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Telegiornaliste anno XVI N. 21 (638) del 9 settembre 2020
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Alessandra
Pazzanese, raccontare il Cilento di Giuseppe Bosso
Conduttrice di
Pagine
del Cilento, incontriamo la giornalista
Alessandra Pazzanese.
Come sta vivendo il Cilento l’estate del Covid, dal suo punto di
vista? Come ha reagito la popolazione alle restrizioni durante il
lockdown e con quali prospettive questo territorio affronterà i prossimi
mesi pieni di incertezze?
«È una domanda difficilissima perché bisognerebbe rispondere sia dal
punto di vista di tutti quelli che in questa terra vi hanno investito e
hanno scelto di rimanerci, di costruirvi il loro lavoro e la loro
famiglia, sia dal punto di vista di quanti scelgono questa meravigliosa
terra per trascorrervi i loro giorni d'estate. Bisognerebbe capire loro
come hanno vissuto questa estate così particolare, priva di tanti eventi
estivi meravigliosi che danno tanto respiro alle attività commerciali e
quindi ai lavoratori di molti piccoli paesi dell'entroterra e permettono
a tanti visitatori di ammirare anche i borghi dimenticati. Dal punto di
vista professionale, dopo mesi di grandi rallentamenti, ho fatto
rinascere in me la speranza. Io vivo a Roccadaspide e qui il Forum dei
Giovani, ad esempio, è stato capace di organizzare un bellissimo evento
estivo pur rispettando tutte le norme anticontagio, giustamente ancora
in vigore: i giochi medioevali di Santa Sinforosa che da secoli si
tengono nella cittadina. A Trentinara, per fare un altro esempio, i
visitatori hanno continuato a raggiungere il borgo per ammirarlo e non
c'è stata una riduzione significativa dell'affluenza turistica,
fortunatamente. Ancora ad Ottati ho avuto l'opportunità di presentare l'Ottati
Etnomusic Festival che, nonostante le tante norme da rispettare, si
è svolto nella massima sicurezza e tranquillità. Sono cose che mi
lasciano un bel ricordo di questa estate, nonostante le difficoltà e mi
ridanno la speranza. Quindi non posso far altro che pensare che i
prossimi mesi il mio Cilento li affronterà rimboccandosi le maniche per
rialzarsi dinanzi ai problemi, come sempre».
Come nasce Pagine del Cilento?
«Pagine del Cilento è una trasmissione che esiste da circa 15
anni e va in onda, attualmente, su
Telecolore (canale 16), l'emittente storica di Salerno e
dintorni che ha un pubblico importante anche nel napoletano e in altre
regioni. È nata da un'idea di operatori preparati e dalla lunga
esperienza, come Alfonso Verruccio che oggi è il direttore di
trasmissione e il mio cameraman. Un'idea geniale, secondo me, perché
permette a tutti di avere una vetrina per promuovere ciò che di bello
fanno nelle realtà del Cilento e per diffondere le informazioni che
riguardano queste aree, anche le più piccole. Ho iniziato a collaborare
circa 10 anni fa. Forse il primo servizio l'ho fatto ancora prima perché
ricordo riguardava l'inaugurazione del Ponte sul Fiume Calore che
collega Aquara a Roccadaspide. Successivamente ho iniziato a raccontare
Roccadaspide, la mia terra e da lì sono stata coinvolta sempre di più
dalla redazione tanto che oggi ne faccio parte come coordinatrice. Ne
sono felice perché a Pagine del Cilento devo tanto, nel corso degli anni
ho visitato centinaia di paesi e conosciuto tantissime bellissime
persone».
In questi anni quali servizi o interviste l’hanno coinvolta
maggiormente?
