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Archivio Telegiornaliste anno XV N. 9 (591) del 13 marzo 2019
 
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TGISTE Imma Della Corte, ogni giorno una sfida di Giuseppe Bosso

Incontriamo Imma Della Corte, giornalista e imprenditrice, volto dell’emittente RTC Quarta Rete di Cava dei Tirreni.

Hai cominciato sulla carta stampata al quotidiano La Città, ritornato in edicola dopo alcuni giorni ed il licenziamento della redazione tutta, dei poligrafici e di tutti i dipendenti. Cosa pensi a riguardo?
«Voglio esprimere la mia solidarietà ai colleghi licenziati in tronco da un giornale che ha chiuso e poi riaperto con lo stesso titolo, in una situazione eticamente e giuridicamente non molto chiara, con il tentativo di riassunzione solo di alcuni giornalisti della redazione storica, fatto ancor più bieco. Per me il giornale lo fanno i giornalisti che vi lavorano con sacrificio in qualsiasi orario del giorno e della notte, non la proprietà… il nuovo “vecchio” quotidiano conserva soltanto il nome e la grafica di quello che negli anni è stato La Città per i territori cui ha dato voce».

La tua giornata tipo.
«Nasco come libero imprenditore, mi occupo di Web e di Marketing, e lavoro principalmente in questo senso per poi dedicare al giornalismo e a RTC Quarta Rete i momenti di confronto redazionale e la sera del venerdì per la trasmissione On, che gestisco con la redazione; cerchiamo temi caldi sul territorio sia cavese che della costiera amalfitana, temi di interesse da approfondire con ospiti mirati; è il risultato di una bella collaborazione, che si alterna tra il momento del dibattito, quello dell’intervista singola ed il momento in cui si da a voce alle persone per strada. Abbiamo avuto ospiti importanti come Paolo Ferrero, Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Edmondo Cirielli, Mara Carfagna, Michele Cammarano… tanti punti di vista diversi sia sulla politica nazionale che locale».

Ti sta stretta la dimensione provinciale?
«Cava dei Tirreni è una base per il mio lavoro primario e per quello da giornalista; la dimensione locale grazie a Internet e alla possibilità di collegarsi con il resto del Mondo non è un problema, ti permette di fare sede in città dove hai i tuoi affetti e di interagire con tutti».

Sei molto impegnata anche negli eventi formativi che l’Ordine della Campania organizza dalle tue parti: cosa ne pensi?
«Ringrazio il presidente Ottavio Lucarelli per quello che fa; come ho raccontato in occasione dell’evento che abbiamo organizzato a Cava alla Mediateca lo scorso dicembre tengo molto a queste occasioni, per cui lo tampino giorno per giorno fin da quando iniziamo ad organizzarli – ride ndr – e cerco di svilupparli sia tenendo conto di eventi accaduti sul territorio che per conoscenze che ho avuto la fortuna di avere e voglio condividere con i colleghi. Sono molto legata all'incontro che mi ha permesso di portare a Cava il giornalista Rai, Francesco Brancatella, che ha lavorato a Tv 7 e che ha girato il mondo e ci ha portato il suo reportage realizzato a Palmira, in Siria, splendida città ubicata nel deserto che purtroppo è stata distrutta due giorni dopo dall'Isis. A dicembre invece tutto è nato dall'incresciosa vicenda di un collega che aveva raccontato delle violenze subite da una bambina facendo chiaramente capire di chi si trattasse; sono molto legata al sociale e ho preso a cuore questa vicenda, ho saputo dei pianti che ha fatto questa bambina per l’esposizione mediatica che si è trovata ad affrontare… sono mamma, so bene quanto sia importante per un figlio sentirsi difeso dai propri genitori come lo sono i miei».

Il filo diretto con il cittadino e con le istituzioni quanto è importante per te?
«Tanto. Le istituzioni vanno raccontate e descritte sia quando operano in bene che quando lo fanno male. Per me la politica deve sempre essere fatta per il cittadino; quando veniamo definiti quarto potere credo che si intenda non la forza dei mezzi, ma il nostro essere trait d’union tra cittadino e vita politica; non mi piace l’allontanamento che ho riscontrato negli ultimi anni, che ha facilitato l’emergere dei populismi, molto pericolosi. Il nostro compito è proprio quello di far tornare il dialogo tra politica e cittadino, e far capire che chi governa è un essere umano come noi che ha voglia di realizzare delle cose per cui è spinto da idee e non interessi personali».

