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Telegiornaliste anno XVII N. 8 (658) del 3 marzo 2021
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Leonarda Girardi, dare voce
di Giuseppe Bosso
Intervistiamo questa settimana
Leonarda Girardi, giornalista foggiana.
Come si è avvicinata al mondo del giornalismo?
«Durante un esame universitario, una mia amica mi ha chiesto di scrivere
per un settimanale locale Il Veltro, che stava nascendo proprio
in quel momento nella mia zona, i Monti Dauni. Sono stata a lungo
corrispondente di Biccari, il mio paese, trattando aspetti di attualità
e costume».
Qual è stato l’evento o l’esperienza che ritiene l’abbiano
maggiormente segnata?
«Sicuramente la mia prima "prima pagina", ma soprattutto il modo in cui
essa è nata. Come corrispondente dei Monti Dauni ho dato sempre voce al
grido d'aiuto dei sindaci dei piccoli comuni. Questo mio interesse mi ha
portato fino a Volterra, in occasione di una manifestazione ed per le
bellissime vie della città, alla presenza di centinaia di primi
cittadini ed associazioni dei comuni più piccoli d'Italia.
Quell'episodio mi ha fatto comprendere quanto - nel nostro piccolo -
ciascuno di noi giornalisti possa essere d'aiuto a fare sentire la voce
di persone, comunità e storie, che meritano di essere raccontate».
Raccontare una dimensione provinciale le sta stretto o sente maggiore
responsabilità?
«Sento una grandissima responsabilità nel dare voce ad una dimensione
locale. I Monti Dauni sono una zona spesso dimenticata da tutti, perché
costituiti da paesi piccoli, difficilmente raggiungibili, lontani dalla
classica idea di turismo. Far conoscere queste terre, presentare talenti
di questi posti e nuove opportunità, far scoprire a tutti un nuovo modo
di fare turismo - tra ritmi lenti e sapori buoni - è sempre stata la mia
piccola grande missione».
Giù dal ring è un’esperienza che le ha permesso di far
scendere in campo talenti della provincia foggiana: cosa ricorda?
«Il “dietro le quinte”. Ricordo sempre con piacere la mia esperienza
radiofonica a
Radio
Irene: al mio primissimo giorno di trasmissione, un ospite mi
disse “ora che hai iniziato a fare radio, non riuscirai mai più a starne
senza”. Ed è vero! Mi manca tantissimo la radio ed il clima che si
respirava in studio: competenza e talento di tantissimi cantanti,
autori, ricercatori, arricchiti ovviamente dalla musica che rendeva
divertentissimi ed indimenticabili i momenti in cui si spegnevano i
microfoni e si alzava il volume della musica».
Cosa farà prossimamente?
«Continuerò a svolgere il mio lavoro da “profe” di Lettere in provincia
di Brescia, ma non abbandonerò la mia vocazione giornalistica. Ho aperto
un
blog in cui parlo delle mie passioni: i miei viaggi, la moda,
il costume, la cucina, con uno spazio riservato a
Protagonisti, ossia interviste di personalità ed
attività secondo me ammirevoli per iniziative e coraggio, che - spero -
possano trasformarsi in un appuntamento settimanale condiviso sui
social».
Come ha dovuto affrontare, anche in considerazione del suo lavoro di
docente, i cambiamenti che ha comportato la pandemia per la vita di
tutti noi?
«La pandemia, per tutti noi, ha portato con sé un cambiamento radicale;
come in tutti i settori, tantissime sono state le difficoltà legate
all’utilizzo di nuovi linguaggi. Nel mondo del giornalismo le interviste
sui social hanno preso il posto di quelle con carta e penna;
nell’insegnamento, la DaD è stata uno stravolgimento totale che ha
cambiato la vita di tanti insegnanti, studenti e famiglie. Trovarsi
dall’oggi al domani a fare lezione dietro un pc, a rinunciare al
contatto fisico e visivo, ha cambiato del tutto il metodo di studio e di
insegnamento. Per non parlare, poi, dei dispersi scolastici che in
questa situazione sono stati ancor di più lasciati indietro, senza
possibilità di intervento da parte di noi insegnanti. Tuttavia,
rimanendo in tema scolastico, la pandemia ha insegnato a tutti noi ad
essere più abili nel mondo tecnologico, a scoprire anche diversi
linguaggi più vicini alle nuove generazioni».