«Come dicevo Pagine del Cilento si occupa di promozione
culturale, ma anche di informazione e nel mondo dell'informazione ci
sono arrivata a 16 anni tramite il settimanale Unico,
successivamente ho scritto per Il Corriere dello Sport Campania,
Metropolis, Cronache e attualmente sono una collaboratrice
del quotidiano La Città. Ci sono tanti servizi che porto nel
cuore, mi sembra quasi impossibile sceglierne solo alcuni, ogni persona
incontrata, ogni parola detta ce l'ho impressa nella mente. Conservo un
ricordo indelebile della mia prima notizia pubblicata in prima pagina,
avevo 17 anni e andavo ancora a scuola e la redazione di Unico creò la
prima pagina con il richiamo di un mio articolo dedicato alla canzone Il
Terzo Fuochista di Massimo Venturiello e Tosca e ispirata a
Castel San Lorenzo. Allo stesso modo non posso dimenticare la fiducia
che ho avuto da parte degli amministratori locali che mi hanno sempre
coinvolta per permettermi di lavorare sul territorio. Uno dei primi a
fidarsi della mia scrittura e a chiamarmi per darmi le notizie che
riguardavano Roccadaspide fu Girolamo Auricchio, ex sindaco della mia
città, e attuale vicesindaco nell'amministrazione retta da Gabriele
Iuliano, fu un grande stimolo a migliorarmi per me. Per quanto riguarda
le sensazioni più forti e commoventi che mi da questo lavoro posso dire
che le provo sempre quando lavoro sulla cronaca nera, è stato anche
molto difficile per me iniziare a trattarla: non posso non piangere
quando parlo dei giovani vittime della strada o di malattie infami.
Ultimamente penso spesso a Chicco, un bambino di Stella Cilento che a
soli 5 anni ha lottato come un leone per sconfiggere il tumore e che è
venuto a mancare qualche mese fa. Intervistai per la mia trasmissione i
suoi dolcissimi genitori pochi mesi prima dell'irreparabile e narrai la
sua storia sul quotidiano La Città, e penso che la sua storia
resterà per sempre nel mio cuore».
Le sta stretto il contesto locale o l’essere portavoce di questa
ampissima comunità la appaga?
«Il contesto locale non mi sta stretto. Io amo queste terre e so bene
che per andare lontano bisogna avere radici forti ed io sono fortunata a
sentire di averle. Certo ci sono dei momenti in cui vorrei scappare dai
giudizi degli altri, sono paesi piccoli e i giudizi, anche negativi,
sono inevitabili, specie quando ci si conosce tutti, ecco vorrei
imparare, dovrei farlo, a comprendere questi giudizi, a farne anche
tesoro e a non rimanerci male».
Gioie e dolori di una giornalista cilentana.
«Scegliere di lavorare nel settore della comunicazione in contesti
piccoli dove comprensibilmente le priorità sono altre rispetto alla
promozione culturale giornalistica e dove conosci tutti e sei
continuamente esposto ai giudizi, non è facile, ma le difficoltà si
superano con l'amore. Quando vedo i miei borghi in festa mi brillano gli
occhi, quando racconto la storia di una persona che vive qui e ha
bisogno di essere visibile io torno a casa felice. Questo mi da la
spinta per continuare».
In futuro darà priorità al successo professionale o alla vita
privata?
«Ho un progetto per me importante dal punto di vista delle pubblicazioni
giornalistiche e per il futuro questa sarà la mia priorità perché ho
promesso a me stessa di portarlo a termine. Per quanto riguarda la vita
privata, riesco a coltivare i miei affetti perché ho la fortuna di
essere circondata da persone che, quando mi assento a lungo per i troppi
impegni, mi capiscono». |
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Franca
Valeri, l'estate dell'addio
di Silvestra Sorbera
Questa estate, appena dopo aver spento le cento
candeline, ci ha lasciati la grande Franca Valeri.
Attrice di successo, dall'ironia piccata e
sagace, ha tracciato un solco all'interno della
storia televisiva di ieri e anche di domani.
La vita di Franca Valeri non è stata certo
semplice. La madre cattolica e il padre ebreo
hanno fatto sì che la sua esistenza venisse sconvolta
dagli accadimenti della seconda guerra mondiale; le
leggi razziali hanno portato via all'attrice e
alla sua famiglia molti dei loro averi ma la giovane
Franca non si è mai data per vinta riuscendo a
ritrovare la serenità perduta.
Gli anni '50 e '60 sono stati quelli del grande
successo, da Federico Fellini ai monologhi
delle "signore di Franca", come poi riscontrò anche in
televisione con fiction note al grande
pubblico coma Nonno Felice con il grande
Gino Bramieri, Caro Maestro con Marco
Columbro e infine Linda e il Brigadiere
con Nino Manfredi. |
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DONNE Valeria
Cipolli, indole creativa
di Tiziana Cazziero
Incontriamo Valeria Cipolli, poliedrica scrittrice (e non
solo) che ci racconta il suo percorso e le sue opere.
Ciao Valeria e grazie per il tuo tempo. Parlaci di te,
quando ti sei avvicinata alla tua arte?
