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Telegiornaliste anno XVIII N. 15 (699) del 4 maggio 2022
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TGISTE Luciana
Coluccello, raccontare l’Ucraina
di Giuseppe Bosso
“So quando sono partita, non so quando tornerò”. Incontriamo
Luciana Coluccello,
freelance che si trova attualmente in Ucraina, dall’inizio di marzo, per
documentare il dramma del conflitto con reportage che possiamo vedere
trasmessi sulla trasmissione
Piazzapulita ogni giovedì in prima serata su La 7.
Con quale spirito sei partita per l’Ucraina?
«Con lo spirito di chi pensa che questo conflitto sia accaduto in un
momento per me - sembra quasi brutto dirlo - “giusto”, proprio perché
per la prima volta, qualche mese prima, avevo deciso di sganciarmi da
una redazione televisiva, fare un training specifico per giornalisti di
guerra, e iniziare a lavorare come freelance. Mi è sempre piaciuta
l’idea di sentirmi parte di una redazione, di una squadra, di un
progetto più grande. Ma sono anche una persona profondamente libera e
difficile da incasellare. Quindi, quando lo scorso agosto 2021
l’Afghanistan, che è una passione da anni, è tornato sulle prime pagine,
ho capito che ero di fronte ad un momento storico e che non c'era cosa
che volevo di più se non andare andare lì con la libertà di chi può
restare quanto ritiene utile sul campo, senza la pressione dei tempi
televisivi. Stessa cosa ora. Se fossi venuta in Ucraina facendo già
parte di una redazione, sarei potuta restare una settimana, forse due al
massimo; in questa veste di freelance, invece, so quando sono venuta ma
non so quando tornerò. Resto quanto servirà. Per la prima volta posso
dire di sentirmi libera di andare dove mi porta il fiuto, e il
racconto».
Prima Afghanistan, altro territorio devastato da un cruento
conflitto, e poi Ucraina: da cosa nasce questa tua scelta?
«Mi fai una domanda difficile – ride, ndr – posso dire di essere tornata
alle origini. È stata sempre la mia passione, da laureata in scienze
politiche proprio con una tesi sulla missione italiana in Afghanistan.
Poi lavorando in televisione mi sono occupata di un’ampia gamma di
tematiche che riguardavano la cronaca italiana, dall’economia, al
lavoro, all'ambiente, all’immigrazione. Ma ci sono passioni che bruciano
e che prima o poi ritornano. E un’inquietudine di fondo che mi porta ad
una ricerca costante, a uscire continuamente dalla mia zona di confort,
nella quale, peraltro, mi sono trovata sempre male. Sì, credo sia questa
la ragione principale che mi spinge a voler guardare da vicino anche il
dramma della guerra».
Da freelance quale messaggio cerchi di portare agli spettatori di
questo momento drammatico?
«Tendenzialmente, io sto cercando di capire le ragioni profonde di
questo conflitto. Ecco perché spendo molto tempo a parlare con le
persone, capire i loro legami familiari, scoprire che questa guerra è
caratterizzata da famiglie spezzate: mi capita continuamente di
incontrare persone che hanno parenti in Russia, o nelle repubbliche
separatiste: la geopolitica, in fondo, è fatta da persone. Insomma, mi
concentro molto sull’umanità di quello che racconto, delle persone che
incontro, ma cerco sempre di restare asciutta e di non drammatizzare,
anche di fronte alle situazioni più pericolose e/o dolorose. La guerra è
già un dramma: non ha bisogno di essere raccontata in maniera
sensazionalistica, anche perché è cosi che poi a un certo punto il
pubblico diventa saturo e cambia canale. In questo senso, per ora posso
dire di essere contenta di realizzare i miei reportage in esclusiva per
Piazza Pulita, perché c'è grande rispetto, nel montaggio del pezzo, per
questo mio modo di lavorare sul campo: non è sempre cosa scontata».
Due anni fa all’insorgere della pandemia, si era detto “andrà tutto
bene”, e in generale si pensava che il mondo sarebbe uscito migliorato
dal dramma del covid: questo conflitto non rappresenta una tragica
smentita di questa prospettiva forse troppo ottimistica?
«Premettendo che non vedo questo link tra la pandemia e il conflitto,
non ho mai avuto quell’ottimismo di cui parli. Per quanto io ottimista
lo sia di natura, quello slogan “andrà tutto bene” non mi ha mai
convinto, anzi per alcuni aspetti mi sembra che la società ne sia uscita
peggiorata, dopo due anni di pandemia».
I tuoi familiari come hanno accolto questa tua partenza?
«Mia madre e mia sorella sono la mia famiglia, e semplicemente non ci
sentiamo. Loro preferiscono non sapere cosa faccio ogni giorno, perché
se racconto loro le mie avventure quotidiane, finiscono per
preoccuparsi. Basta che io dica loro solo ‘ciao’, e si sentono
rassicurate sul fatto che io sia viva».
Una volta che tornerai in Italia come pensi cambierà il tuo modo di
affrontare la professione?
