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Telegiornaliste anno XVIII N. 7 (691) del 23 febbraio 2022
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TGISTE Maria Cristina De Carlo, lungomare e rondini
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo Maria Cristina De Carlo,
volto dell’emittente pugliese
Trm Tv.
Raccontare la Puglia negli anni del Covid: come ha cambiato l’avvento
della pandemia il suo approccio al giornalismo e al modo di dare voce
alla gente?
«La pandemia ha cambiato la nostra vita, da quella personale a quella
professionale. I primi mesi, per scelte redazionali, l’organico interno
è stato diviso in due squadre: solo una parte ha continuato a
frequentare la redazione occupandosi in primis delle condizioni
televisive (tra telegiornali e programmi di approfondimenti legati
all’emergenza che stavamo vivendo). Fortunatamente ho continuato a
lavorare in redazione quindi ho avuto la possibilità di uscire di casa e
rendermi conto di quello che accadeva. O meglio, non accadeva. Strade
deserte, conferenze tutte da remoto e almeno per le prime settimane (per
noi) il divieto di andare per strada e sentire la gente, nell’ottica di
evitare il più possibile contatti con il mondo esterno. Sono stati mesi
difficili per me, perché ho vissuto lontano dai miei affetti, ma la
possibilità di lavorare mi ha dato la forza di andare avanti. Fino a
quando sono riuscita a uscire dalla redazione con un collega e
documentare quello che accadeva nella città in cui vivo, Bari. Ho
realizzato un reportage sui mesi bui, difficili, quando il virus era
ancora tutto da studiare. Quando i vaccini erano ancora un’ipotesi
lontana. Questo racconto, al quale sono molto legata, mi ha permesso poi
di vincere un premio nazionale di giornalismo dove ho fatto emergere
tutte le paure, ma al contempo le speranze. La pandemia ha cambiato il
modo di fare giornalismo: le interviste da remoto hanno annullato la
possibilità di ascoltare gente, guardandola negli occhi. L’eccesso di
infodemia sul tema ha cambiato il nostro approccio su altre notizie, di
pari importanza. Nel tempo, però, abbiamo capito che la cosa migliore da
fare era riportare i dati, senza allarmismo, dando voce alle persone
autorevoli che hanno saputo raccontare quello che stava accadendo».
E per quanto riguarda la sua emittente, cosa è cambiato da quel marzo
2020 in termini di programmazione?
«Abbiamo cercato sempre di essere puntuali e precisi su quello che stava
accadendo. Il palinsesto della mia emittente ha cambiato forma,
inserendo più programmi di approfondimento. Inoltre, ho dovuto
sospendere per un anno un programma che conduco, che mi permette di
girare la Puglia e raccontare storie, a causa della pandemia.
Fortunatamente un progetto ripartito a pieno da fine estate 2021».
Percepisce maggiormente sfiducia, speranza o incertezza dopo due anni
di restrizioni?
«Ammetto che ho assistito a un approccio diverso da parte dei lettori o
telespettatori. Una parte di questi continua a volersi informare, capire
e conoscere. Un’altra parte, forse alla luce dell’infodemia di cui
parlavo prima, ha quasi voglia di evadere e allontanarsi da questo tipo
di informazioni. Sostengo comunque che è sempre fondamentale informarsi
per conoscere il mondo e quello che sta accadendo, soprattutto affidarsi
a fonti o media riconosciuti, per evitare fake news».
Qual è l’immagine o l’evento che un giorno, ripensando a questo
periodo, le ritornerà alla mente più di ogni altro?
«Tra i ricordi, vedere il lungomare Nazario Sauro di Bari deserto e
ascoltare il suono del mare e il canto delle rondini, di solito
soppiantato dal caos delle automobili».
Le sta stretta la dimensione locale o sente maggiore responsabilità
nell’essere portavoce di un territorio splendido come quello pugliese?
«Le realtà locali hanno storie interessanti da raccontare, alcune volte
più interessanti di grandi appuntamenti istituzionali; ritengo che noi
abbiamo il compito di descrivere quello che accade ogni giorno con
massima serietà e professionalità, con la possibilità di entrare in
contatto diretto con diverse realtà, da quelle che vivono i capoluoghi
di provincia ai piccoli borghi. È importante quindi essere portavoce di
questo territorio».
La sua giornata tipo, se si può sintetizzare.
