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Telegiornaliste anno XIV N. 1 (548) del 10 gennaio 2018
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Raffaella
Falco, notizie da Capri
di Giuseppe Bosso
Incontriamo Raffaella Falco, volto di
Telecaprinews.
La tua giornata tipo.
«Il mio è un lavoro prettamente di redazione, anche se alterno la
conduzione dei tg delle reti del nostro gruppo con l’informazione web.
Insieme ai miei due colleghi della redazione caprese ci occupiamo di
cronaca, politica, attualità e curiosità, aggiornando in tempo reale il
nostro portale ma soprattutto le “strisce” scorrevoli in onda sul canale
di Telecaprinews, con un lavoro costante e attento e devo dire che tutti
i nostri sforzi in questi ultimi periodi sono ben premiati visto la
graduale crescita di contatti del sito e degli utenti social».
Pro e contro di essere giornalista in una splendida realtà come
Capri.
«I pro e i contro sono quelli di qualsiasi altra realtà, una realtà
bella per certi versi ma anche molto stretta per altri».
Utilizzate moltissimo la pagina Facebook ufficiale del canale: quanto
è importante per voi questo meccanismo di contatto con il pubblico?
«Importantissimo, il nostro è un lavoro di ricerca, aggiornamento e
verifiche delle notizie, a volte richiede tempo ma mi rendo conto che
diventiamo anche un punto di riferimento per il pubblico, poi non
dimentichiamo che siamo il volano delle reti del gruppo, lavoriamo in
sinergia con la tv».
Per quello che hai potuto raccontare e seguire, quale immagine del
2017 vorresti dimenticare e quale portare avanti anche nel futuro?
«La tragedia accaduta pochi mesi fa alla Solfatara di Pozzuoli che ha
distrutto un’intera famiglia, mi ha colpito molto, immagini sconvolgenti
e la cronaca dell’avvenimento che sa quasi di sceneggiatura di film, una
cosa davvero assurda. Per il futuro mi auguro solo di poter dare “belle
notizie” come spesso mi dicono le persone per strada, un’utopia!».
Ti sta stretta la dimensione locale?
«No, del resto sono nata in questa dimensione contestualmente alla
creazione della rete all news locale e devo dire che con il passare del
tempo mi sono appassionata sempre di più e poi il nostro lavoro di
giornalista non permette mai di “annoiarci”.
Qual è stata l’esperienza che ti ha maggiormente coinvolta tra quelle
che hai seguito da giornalista?
«Ricordo l’alluvione di Sarno e Quindici nel 1998, allora lavoravo nella
sede di Napoli e con gli altri colleghi facemmo tg con collegamenti in
diretta per ben due giorni ininterrottamente, con tutte le difficoltà
della situazione, le immagini di quei momenti terribili credo non si
possano dimenticare facilmente e ogni qualvolta si ripete un disastro
del genere mi tornano in mente. La Campania come altre regioni del Sud
deve investire di più nella conservazione del territorio. Viviamo in una
terra ricca di storia e di bellezze naturali ma non siamo capaci di
preservarla, esempio ultimo di questa estate i vasti incendi sul
Vesuvio, chilometri di macchia mediterranea andati letteralmente in
fumo».
Quale può essere il ruolo di un network storico come il vostro
nell’era digitale?
«In epoca analogica il nostro gruppo è stato tra i primi per tantissimi
anni, con il passaggio al digitale le cose sono cambiate, c’è stata una
moltiplicazione di canali con conseguente calo di qualità, più canali
implicano sempre più investimenti e mantenere alta la qualità diventa
sempre più difficile anche perché lo Stato non aiuta. Il nostro gruppo
credo continui ad avere un ruolo importante, non si dimentichi che siamo
stati i precursori di tantissime trasmissioni a cominciare da programmi
dedicati ai bambini, programmi sportivi con interventi in tempo reale
del pubblico attraverso sms, collegamenti telefonici, streaming di
dirette, collegamenti Skype e Messenger, fino alla nascita del canale
all news a livello locale. Tantissime sono le iniziative editoriali di
prossima nascita, ci stiamo impegnando a mantenere un livello di qualità
sempre molto alto anche perché ci rendiamo conto che il pubblico diventa
sempre più esigente».