«Non credo cambierà. Anche se una cosa è certa: sono molto più
consapevole del valore che ha la mia libertà. Torno in Italia con
rinnovata curiosità ed entusiasmo per il mio lavoro. E con una fiducia
nuova. Anche perché, se questa guerra ha un merito, è quello di aver
fatto riscoprire alle redazioni l'importanza del racconto dal campo, del
verificare gli eventi con i propri occhi, lasciando da parte per un
attimo agenzie, e social network». |
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Raiuno arriva l'avvocato Malinconico
di Silvestra Sorbera
Approderà tra qualche settimana su Raiuno la serie
tv tratta dai romanzi di Diego de Silva che hanno
per protagonista l'avvocato Vincenzo Malinconico che,
per il piccolo schermo, avrà il volto di Massimiliano
Gallo.
Prendete la persona più simpatica che conoscete. Poi
quella più intelligente. Adesso quella più stupida
e infantile. Più generosa. Più matta.
Mescolate bene. Ecco, grosso modo, il protagonista
di questo libro.
Un po' Mr Bean, un po' Holden, un po'
semplicemente se stesso, Vincenzo Malinconico è un
avvocato semi-disoccupato, un marito semi-divorziato,
e soprattutto un grandioso, irresistibile filosofo
naturale. Capace di dire cose grosse con l'aria
di sparare fesserie, di parlarci di camorra come
d'amore con la stessa piroettante, alogica,
stralunatissima forza, Malinconico ci conquista
nel più complesso dei modi: facendoci ridere.
Vincenzo Malinconico è un avvocato napoletano che
finge di lavorare per riempire le sue giornate.
Divide con altri finti-occupati come lui uno studio
arredato con mobili Ikea, chiamati affettuosamente per nome
come fossero persone di famiglia. La sua famiglia vera,
del resto, è allo sfascio: la moglie l'ha lasciato,
i due figli adolescenti, amatissimi, hanno i loro
sogni e i loro guai.
A Vincenzo Malinconico capitano improvvisamente due
miracoli. Il primo è una nomina d'ufficio, grazie
alla quale diventa difensore di un becchino di camorra,
Mimmo 'o Burzone, e si trova coinvolto in un'avventura
processuale rocambolesca. Il secondo miracolo si chiama
Alessandra Persiano: la donna più bella del
tribunale, che si innamora di lui e prende a riempirgli
la vita e il frigorifero.
Ma il vero miracolo, per noi lettori, è la voce
svagata, digressiva ed eccentrica intorno a cui ruota
l'intero romanzo. Il vero miracolo è il pensiero storto e
irresistibile di Vincenzo, che riflette su tutto
quello che attraversa la sua esistenza e la sua memoria,
seducendoci, di deriva in deriva, fino in fondo. |
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DONNE Liselotte Parisi, i miei petali nel fango
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Liselotte Parisi, direttrice del doppiaggio che
ha riscontrato grande successo con la pubblicazione del
libro Petali nel fango, edito da
PandiLettere, una storia bella e coinvolgente fin
dalla sua creazione, che ci racconta a cuore aperto.
Benvenuta tra noi Liselotte, anzitutto parliamo del tuo
libro, Petali nel fango: com’è nato e perché hai
scelto questo titolo?
«Non sono una scrittrice, voglio premettere, ma una
direttrice del doppiaggio, mai avute velleità di questo
tipo. Il libro è nato in tre notti, era più uno sfogo, un
diario, dopo l’ennesima mazzata della vita che mi ha fatto
dire, tra le lacrime, “ma perché capitano tutte a me?”; e
così mi sono resa conto di averne passate abbastanza, ho
iniziato a scrivere pensando di trovare risposte, in maniera
molto semplice. Mi sentivo più libera e sentivo che mi stavo
conoscendo meglio a poco a poco, più di quanto non avessi
mai fatto in tutti gli anni della mia vita. MI sono voluta
più bene, più stimata, e così ho pensato che poteva essere
qualcosa che potesse aiutare altre persone nella mia stessa
situazione, a trovare quella rivincita, quel riscatto,
quell’energia per far tirare la testa fuori. Ho trovato per
mia fortuna questa meravigliosa casa editrice che si
caratterizza per dare voce soprattutto a chi non è
conosciuto, a chi è alle prime armi, ma con un riscontro da
parte del pubblico. Ed è quello che ho percepito dai
lettori».
Scrittura quindi terapeutica per te?
«Assolutamente, un diario che è diventato terapia, per
togliere fuori qualcosa che non riuscivo a riconoscere. Mi
sono fidata di più; se ti fai vedere perdente, la vita così
ti tratterà. Se ti fai vedere più sicura, non dico
arrogante, la gente ci pensa due volte prima di trattarti
male, o almeno non glielo permetto. Con mia grande
meraviglia posso dire davvero che mi sento rinata, ho
trovato davvero energie che non avrei immaginato di avere,
come una bambina in un corpo da donna, almeno così mi sento
psicologicamente ed emotivamente. Ma non solo questo: da due
anni, per la serie “le cose non vengono mai per caso”, ho
iniziato ad insegnare proprio sulla scia dell’effetto che mi
ha portato il libro, in una scuola di doppiaggio, con
centinaia di ragazzi che durante le lezioni possono avere
momenti di sconforto, dirmi che non se la sentono di fare
determinate scene, ed è qui che interviene la Liselotte
“kamikaze” – ride, ndr – che li sprona a non desistere, di
non essere succubi come lo sono stata io. Io sono io, non
c’è un’altra Liselotte nel bene e nel male, perciò dobbiamo
accettarci, vivere la vita su questa terra per quello che
durerà nel migliore dei modi. Eccomi qui, ho subito quello
che ho subito ma sono riuscita a non darla vinta alle
avversità».