I tuoi prossimi impegni?
«Spero di portare a termine On fino a giugno; nonostante come ben noto i fondi per l’editoria siano rivolti ormai solo ai grandi mezzi le piccole realtà come Rtc Quarta Rete riescono ancora a raccontare al meglio i loro territori con lo sforzo e l’impegno delle loro anime che si sporcano le mani e le scarpe camminando giorno dopo giorno, con editori che sanno lasciare la giusta indipendenza. Mi piacerebbe provare la radio, non so come sarà la mia voce in quel contesto, ma è una bella sfida che vorrei affrontare. C’è bisogno di un modus agendi diverso rispetto al mezzo televisivo, solo voce rispetto alla TV dove conta la capacità di parlare ma anche la mimica facciale e una certa gestualità. In queste ultime cose mi aiuta il mio essere donna del Sud (ride, ndr)».

Qual è stato l’evento che ti ha maggiormente coinvolta?
«La mia prima volta in video; con la carta stampata c’è più tempo per riflettere e pensare. Ricordo che intervistai l’allora presidente della provincia di Salerno Edmondo Cirielli, ed ero molto emozionata sia per le telecamere che per l’importanza del personaggio con cui stavo interagendo. Vivo ogni giorno del mio lavoro amando tutto ciò che faccio, è un lavoro che cambia nel settore del marketing, una sfida continua».

Imma mamma e Imma giornalista come convivono?
«Sono la stessa persona; ho sempre avuto un grande amore per i ragazzi in generale, e ho organizzato incontri al liceo scientifico prima che ci arrivasse mio figlio da studente con autori come Pino Aprile e la questione meridionalista, Claudio Sona che non ha partecipato da tronista ma da autore che raccontava la sua omosessualità che l’ha vissuta non sempre sotto i riflettori ma con la difficoltà di raccontarlo alla famiglia e uscire allo scoperto. C’è un intreccio che mi ha portato a impegnarmi perché i miei figli amassero la verità, la lettura, la cronaca e l’informarsi sempre; i ragazzi non devono subire la notizia ma imparare a leggerla a più voce, senza fermarsi ad una sola fonte, o altrimenti le informazioni non hanno lo stesso valore».

Rispetto a dieci anni fa guardandoti indietro sei riuscita a realizzare le tue aspettative?
«Non ho rimpianti, ma voglia di continuare a sfidarmi. Lo insegno anche ai miei figli, rimodulare i propri sogni è una cosa che bisogna saper fare per andare avanti; l’importante è sapere di aver fatto tutto per poter realizzare quello che c’è nel tuo cassetto; nel mio dieci anni fa ce n’erano tantissimi, alcuni li ho realizzati, altri abbandonati, ma è sempre pieno. E lo sarà sempre finché vivrò».

Ti sei mai dovuta confrontare con proposte indecenti o compromessi?
«Durante la mia vita professionale è capitato di impattare con proposte indecenti e richieste di compromessi. Le proposte indecenti sono anche proposte lavorative senza fondamento o richieste di lavorare non retribuiti. C’è gente che ti offrirebbe la luna, inutile nasconderlo, l’importante è essere coerenti con sé stessi e saper dire no a queste offerte. Il compromesso non fa parte della mia figura, sono abituata a discutere, a relazionarmi con chi ha magari diverse idee da me ma che accetta il confronto».

E con la parola bavaglio?
«È una bruttissima parola che c’è sempre stata, ahimè, nella storia e anche nella letteratura, come ho avuto modo di affrontare con Federico Sanguineti quando ha presentato a Cava il suo libro, La storia letteraria in poche righe. Per mia fortuna non ci sono mai incappata…e del resto sarebbe molto difficile mettermi il bavaglio».
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TUTTO TV Perla Liberatori, doppiaggio col cuore di Giuseppe Bosso

È una delle voci più conosciute e apprezzate del doppiaggio italiano, che si è accompagnata ad attrici come Scarlett Johansson, Hillary Duff e Lindsay Lohan. Abbiamo il piacere di incontrare Perla Liberatori, da anni anche volto del Gran Galà del Doppiaggio che annualmente si tiene in occasione di Romics presso la Fiera di Roma.

