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Archivio Telegiornaliste anno XV N. 29 (611) del 30 ottobre 2019
 
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TGISTE Francesca Sancin, Gt Ragazzi un pezzo di cuore di Giuseppe Bosso

Incontriamo Francesca Sancin, inviata del Tg3.

Come si è svolta la sua carriera, in sintesi?
«Da bambina ero quella che, se c’era il tema, a ricreazione stava ancora lì a tirar giù righe di inchiostro… preciso però che negli altri giorni ero a correre a razzo inseguendomi coi compagni! Mi è sempre piaciuto scrivere, è qualcosa che fa profondamente parte di me. Ma per quanto un’idea sia radicata, non sempre è facile intravedere la via. Per questo credo sia responsabilità degli adulti aiutare i ragazzi a farlo. Spiegare quali sono gli ostacoli, ma anche per quali pieghe del cuore passa la strada verso i propri desideri. Io ci ho messo un po’ a mettere a fuoco il mio itinerario. Prima mi sono laureata in archeologia e poi ho insegnato. Alla scuola di giornalismo di Perugia sono arrivata a trent’anni. Il mio primo contratto in Rai è stato per la Rainews24 di Roberto Morrione. Poi il Tg3, che è ancora la mia casa».

Cosa ricorda del periodo a Gt Ragazzi e cosa le ha dato?
«Al Gt Ragazzi ho lasciato un pezzo di cuore. Anche coi colleghi della squadra di quegli anni è rimasto un legame speciale. Lavorando per i ragazzi non puoi dare niente per scontato. Quindi impari a spiegare e, possibilmente, a farlo senza annoiare lo spettatore. Lavoravamo molto anche coi “live” e continuo a prediligerlo come modo di raccontare. Grande cura anche per il montaggio, che è restato un mio pallino, per così dire».

Quali differenze ha riscontrato tra il pubblico dei ragazzi e quello adulto?
«L’importante è stabilire una connessione. Capire a chi stai parlando e aver sempre ben chiaro che hai il privilegio e la responsabilità di raccontare qualcosa che hai visto coi tuoi occhi… per il resto non ci sono grandi differenze. Anche se forse i ragazzi sono degli ascoltatori più attenti».

Due anni fa l’abbiamo vista partecipare ad una pedalata in Trentino: ci racconta questa esperienza?
«Confesso di non ricordarmi alcuna pedalata in Trentino… probabilmente è la prova che giro come una trottola! Però ricordo una pedalata qualche mese fa sui colli bolognesi! Era un giorno di pioggia battente; eravamo su una tappa dell’Appennino bike tour. La cosa più difficile è stata reggere il gelato con la sinistra, mentre pedalavo e, con la destra, reggevo il manubrio, badando a mantenere la giusta distanza tra la mia ruota e quella dell’intervistato».

Il servizio o l’intervista che le ha dato maggior soddisfazione?
«Quando posso dar voce alle persone che hanno problemi. Un esempio. Una mamma di sessant’anni, con la figlia adolescente disabile grave, costretta a portarla a scuola spingendo la carrozzina in salita per oltre un chilometro. Nel suo comune di residenza non è previsto il servizio di trasporto scolastico per gli studenti delle superiori».

Gioie e dolori di una vita da inviata.
«La partenza a bruciapelo è sempre difficile emotivamente. Anche perché, quando ci viene richiesta in cronaca, 9 volte su 10 è per andare a seguire, ovviamente, qualcosa di grave. Un terremoto, il crollo di ponte Morandi, un femminicidio. E tutto quello che vedi, ascolti, racconti, comunque ti lascia un segno. Nello stesso tempo questo lavoro – soprattutto in queste occasioni – ti fa fare incontri straordinari a livello umano. E vedere posti e realtà che, altrimenti, difficilmente avresti incrociato».