«La mia giornata varia in base al turno di lavoro. Abbiamo tre
turnazioni. La prima inizia alle 5.30 per poter aprire con la prima
edizione alle 7 e rassegna stampa. Le altre seguono orari che permettono
di fare conduzione del telegiornale delle 13.30 e delle 19.30. In
generale, si arriva in redazione, facciamo il punto della situazione e
inizia così la suddivisione dei pezzi da realizzare per l’edizione del
telegiornale. Amo molto uscire e stare tra la gente. Non a caso, quando
sono impegnata con il mio format televisivo, parto la mattina presto e
giro per tutta la giornata. Torno a casa stanca, ma felice, perché ogni
viaggio mi permette di incontrare e conoscere persone che lasciano
sempre un bel insegnamento. Il giornalismo per me è scoperta, voglia di
conoscere, di capire quello che sta accadendo. Di solito a fine giornata
lavorativa, mi piace leggere o vedere qualche film. Cucinare e stare con
i miei affetti più cari».
C’è una telegiornalista che ammira particolarmente e se sì perché?
«Adoro, nel vero senso della parola, Emma
D’Aquino. Ammiro il suo modo di condurre, di porsi davanti alla
telecamera. Ammetto che guardo sempre i suoi telegiornali per prendere
spunto e fare mio quello che di lei mi piace». |
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TUTTO TV Striscia
con Silvia
di Giuseppe Bosso
In attesa di passare il testimone a Gerry Scotti e
Francesca Manzini, l’ultima settimana di febbraio vedrà
Ezio Greggio salutare il pubblico di
Striscia la notizia con una new entry
per il tg satirico firmato Antonio Ricci.
Direttamente da
Verissimo, per sei giorni sul bancone
più famoso del piccolo schermo, arriva
Silvia Toffanin che si
cimenterà in una nuova veste, tra uno stacchetto delle
veline e un servizio degli inviati d’assalto del
fortunato programma del preserale di Canale 5.
Vicentina, concorrente di Miss Italia, un
passato anche da modella, smessi i panni della
‘letterina’ del mai dimenticato Passaparola
condotto a inizio millennio da Gerry Scotti, Silvia ha
iniziato una carriera di conduttrice di punta del
Biscione che, dopo Nonsolomoda, l’ha portata nel 2006
a rilevare da Paola Perego la conduzione del
contenitore del pomeriggio di Canale 5, quest’anno in onda
anche la domenica oltre al sabato, dove
intervista settimanalmente personaggi dello spettacolo e
non solo.
Da ormai vent’anni compagna di Pier Silvio Berlusconi
e madre di Lorenzo Mattia e Sofia, è ormai un
volto conosciuto e amato dal pubblico che aspetta con
curiosità di vederla duettare con l’istrione Greggio,
volto storico della trasmissione fin dalla nascita, anno
1988. |
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DONNE Antonella
Gramone, lettrice di nuvole
di Giuseppe Bosso
Antonella Enrica Gramone, life-coach e autrice, vissuta a
lungo in Gran Bretagna, per studio e per lavoro (dottorato a
Cambridge e lavorato anche al Foreign Office di Londra) con
una parentesi a Budapest, oggi si divide tra Milano e
Novara; appassionata di cani, di viaggi e di stelle, si
dedica alla scrittura in tutte le sue declinazioni. Scrive
per Quattro Zampe, ha pubblicato nel 2021 il romanzo
La lettrice di Nuvole.
Ha vissuto a Londra e a Budapest prima di fare ritorno in
Italia: cosa ha rappresentato per la sua vita professionale
l’esperienza in due realtà come quella britannica e quella
ungherese, per molti aspetti mondi a parte rispetto al
nostro Paese?
«Ho trascorso moltissimi anni per studio e per lavoro nel
Regno Unito, in particolare a Cambridge dove ho svolto il
mio dottorato, il PhD, al Corpus Christi College, uno dei
più antichi dell'Università, e a Londra. Nei miei contatti
professionali con varie istituzioni britanniche ho sempre
ammirato il pragmatismo, l'orientamento a lavorare per
obiettivi con procedure spesso burocraticamente più snelle
di quello che avviene altrove. Ho apprezzato anche l'aspetto
meritocratico, il premiare la validità e il potenziale
innovativo di un progetto di ricerca, il dare fiducia a
collaboratori nuovi o dai profili non tradizionali (io
stessa ho ricevuto una prestigiosa borsa di studio a
Cambridge). Per quanto riguarda l'Ungheria ho avuto
l'opportunità di lavorare a un progetto editoriale a
Budapest nella metà degli anni Novanta, in una fase di
grande transizione sociale, economica e politica per quel
Paese. È stato sfidante vivere in prima persona un periodo
in cui l'Ungheria, come altri Paesi dell'Est europeo, stava
aprendosi a nuovi rapporti con i mercati esteri, ai concetti
di franchising e customer care, all'implementazione di nuovi
profili legislativi e amministrativi alla luce dei
numerosissimi cambiamenti in corso. Per molti giovani di
Budapest, lavorare in contesti internazionali, imparare
l'inglese (ma anche l'italiano) era allora qualcosa di molto
ambito».