«Ho un'indole artistica da quando ne ho memoria ma ho
trovato un mio stile e una mia sintesi personale, un modo di
fare arte che mi caratterizza, come spesso accade, in un
periodo difficile della mia vita quando come per
compensazione, quasi a voler far luce nel buio che stavo
vivendo sono arrivate le donne bianche dei miei quadri, che
ho soprannominato Fanusie prendendo in prestito la
parola greca fanòs che significa luminoso. Sono state
provvidenziali e ancora oggi sono rimaste protagoniste dei
miei dipinti».
La crepa preziosa, un’opera singolare e
particolare. Parlaci di questo libro, cosa tratta?
«La crepa preziosa è una silloge poetica che analizza
le crepe e le cicatrici dell'anima in un'ottica “orientale”
e auspica di valorizzarle una ad una con l'oro della poesia,
prendendo spunto dal rituale nipponico del kintsugi
che ripara le crepe del vasellame con una speciale miscela
dorata che le rende ancora più preziose. Ogni sofferenza se
vista dalla giusta prospettiva può essere ristrutturata,
l'imperfezione è perfezione, la mancanza è compresenza».
Dove trovi l’ispirazione per la tua creatività?
«Sono sempre stata una persona molto creativa, il mio
immaginario è fatto di cose nascoste, suggerite ma non
mostrate, è fatto di lune, ancestralità, mare, sciamani,
surrealtà, urobori e si arricchisce continuamente: un odore
verde, un sapore d'infanzia, un ricordo negli occhi, i
colori delle spezie, una musica all'incontrario, gran parte
della mia ispirazione viene proprio dalle esperienze
sensoriali, singole o miscelate tra loro in modo paradossale
e antitetico; anche e soprattutto quelle che possono
apparire le più banali mi schiudono mondi immensi perché
quando la surrealtà è il tuo modus vivendi, il modo con cui
ti approcci alla vita ogni piccola cosa diventa una piccola
cosa extra-ordinaria. Credo che la mia creatività derivi dal
mio modo di vedere surreale, alternativo, guardare la vita
da una prospettiva non ordinaria, quella generalmente meno
battuta».
Quando ti sei avvicinata alla scrittura?
«Ero molto piccola. Mi è sempre piaciuto scrivere, ricordo
che scrissi il mio primo libricino a dieci anni (ben dieci
pagine!) e lo regalai alla mia maestra di italiano che ne fu
entusiasta. Si intitolava Salatlantide e raccontava
la storia di un esserino minuscolo proveniente dalla
sommersa Atlantide che per sbaglio si ritrovava catapultata
nel mondo degli uomini. Da quel momento non ho più smesso».
Com'è avvenuto il tuo ingresso nel mondo editoriale.
Parlaci di quel momento, quando hai esordito con un tuo
libro?
«È avvenuto nel 2017 quando ho vinto il Premio Nazionale di
Poesia Giovane Holden Edizioni, casa editrice viareggina, in
seguito è stata pubblicata la mia prima raccolta Ti
stappo gli occhi. È stato un momento molto emozionante:
vedere che l'emozione dei miei versi si era trasformata in
un sentimento comune, condiviso che era arrivato a
destinazione».
Nelle tue opere c’è un tema ricorrente? Dolore e voglia
di rinascita dalle proprie sofferenze?
«Nelle mie opere (e per opere intendo anche quelle
pittoriche perché amando la fusione dei linguaggi passo
dall'uno all'altra come fossi una “pendolare tra parole e
colori”) è centrale la sinestesia e il paradosso che si
traduce anche nei quadri con dei paradossi visivi (pietre
sospese nel cielo, bicchieri pieni di notte). Il tema
ricorrente di molte mie poesie è la voglia di esplorare
l'animo umano, la ricerca identitaria più o meno portata a
termine anche perché noi che dovremmo conoscerci meglio di
chiunque altro spesso siamo i prima a nasconderci e a
costruirci gabbie di autoinganno. Molte delle mie poesie
sono tese all'autoindagine e a trovare un cocktail giusto
per rinascere dal dolore».
Ti stappo gli occhi, un titolo particolare, che cosa
vuole significare? Parlaci di questo testo.
«Cosi particolare che quasi tutti sbagliano a scriverlo!
Grazie, sono contenta che lei l'abbia scritto correttamente!