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TUTTO TV Lolita
Lobosco, la nuova poliziotta di Raiuno
di Silvestra Sorbera
È arrivata su Rai Uno una nuova poliziotta tutta
pepe: si chiama Lolita Lobosco e non rinuncia
alla sua femminilità per inseguire un malvivente;
tacco 12 e rossetto, accento barese e il
comando in pugno, la nuova eroina ha il volto di
Luisa Ranieri. Tratta dai romanzi di Gabriella Genisi,
Lolita riesce sempre nel suo intento.
Un commissario di polizia così a Bari non se l’erano
mai nemmeno immaginato: Lolita Lobosco detta Lolì,
trentasei anni, occhi sempre accesi, lunghi
capelli corvini e una quinta di reggiseno che
negli uomini evoca la pienezza dei frutti
mediterranei. Se avesse paura delle maldicenze
dei colleghi e dei notabili, non avrebbe certo
scelto di fare la poliziotta. E invece ha deciso di
seguire con spavalderia la propria vocazione:
combattere le prepotenze, riportare l’ordine
nella vita degli altri, farsi rispettare dai maschi
senza rinunciare a nessuna vanità.
Perché mai dovrebbe fare a meno della cura della bellezza
e della cucina, doti di una vera donna del Sud?
Ma in questa vigilia natalizia anche per lei le cose
si fanno terribilmente complicate.
E sì che tutto era cominciato alla grande: da
anni non si ricordava un dicembre così caldo, e lei se
n’era andata in questura scoperchiando il tetto della
sua Bianchina con un cd di Roberto Murolo a
tutto volume.
Al commissariato, però, l’attende una sorpresa: c’è
un arrestato, le dicono, uno stimato
professionista, con il golfino di cachemire e le
mani tanto curate, accusato di violenza sessuale.
Ordinaria amministrazione, almeno finché́ Lolì non
incrocia lo sguardo dell’incriminato: quell’uomo
lei lo conosce bene. E subito capisce che, oltre a far
trionfare la giustizia, questa volta dovrà anche difendere
sé stessa.
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DONNE Candida
Livatino, dietro gli scarabocchi
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di
incontrare nuovamente la scrittrice, giornalista
e grafologa
Candida Livatino, per parlare della sua ultima
fatica letteraria, da poco in libreria per Mursia edizioni.
Dagli scarabocchi alla firma, un titolo che
potrebbe metaforicamente rappresentare anche il percorso di
crescita di ognuno di noi?
«Esattamente. Iniziamo a scarabocchiare da bambini,
esprimendo quello che è il nostro mondo interiore, le nostre
curiosità e le nostre paure. Da alcuni segni si può capire
se il bambino sarà un adulto grintoso, una volta raggiunta
la maggiore età. La firma è il nostro biglietto da visita:
quando firmiamo poniamo il nostro marchio, spesso con una
grafia diversa da quella che usiamo nel testo. La scrittura
può cambiare a seconda dello stato d’animo del momento, ma i
segni cardine, rimangono e sono quelli che identificano la
personalità dello scrivente».
Hai analizzato nel libro la scrittura di personaggi di
ieri e di oggi, da Rossini a Trump: ci racconti come hai
sviluppato i vari profili?
