Archivio
Telegiornaliste anno XIV N. 5 (552) del 7 febbraio 2018
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TGISTE
Annarita
De Feo, la verità non è mai difetto
di Giuseppe Bosso
Abbiamo il piacere di incontrare
Annarita De Feo, volto
di Vg21, il tg dell’emittente napoletana
Canale 21.
Come sei arrivata a Canale 21?
«Sono stata contattata dall’editore Paolo Torino: aveva analizzato
attentamente il mio curriculum vitae, che avevo inviato qualche mese
prima. Dopo un colloquio, il dottor Torino ha deciso di darmi fiducia e
lo ringrazio per avermi dato la possibilità di lavorare a Napoli, la
città dei miei sogni la capitale Mezzogiorno. Una grande occasione che
mi permette di mettermi in discussione ogni giorno, in ogni collegamento
esterno e conduzione vg».
Negli ultimi tempi purtroppo anche il Vg21 deve occuparsi
quotidianamente di episodi di delinquenza minorile, anche molto gravi:
quale deve essere il ruolo dell'informazione per fronteggiare questa
emergenza?
«La comunicazione è fondamentale per poter cercare di capire le
emergenze del momento e cercare di capire cosa non funziona. La
comunicazione orienta le masse e muovendo i tasselli giusti, si può dare
un contributo importante per marginare l'emergenza baby gang. Raccontare
gli episodi di violenza, qualunque essa sia è fondamentale per
incoraggiare le persone a ribellarsi alle ingiustizie, muovendosi con
tatto e rispetto della notizia. A volte può esserci un rischio
emulazione, ma le azioni sono personali e in gruppo diventano
convinzioni. Noi dobbiamo affrontare gli argomenti e cercare di ridurre
la devianza sociale».
Ma dal tuo punto di vista di laureata in sociologia non trovi
piuttosto riduttivo usare termini come baby gang o microcriminalità per
descrivere questi casi?
«Il caso o il fenomeno baby gang, che caratterizza la cronaca nera di
questi ultimi mesi in Italia e a Napoli, ci suggerisce di trovare il
disagio dei giovanissimi all’interno delle famiglie, forse lasciate
troppo sole. Mancano o funzionano affannosamente i consultori familiari,
i servizi sociali, che dovrebbero, a mio avviso essere un riferimento
già quotidianamente... bisognerebbe guidare le coppie alla
genitorialità. La società propone modelli e stimoli che vanno gestiti
con intelligenza. La famiglia è il primo nucleo sociale che un individuo
incontra ed è lì che bisogna dare regole e riconoscere eventuali
anomalie. Anomalie che vanno segnalate alle forze dell’ordine o agli
oratori delle parrocchie. La donna dà i ritmi in una famiglia, la mamma
è fondamentale per l’autostima di un individuo. Sarebbe d’aiuto
istituire nelle scuole (ma è un utopia) un'ora di volontariato nelle
strutture dedicate a ragazzi diversamente abili, perché in alcuni casi
l’integrazione arricchisce e induce alla solidarietà naturalmente».
Hai anche fatto molte attività di volontariato in passato: quanto
hanno inciso nella tua formazione giornalistica?
«Le mie attività di volontariato dalla Misericordia, al Centro per
disabili E. Aprea sono stati fondamentale formazione della mia identità
e professione giornalistica. Grazie all’associazione Donatori Nati della
Polizia di Stato (la cui presidenza onoraria è del capo della Polizia
Gabrielli e la presidenza affidata a Claudio Saltari) di cui sono
componente nazionale ho imparato a convivere con il dolore per la
perdita di mio padre. Donare il sangue aiuta a salvare tante vite, la
vita di mio padre è stata allungata per ben due mesi grazie alle
donazioni di tanti poliziotti. Per me e mio padre, due mesi sono stati
20 anni. Sono cresciuta imparando ad affrontare la vita con umiltà e
senza giudicare le scelte altrui, senza pregiudizi verso il prossimo.
Quando si fa volontariato si dà tanto, ma si prende tantissimo.
Come donna e professionista riesco ad essere tollerante e ho sviluppato
un profondo spirito di squadra, indispensabile nel lavoro. Inoltre,
occupandomi di cronaca nera e politica ,da anni cerco di raccontare con
il massimo rispetto le storie che mi trovo di fronte cercando di
chiedere maggiore attenzione alle Istituzioni politiche e civili,
laddove fosse necessario».
