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Archivio Telegiornaliste anno XVII N. 29 (679) del 27 ottobre 2021
 
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TGISTE Annarita De Feo, carezze infondono speranza di Giuseppe Bosso

Abbiamo l’immenso piacere di incontrare nuovamente Annarita De Feo, volto di Vg 21, telegiornale di Canale 21.

Da un anno direttore responsabile della rivista dedicata al Santuario di Montevergine che raggiunge 8 milioni di pellegrini in tutto il mondo. Teoria e pratica del giornalismo religioso. Quanto è diverso dal giornalismo non religioso?
«Un grande dono poter essere direttore responsabile del Bollettino dedicato al Santuario Mariano. Ringrazio il Rev.mo Abate Ordinario di Montevergine e Assisi Riccardo Luca Guariglia per la fiducia che mi è stata accordata, di concerto con la comunità benedettina. La rivista dedicata al Santuario in provincia di Avellino è tra le più antiche dell’universo, sia per la storia secolare, sia per la fama di cui gode la splendida Icone di Maria. La rivista conta 6000 abbonati tra Vaticano, Italia e all’estero. La Chiesa è in costante dialogo con il mondo, richiama le crescenti attenzioni dei giornalisti, utilizza mezzi di informazione tradizionali e anche innovativi, si muove con grande capacità rivendicando, però l’indipendenza dei due ambiti. Un ambito non facile quello dell’informazione religiosa, poiché rappresenta il terreno di incontro tra tematiche terrene e spirituali, esigendo una rappresentazione e una lettura più profonda rispetto alla mera narrazione dei fatti. Una svolta la si è avuta con il Concilio Vaticano II: una svolta per la Chiesa, che pur nella continuità con il passato, con la tradizione, ha condotto una coraggiosa riflessione sulla propria natura, sulla propria missione sviluppando un dialogo con il mondo contemporaneo e con il mondo della comunicazione. Le parole del Santo Padre, in occasione del Sinodo sono eloquenti: Sinodalità è “camminare insieme».

Pandemia e dintorni: cosa hai potuto raccontare e osservare attraverso il giornalismo religioso?
«In una fase storica complicata che ci ha fatto riscoprire o rafforzare i valori della famiglia e del prossimo abbiamo raccontato le paure, le speranze, il buon cuore delle persone. Intorno alla comunità benedettina c’è un universo da scoprire, legato a testi sacri, alla farmacia benedettina, al laboratorio che produce l’Anthemis un liquore che nasce da un’antica ricetta dei monaci. Abbiamo raccontato aneddoti e storie, per compensare quel senso di vuoto, di cui si impadroniva “la quotidianità da pandemia”. Nei numeri delle nostre riviste, spazio all’impegno dei medici, delle Istituzioni e dei giovani nel volontariato, gli stessi giovani che non escludono affatto Dio dal proprio orizzonte, dimostrando con le opere, l’amore per il prossimo. Tantissime le mail, che ogni giorno affollavano la casella di posta, le lettere provenienti non solo dall’Italia, ma anche dall’Australia, dall’America, dal Canada. Dobbiamo tener conto che la rivista è stata fondata 100 anni fa dall’Abate Giuseppe Ramiro Marcone. Negli anni ha narrato le grandi storie di fede della gente comune e degli uomini di Chiesa. Proprio nell’anno della pandemia, abbiamo pubblicato un numero straordinario, in cui veniva raccontata la storia della rivista con immagini di personaggi famosi che hanno fatto tappa al Santuario da Lucio Dalla a Fausto Coppi…tante le testimonianze inedite, come quella del poeta Giuseppe Ungaretti e della giornalista Matilde Serao. La comunità benedettina è stata sempre un riferimento saldo per l’umanità: basti pensare che durante la seconda guerra mondiale la Sacra Sindone (su disposizione del Re d’Italia) fu custodita nel Santuario di Montevergine, per poi ritornare nella sede di Torino ».