Il tuo sogno nel cassetto è…
«In verità non ho sogni nel cassetto, preferisco vivere giorno per
giorno e prendere sempre il meglio di ciò che capita». |
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Toscano, è il giornalismo che ha scelto me
di Silvia Roberto
Un giovane giornalista, una carriera brillante. La passione
per il giornalismo e per l’informazione, unitamente alla
professionalità, lo hanno fatto approdare in un programma di
punta quale è Quarto Grado, in onda in prima serata
ogni venerdì sera. Telegiornalista per il canale televisivo
italiano all news Mediaset
Tgcom24. Abbiamo incontrato Simone Toscano che ci
ha svelato segreti, consigli e curiosità del suo lavoro ma
anche della sua vita privata.
Simone perché hai scelto il giornalismo?
«Più che altro è il giornalismo che ha scelto me, perché
sono stato realmente folgorato da questa passione che è poi
divenuta un mestiere, fatto di lento e continuo desiderio di
apprendimento».
Quali sono stati i tuoi primi passi da giornalista?
«Mi viene da dire che sono stati al liceo, con il giornalino
scolastico Macondo. E poi all’università, dove ho
fondato con altri amici A”iko, una piccola testata
che ancora esiste e che a noi sembrava già da sola il
coronamento di un sogno. È in quegli anni che ho iniziato le
prime collaborazioni esterne, praticamente con tutto quello
che mi capitava a tiro, dai siti internet ai settimanali e
ai mensili più vari. Mi sono proposto a chiunque. Sono stato
alcuni mesi alla Gazzetta di Reggio, poi ad una
televisione locale romana che purtroppo non esiste più, Roma
Uno, davvero di qualità. Poi ho frequentato la Scuola di
Giornalismo Lumsanews, un’esperienza fantastica che
consiglio a tutti e che mi ha permesso di diventare
professionista. Tra uno stage e l’altro ho avuto la fortuna
di collaborare con l’attuale società di produzione tv
Freemantle, per cui ho lavorato per la Rai, per La7 e anche
per Mtv, divertendomi e cercando di imparare differenti
linguaggi televisivi. E poi altre collaborazioni sparse qua
e là, con l’inserto cultura de Il Foglio, con
Tuttoscuola. Scrivere è bellissimo, lo si può fare di
qualsiasi argomento».
In quale momento hai capito di voler fare il giornalista?
«La lampadina si è accesa quando ho visto la prima edizione
del Tg5 di Mentana: una vera e propria rivoluzione all’epoca
(era il 1992, ero un bambino) perché era fatto da giovani e
di giovane (ma al tempo stesso autorevole) aveva anche il
linguaggio. Anni luce dall’informazione Rai, che poi infatti
si è rimessa in gioco ed ha cambiato passo, modernizzandosi.
È nato tutto da lì».
Carta stampata, televisione o radio. Quale delle tre
senti più tua?
«Ripeto, scrivere è sempre appassionante. Nella tv mi
ritrovo perché ti permette di arrivare più nel profondo, di
toccare corde a cui difficilmente la carta stampata può
arrivare, soprattutto considerando la lunghezza media di un
articolo. Per quanto riguarda la radio devo dire che mi
piacerebbe provare e ho qualche idea che mi piacerebbe
approfondire, ma poi direi che nell’elenco manca internet,
che sta diventando sempre più la summa dei primi tre punti:
un po’tv, un po’articolo di carta stampata, un po’radio. Mi
diverto a scrivere le storie che incrocio sul mio blog
Un giornalista nella rete, che è anche il
mio “nick” sul web. E poi per
Huffington Post lascio le mie opinioni e qualche
riflessione più approfondita».
Come sei approdato a Mediaset?
«Sono entrato in Mediaset grazie ad uno stage, tramite la
Scuola di Giornalismo. Non dimenticherò mai la prima volta
che sono entrato in redazione, la gioia. Ci penso ogni volta
che entro nel Centro Palatino, giuro. E ogni volta sono
felice: non importa se ho problemi, mi sento felice di
quello che faccio, ho rotto le scatole all’ufficio stage
della mia università per aprire una convenzione con
Mediaset, convenzione che prima non c’era. Ho insistito
davanti ad una prima occasione sfumata e poi appena c’è
stata la possibilità ho cercato di mettere tutto me stesso
in quello stage. Che per fortuna è andato bene e quindi ne è
seguito un altro. E dopo qualche mese un primo contratto,
poi un secondo e così via».
Sei riuscito a farti conoscere ed apprezzare per la tua
grande professionalità dimostrata nella trasmissione
televisiva Quarto Grado. Cosa ha significato per te
entrare a far parte di questa redazione?