Donna e giornalista del sud di oggi: come lo definiresti?
«Donna e giornalista del sud? Fiera di essere irpina, terra di valori e
di eccellenze straordinarie. Orgogliosa di Napoli e del Sud, orgogliosa
della mia professione; è una grande sfida, ma noi donne siamo tenaci e
caparbie. Non molliamo. Studiamo, lavoriamo, facciamo sacrifici e
sappiamo apprezzare e custodire, quello che siamo riuscite a
conquistare».
Tante donne in redazione, esperte ed emergenti: più complici o
rivali?
«Siamo donne solidali e complici l’una con l’altra, cerchiamo di
incoraggiarci e sostenerci, non esistono retroscena meschini,
assolutamente. Ognuna di noi entra nelle case dei telespettatori, cerca
di dare il meglio di sé conservando la propria aura. Sono felicissima di
far parte di un sistema in cui si può solo crescere. Tutte bellissime,
brillanti le mie colleghe. Le donne vere uniscono e non dividono o si
dividono, ecco. Noi siamo donne con d maiuscola!».
Cosa ti fa venire in mente il domani?
«Beh, il domani mi fa un po’ paura ho perso il mio adorato papà, ho
perso Richy il mio amico a 4 zampe, da figlia unica è dura… i legami di
sangue vanno custoditi sempre. Ho una splendida mamma (Carmela), cugini
favolosi, zii straordinari principalmente Antonio e Nella. Spero di
essere una buona moglie e perché no, una buona madre, conservando sempre
il mio lavoro ed il mio impegno nel volontariato e curare il vigneto
secolare di famiglia a Manocalzati, in provincia di Avellino».
Ti sta stretta la realtà locale?
«Assolutamente no! Napoli è al centro del mondo, città spettacolare che
accoglie milioni di turisti... non solo offre una serie di eventi
culturali che danno la possibilità di raccontare e vivere realtà diverse
contemporaneamente. Napoli è una città cosmopolita c’è posto per parlare
di e con nazionalità diverse, osservare tutto e conoscere tutti».
Ti sei mai dovuta confrontare con parole come proposta indecente o
compromesso?
«Assolutamente no. Mai ricevute proposte indecenti o compromessi. Le
persone sanno riconoscere i propri interlocutori e poiché spesso vengo
additata come donna di ferro gli uomini, se è questo che vuoi
sapere, sono stati e stanno al loro posto».
E con la parola bavaglio?
«Il bavaglio? Mai! Guarda, una volta un uomo mi ha detto: tu sei
pericolosa, non sei una donna che mangia e dorme.. è vero! Sia nel
lavoro che nella vita privata ‘non le mando a dire’, cercando sempre di
conservare gli equilibri. Mio padre Antonio mi ha sempre detto la
verità non è mai difetto ed io ne ho fatto un motto personale, uno
stile mio». |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
TUTTO TV Baglioni-Hunziker-Favino,
il trio di Sanremo
di Giuseppe Bosso
L'attesa è finita. Il 6 febbraio, dopo mesi di
indiscrezioni e conferme, smentite e polemiche,
si alza il sipario dell'Ariston per l'edizione
numero 68 del Festival della Canzone italiana.
Inedito e intrigante il trio di conduttori che
ci accompagneranno nella cinque giorni sanremese, formato da
uno dei grandi signori della canzone italiana,
direttore artistico della rassegna (Claudio Baglioni),
dalla più esplosiva e frizzante delle conduttrici del
tubo catodico, reduce dalla conclusione trionfale
dell'ennesima edizione di Striscia la notizia
(Michelle Hunziker) e da uno dei più popolari
attori italiani, molto apprezzato anche a livello
internazionale (Pierfrancesco Favino).
Per Baglioni quello dell'Ariston è un gradito ritorno: nel
2014 partecipò in veste di superospite; per
paradosso che sia, nella sua ormai cinquantennale
carriera non ha mai calcato il palco in veste di
concorrente, ma nel 1985 si è visto conferire il
titolo di canzone italiana del secolo per la sua
immortale Questo piccolo grande amore.
Ritorno anche per Michelle Hunziker, che nel 2007
affiancò Pippo Baudo nell'edizione vinta da Simone
Cristicchi.