Un incarico prestigioso che si abbina al tuo lavoro a Canale 21 e Irpinia tv: per te quanto è importante la fede?
«Sì, un incarico prestigioso e di responsabilità, che si unisce ad altri impegni importanti. Continuo la mia esperienza con il piccolo schermo: ringrazio l’editore di Canale 21, dr. Paolo Torino per la fiducia: Napoli, Roma sono realtà meravigliose da raccontare e far parte di un contesto aziendale dove accanto alla professionalità fanno curriculum valori come la dignità e la credibilità è motivo di grande orgoglio. Irpinia tv è un’eccellenza che rappresenta la gente irpina nel suo splendore. La fede ha la sua importanza perché è linfa vitale per l’equilibrio di ognuno di noi. Non è solo un semplice sentimento interiore, ma è un assumere uno stile di vita che ci consente di guardare oltre. Viviamo tutti delle forti contraddizioni, nonostante i momenti di smarrimento non ho mai rinnegato la presenza di Dio e proprio nei momenti difficili l’immagine di Mamma Schiavona riusciva ad emozionarmi ancora e a farmi sentire nel posto giusto. La nostra vita non sempre è lineare: gli eventi cambiano il corso delle nostre esistenze e bisogna adeguarsi. Nessuno ci chiede di essere perfetti nemmeno Dio, abbiamo tutti dei limiti, ma il buon cuore fa la differenza».

Da 10 anni segui DonatoriNati Polizia di Stato e sei responsabile comunicazione nazionale. Ti vediamo su e giù per l’Italia. Perché il volontariato è un valore per te?
«Io rappresento un lavoro di squadra che mi consente di rendere utile il mio lavoro nel volontariato. C’è un capo della comunicazione che detta linee e regole ed un responsabile social-media. DonatoriNati Polizia di Stato è un’associazione che dal 2003 si occupa di un tema delicato, ma di vitale importanza: quello della donazione sangue. Il Presidente Nazionale, dr. Claudio Saltari, da anni si prodiga su tutto il territorio italiano per dare l’esempio su campo e divulgare un messaggio fondamentale: chi dona il sangue, dona la vita. La mia esperienza con questa Associazione è nata proprio da un gesto di solidarietà ricevuta dai poliziotti di DonatoriNati Campania. Mio padre aveva necessità di sangue 0 negativo, in piena estate (gruppo difficile da reperire) e dopo i numerosi appelli in tv, si presentarono, in ospedale, spontaneamente, un gruppo di agenti a donare il sangue. Gli stessi che con spirito di solidarietà, quando mi accorsi che avremmo perso la nostra battaglia, incoraggiavano mio padre a non mollare: ci sono stati accanto fino alla fine. Da allora ho costruito il mio percorso con DonatoriNati e cerco di essere sempre presente. L’Italia è un paese meraviglioso e generoso. DonatoriNati è presente in 14 regioni e contiamo tra donatori e volontari quasi 15mila iscritti. Il volontariato non è solo una scelta, ma un modo di essere: ti mette di fronte a te stesso e ti aiuta a capire di cosa sei capace. Io dico sempre che il volontariato è la lingua del cuore. Aiuti gli altri, ma in realtà aiuti te stesso. Quando aiuti gli altri non sei da solo, sei parte integrante di una collettività, fatta di persone che hanno in comune la volontà di impegnarsi per migliorare le cose».

Un rapporto speciale tra te e le forze dell’ordine, vero?
«Ho sempre ammirato il lavoro delle donne e degli uomini in divisa. Mi sono sempre occupata di cronaca e ho maturato la convinzione che chi indossa la divisa ha una marcia in più. Parliamo di persone caratterizzate da uno spirito di abnegazione al servizio della comunità. Ho la fortuna di scrivere, quotidianamente storie ed esperienze legate al personale della Polizia di Stato e ogni storia insegna qualcosa. Ringrazio l’Ufficio Relazioni Esterne e Cerimoniale-Segreteria del Dipartimento Pubblica Sicurezza per la disponibilità, l’attenzione ed il supporto indispensabile, che mi consente di raccontare una umanità in divisa, che ogni giorno sperimenta la gioia di donare, di mettersi al servizio della gente comune e delle fasce deboli, che difende la vita in ogni circostanza e che non si arrende al dilagare dell’indifferenza. La Polizia di Stato dona sempre grande attenzione ai cittadini: un “Esserci Sempre” che si concretizza in ogni sfumatura che ci circonda».