Cosa si aspetta dal Gala del doppiaggio 2019? Può anticiparci qualcosa?
«Dal Galà non mi aspetto nulla di particolare, mi basta che sia un pomeriggio all'insegna della serenità e del divertimento, dove si festeggia il doppiaggio e tutti i suoi addetti».

Cosa rappresenta per lei questo appuntamento al quale è ormai legata da anni?
«Il Galà del doppiaggio di Romics rappresenta una parte fondamentale della mia vita, lo curo come un figlio affinché ogni anno possa migliorarsi e portarlo ai massimi livelli. Rappresenta un modo per stare insieme, per assaporare la bellezza di questo lavoro e per ascoltare voci incantevoli e x celebrare come meritano».

Quali sono i momenti che maggiormente ricorda delle ultime edizioni?
«Il momento più emozionante è stato due anni fa quando ho premiato mio figlio che aveva 5 anni come una delle "vocine dal futuro", premio che abbiamo indetto da due anni per premiare i piccoli doppiatori che saranno il nostro futuro. È stato un momento molto tenero e mi sono rivista Io alla sua età, perché io ho iniziato più o meno come lui, a quell'età... è stato strano».

Nell’ultimo anno abbiamo assistito a una forte polemica tra l’attore Vincent Cassel e il mondo del doppiaggio: provocatoriamente, tra il serio e il faceto, cosa ne direbbe di assegnare un “Cassel d’oro” per il peggior doppiaggio, sulla scia dei Rizzie Awards?
«Si parla troppo del doppiaggio e troppo spesso purtroppo male, ormai abbiamo l'opportunità di scegliere cosa guardare e come guardarlo, quindi queste polemiche mi sembrano inutili e sterili. A volte il doppiaggio può non aver aiutato un prodotto, ma di certo non lo ha peggiorato: molto spesso ha migliorato e portato al successo un film, una serie, quindi mi piace che venga celebrato non demonizzato. Quindi non premierò mai qualcosa che potrebbe essere fatto male, anche perché so quanto impegno ci mettono tutti i miei colleghi».

Negli ultimi anni sono purtroppo venuti a mancare molti suoi colleghi: di chi sente maggiormente la mancanza?
«Purtroppo abbiamo perso tanti colleghi illustri e di tutti, almeno per quanto mi riguarda sento la mancanza! Sento la mancanza della professionalità, della serietà, di quello che hanno insegnato a tutti noi... ognuno di loro, chi più, chi meno ci ha lasciato una grande eredità e noi dovremmo essere capaci di portarla avanti nel migliore dei modi».

Dove potremmo “ascoltarla” prossimamente?
«Sicuramente mi sentirete presto sulla nuova serie della Casa di Carta e poi sto preparando altre nuove e bellissime serie e poi spero di poter continuare a dirigere perché è una cosa che mi piace molto, vedremo... incrociamo le dita! ».

Si sta affermando una nuova generazione di doppiatori: rispetto ai suoi esordi come è cambiato, secondo lei, il rapporto tra vecchia e nuova guardia?
«Sono cambiate moltissime cose da quando ho iniziato io, ora c'è meno voglia di investire sulle nuove persone, perché purtroppo i tempi sono più stretti, ci sono molte più regole x la sicurezza e quindi è diventato più complicato. Io nel mio piccolo cerco di aiutare questi nuovi ragazzi, ma mi rendo conto che non è molto e che è sempre più difficile; quello che gli posso dire è di non mollare e di non demordere. Di essere educati e mai spocchiosi, si avere pazienza perché prima o poi i risultati arrivano, se si umili e talentuosi: è un lavoro artistico che purtroppo non possono fare tutti, va trattato con rispetto e amore, non tanto x fare».

Negli ultimi anni è spesso ospite alle trasmissioni radiofoniche di Radio Cigliano, e non ho potuto fare a meno di notare che nei selfie inviati agli spettatori lei forma sempre un cuore con le mani: cosa rappresenta questo gesto?
«Il cuore è un modo x dire che amo questo lavoro, amo le persone che lo fanno e che lo seguono e x dire a chi mia ami, amici, parenti o ammiratori, che li amo e che farò sempre questo mestiere con amore e passione».
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DONNE Nunzia D’Aniello: eccomi Nero su bianco di Tiziana Cazziero

Incontriamo la scrittrice e giornalista Nunzia D’Aniello, che ci parla della sua pubblicazione, da poco in libreria, Nero su bianco.

