rappresentato per il suo percorso professionale?
«L'esperienza in Afghanistan è stata incredibile! Innanzitutto ero in uniforme, essendo una riservista dell'Esercito Italiano, e quindi per la prima volta non dovevo cercare le notizie perché le vivevo, ci stavo dentro. Ricordo ogni istante trascorso nella base di Herat insieme ai nostri militari, che sono davvero indescrivibili. Ricordo come una conquista essere riuscita a farmi accettare dai giornalisti afghani (ovviamente tutti uomini) come capo, e poi quasi come amica. E il mio pensiero è volato a loro, nei mesi scorsi: mi sono chiesta quale sia stata la loro sorte. E ricordo il dolore per i ragazzi che non sono tornati a casa con noi. Quando sono rientrata in Italia mi sono sentita spaesata tanto era stata totalizzante quell'esperienza, ma orgogliosa, e ho messo a disposizione della mia azienda il bagaglio di conoscenze che avevo acquisito, senza mai venire meno alla segretezza di alcune informazioni delle quali ero entrata in possesso in quanto militare».

Le manca il lavoro ‘sul campo’ in redazione?
«Quella che sto facendo è una esperienza unica, importantissima e arricchente, ma quando viene qualche collega a Palazzo Madama per me è come quando sei all'estero e incontri altri italiani. Quando guardo il telegiornale un po' di nostalgia ce l'ho. Insomma: sto vivendo con intensità questa opportunità lavorativa in Senato, ma sono contenta al pensiero che tra un po' tornerò a Saxa. La Rai è la mia casa».

E sempre ricordando la sua esperienza al Tg1, quali sono stati i servizi, le interviste o gli incontri che più le sono rimasti impressi?
«Voglio citare tre episodi. Una intervista che mi è rimasta impressa è quella che ho fatto ad un nipote di Aldo Moro. Ricordo la tenerezza che riuscì a trasmettermi rivelandomi un sorprendente lato intimo del grande politico noto, evidentemente, solo ai familiari. In onda vanno solo frammenti, ma dentro di me sono rimasti molti dettagli, e ricordo la tristezza che mi attraversò al pensiero di quello che il Paese aveva perso. Poi mi è capitato di raccontare uno dei Fridays for future, le manifestazioni contro il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici. In piazza c'era anche Greta Thunberg, la giovane attivista svedese ispiratrice di questo movimento. Tutto quel fermento, tutti quei ragazzi insieme sprigionavano una grande energia. E poi ricordo l'emozione trattenuta durante un collegamento dal ghetto di Roma in occasione di un anniversario del rastrellamento: ricordare, proprio da quel luogo, tanta sofferenza è stato un racconto difficile... però voglio aggiungere che tante storie ho raccontato nei miei anni trascorsi al giornale radio (Rai). Sono stata nelle case dei terremotati, in quelle sommerse dalle alluvioni. Ho cercato di raccontare il dolore di mamme a cui avevano ucciso un figlio, e mi sono chiesta come possa una mamma uccidere un figlio. Sono stata tra gli operai dell'Ilva e sottoterra insieme ai minatori del Sulcis. Mi sono sentita, ogni singola volta, una privilegiata. Perché essere lì dove le cose accadono, essere gli occhi e le orecchie di tanta gente è un privilegio e una responsabilità. È una scelta di vita che rinnovo ogni giorno».

Rispetto ai suoi primi passi come trova cambiato il mondo dell’informazione, anche visto attualmente dalla prospettiva dell’incarico che ricopre?
«È una domanda che meriterebbe tanto più spazio. Soprattutto credo che i cambiamenti siano evidenti a tutti. Quando ho iniziato a fare questo mestiere i giornalisti erano l'unica fonte di informazione quindi bisognava fidarsi di loro. Avevano più "potere", più responsabilità, e zero concorrenza. E c'erano anche regole severe che venivano rispettate. Adesso che dobbiamo "gareggiare" forse ci concediamo qualche libertà, penso anche solo ad alcune immagini che vengono trasmesse oggi, fino a qualche anno fa era impensabile vederle al telegiornale. Un tempo se il Presidente del Senato voleva comunicare qualcosa doveva mandare una nota alle agenzie o farsi intervistare, oggi attraverso i social può raggiungere direttamente ogni cittadino di ogni angolo del Pianeta. Pur essendo una nostalgica mi piace pensare che i cambiamenti siano sempre un bene, in questo caso probabilmente ci stimolano a non darci per scontati: la fiducia e la credibilità dobbiamo conquistarle ogni giorno. Perché ogni giorno possiamo essere sottoposti a spietato confronto tra quello che raccontiamo noi e quello che raccontano gli altri con vari strumenti e canali. Insomma, l'autorevolezza non ce la regala nessuno: dobbiamo ottenerla e mantenerla. Penso sia questa oggi la vera sfida per la nostra categoria».
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TUTTO TV La Gatta, ricordando Catherine Spaak di Giuseppe Bosso

Era l’ottobre del 1978 quando sugli schermi di Rete Due, allora era chiamata così Raidue, andava in onda uno sceneggiato in tre puntate, per la regia di Leandro Castellini, La Gatta, con protagonista Catherine Spaak, scomparsa lo scorso 17 aprile.

L’attrice belga, indimenticata protagonista di memorabili film come Il Sorpasso e Febbre da cavallo, e poi conduttrice di fortunate trasmissioni come Forum e Harem, interpretava il ruolo di Mathilde Carrè, spia francese (soprannominata appunto "la gatta") durante la seconda guerra mondiale, personaggio realmente esistito negli anni del conflitto.