Altra associazione che segui è la Quarto Savona Quindici per Tina Montinaro: di cosa si tratta?
«L‘Associazione Quarto Savona Quindici nasce dall’iniziativa di Tina Montinaro, vedova di Antonio, caposcorta del magistrato Giovanni Falcone ucciso insieme alla moglie, magistrato, Francesca Morvillo, e ai poliziotti Vito Schifani e Rocco Di Cillo. L’Associazione prende il nome dalla Fiat Croma Blindata, che precedeva l’auto del giudice e sulla quale viaggiavano gli agenti di scorta deceduti nell’esplosione e che fu catapultata tra gli ulivi che costeggiano l’autostrada dopo la deflagrazione. Tina Montinaro si occupa per conto del Ministero dell’Interno-Dipartimento Pubblica Sicurezza, di mantenere costante la memoria dei caduti di Polizia nei settori più attivi della società civile, tra cui scuola, sport, giovani ed associazionismo. Sono tantissimi i progetti che mette in campo anche per gli ultimi della società. Tina parla ai giovani allievi nelle scuole della Polizia di Stato in tutta Italia, ai bambini, ai giovani, alle donne, alle mamme e in alcuni casi riesce a svegliare anche remote coscienze. Un modus operandi che rende, la coscienza nel caos del mondo, una piccola luce. Tina Montinaro porta in ogni dove i valori della legalità e della memoria creando radici forti per le nuove generazioni. Seguirla, laddove possibile è sempre motivo di grande lustro e crescita personale. Le donne scrivono la storia e Tina Montinaro è già storia».

Donare agli altri per ricevere amore, è così che hai affrontato i momenti più difficili in questi ultimi anni?
«Ci sono carezze inaspettate che infondono speranza, la generosità che trasforma il dolore in energia: nei momenti più bui ho ricevuto tanta solidarietà, la stessa che mi ha consentito di superare la perdita in famiglia di due persone care, tanto care. La presa di coscienza che un tuo gesto può cambiare in meglio la vita delle persone, cambia in meglio anche la tua quotidianità. Il volontariato aiuta a sentirsi utile e anche meno in colpa di vivere ancora, ad un certo punto capisci che devi vivere e agire anche per chi non c’è più. Mia madre, e tutta la famiglia credono nel volontariato e questo aspetto rafforza ancora di più il mio impegno. La forza del destino può essere uno strappo tanto improvviso ed inaspettat0, quanto doloroso da accettare, ma la sofferenza che ne scaturisce si può anche trasformare in amore».

L’impatto con la pandemia ha creato molta paura e incertezza su parole come futuro e domani: come guarda Annarita De Feo al futuro e al domani?
«Bisogna sempre sorridere al domani e io vivo giorno per giorno. Guardo al futuro con grande ottimismo: in pandemia abbiamo misurato noi stessi. Se abbiamo vinto la pandemia possiamo affrontare tutto con forza, determinazione e tanto cuore. C’è una frase del brano Dolce Sentire che mi ha sempre accompagnato in questi anni: sono parte di un’immensa vita che risplende intorno a me, quindi non ho motivo né tempo di fermarmi».
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TUTTO TV Flavia Triggiani: Lady Gucci su Discovery di Giuseppe Bosso

Incontriamo Flavia Triggiani, che ci presenta il documentario, realizzato insieme alla collega Marina Loi, in cui ha affrontato un caso di cronaca ancora oggi molto discusso.

Com’è nata l’idea del documentario su Patrizia Reggiani, alias Lady Gucci, e quali riscontri ha avuto a distanza di mesi?
«L’idea del documentario Lady Gucci, la storia di Patrizia Reggiani in onda sulla piattaforma Discovery Plus – in Italia, Uk, Usa e non solo – prodotto dalla Videa Next Station è nata perché io e la mia collega Marina Loi avevamo già trattato tra il 2012 e il 2013 il caso Gucci in un altro fortunato programma su La7 che si chiamava Donne Vittime e Carnefici ed eravamo rimaste attirate dalla figura di Patrizia che in quel momento era reclusa a San Vittore. Quindi quando abbiamo potuto l’abbiamo contattata e abbiamo ideato e scritto il documentario. Lavorare a questo documentario è stato molto complesso ma emozionante al tempo stesso. In sei mesi abbiamo ripercorso la storia di un grande amore, la storia di una famiglia a capo di un grande marchio del made in Italy ma anche una storia di grande dolore e di rinascita. Quella che abbiamo cercato di raccontare non è solo la storia di Patrizia e di un omicidio ma anche quella di due rampolli della Milano bene, della Milano da bere. Una favola in cui domina l’estetica del lusso vissuta attraverso i protagonisti che sembrano usciti dalle copertine delle riviste patinate più famose del mondo e location mozzafiato all’interno delle quali si sviluppano le vicende. È un documentario che sta facendo il giro del mondo e tutti i riscontri sono incredibilmente positivi. Sia per la struttura narrativa ma anche per come sono riuscita a far aprire la signora Reggiani, che per la prima volta ha confessato aspetti inediti».