Quando ho scelto il titolo o il titolo ha scelto me, avevo
messo in conto che si sarebbe prestato alle più disparate
storpiature. Del resto questo accostamento è inedito, chi
penserebbe di primo acchito a stappare degli occhi? Con
questo titolo metaforico al di là dell'analogia di forma che
accomuna a livello morfologico gli occhi a dei tappi, ho
voluto alludere a tutte quelle situazioni in cui ci troviamo
davanti a un'incrostazione conoscitiva e comunicativa anche
con noi stessi, una difficoltà nel percepire i nostri reali
desideri o le intenzioni degli altri. Chi di voi ha mai
sentito il bisogno di vedere dentro gli occhi di qualcuno,
darci anche solo una sbirciatina perché il riflesso esterno
che rimandano non vi basta? Stapparmi gli occhi è stata
un'operazione terapeutica e catartica di introspezione ma
anche di conoscenza dell'altro».
Cosa fai nella vita quando non scrivi?
«Ho una formazione classica e linguistica e quando non
scrivo mi occupo di lingue e traduzioni. Poi c'è la pittura
a cui ho accennato prima che mi sta dando molte
soddisfazioni e che mi auguro possa trasformarsi in un
lavoro un giorno».
Hai altri progetti per il futuro con la scrittura?
«Non mi piace fare progetti di solito ma si, ho un progetto
editoriale linguistico che riguarda il Cimrico, più
comunemente detto gallese, una lingua celtica poco
conosciuta che ho imparato molti anni fa e di cui ho redatto
una grammatica e che adesso è in cerca di un editore».
Cosa ha significato per te giungere alla pubblicazione
delle tue opere?
«È stata una grande soddisfazione personale! Poter prendere
in mano il testo che prima era solo nella mia mente, vederne
le lettere stampate, annusare la carta (eh sì, faccio parte
di quella categoria di lettrici che ama annusare i libri),
vedere la copertina illustrata da me, è un’emozione che si
rinnova ogni volta che lo sfoglio. L'ultima raccolta però
l’ho dedicata a mia nonna che è mancata da poco: quando ho
scritto la dedica avevo le lacrime agli occhi; tutto il
significato di quest'ultimo libro per me sta in quelle tre
parole».
Come classificheresti il genere dei tuoi libri?
«I miei libri sono sillogi poetiche. Amo moltissimo la
poesia, è il genere che prediligo sia nella lettura che
nella scrittura. È la forma che mi è più congeniale in
assoluto perché mi permette di concentrare le parole al
massimo. Amo giocare con le parole, renderle ”secrezioni
emotive” come le definisco nei miei versi, coniarne di
nuove, accostarle ad altre afferenti a sensi diversi. La mia
è una poesia sensoriale, liquida e ricca di immagini, un po'
“pittorica”, evocativa, che vuole trasmettere emozioni
fisiche, suggerire senza mostrare».
Perché un lettore dovrebbe leggere un tuo libro. Cosa
potrebbe trovare?
«La poesia oggi giorno è un genere poco battuto e proprio
per questo gli direi di dargli una chance. Si crede forse,
erroneamente a mio avviso, che la poesia richieda uno sforzo
decifrativo maggiore da parte del lettore rispetto alla
narrativa perché è più criptica o più difficile, o forse
viene semplicemente associata a noiosi ricordi scolastici.
In realtà come diceva Neruda “una volta scritta la poesia
non è più di chi l 'ha scritta ma di chi la legge”, proprio
per questo al lettore arriva libera, scevra da
condizionamenti. Credo che la poesia non vada “capita” nel
senso etimologico del termine (in latino il verbo capio
significa prendere con la forza, afferrare) ma vada sentita.
E cosa c'è di più spontaneo e naturale del sentire? Del
lasciarsi andare alla consonanza/risonanza con chi l'ha
scritta?».«La poesia oggi giorno è un genere poco battuto e
proprio per questo gli direi di dargli una chance. Si crede
forse, erroneamente a mio avviso, che la poesia richieda uno
sforzo decifrativo maggiore da parte del lettore rispetto
alla narrativa perché è più criptica o più difficile, o
forse viene semplicemente associata a noiosi ricordi
scolastici. In realtà come diceva Neruda “una volta scritta
la poesia non è più di chi l 'ha scritta ma di chi la
legge”, proprio per questo al lettore arriva libera, scevra
da condizionamenti. Credo che la poesia non vada “capita”
nel senso etimologico del termine (in latino il verbo
capio significa prendere con la forza, afferrare) ma
vada sentita. E cosa c'è di più spontaneo e naturale del
sentire? Del lasciarsi andare alla consonanza/risonanza con
chi l'ha scritta?».
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