E il viaggio, il confronto con altre realtà, è anche uno
dei temi che affronta La lettrice di Nuvole, il suo romanzo:
qual è la genesi dell’opera? A cosa o a chi si è ispirata e
a chi è maggiormente rivolta?
«La scrittura di questo libro mi ha accompagnata in momenti
e luoghi diversi. Come ispirazione La lettrice di Nuvole
nasce da un mio soggiorno parigino. Ho abitato
effettivamente per alcuni mesi nella Rue Thérèse dove vive
uno dei personaggi, la 'zia' francese: il cielo della Ville
Lumière mi ha subito affascinata anche in senso metaforico,
come simbolo adatto a rappresentare il percorso evolutivo
personale e professionale che coinvolge la giovane
protagonista, speaker radiofonica di un'emittente milanese.
È un percorso che compie anche grazie ai consigli della zia,
lettrice di nuvole e appassionata viaggiatrice come me, che
le insegna a guardare la vita da prospettive diverse (come
nella vita reale ha fatto a sua volta una zia a me molto
cara). Pur contenendo una storia d'amore non è un romance
tradizionale: mi piace considerarlo un romanzo feel-good,
che faccia stare bene. Ci sono riferimenti al mondo
dell'arte, ai vini, c'è una playlist nuvolosa che punteggia
il ritmo narrativo, elementi che possono interessare una
readership abbastanza ampia».
Simbolicamente, cosa sono per lei le nuvole e cosa legge
in loro?
«Sono un simbolo di trasformazione e ispirazione. Da sempre
gli uomini scrutano il cielo, vi proiettano i loro timori e
fantasie. Di nuvole hanno parlato Aristofane, Shakespeare,
musicisti da Pino Daniele a De Andrè e Ludovico Einaudi. Da
un punto di vista meteorologico esistono dieci tipi di
nuvole: cirri, cumuli, strati, ecc. Io le racconto da un
punto di vista narrativo, ogni nuvola assomiglia un po' al
carattere di una persona, dal cumulonembo dal carattere
temporalesco all'elegante cirro. Nelle nuvole mi piace
cogliere la possibilità di un cambiamento in positivo: dopo
il temporale, ogni cielo si rasserena. Le nuvole sono un
invito alla creatività e ad avere fiducia nelle nostre
potenzialità: concediamoci qualche attimo con la testa fra
le nuvole, per dare spazio alla nostra fantasia (lo
consigliava anche Amleto al suo cortigiano Polonio), volando
alto con i nostri pensieri e i nostri progetti».
E il successo dei suoi racconti è dimostrato dal Premio
Chatwin e dal torneo Giallo Milanese, vinti l’anno scorso:
cosa ha rappresentato per lei ricevere questi
riconoscimenti?
«Il Premio Chatwin è una manifestazione dedicata dal 2001 al
grande scrittore di viaggi e fotografo Bruce Chatwin. Io ho
vinto la sezione narrativa del Premio con un mio racconto
ispirato a un mio viaggio in Kerala, nell'India del Sud.
Nella sezione fotografia è stato premiato il grande Maestro
Gianni Berengo Gardin. È stato un grandissimo onore, nel
corso della premiazione, sentire le motivazioni dalla
presidentessa di giuria Dacia Maraini (grande viaggiatrice,
fine conoscitrice del Giappone ma anche dell'India) che ha
apprezzato il senso di scoperta e immaginario racchiuso
nella mia storia, dove il viaggio è disponibilità a vedere
il nuovo, in un continuo movimento verso la conoscenza.