Ha avuto modo di interloquire anche con la diretta interessata e se sì con quale reazione?
«Siamo state con Patrizia Reggiani per alcuni giorni per poterla intervistare. Lady Gucci è una donna ambiziosa ma anche molto passionale. Un vero e proprio personaggio cinematografico. Ha una grande forza di volontà mista ad un’indole naif. Dopo aver conosciuto Patrizia ho capito perché il grande Ridley Scott abbia scelto di fare un film su questa vicenda. Quella di Lady Gucci è sempre stata una vita da romanzo, degna di essere portata sul grande schermo per la complessità che l’ha contraddistinta. Un’esistenza caratterizzata da grandi contrapposizioni, dall’amore all’odio, dalle frequentazioni del jet set internazionale a quella con Pina Auriemma, da ville e barche da capogiro alla prigione. La domanda che molti si pongono è: chi è veramente Lady Gucci? Chi è veramente Patrizia Reggiani: una lucida criminale mandante di uno degli omicidi più chiacchierati della storia o una donna ingenua caduta in una trappola che ha saputo sfruttare le sue debolezze? Il documentario rispetta la verità processuale e si attiene ai fatti».

Il delitto Gucci, risalente ormai a 30 anni fa, si inserisce in un contesto di fatti di cronaca nera che hanno progressivamente appassionato i media, sia pure con diverse modalità. Come crede ci si debba porre dal punto di vista del cronista investigativo rispetto al pubblico nella loro narrazione?
«Per quanto riguarda questo delitto non credo ci sia stata morbosità da parte dei media. Cosa che io cerco sempre di evitare nella narrazione di tutti i casi che vado a trattare. Bisogna raccontare i fatti ma non andare per tesi e rispettare sicuramente le vittime e i familiari. Tutelarli il più possibile. Ma tornando al caso Gucci ripeto, non credo ci sia stata morbosità. Questa storia ha davvero dell’incredibile e più che un fatto di cronaca nera assomiglia alla sceneggiatura di una serie tv. Una sorta di Dynasty italiana che è partita dalla splendida Firenze e ha fatto il giro del mondo».

Aveva dichiarato alla Gazzetta del Mezzogiorno di essere in procinto di dedicarsi alla regia di due progetti per l’autunno: a che punto è arrivata nella realizzazione?
«Siamo in procinto di consegnare per andare in onda tra novembre e dicembre. Si tratta di una docu serie, di cui sono autore e regista, in due puntate per Rai doc, sulla storia della banda della Uno bianca che andrà in onda su RAI 2 in prima serata nel nuovo contenitore CrimeDoc. Una vicenda che ha sconvolto l'Italia a cavallo tra gli anni 80 e 90, e che non finisce mai di stupire. E poi proprio quest'anno, nel 2021, sulla storia della Uno bianca si sono riaccesi i riflettori. Sia perché una parte dei parenti delle vittime chiede la riapertura delle indagini sia perché è uscito un libro di Eva Mikula, giovanissima amante, all'epoca dei fatti, di uno dei leader della banda Fabio Savi, a cui l'ex compagno ha risposto duramente tramite una lettera al Resto del Carlino. E ci saranno anche altre dichiarazioni e testimonianze inedite all’interno della docu serie. Inoltre come regista e autrice sto finendo di montare un documentario su uno dei più feroci serial killer italiani: Maurizio Minghella che andrà in onda su Discovery canale Nove. Questi due documentari sono prodotti dalla Verve Media Company. Mentre con la casa di produzione di Lady Gucci, la Videa Next Station sto lavorando, sempre insieme a Marina Loi, ad un'altra storia che andrà in onda nella primavera del 2022 a cui si è anche ispirato Garrone per il film Primo amore. Si tratta di Marco Mariolini, il collezionista di Anoressiche. Oltre a questi documentari che sono in procinto di consegnare, ho molti altri progetti importanti in cantiere sia come regista che come autrice».