Ciao Nunzia e grazie per il tuo tempo. Nero su bianco è la tua prima opera, come nasce questo libro?
«Nasce dall’esigenza di mettere su carta idee e pensieri, forse anche un vizio considerando la mia professione. Nero su bianco è più, per quanto mi riguarda, un elogio ai sentimenti si, ma soprattutto alla libertà di potersi esprimere e di poter vivere la propria vita lontano da quelli che possano essere i pregiudizi che purtroppo ci condizionano da sempre».

Puoi raccontarci come il significato di questo titolo? Cosa narra la storia?
«Come dicevo poc’anzi Nero su bianco è una frase che accomuna forse un po’ tutti i giornalisti. È quello che da sempre fanno per mestiere e vocazione, la ricerca di una verità che non possa essere più impugnabile una volta trascritta su un foglio bianco con un tratto nero; è un viaggio verso se e/o dentro se attraverso volti, storie e ricordi, è la storia di 4 donne, ognuna così diversa dall’altra eppure tutte così intrinseche l’una nell’altra. Figlie di tempi diversi appartenenti però alla stessa verità: essere donna cosa significava e cosa significa oggi».

Quando è arrivata l’ispirazione?
«In realtà è un libro che nasce dieci anni fa, poi ovviamente è stato ripreso nel tempo. Ogni tanto qualche piccolo passo aggiunto oppure modificato anche in base poi alle nuove esperienze fatte e le nuove conoscenze».

Una curiosità che riguarda la prima presentazione del libro, come mai scegliere Gran Caffè Gambrinus?
«Gran Caffè Gambrinus, che ringrazio ancora per la disponibilità dimostratami, soprattutto da parte del direttore Antonio Sergio, è, come ben si sa, uno dei principali Caffè Letterari di Napoli e forse potremmo dire anche uno dei più importanti d’Italia. Di qui sono passati i più grandi scrittori del ‘900, uno tra tutti D’Annunzio, Oscar Wilde, Ernest Hemingway e ancora il filosofo Benedetto Croce, Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo... insomma, rappresenta la cultura, in tutto e per tutto. Non per ultimo ma perché forse ciò che più mi accomuna a questo posto, è che proprio lì tra quei tavolini, tra un caffè e l’altro, Matilde Serao e Edoardo Scarfoglio diedero vita al quotidiano il Mattino ed essendo una “pseudo giornalista” a confronto di una delle più grandi scrittrici italiane, è stato per me un qualcosa di unico. Non avrei mai potuto immaginare di potermi accomodare a quei tavolini e presentare una mia opera. Forse dovrei chiedere scusa ai tanti che sono passati di lì perché davvero non c’è alcun paragone. Al di là di questo, il mio è un libro che parla un po’ anche di Napoli e dell’amore per la propria città. E quando si parla di Napoli, si parla di caffè e per noi napoletani rappresenta tutto. Fa parte della nostra vita, della nostra cultura, un elemento fondamentale. Davanti ad un caffè i suddetti scrittori hanno creato opere memorabili e nel mio piccolo libro tante parti decisive hanno sullo sfondo quella tazzulella e cafè. La voglia, ma soprattutto la possibilità di poter offrire un caffè, in uno dei posti simboli della cultura napoletana e non solo, presentando una mia idea, un progetto».

Sei autrice e giornalista, come e quando nasce la passione per la scrittura?
«Io credo che nasce con te. Nel senso che ognuno di noi ha una dote, chi magari più sviluppata, chi meno, chi la coltiva di più e chi invece la fa morire. Anche quando magari mi sono un po’ allontanata, non sono mai riuscita a dirle addio: è na passione cchiù forte e’ na catena, ca te turmenta l’anime e nun te fa durmì. E infatti non mi faceva dormire, io devo scrivere sempre qualsiasi cosa basta che scrivo... quando non lo faccio, sento un prurito nella mano, è più forte di me, è l’unica cosa che mi fa stare bene sul serio. Poi non importa se viene letta oppure no, io devo scrivere. L’ho sempre fatto e credo che difficilmente riuscirò a non farlo che si tratti del mio mestiere o comunque di elaborati, scritti, poesie... io devo mettere nero su bianco sempre. Questa è la mia libertà».