Giallo Milanese è stata un'esperienza anch'essa molto
coinvolgente, è infatti un torneo letterario a eliminazione
organizzato dalla casa editrice ExCogita: gli autori leggono
in diretta i loro racconti e vengono votati in tempo reale
sia dal pubblico dei social, che da una giuria popolare e da
una giuria tecnica costituita da editor, accademici e
professionisti del mondo editoriale. È stato sfidante
'mettersi in gioco' e leggere live il proprio testo in ogni
fase successiva della gara, chiamata 'calcisticamente' la
yellow league, attendendo via via 'televoto' e commenti dei
giurati. Un'esperienza molto formativa, non solo per la
trepidazione fino alla superfinalissima che si è svolta
nell'ambito di Bookcity Milano, la manifestazione dedicata
al libro e alla lettura, ma anche perché ho avuto modo di
confrontarmi con le diverse interpretazioni di lettori e
critici letterari. È molto stimolante vedere come un nostro
testo possa essere recepito e analizzato da angolature
diverse».
Il presente è anche il suo lavoro per Quattro Zampe:
come nasce il suo amore per gli animali e come è diventato
parte della sua attività giornalistica?
«È un amore che nasce dalla mia infanzia trascorsa in mezzo
alle campagne e al giardino di casa nella Bassa Padana. In
famiglia abbiamo sempre tenuto animali, cani, in
particolare, meticci-'cani fantasia' affettuosissimi, e
qualche micio. Mi piacciono molto le passeggiate a cavallo.
Ci sono poi stati dei viaggi che mi hanno messo in
particolare contatto con la natura, per esempio in alcuni
campi tendati in Kenya o in Namibia. In Namibia ho potuto
visitare la fondazione Jolie-Pitt sostenuta da Angelina
Jolie a tutela della fauna selvatica dell'area, un progetto
fortemente voluto dall'attrice, la cui figlia Shiloh è nata
in quel Paese. Vivendo ora prevalentemente in una realtà
urbana come Milano non posso ospitare tutti gli animali
domestici che vorrei, ma credo moltissimo nella pet therapy:
spesso sono i quattrozampe di casa a prendersi 'cura' di
noi, del nostro benessere emotivo, come anche il recente
lockdown ha mostrato. Per non parlare di tutti i cani 'eroi'
impegnati in operazioni di salvataggio o prevenzione insieme
con i loro fantastici istruttori. Ho preso parte qualche
anno fa al docu-reality 'Senti chi abbaia' andato in onda su
RAI2: le storie di binomi umani-animali coraggiosi sono
sempre moltissime».
Come ha inciso il Covid nella sua vita professionale in
questi due anni e come ha cercato di adeguarsi alle
restrizioni che la pandemia ci ha imposto da marzo 2020?
«Come tutti ho cercato di utilizzare al meglio il supporto
offerto dalla tecnologia e dalle varie piattaforme non solo
per lavorare ma anche per rimanere in contatto, in alcuni
casi ancor più di prima, con le persone, cercando di
sopperire per quanto possibile alla lontananza fisica. Ho
cercato di fare un uso più creativo ma anche consapevole dei
social e del telefono. Avendo amici e conoscenti in varie
parti del mondo, Cina e Sudamerica inclusi, ho avuto subito
tramite i mezzi online la percezione di come quanto stava
succedendo stesse impattando sulla vita di tutti a livello
globale e come si fosse tutti coinvolti in una svolta
epocale, per cui il lavoro in squadra è diventato ancora più
importante».
Da amante della scrittura in tutte le sue sfaccettature,
quale crede sia il ruolo della scrittura come forma di
comunicazione in quest’epoca dove sembra che gli esseri
umani facciano fatica a comunicare?
«Non penso che le persone in quest'epoca facciano più fatica
a comunicare, caso mai comunicano, scrivono e leggono in
modo diverso, con modalità più veloci e frammentate rispetto
al passato. Prima di un libro o dei giornali esisteva solo
la versione cartacea, oggi la gamma di fruibilità dei
contenuti è molto più ampia e in continua evoluzione: ebook,
podcast, piattaforme e social molto diversi, ma a mio avviso
complementari, ognuno con un suo pubblico di riferimento a
seconda del canale utilizzato (più visivo, o più orientato a
testi long-form, o a musica e filmati). Apprezzo molto il
mezzo sonoro, in forma di radio e podcast e personalmente
amo scrivere sia a mano che con computer. Scrivere a penna o
tastiera, come sottolineano vari studi di neuroscienza,
attivano delle aree cognitive differenti; scrivere a mano su
un foglio è una modalità meno meccanica e ripetitiva e più
tridimensionale del premere sui tasti, e stimola la
creatività. Mi piace pensare che scrivere a mano ci
sottragga almeno temporaneamente alla frenesia e urgenza di
tastiera e touch screen, e ci permetta di riappropriarci di
un tempo di scrittura che è anche un prezioso tempo di
riflessione».
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