A chi è indirizzato e quali riscontri hai avuto dai
lettori?
«Un amico mi ha detto che sarebbe stato forse più corretto
intitolare il libro “petali dal fango” perché ero riemersa.
Con mia grande meraviglia, sebbene le mie esperienze non
facciano fare certo bella figura agli uomini di cui ho
parlato, ho potuto riscontrare sui commenti pubblicati su
youtube, sono tutti di parte maschile, ragazzi e meno
ragazzi che hanno letto il libro e hanno voluto dire la
loro, al punto che qualcuno ha persino detto “mi vergogno di
essere uomo”. Andrea Ward, noto doppiatore mio caro amico,
mi ha detto che l’avrebbe fatto leggere ai suoi figli, visto
che certe cose magari un ragazzo le apprende meglio da
un’altra persona che non da un genitore. Ha avuto riscontro
tra gli allievi, ragazze che si sono riconosciute nelle mie
esperienze e che mi hanno detto, in lacrime, grazie perché
non mi sento più sola».
E hai scelto un momento storico non da poco, con tutto
quello che abbiamo passato prima e ancora adesso con il
covid e poi con questa terribile guerra che sta entrando nel
nostro quotidiano: l’aver voluto dare questo tuo ‘segno’
proprio adesso è la tua più grande soddisfazione?
«Sì, proprio perché essermi scoperta ‘diversa’, e se non
avesse avuto successo sarei tornata con le mie insicurezze,
e trovare questo riscontro mi ha fatto raggiungere
l’obiettivo di entrare nel cuore delle persone, che non
credo sia semplice. Anche salvare una ragazza o un ragazzo,
essergli vicini, rappresenta l’avercela fatta; la casa
editrice non ha voluto cambiare una virgola, nonostante
l’avessi portato così come l’avevo scritto, come ti ho
raccontato, buttando sulle righe le emozioni del momento
senza correzioni. Avevo proposto di farlo correggere da una
scrittrice esperta, ma l’editrice mi ha detto “no, non
voglio pubblicare un libro di ‘fuffa’, mi hai emozionato
così come l’hai elaborato e mi va benissimo”. Ed è stato il
primo successo. Pensavo ne avrei vendute sì e no una decina
di copie tra i parenti e gli amici, ed invece ne sono state
acquistate circa quattrocento».
Lavorando nel mondo del doppiaggio, come hai vissuto
questi due anni segnati dalla pandemia per come ha inciso
sul settore?
«Posso dire di aver vissuto poco le restrizioni, perché è
arrivata proprio in concomitanza questa proposta di
insegnare che ti dicevo, che mi ha impegnato ogni giorno. Ho
vissuto le difficoltà connesse alla riapertura negli studi a
partire da giugno del 2020, le complicazioni e il caos
organizzativo del momento, e pe fortuna ho accantonato
quella parte; insegnare mi gratifica, vivere direttamente il
contatto con i ragazzi è il riscontro più bello, il
riscontro umano di cui abbiamo bisogno in questo momento,
dando loro la carica che serve per affrontare la giornata».
Il libro e i riscontri che hai trovato hanno cambiato la
tua percezione della parola ‘domani?
«Sì, io sono molto ‘controcorrente’ perché questi due anni
così terribili e negativi per tanti, a me invece hanno
portato cose belle, il libro, la gioia dell’insegnamento…
sto scrivendo già un altro libro, una storia completamente
inventata che parlerà di una ragazza africana. Vedo davvero
un bel futuro, anche perché posso dire, egoisticamente, che
per la mia età non ho certo la percezione che può avere una
ragazza di vent’anni, che deve confrontarsi con le mille
incertezze che la vita le pone. Spero per i miei figli che
possano vivere con i valori che abbiamo cercato di
trasmettergli, nella maniera più giusta possibile senza
farsi influenzare dall’umore negativo degli altri, ma
perseguendo gli obiettivi che si porranno, come ha fatto mia
figlia laureandosi, seguendo da casa gli ultimi due anni su
tre del suo corso. Non ci nascondiamo, se le cose le
vogliamo possiamo raggiungerle, per quanto complicata possa
essere la strada che affronteremo. Dipende tutto da noi,
anche trovare nelle avversità piacevoli scoperte, come è
stato per me con la cucina, con la mia famiglia con cui
abbiamo imparato a fare il pane e la pasta in casa, e
dedicandomi al lavoro a maglia, che ho appreso da bambina
dalla mia meravigliosa tata e che in questo periodo ho
ampliato».
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