Archivio
Telegiornaliste anno XVII N. 27 (677) del 13 ottobre 2021
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TGISTE Raffaella
Di Rosa, consumare le scarpe
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Raffaella Di Rosa,
inviata del tg di La 7.
Raccontare l’Italia al tempo del Covid per uno dei principali tg:
com’è cambiata la tua giornata tipo da quando questa pandemia è entrata
nel nostro quotidiano?
«Sono entrata nella bolla del covid lavorando, il 25 febbraio del 2020.
Quando fui mandata a Lodi a raccontare la zona rossa da fuori. Poi sono
arrivate Bergamo Nembro Alzano Brescia Milano. E la vita era
strettamente collegata al lavoro, anzi per i primi tempi è stata lavoro
e basta. Perché la vita, quella vera, era congelata. Adesso due anni
dopo, conviviamo ancora con questa pandemia ma è più facile guardarla da
fuori. Ormai tutto quello che facciamo è strettamente condizionato da
quello che abbiamo vissuto. Le nostre abitudini le nostre percezioni, il
modo di vivere, è cambiato tutto. La socialità è diversa, ogni giorno
inseguiamo la normalità sapendo che nulla è come prima».
Sei stata in prima linea in questi mesi, raccogliendo per esempio
testimonianze al momento delle prime somministrazioni del vaccino: hai
riscontrato più speranza o sconforto nelle persone che hai intervistato?
«All’inizio era speranza, gioia. Chiunque si vaccinasse non vedeva l’ora
di dirlo. Postava la foto del suo vaccino, fermava quel momento come se
fosse l’inizio della svolta. E lo era in qualche modo, molti si
commuovevano. Anche tra i medici c’era una grande emozione, forse per
quella luce in fondo al tunnel che ripagava di tante fatiche. Dopo un
po’ si è capito che ci si poteva riammalare lo stesso, che la guardia
non andava abbassata, che sarebbe stato un passaggio cruciale ma non
definitivo. Perché la convivenza con il virus sarebbe durata a lungo.
Più che sconforto è subentrata un po’ di rassegnazione. Accettare che la
vita adesso è questa».
Parlando dal tuo punto di vista di inviata di uno dei principali tg,
questi anni possono ritenersi comunque un’occasione di crescita per il
doversi confrontare con un’emergenza improvvisa che ha cambiato le
nostre vite?
«Sicuramente ci ha messo davanti tutti, di ogni classe sociale e di ogni
luogo del mondo, di fronte a una cosa che non potevamo controllare e che
ci ha stravolto. Con tutte quelle morti che abbiamo smesso di contare ma
che segnano profondamente la storia del mondo. Ha tirato fuori una
fragilità che prima era nascosta, negli adolescenti per esempio. messi
di fronte ad una prova durissima. Ha anche accentuato le diseguaglianze,
generando una crisi economica che alcuni stanno pagando più di altri. Io
spero che sia un’occasione di crescita sì. Qualità della vita ambiente
lavoro sanità, spero per esempio che si dia più attenzione proprio alla
sanità che ha subito troppi tagli in questi anni».
Gioie e dolori di una vita da inviata di uno dei principali tg.
«A me piace fare l’inviata, mi piace andare in giro e parlare con le
persone. Mi piace capire le cose, “consumarmi le scarpe” e tornare a
casa stanca la sera ma fiera di aver aggiunto un pezzettino di più al
mio racconto. Anche se si va sempre meno in giro e il lavoro è cambiato
tanto negli ultimi anni, quando si può questo mestiere mi piace farlo
cosi. Lo sanno anche i miei figli che a volte mi dicono “tu non vieni
spesso a prendermi a scuola” oppure “non puoi fare continuamente servizi
su questa cosa perché dopo un po’ non interessa a nessuno!”».
In prospettiva futura ti piacerebbe passare alla conduzione o ami il
lavoro sul campo, da ‘suole che si consumano’ come ha detto Papa
Francesco’?