Curiosità, infine, per Favino, che si inserisce
nell'elenco di attori che hanno calcato il palco
dell'Ariston in passato, comprensivo, tra gli altri, di
Rocco Papaleo, Gabriel Garko, Luca e Paolo
oltre ovviamente alle splendide Anna Falchi, Sabrina
Ferilli e Manuela Arcuri, solo per citarne alcune a
caso. Sanremo per l'attore romano classe 1969 è l'ennesimo
riconoscimento di una carriera che ha conosciuto la
grande popolarità all'inizio degli anni Duemila
grazie alla sua interpretazione in L'ultimo bacio
di Muccino e, nel ruolo del Libanese,
nella serie cult Romanzo Criminale, che l'ha
portato anche ad approdare ad Hollywood al fianco di
big come Ron Howard e Brad Pitt, ma che in
realtà affonda le radici in una lunga e paziente gavetta
a partire dagli anni '90, fatta di tante parti e particine
oggi non molto ricordate, come ad esempio la serie
Amico mio al fianco di Massimo Dapporto dove
interpretava un giovane medico innamorato di una giovane
infermiera interpretata da un'altra stellina emergente,
Claudia Pandolfi, e che col tempo ha visto tributati i
dovuti riconoscimenti.
|
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
DONNE
Liliana
Segre,
il coraggio e l’impegno di una sopravvissuta
di Antonia del Sambro
Il 19 gennaio scorso Liliana Segre viene
nominata, dal Presidente della Repubblica italiana,
senatrice a vita. Un riconoscimento che non è
solo per la donna e l’antifascista ma per la
persona e la storia di Liliana che da piccolissima,
già orfana di madre, passa da una infanzia come
tante altre sue bambine dell’epoca in una Milano
laica e operosa all’orrore dei campi di concentramento a
motivo delle sue origine ebraiche. Questo è il momento
in cui la Segre diventa un’altra persona, non più bambina e non
ancora adulta ma solo un altro numero in un altro luogo di
reclusione. Un altro essere umano da torturare e
affamare, umiliare e spaventare in un orrore
senza fine fatto di fame, freddo, solitudine,
paura e perdita dell’umanità.
Se qualcuno dei contemporanei avesse visto Liliana Segre
a quel tempo l’avrebbe data per spacciata. Un'altra
piccola innocente che sarebbe scomparsa senza una
lapide né un funerale in uno dei campi della morte
sparsi in Europa dal regime nazista negli anni
’40 del Novecento.
Invece il fato, il destino, il cielo o
Dio, avevano per la piccola Liliana altri progetti e
nonostante la morte l’avesse accarezzata per più e più giorni,
Liliana sopravvive, diventa una antifascista convinta,
scrive, insegna, si innamora, si sposa
e diventa mamma e poi nonna.
L’esempio è questo: il riconoscimento di senatrice a
vita, allora, diventa e deve essere visto precisamente in
questa ottica. La donna Liliana non ha ceduto al male e al
dolore che hanno investito la sua vita, non si è fatta
sopraffare, non si è fatta annullare.
Il coraggio di Segre è nel suo aver saputo
trasformare l’orrore della guerra e dei campi di prigionia
in una forza da trasmette agli altri, soprattutto alle
nuove generazioni.
Liliana venne catturata e arrestata con suo padre e i
suoi fratelli l’11 gennaio 1943 in provincia di Varese.
Il 30 gennaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della
stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di
Auschwitz-Birkenau, che raggiunse sette giorni dopo. Fu
subito separata dal padre, che non rivide mai più e che
sarebbe morto il successivo 27 aprile. Il 18 maggio 1944
anche i suoi nonni paterni furono arrestati a Inverigo,
Como, e furono deportati dopo qualche settimana ad Auschwitz,
dove furono uccisi al loro arrivo, il 30 giugno.
Venne liberata dall’Armata Rossa il 1 maggio 1945.
Sopravvivere all’inferno, restare lucida e
presente a sé stessa, avere la forza di ricominciare e
combattere per tenere vivi i valori di libertà, pace,
universalità e uguaglianza vale anche di più di una nomina a
senatrice a vita. Vale il suo nome scolpito per sempre
nella storia delle donne italiane che hanno creduto,
amato, combattuto e vinto il Male.
E che continuano a farlo perché la Memoria è l’unica
cosa che potrà salvare le generazioni future. |
indice della pagina:
Tgiste |
Tutto TV |
Donne |
|