Dalla Puglia ai grandi network, quale pensa sia stata la sua marcia in più?
«Ho studiato molto e mi sono impegnata. Oltre ad aver fatto tanta gavetta, che ovviamente non si finisce mai di fare. Negli ultimi anni poi complici idee brillanti e grande gioco di squadra sono arrivati ottimi risultati. Credo che la mia marcia in più sia proprio la disciplina e l’amore per il gioco di squadra, oltre a tanta curiosità e creatività».

Guardando indietro e pensando al suo percorso, e in prospettiva futura, quali sono i suoi rammarichi e quali le sue aspettative?
«Non ho rammarichi anzi credo di aver fatto tutto ciò che desideravo fare, le mie sono state tutte scelte ponderate dove mi sono impegnata tantissimo. Credo che l’impegno ripaghi davvero. Forse unico rammarico non avere più vicino a me il mio grande maestro Giorgio Medail, volato via per una malattia qualche anno fa, mi manca moltissimo: è lui che mi ha insegnato il mestiere di autrice televisiva. Ora sono anche una documentarista e questo per me è un grande orgoglio, sono riposte tutte qui le mie aspettative. Ho grandi storie da raccontare e non vedo l’ora di continuare a farlo».
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DONNE Michela Paolino, la mia Cenerentola attuale di Giuseppe Bosso

Incontriamo Michela Paolino, scrittrice varesina che ci parla della sua ultima fatica letteraria, edita da L'ArgoLibro

Come nasce Cenerentola in quarantena e da cosa ha tratto ispirazione?
«Cenerentola in quarantena nasce un po' per gioco. Ho scritto i primi capitoli sotto forma di racconti, per rispondere a un'iniziativa della rete bibliotecaria della mia provincia, Varese, che prevedeva la pubblicazione di brevi testi su un proprio blog. Da lì nella mia testa si è delineata tutta la storia, ed è arrivata l'idea di stilare un vero e proprio romanzo. Una storia attuale, ispirata dalla situazione anomala che tutti noi ci siamo trovati (ed in parte ancora ci troviamo) a vivere».

Matilde, la protagonista, simbolicamente rappresenta, con l’evento di cui parla nel libro e che ovviamente lasciamo scoprire alla curiosità dei lettori, la delusione per un’attesa tradita e il sapersi rimboccare le maniche anche di fronte all’avversità che ha rappresentato il covid?
«Sicuramente rappresenta una delusione all'inizio. Ma poi, la situazione che vive, passa dall'essere negativa, all'essere speciale. Quello che sembra solamente un periodo no, diventa un periodo diverso e sorprendente. Questo è un po' il messaggio positivo e di speranza che vorrei passasse: a volte dietro una situazione apparentemente nera, può nascondersi l'inaspettato e rivelarsi ancora più bello, e per l'appunto speciale».

In che modo ha cercato di promuovere la sua opera, tenuto conto delle limitazioni che, ora in calo, per molto tempo ha avuto la possibilità di andare per l’Italia a fare presentazioni?
«Proprio per via delle limitazioni ho promosso il mio romanzo principalmente online, tramite social e con iniziative via Instagram che hanno goduto di un ottimo seguito. Ho inoltre avuto la fortuna di collaborare con alcune scuole, con "presentazioni tramite schermo", e solo per un paio di classi dal vivo».

In prospettiva futura valuterebbe la possibilità di una trasposizione cinematografica o televisiva del racconto?
«Assolutamente sì! Anche se al momento mi sembra un sogno molto lontano. Ma la vita mi sta insegnando che non bisogna mai dire mai, quindi chissà...».

Chi è Michela Paolino, oltre la promettente scrittrice che sta acquisendo visibilità con i suoi libri?
«Michela è una giovane donna, che lavora come impiegata presso un'azienda attiva in campo internazionale (sfruttando gli studi linguistici). In parallelo, però, sente la necessità di dare sfogo alla parte artistica di sé. Così scrive (sia per narrativa, che per il proprio blog), ogni tanto disegna, e coltiva una passione per la moda, che per lei è anche un importante mezzo di espressione. Inoltre ama viaggiare, esplorare i dintorni, praticare sport, e stare in compagnia di famiglia e amici. Insomma, è una giovane donna che non si annoia mai!».
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