«Sono abituata a stare fuori, mi sento a mio agio e mi diverto ancora.
Un po’ di conduzione l’ho fatta con il tg Cronache su La7 per
circa tre anni condotto dal lunedì al venerdì dalla collega
Caterina Bizzarri e il fine
settimana da me: è stata una bella esperienza, per me era la prima
conduzione, ho imparato cose nuove mi sono messa alla prova e
confrontata con un modo diverso di “usare” la telecamera, mi è piaciuto.
Se capitasse l’occasione lo rifarei. ma senza smettere di andare sul
campo».
C’è tempo per gli affetti?
«C’è sempre tempo per gli affetti, ci deve essere! È una vita a volte
frenetica in cui bisogna correre per riuscire a tenere insieme tutto.
Figli marito genitori fratelli amici e lavoro. Io ho bisogno di
ritagliarmi tempo per ‘la casa’ e ho imparato a farlo ormai senza
quell’ansia che da più giovane mi faceva venire il senso di colpa (oddio
non farò quel servizio, oddio non andrò io in quel posto). Inseguo
un equilibrio, ci provo insomma». |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TUTTO TV Cuori,
la nuova serie Rai di Silvestra Sorbera
Al via domenica 17 ottobre la nuova fiction Rai
con Matteo Martari, Daniele Pecci e Pilar
Fogliati.
Stiamo parlando di Cuori, la serie tv che
sarebbe dovuta partire a metà settembre dando il via all'autunno
Rai ma che, per diversi motivi, è slittata di un mese.
Siamo a Torino, verso la fine degli anni 60,
Cesare Corvara è il Primario delle Molinette,
e fondatore del primo reparto di cardiochirurgia italiano.
Corvara lavora assistito da Alberto Ferraris un uomo
gentile e mite.
A scombussolare gli equilibri lavorativi ci pensa
Delia Brunello, una cardiologa dall’orecchio assoluto
che arriva da New York e che, nonostante la grande
capacità diagnostica, ha sempre faticato ad
affermarsi in un mondo ancora maschilista. A volerla a
Torino è stato Cesare, che però forse non ha fatto i conti
sulle conseguenze della sua decisione. |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
DONNE Raffaella Romagnolo, Di luce propria
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Raffaella Romagnolo, scrittrice, che ci racconta
della sua ultima fatica letteraria, edita da Mondadori ed
ambientata nell'Ottocento, ma molto attuale a ben vedere.
Raffaella, come nasce Di luce propria e da cosa ha
tratto ispirazione?
«Dopo Destino, il mio precedente romanzo ambientato
nella prima metà del Novecento, desideravo allargare lo
sguardo alla storia nazionale immediatamente precedente. Uno
dei miei personaggi, Domenico Leone, era stato uno dei Mille
e, seguendo lui, leggendo insomma cose garibaldine, ho
scoperto l’esistenza del fotografo Alessandro Pavia. Un
patriota e, a modo suo, un visionario. Si era infatti messo
in testa di ritrarre tutti i reduci dell’impresa
raccogliendo tutte le loro immagini in un album. L’Album dei
Mille, appunto. Pavia sperava di vendere il suo meraviglioso
manufatto a tutti i comuni d’Italia, che immaginava accesi
del suo stesso sacro fuoco patriottico. Ma scoprì a sue
spese che l’Italia appena nata era un paese straccione,
analfabeta, poco propenso a gettare denari nell’acquisto di
un album fotografico. La parabola esistenziale di Alessandro
Pavia, il suo entusiasmo e la sua inevitabile e dolorosa
disillusione, sono state per me la via d’accesso a quel
mondo postrisorgimentale che pomposamente arreda le nostre
città con le sue piazze Mazzini e i suoi Garibaldi a
cavallo, ma che è, nei fatti, un po’ dimenticato».
Possiamo definire Antonio, il protagonista, un
personaggio che pur muovendosi in un contesto di due secoli
fa un uomo del nostro tempo?