Le piace il nostro sito?
«Sì. Ho sempre trovato molto azzeccata l’idea di un sito sulle telegiornaliste. Ho solo qualche perplessità sul rosa. Magari su questo si potrebbe girare pagina».
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TUTTO TV Neva Leoni, Involontaria... mente positiva di Giuseppe Bosso

Presentata in anteprima lo scorso settembre a Milano in occasione della seconda edizione di FesT (Festival delle serie tv) è in arrivo a novembre su Mtv Involontaria, realizzata in coproduzione con Officine Buone e Fondazione Cariplo, con il supporto di Engie e Gruppo San Donato. Una serie girata interamente a Milano presso l'Istituto Nazionale dei Tumori, il Policlinico San Donato, l'Hospice Vidas e gli studi di Radio Italia; volontariato e musica tra reality e commedia, abbiamo il piacere di parlarne con la protagonista, Neva Leoni, ormai attrice popolarissima e apprezzata dal grande pubblico.

Ciao Neva, ti ringrazio per la disponibilità: come nasce Involontaria e come ti sei trovata a interpretare Greta, questo personaggio che trova una svolta di vita coniugando musica e volontariato?
«Involontaria nasce dallo straordinario lavoro di officine buone e dalla loro volontà di far vedere il volontariato non sotto la solita luce pietistica di buoni samaritani, ma come una grande occasione di gioia e umanità e divertimento! Il loro obiettivo era creare un prodotto nuovo che incoraggiasse a vedere il volontariato con una nuova prospettiva e ci sono riusciti brillantemente con la loro prima serie “involontario”, senza il successo della quale oggi non saremmo qui a parlare».

Un “dramedy” che si prefigge di innovare il modo di fare e comunicare il volontariato, rendendola come un’opportunità straordinaria per i giovani di divertirsi, crescere e essere utili al sociale nello stesso tempo: possibile nell’epoca di oggi?
«Credo che sia possibile, e anzi che molte associazioni già lo stiano facendo. Il volontariato è un regalo straordinario che si fa agli altri come a se stessi, e spero che la nostra avventura aiuti altre persone a scoprirlo!».

Perché proprio il genere indie come colonna sonora della serie?
«Le generazioni più giovani sono molto legate a questo genere musicale, quindi suppongo fosse giusto che una serie che vuole parlare ai ragazzi adottasse una colonna sonora che loro possono riconoscere».

Oltre che a protagonisti di spessore avete potuto contare sulla partecipazione di “guest” davvero speciali da Levante a Federico Russo e alla presentazione, in occasione del recentissimo Festival delle serie tv di Milano, di una tua collega come Sarah Maestri che pur non prendendo parte alla serie vi ha dimostrato tutto il suo sostegno: sono segnali positivi dal tuo punto di vista per la buona riuscita del progetto?
«Spero assolutamente di sì! Molti artisti hanno preso a cuore il progetto e ne siamo molto riconoscenti».

Da anni ti conosciamo come interprete di fiction di successo come Che Dio ci aiuti o Il Paradiso delle Signore e di film come Smetto quando voglio: cosa rappresenta per il tuo percorso questo nuovo passo?
«Quando mi contattarono per questo progetto non conoscevo l’associazione o la serie precedente, ma mi accorsi subito che si trattava di un lavoro di cuore, che poteva essere incredibilmente divertente e stimolante. È stato un lavoro faticoso, con orari lunghi e tanti paletti da rispettare (visto che abbiamo girato in dei veri ospedali in piena attività) ma è stato un lavoro di gruppo, con una squadra straordinaria che si rimboccava le maniche e andava avanti. E, a fine giornata, potevi essere davvero soddisfatto del tuo lavoro».

Cosa vuoi dire a Officine Buone, che ha ideato la serie?
«Continuate a lavorare come state facendo, con la stessa cura e lo stesso amore e senza mai perdere la voglia di prendervi un po' in giro! Sono sicura che il futuro vi riserva cose meravigliose e tutto l’amore che portare nel mondo vi tornerà indietro».

In caso di buon successo credi ci potrà essere un’ Involontaria 2?
«Penso che gli ingredienti ci siano tutti».