Quando hai capito che nella vita volevi fare la giornalista?
«Non lo so – sorride e riprende, ndr – credo che non l’ho capito, l’ho sempre saputo. Raccontano di me che avevo presso a poco quattro anni e non sapevo leggere ma mi sedevo con un giornale in mano rigorosamente al contrario e fingevo di leggere, inventavo, raccontavo storie».

La tua vita da giornalista come si svolge nella sua quotidianità. Raccontaci di te.
«Nasco e sono prettamente una giornalista sportiva quindi diciamo che la mia quotidianità si concentra molto nel weekend, anche se faccio più cose, sono freelance e quindi mi occupo anche di portali online. E’ un corri, corri... sempre, ma non ne potrei fare a meno. A volte mi capita di stare dinnanzi al pc per 12 ore di seguito, sono stanca indubbiamente a fine serata, ma il giorno dopo se sono di riposo, poi mi manca. Non è facile, è un mestiere e un mondo complicato dove se ne dicono e se ne vedono tante, come si suole dire o lo odi o lo ami... ed io credo proprio di amarlo».

C’è qualche personaggio del passato o del presente che ha ispirato la tua professione? Se sì, chi?
«No, non credo. Forse c’è chi mi ha trasmesso dei doni o meglio delle passioni ovvero il riuscire in qualche modo a mettere insieme delle frasi oltre che di senso compiuto che siano anche gradevoli all’ascolto e poi la lettura, quella voglia di sapere, conoscere... cose che devo forse molto ai miei nonni materni. Mia nonna era una divoratrice di libri, mio nonno invece si dilettava nella scrittura».

Oggi il mondo editoriale è molto complicato e più difficile rispetto al passato, come vivi la tua esperienza e cosa pensi dei cambiamenti avvenuti negli ultimi anni?
«Indubbiamente non è facile e soprattutto c’è il rischio e la paura che questi tanti figli di carta prima o poi andranno svanendo. C’è chi forse come me non riesce ad immaginare di poter leggere un libro senza averlo tra le mani; è impensabile soprattutto se si considera quanto per un’amante della carta stampata sia di cruciale importanza l’odore dell’inchiostro su carta riciclata, poterla tenere tra le mani e toccare quelle lettere sul foglio che si rincorrono ad una ad una sino a creare pagine e pagine di libri, giornali e quant’altro. Viviamo nell’era del consumismo e del dinamismo ma credo che dietro tutto e tutti noi esistono comunque persone che facciano quel lavoro primordiale del quale non si può fare a meno, altrimenti le macchine che fanno? A parte questa filosofia spicciola e/o qualche idea mia strampalata, posso dire di vivere sia una che l’altra realtà e di essere a cavallo forse tra quello che è il conservatorismo di un mondo cartaceo e il futuro di un web sempre più immediato. Mi occupo sia di uno, che dell’altro aspetto e sono due mondi seppur di informazione entrambi ma totalmente diversi con regole e strutture diverse dedicate a target di persone molto differenti tra loro. Basta pensare che ho messo al mondo il mio figlio di carta ma per farlo conoscere a più persone mi avvalgo dei social e della loro informazione globale e immediata. Credo quindi che uno non possa sostituire ne vivere senza l’altro... c’è bisogno di entrambi per darsi forza e vita insieme».

Digitale o carta stampata? Qual è secondo te il futuro nel mondo editoriale?
«Non volendo ho anticipato la tua domanda e ti ho già risposto – sorride e riprende - c’è bisogno di entrambi. Bisogna crescere, maturare e confrontarsi con altre realtà, ma non si può dimenticare da dove si proviene. L’origine del digitale è senza alcun dubbio la carta stampata, il progenitore di un mondo che ha tanto ancora da evolversi e da imparare, ma non dimentichiamo che dietro ad un pc ci sono comunque sempre delle persone che seppur non più a penna ma su un foglio word mettono assieme parole, concetti, pensieri...».
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