«Mi piace scrivere romanzi ambientati nel passato, che cerco
di ricostruire come meglio posso. Ma sono anche consapevole
che, quando si guarda indietro, lo si fa con gli occhi del
presente, e con le domande che il presente ci pone. E quindi
sì, anche Antonio Casagrande, il protagonista di Di luce
propria, è un uomo indagato e raccontato a partire da
uno sguardo, diciamo così, contemporaneo. Provo a fare un
esempio. L’orfano Antonio Casagrande – che non ha idea di
cosa sia una famiglia - impiega buona parte del libro a
farsene una tutta sua. E finirà col mettere in pratica
un’idea di paternità molto diversa da quella comune ai suoi
tempi e decisamente più vicina al nostro modo di intendere
il rapporto padre-figlio».
E anche l’Italia dell’epoca in cui è ambientata la sua
opera, da poco unita ma tutt’altro che prospera e
caratterizzata da profonde disuguaglianze sociali, la
ritiene non molto diversa dal presente in cui viviamo?
«Senza negare le profonde diseguaglianze in cui viviamo, non
si può non dire che l’Italia oggi, rispetto a quella di
Antonio Casagrande, è un paese prospero e democratico. La
percentuale di votanti nell’Italia postrisorgimentale era
irrisoria. Una trasformazione che ci è costata lacrime e
sangue. Penso ai fatti di Milano di fine secolo, le
cannonate di Bava Beccaris sulla folla in piazza per il
pane, non a caso al centro esatto del romanzo. Penso
all’avvento del fascismo, cuore del mio romanzo precedente,
Destino. Chi oggi parla di dittatura sanitaria
dovrebbe riprendere in mano i libri di storia».
Quali sono stati finora i riscontri che ha avuto da parte
dei lettori con cui, anche per ragioni legate al covid, ha
avuto modo di interagire via social più che in incontri dal
vivo, comunque fortunatamente ripresi a poco a poco?
«Vivo con meraviglia e curiosità la trasformazione a cui la
pandemia ci ha spinto. Non ho potuto fare cose a cui ero
abituata ma ho imparato a farne di nuove. Ho incontrato di
persona lettori e lettrici solo durante l’estate, a oltre
due mesi dall’uscita di Di luce propria. Con un’intensità
che non sentivo da tempo, ho percepito la gioia di
incontrarsi grazie a un romanzo. Che poi è quello che deve
fare la letteratura, penso: metterci in contatto, indagare
l’umanità che ci affratella».
Le sue opere sono state tradotte all’estero in varie
lingue, tra cui tedesco e arabo. Pensa, simbolicamente, di
poter ‘contaminare’ altre culture con le sue storie, anche
reciprocamente?
«La traduzione è un’esperienza molto coinvolgente. Per la
relazione con le traduttrici, innanzitutto. Le loro domande,
la loro lettura attentissima, ti obbligano a rivedere il tuo
testo da una prospettiva nuova, qualche volta spiazzante,
sempre feconda. E poi per l’incontro con i lettori. Prima
della pandemia ho girato soprattutto nei paesi di lingua
tedesca. Nel 2019 ho presentato Destino a Berlino.
Era il 25 aprile e mi sono trovata a raccontare dell’eccidio
della Benedicta, cioè del più grande eccidio di partigiani
della nostra storia nazionale. Un’emozione fortissima, una
possibilità di cui sarò sempre grata all’editore tedesco e a
i numerosi lettori presenti quel giorno».
Finito un libro, se ne inizia un altro: è già all’opera
anche lei per il prossimo?
«Sto lavorando ancora ad un romanzo ancora legato al Borgo
di Dentro, ambientazione di Destino e Di luce
propria. La vicenda principale si svolge subito dopo la
Seconda guerra mondiale, in piena ricostruzione. Sono
all’inizio, intravedo la fisionomia dei personaggi, studio
le loro emozioni e relazioni; è un momento che mi piace
molto, quello dell’avvio di una nuova storia. Vivo,
pulsante, carico di possibilità». |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
|