«Ha un significato enorme, perché sono qui dalla prima
puntata e ho imparato tantissimo, davvero. Ho imparato un
metodo e ogni giorno, ogni mese ne imparo un altro
pezzettino. Ho la fortuna di avere come “guida” in questo
percorso Siria Magri, la
curatrice del programma, che è dedita al lavoro come e più
di ciascuno dei suoi collaboratori, il che si traduce nello
studiare tutti assieme le carte processuali fino a notte
fonda, se serve. Ecco, Quarto Grado mi ha insegnato
l’importanza dei “documenti”, ovvero che prima di dare una
notizia bisogna cercare sempre (per quanto possibile, ovvio)
di avere una “pezza di appoggio”, una prova insomma.
Altrimenti si fa gossip. E il gossip, quando si parla di
processi e di presunti colpevoli o innocenti, può ferire e
rimanere indelebile».
Sei anche uno dei volti di Tgcom24, conducendo il
programma Prima serata così come il Telegiornale e la
Rassegna Stampa…
«Sono stato a Tgcom24 dal 2012 al 2014, alternando le
settimane di conduzione all’impegno nelle altre testate (e a
Quarto Grado, appunto) e dopo una full immersion
“quartogradesca” sono tornato per la conduzione domenicale,
da circa un anno oramai. Anche qui: esperienza bellissima,
che mi ha fatto crescere e mi ha dato maggiore sicurezza
davanti alla telecamera. L’inizio di un percorso che spero
potrà continuare e crescere ancora. In ogni caso, una
opportunità».
Fare il giornalista, di questi tempi è diventata una
professione “pericolosa”, sia dal punto di vista della
propria sicurezza che della censura. Perché secondo te?
«Perché non si ha più rispetto di questo mestiere. In un’era
in cui sono saltati tutti gli “intermediari”, in un momento
storico in cui tutti si possono autodefinire giornalista,
ecco che chi lo fa davvero, come mestiere, non viene
rispettato. In questo probabilmente ha contribuito anche un
decadimento della serietà professionale della categoria,
soprattutto a cavallo degli anni Duemila. E di sicuro gli
insulti di una certa politica contro i “giornalisti
venduti”, tutti e senza distinzione di sorta, ci ha causato
non pochi problemi, fomentando il risentimento e la violenza
nei nostri confronti. Per una fascia della popolazione
oramai i nemici sono i politici e i giornalisti.
Personalmente mi è capitato di ricevere minacce ma erano
sempre legate a qualche inchiesta “scomoda” e quindi l’avevo
messo in conto. Per quanto riguarda la “censura”, credo che
l’esplosione della precarietà non abbia sicuramente fatto
bene all’intera società, ma è un dato di fatto che su un
settore sensibile come quello della Comunicazione, possa
avere delle ricadute pesantissime. Ci sono intere aziende,
soprattutto in alcuni contesti locali, che si reggono solo
sul lavoro dei precari: un precario è ricattabile, non è
libero. E un giornalista che non è libero è un campanello
d’allarme da non ignorare».
Qual è l’elemento fondamentale da possedere per essere un
buon giornalista?
«Non lo so, ognuno probabilmente ha il proprio “segreto”. Io
credo che si debba mettere in primo piano il rispetto e la
trasparenza. Cerchiamo sempre di metterci nei panni dei
protagonisti delle storie che raccontiamo, dalla Cronaca
alla Politica, e pensiamo quali ricadute possono avere le
nostre parole su tante vite. Rispetto, onestà e caparbietà».
Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa nel tuo
percorso giornalistico e formativo?
«Credimi, sono davvero felice di quello che faccio, non
potrei chiedere di più, soprattutto considerando la
difficile situazione economico-professionale che c’è in
Italia. Sono fortunato. E se c’è qualcosa di diverso che
vorrei fare, penso sempre che ho tutta una vita davanti per
nuove sfide, per nuovi sogni. Ne ho tanti, e tanta voglia di
realizzarli. Senza sogni cosa saremmo?».
Nel 2015 è stato pubblicato il tuo libro Il Creasogni.
Cosa hai voluto raccontare e quale è il messaggio che hai
voluto trasmettere ai lettori?
«Proprio quello di cui ti parlavo: l’importanza dei sogni.