E, volontario o involontario, nel domani di Neva cosa ci sarà?
«Chi può dirlo?».
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DONNE Joni Mitchell, l’arte a tutto tondo di Giuseppe Bosso

Parlare di arte significa abbracciare tutto ciò che l’ingegno dell’uomo, e ovviamente della donna, è in grado di sviluppare nelle più svariate forme, siano un quadro, una scultura o anche musica.

La storia ci ha raccontato e ci racconta di personaggi straordinari, che con il loro talento hanno saputo emergere in ogni ambito, ma c’è anche chi ha saputo manifestare la propria creatività in più di un campo, ed è quello che ha fatto la canadese Joni Mitchell, apprezzata tanto come cantautrice quanto come pittrice.

Nata a Fort Macleod ma ben presto trapiantata a Saskatoon, mentre il mondo stava vivendo gli ultimi tragici momenti del secondo conflitto bellico, mostra fin da bambina l’amore per la musica, in particolare per il pianoforte, cercando già allora di comporre proprie melodie, nonostante venga presto colpita da una grave forma di poliomielite che, però, come ancora oggi racconta, rappresenterà proprio il momento chiave in cui deciderà di dedicare la sua vita, appunto, all’arte.

Talentuosa con il pianoforte, Joni non dimostra meno dimestichezza quando, a dodici anni, scopre di avere passione anche per la pittura; le due passioni si possono combinare, ed è per questo che decide di rinunciare agli studi universitari per inseguire un sogno bello e difficile, che inizia a costruire a Toronto, capitale della musica folk, dove il suo percorso si incrocia con quello di altri giovani di belle speranze come Neil Young e Leonard Cohen.

Ma le difficoltà non tardano ad arrivare: i soldi sono pochi e come se non bastasse si ritrova, poco più che ventenne, ragazza madre di una bambina frutto di una relazione con un compagno di college. Incontra Chuck Mitchell, che diventerà suo compagno sul palco e nella vita, che però le imporrà di dare in affidamento quella bambina appena avuta; il duo diventa ben presto famoso tra i locali di Detroit, dove si trasferiscono, e nel resto degli States; ma il sodalizio non durerà a lungo.

La svolta per Joni Mitchell è il 1968, proprio mentre il mondo vive la grande contestazione giovanile; si trasferisce a New York dove conosce Tom Rush, che rimane colpito dal testo di Urge for Going, composto da Joni e che diventerà un pezzo da hit parade, cantato da George Hamilton IV; a quel successo altri ne seguiranno in breve, e il nome dell’autrice diventerà ben presto popolare e ricercato dai cantanti più famosi; tra questi David Crosby, che diventerà in breve suo nuovo compagno e la farà scritturare dalla Reprise Records con cui inciderà il suo primo album da solista, Song to a Seagull.

Nel 1971 vince, con il suo terzo album da solista, il suo primo disco d’oro, ma il successo non basta a compensare i disagi e i tormenti che la attanagliano: il successo, dice, può emarginarti in tanti modi.

È tempo di cambiamenti, e cosa meglio può essere per un’artista poliedrica come lei che il cercare nuovi stimoli in un nuovo genere musicale quale il jazz? Siamo nel cuore degli anni ’70, e la persona che spingerà Joni a questo nuovo “amore musicale” è Charles Mingus, artista dalla vita tormentata che però non riuscirà a sopravvivere alla sclerosi multipla, che non permetterà il completamento dell’album su cui stavano lavorando da tempo.

Gli anni ’80 e ’90 vedono Joni Mitchell alternarsi tra musica pop ed elettronica, senza tralasciare l’altra grande passione, la pittura, con esposizioni che riscuotono grande successo.

Finalmente, sul finire del millennio, arrivano, dopo decenni di lavoro e impegno, le meritate gratificazioni e i riconoscimenti al talento di questa straordinaria artista, che nel 1997 è la prima donna canadese ad essere inserita nella Rock and Roll Hall of Fame. Un’artista che, pur alle prese con una vita personale problematica (solo da pochi anni ha ritrovato quella figlia che aveva abbandonato appena nata) e mai tenera con le major discografiche, ancora oggi continua a essere un’icona artistica a tutto tondo.
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Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
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