«Il grafologo attraverso la scrittura riesce a cogliere
aspetti nascosti del carattere di una persona, non sempre
uguali a quelli che appaiono a prima vista. Trump ha una
firma angolosa, direi spigolosa, indice di un carattere
aggressivo se viene contestato e contrastato, come può
succedere ad un bambino al quale viene tolto il suo
giocattolo, quello che è emerso sostanzialmente nelle
vicende successive alla sua sconfitta alle elezioni, che
hanno portato Joe Biden a sostituirlo. È interessante però
vedere come con la mano alla fine, torna indietro: questo è
un segno che fa trasparire le sue debolezze e il bisogno di
autoproteggersi. Oppure prendiamo ad esempio Giacomo
Leopardi, che viene sempre identificato come l’emblema del
pessimismo. Alcuni tratti della sua scrittura fanno invece
emergere un lato ottimistico ed una certa propensione a
relazionarsi con gli altri, a ulteriore conferma che la
scrittura riesce a cogliere aspetti dell’animo umano del
tutto nascosti. Come diceva padre Girolamo Moretti, la
mano traccia il gesto, ma è l’anima che esprime la forma».
Anche protagonisti della cronaca nera tra i profili che
hai passato in rassegna, come Pietro Pacciani e Donato
Bilancia: davvero la scrittura è in grado di rivelare una
mente criminale?
«Sì, come ho scritto sulla
mia pagina Facebook, grafologia e criminologia
possono dare un supporto alla soluzione di casi intricati,
ovviamente apportando ognuna il proprio specifico
contributo. Alcuni tratti di una particolare scrittura
possono rappresentare il segno di un malessere o di disturbo
di personalità. Pensa ad esempio al caso di Antonio De
Marco, l’infermiere arrestato per il delitto dei due
fidanzati di Lecce dello scorso autunno. È un ragazzo
disturbato: la scrittura fa trasparire i suoi problemi,
l’accumulo di rabbia che è sfociata fino al gesto estremo.
Lo scritto di Pacciani occupa interamente il foglio, dando
un senso di confusione o meglio di ossessione. In molti suoi
scritti ci sono immagini e rappresentazioni a sfondo
sessuale, ad evidenziare che nella sua mente malata c’era un
connubio tra eros e morte. Donato Bilancia scrive in
stampatello, perché non vuole fa capire chi è in realtà, si
maschera e questo genera in lui delle forti tensioni».
Cosa raccomanderesti a chi volesse entrare nel mondo
della grafologia?
Per diventare grafologo bisogna frequentare delle scuole
specializzate per una durata di almeno tre anni, ma poi è
importante anche approfondire alcuni aspetti della
grafologia attraverso dei corsi di specializzazione. È anche
importante essere dotati di una certa sensibilità e di un
buon intuito, che sono di aiuto all’analisi tecnica che
viene condotta».
Ha mai avuto modo di esaminare la scrittura di
telegiornaliste?
«Non per i miei libri. Ho delle amiche che lavorano nelle
redazioni di Mediaset che mi hanno chiesto dei pareri sulla
loro grafia, ma solo in forma privata».
Si può mentire attraverso la scrittura?
«Per quanto si possa cercare di imitare la scrittura di
qualcun altro, alcuni segni, come la velocità e il ritmo,
gli arresti, la pressione che si imprime sul foglio e altri,
fanno capire ad un grafologo che si tratta di un tentativo
di imitazione. La scrittura poi non mente per quanto
riguarda la personalità di chi scrive: le sue paure, le sue
ambizioni, i suoi stati d’animo e molto altro emergono
comunque».
Nel tuo libro c’è un capitolo dedicato agli scarabocchi,
che cosa rivelano?
«Quando siamo al telefono o stiamo ascoltando qualcuno
durante una riunione, quasi senza accorgersene iniziamo a
fare degli scarabocchi. Mentre la nostra mente è focalizzata
su quello che stiamo ascoltando, la mano corre senza
inibizioni né limiti e dà libero sfogo a pulsioni e
fantasie. Sono innumerevoli i tipi di scarabocchi che
vengono fatti e, prendendo in esame i più ricorrenti, nel
mio libro, rivelo che cosa nascondono». |
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