Non importa che siano grandi o piccoli. Un sogno non
corrisponde necessariamente ad una impresa insormontabile:
si sognano anche le piccole cose. Anche una carezza dalla
persona che amiamo, un sorriso, un complimento. Una giornata
serena. Ecco, il Creasogni è un uomo che ha il dono
stupendo di saper creare sogni per chi ha perso questa
capacità. E nel romanzo – il mio personalissimo Piccolo
Principe – si riscopre quello che da bambini sappiamo
fare ma che diventando adulti perdiamo: l’importanza delle
piccole cose, degli affetti. E, appunto, dei sogni.
Personalmente spero non mi mancheranno mai».
Nella vita extraprofessionale chi è Simone Toscano?
«Gli argomenti di cui parlo nel lavoro sono così seri che
nella vita privata sono un “battutaro” patologico. Per anni
ho avuto un gruppo musicale (da un po’ in “pausa”) e poi
assieme ad altri amici ho una associazione culturale che
gestisce un portale dedicato alle culture giovanili. Sono un
fan sfegatato di Star Wars, a cui ho dedicato anche
un racconto intitolato Yoda mi ha detto, pubblicato
nell’antologia Reflusso Crossmediale. Ah, mi
piacciono i viaggi, da impazzire».
Come ti definiresti attraverso un aggettivo?
«Spero di potermi definire tendenzialmente onesto. Quanto
meno è un punto verso cui tendere, ecco».
Consigli per gli aspiranti giornalisti?
«Non ascoltate chi vi dice di cambiare mestiere. Non
ascoltate chi vi dice che senza una raccomandazione non
andrete da nessuna parte. Puntate sulla serietà, sullo
studio e sul (tanto) lavoro. È un mestiere fatto di impegno
e di passione. Non peccate di presunzione e ascoltate i
consigli». |
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Alessandra
Hropich ci racconta i suoi libri
di Tiziana Cazziero
Ho scambiato una breve chiacchierata con la scrittrice
Alessandra Hropich, ha scritto
Quando il mostro è il proprio padre! e
La Felicità? Ve la do io!: le ho chiesto di
raccontarci qualcosa su questi libri.
Ciao Alessandra, comincio subito da Quando il mostro è il
proprio padre!, un tema di forte impatto, si parla spesso
di violenza ma quando questa si svolge all’interno delle mura
domestiche procura reazioni più avverse. Come mai hai deciso di
scrivere questo libro, cosa ti ha fatto scattare la molla o
l’ispirazione per mettere nero su bianco la storia di Maria,
che ha accettato di narrare le vicende dolorose svolte nella
sua famiglia?
«Questo libro nasce dalla voglia di riscatto e dalla forte
ribellione verso le persone che approfittano delle donne e di
tutti coloro che reputano indifesi. Va detto che l' abusante è
sempre una persona insicura ma che trova la sua sicurezza
scagliandosi su persone che, per mille ragioni, non
reagiscono».
Quali difficoltà hai incontrato, se ci sono state nel
narrare il vissuto di Carlo, l’uomo protagonista delle violenze
inflitte alle donne della sua famiglia?
«Ci sono state delle difficoltà iniziali, io non ho mai scritto
nulla usando parole o descrivendo immagini forti e volgari. Ma
ho pensato che una storia vera dovesse rispettare l' assoluta
realtà dei fatti, dunque, ho ritoccato il testo fino a
completarlo con i fatti raccontati con particolari anche
scandalosi o imbarazzanti, dopotutto, un "Mostro" non poteva
essere abbellito. Solo il mio imbarazzo iniziale mi impedì di
mettere nero su bianco ogni bruttura e volgarità ed oggi, con
l' edizione attuale, mi sento soddisfatta di aver descritto e
detto tutto quello che doveva essere raccontato, senza peli
sulla lingua».
Perché la necessità di scriverne un libro? Forse non se ne
parla tanto in Italia di queste violenze, solo negli ultimi
anni le cronache danno ampio spazio alle crudeltà denunciate.
Pensi che sia importante dare ai lettori testi come Quando il
mostro è tuo padre? Per attirare attenzione maggiore su questa
piaga cercando magari soluzioni che sembrano non arrivare o
essere tempestive?
«Ne ho scritto un libro perché le violenze, ne sono
assolutamente certa, sono molte di più di quelle denunciate e
non abbiamo la vera dimensione del fenomeno perché le vittime
si vergognano e, allo stesso tempo, si sentono quasi colpevoli,
insieme ai carnefici, del resto i mostri hanno poteri anche di
far sentire le loro vittime incapaci ed inadeguate a stare su
questa terra. Senza dubbio, proporrei il libro Quando il
mostro è il proprio padre! anche nelle scuole perché esiste
troppa superficialità in giro e adulti e ragazzi non
comprendono che i mostri sono persone apparentemente normali e
possono viverci accanto. Credo nella prevenzione del fenomeno e
molto poco nella punizione, essendo la punizione molto più
complessa e i mostri, diciamolo pure, lasciano ben poche
tracce, non sono stupidi, sono solo mostri!».