Nel cast anche Mario Valdemarin, Orso Maria Guerrini e Nino Castelnuovo.

Probabilmente non la miglior interpretazione per Catherine Spaak, ma a suo modo un’esperienza significativa in un’epoca in cui progressivamente lo sceneggiato televisivo, antenato delle odierne fiction, stava progressivamente cercando la sua affermazione sul piccolo schermo anche mediante la partecipazione in prima linea di interpreti come lei che hanno segnato una pagina importante nella storia del cinema.
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DONNE Iris Ferrari, la mia scelta, la mia rinascita di Giuseppe Bosso

Una scelta che potrebbe apparire controcorrente al giorno d’oggi, soprattutto nel mondo dei più giovani. La grande popolarità tramite i social e poi, improvvisamente, alle soglie dei vent’anni, la scelta di fare un passo indietro. Il tutto raccontato in un libro da poco pubblicato da Mondadori, Ma non eri morta?! Ho deciso di “morire” sui social per rinascere in vita. Incontriamo con grande piacere Iris Ferrari. Figlia della giornalista Roberta Ferrari ci racconta le ragioni di questa scelta.

Benvenuta Iris. Anzitutto perché questo titolo così forte?
«Sì, è un titolo forte, e anche provocatorio: da quando ho deciso di allontanarmi dai social, le persone che non ascoltano, che sparano sentenze senza informarsi, mi hanno riempito di commenti proprio del tipo “ah, ma sei ancora viva?”… come se davvero non ci fosse una vita oltre il mondo virtuale. Come se non fosse stata una mia scelta quella di ‘morire’ in questo senso, e proprio questo tipo di commenti mi ha reso ancora più orgogliosa della mia decisione».

Quindi hai scelto di defilarti dai social per riscoprire il contatto diretto: è stata una scelta che hai compiuto in base a qualche evento particolare o è un normale passo della tua crescita, per quanto potenzialmente controcorrente rispetto alla nostra epoca?
«Direi che un po’ entrambe le cose. Ho iniziato davvero piccolina questa esperienza, e col tempo si cresce, ci si evolve, cambiano interessi e aspirazioni… sono cresciuta, ho iniziato a fare video da dodicenne; ma dall’altro lato avevo iniziato tutto per gioco, anzitutto per vincere la timidezza che provavo prima di quel periodo, e realizzare questi video da sola in camera mia mi rendeva inizialmente tutto più facile, per essere ascoltata. Il successo è arrivato così per caso, ho continuato a fare video, era diventata un’abitudine che ho proseguito senza pensarci più di tanto, finché non mi sono resa conto che non mi rispecchiava per nulla; stavo male, non mi sentivo nel posto giusto, mi sentivo a disagio soprattutto quando andavo in giro per eventi, presentazioni, interviste, ecc. Piangevo e non capivo perché in questo mondo in cui tutti cercano il successo ad ogni costo proprio io stessi male, cercassi qualcos’altro; sono arrivata alla conclusione che io preferisco essere spettatrice piuttosto che protagonista».

Metaforicamente dunque la Iris che appariva sui social era diventata la ‘maschera’, per così dire, della vera Iris?
«Sono comunque stata sempre me stessa quando realizzavo i miei video tra le mura della mia stanza. Il disagio, ti ripeto, è venuto quando dovevo espormi con gli altri, al pubblico».

Guardandoti indietro, ripensando alla grande popolarità che hai riscosso tra i giovanissimi, c’è qualcosa che non ripeteresti o che rimpiangi di non aver fatto?
«No, anche i no che ho detto a tante interviste o possibilità, anche potenzialmente irrinunciabili per chi vede da fuori, sono scelte che ho compiuto nella piena consapevolezza che non mi avrebbero dato gioia».

Quanto è stato importante in questo passo il consiglio di tua madre Roberta Ferrari, carissima amica del nostro sito?
«Mia madre è stata fondamentale in tutto il percorso, fin dalla realizzazione dei miei primi video, che ha comunque sempre controllato prima di postare, proprio perché ero molto piccola. Era felice del mio successo ma non ha avuto esitazioni nell’appoggiare la mia scelta di fare questo passo indietro. Sono molto fortunata di poter contare sul suo sostegno, per lei la mia felicità viene prima di ogni altra cosa a prescindere dal come si realizzi».

Quali sono stati i riscontri che hai avuto tra i tuoi follower? Pensi di aver dato loro un segno invitandoli ad un uso più consapevole dei social?
«Inizialmente non sono mancati i commenti di chi mi manifestava la sua delusione, ma posso dire che tante persone, leggendo il libro, mi hanno compresa e hanno apprezzato molto di più la scelta di fermarmi piuttosto che fare finta di niente e proseguire tra sponsorizzazioni ed eventi, che sarebbe stato come prenderli in giro. E proprio il libro, mi hanno scritto, ha fatto capire loro l’importanza di dare il giusto vero valore alla vita, senza riprendere di continuo ogni istante e pubblicarlo, perché quando si è felici non c’è bisogno di sbandierarlo di continuo in un mondo virtuale dove non tutto ciò che si vede è reale, e quindi stanno imparando ad usare molto meno gli smartphone».

Iris, la parola domani, in un mondo che non ha ancora superato la paura del covid ed è alle prese con un conflitto così doloroso, ti suscita più speranza o timore?
«Un po’ entrambe, in questo momento non ho chiarissime le idee sul cosa fare da grande, però sono convinta che le cose accadono per un motivo, e penso che qualunque cosa mi accadrà dovrà essere il meglio per me».
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