Passiamo a La felicità? Ve la do io! Di cosa parla?
Qual è il segreto della felicità?
«É, come al solito, un libro di storie vere, alcune molto
infelici, altre, felicissime. Storie che fanno sorridere perché
io amo molto prendere in giro la società ma anche dispensare
consigli sul come evitare errori grossolani e gravi. Il segreto
della felicità? Ci sono diversi segreti per esserlo ma, il
primo in assoluto, è quello di voler bene a noi stessi,
preoccuparci di noi, amarci noi per prima, dobbiamo essere un
po’ egoisti su questo perché nessuno, lo sottolineo, nessuno si
preoccupa della nostra felicità, nemmeno chi ci vive accanto.
Quindi, una piccola dose di sano egoismo che porta a
coccolarsi, ad avere cura di sé stessi, a meditare, a fare
sport oppure a dedicarsi ad interessi che ci fanno stare bene,
tutto ciò che facciamo per noi stessi ci predispone al
benessere individuale. La felicità vuole essere aiutata, non
arriva dal cielo».
Da cosa nasce la voglia di parlare di felicità e dispensare
il segreto per raggiungerla?
«La voglia di raccontare la felicità nasce dall' osservazione
della realtà, non riesco a vedere persone felici in giro ma,
dal momento che io sono sempre stata definita come la persona
saggia perché felice, voglio solo mettere a disposizione quello
che ho imparato io sul campo e, la felicità di cui parlo io è
assolutamente una felicità per tutti».
Perché oggi siamo alla ricerca della felicità, senza
tuttavia trovarla? Cosa ci racconti nel tuo libro e come sei
giunta alle tue conclusioni?
«Oggi tutti cercano la felicità aspettandola come un terno a
lotto, senza minimante fare neppure uno sforzo di pensiero,
poi, aggiungo che le persone, pressoché tutte, sono prive di
qualsiasi capacità autocritica, nessuno vuol essere giudicato,
né aiutato o consigliato, esiste molta presunzione in giro che
porta tutti a sentirsi vittime del fato avverso, senza mai fare
un mea culpa, nessuno ha mai torto, lo sbaglio appartiene
sempre agli altri, ovviamente, questa cecità generale non porta
ad autocritica e dunque, ogni infelice, non sa di essere la
causa della sua infelicità».
Prima di giungere ai libri, scrivevi testi per
l’organizzazione di eventi, e programmi televisivi, come sei
arrivata alla stesura di un libro? C’è forse stato un qualcosa
che ti ha spinto verso quella strada?
«Ho sempre scritto, dagli eventi ad ogni altro documento, bozze
di legge, persino atti giudiziari nel breve periodo della
pratica legale, scrivere un convegno è una cosa complicata
perché occorre documentarsi prima di scrivere ed essere certi
delle dichiarazioni che poi andranno a fare i Relatori ma non è
semplice nemmeno scrivere testi per programmi televisivi anche
se, in questo secondo caso, hai l' aiuto dell' intera
redazione. Scrivere un libro è difficile perché devi scegliere
i fatti più significativi, li devi scrivere con una logica e
una forma ben precisa, senza perderti ma è meglio di mille
sedute dallo psicoterapeuta, solo quando scrivi un libro che
racconta le assurdità del mondo, come io faccio, ti liberi
dalle brutture stesse».
Come concili la vita di tutti i giorni con la scrittura?
«Non è facile scrivere e gestire una casa, una famiglia e un
lavoro ma, la scrittura, è come una purificazione per me da
tante brutture che, altrimenti avrei visto e vissuto solo io,
troppe cose mi sono successe, troppe cose ho visto e sopportato
e non voglio che sembrino cose private perché le cose che
succedono a me rappresentano benissimo lo stato dell' attuale
società, è giusto che tutti sappiano».
Progetti per il futuro? Puoi accennarci qualcosa?
«É di prossima pubblicazione un nuovo libro dal titolo
Mostri!. Come sempre, sono storie vere, non saprei scrivere
altro con la stessa passione». |
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