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Telegiornaliste anno XIII N. 22 (532) del 21 giugno 2017
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Chiara
Cini, tv locali non inferiori a quelle nazionali
di Antonia del Sambro
Incontriamo Chiara Cini, volto dell'emittente pisana
50
Canale.
Chiara lei ormai è una cronista di lunga esperienza: ci racconti come
ha cominciato e se ha sempre voluto fare la telegiornalista.
«Ho iniziato nel lontano 1999 nell'emittente in cui ancora lavoro:
stavano aumentando il numero dei giornalisti in redazione e, dopo una
lunga selezione, sono rimasta in prova; da allora, terminata la doverosa
gavetta, ho compiuto tutte le tappe che mi hanno portato al
professionismo all'interno della stessa azienda. Diventare giornalista
era il mio sogno fin dalle scuole superiori, ma in realtà non ho mai
pensato alla tv, mi vedevo di più nella carta stampata; non amo molto
“apparire”, ma negli anni mi sono abituata».
Cosa le piace di più del suo lavoro e cosa cambierebbe se potesse
farlo?
«Il lavoro dei giornalisti televisivi è cambiato molto negli anni:
quando ho cominciato io si registrava ancora sulle cassette ¾, poi i
beta e i digitali; oggi usciamo spesso da soli con la telecamera,
montiamo i servizi e conduciamo sia il telegiornale che le trasmissioni;
del mio lavoro mi piace tutto, dal contatto con la gente al lavoro più
prettamente televisivo, di conduzione. Cose da cambiare, al momento, non
ne ravvedo, tranne lo stress... ma quello fa parte del gioco!».
Il web negli ultimi anni ha dato vita a tante redazioni che rischiano
di mettere un po’ in ombra il telegiornalismo locale: questa cosa la
preoccupa o è da stimolo a fare sempre meglio?
«Il web, come ogni cambiamento tecnologico, ha inizialmente rovesciato
le carte in tavola, mettendo tutti nelle condizioni di rivedere tempi e
priorità, soprattutto il mondo dei social, dove ognuno può caricare
immagini e commenti; penso però che, dopo una sorta di indigestione
iniziale, adesso si torni ad apprezzare e a riaffermare anche il ruolo
dell'informazione locale. L'etica professionale cui dobbiamo rispondere
noi giornalisti, è indiscutibilmente un punto di riferimento rispetto al
mare magnum del web; il telegiornale e gli approfondimenti televisivi, e
i dati auditel lo confermano, restano sempre molto seguiti».
Se non lavorasse per una televisione locale dove le piacerebbe
condurre il telegiornale?
«Ho sempre pensato che sia un grande errore considerare la televisione
locale di serie b, rispetto alle tv nazionali: il livello di
professionalità deve essere comunque alto, perché le persone che
guardano la televisione saltano da un canale all'altro e le differenze
non possono più essere evidenti. Elementi come una corretta dizione, la
cura dell'immagine, l'aggiornamento professionale, devono far parte di
ogni giornalista che appare in video; diciamo che, in qualunque
televisione mi trovassi a lavorare, cercherei da dare il meglio. Di una
televisione nazionale mi piacerebbe, soprattutto, capire i ritmi e la
divisione dei ruoli».
Come si vede tra dieci anni e cosa vorrebbe ancora realizzare?
«Tra dieci anni avrò 54 anni, un'età giusta per fare anche altro, in
televisione: alcuni anni fa ho avuto la fortuna di lavorare, sempre per
l'emittente 50 Canale, alla produzione di alcuni documentari; avendo un
diploma da sommelier, mi piacerebbe dedicarmi al settore vitivinicolo ed
enologico; diciamo che è un settore che vorrei esplorare più a fondo,
perché ti consente di coniugare i moderni linguaggi di comunicazione con
la storia e la cultura della nostra bellissima terra». |
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Caputo, il mio cuore e la mia voce per ogni ruolo
di Giuseppe Bosso
Figlia e nipote d'arte, esponente di una delle più rinomate
famiglie di doppiatori italiano,
Rossa Caputo ormai può ampiamente definirsi non più voce
emergente ma affermata realtà del panorama del doppiaggio.
Le è dispiaciuto non doppiatore Dakota Johnson nel
secondo capitolo di 50 sfumature?
«Perdere l’occasione di continuare una saga è per forza di
cose un dispiacere, ma devo dire che l’aspetto peggiore è
non aver avuto modo di rimettere insieme lo straordinario
cast del doppiaggio del primo film. Sì, è stato un piccolo
dolore che mi conservo nel cuore, lo ammetto».
Come ha vissuto il passaggio da ruoli leggeri come Demi
Lovato nella sitcom Sonny tra le stelle alla
conturbante Anastasia Steele?
«Ai tempi di Demi Lovato avevo circa sedici anni, si parla
praticamente di otto anni fa, quasi cinque a dire il vero, e
in quel periodo ero davvero molto acerba come doppiatrice.
La lavorazione di 50 Sfumature di Grigio è stata un
lavoro davvero duro e completo, molto diverso rispetto al
doppiare una serie televisiva; tutta la lavorazione è stata
diretta in maniera straordinaria, con metodi molto
coinvolgenti, al punto che spesso mi sono ritrovata ad dover
incidere delle battute nelle stesse posizioni adottate da
Dakota Johnson nel film, per rendere più credibile
l’emissione vocale. Ho adorato poter dare forma a questo
personaggio, che più che conturbante ho sempre trovato
immensamente puro, prezioso anche per questo, e prima di
trovare la voce più adatta per far risaltare la splendida
recitazione della Johnson c’è voluto molto più tempo del
previsto; sono esperienze molto diverse, ma devo dire che è
stato un cambiamento forte per la mia visione del lavoro del
doppiaggio».
Glielo avranno chiesto in tanti: rispetto ad altri suoi
giovani colleghi avere un cognome pesante alle spalle per
lei è stato un vantaggio o un fardello?
«In un certo senso entrambe le cose: avere il nome di una
grande famiglia del doppiaggio può essere sempre un problema
per alcuni nel campo, che considerandomi solo per il cognome
al quale vango associata – nonostante io mi chiami Caputo –
tendono ad escludermi da determinate lavorazioni. Questo
però non è mai stato un problema concreto per me, non a
livello di stima personale sicuramente, soprattutto perché
considero il doppiaggio come fortemente meritocratico, oltre
che guidato sempre dal puro gusto personale; io amo il mio
lavoro e se è così prima di tutto è perché sono nata in una
famiglia dove il doppiaggio sembra quasi scorrere nelle
vene, appassionandoci giorno dopo giorno. Ho imparato
tantissimo dal mio amato nonno, Renato Izzo, e ancor più da
mia madre,
Fiamma, e dalle mie zie. Se non fosse per i loro
insegnamenti probabilmente non sarei neanche stata scelta
per ruoli che ho sentito molto importanti per la mia
carriera».
Ha mai avuto modo di conoscere qualcuna delle attrici che
ha doppiato?
«Purtroppo ancora no! Spero tanto di riuscirci un giorno, ma
devo dire che non è una fra le mie priorità».
Qualche anno fa ha prestato voce alla principessa Merida
del film disney Ribelle per la parte parlata, ma
l’attenzione dei media si è concentrata più su Noemi, voce
musicale, e sugli altri personaggi che hanno partecipato a
quel doppiaggio: non si è sentita sminuita da questo punto
di vista?
«Assolutamente no, in nessun modo: la lavorazione di
Ribelle – probabilmente quella che mi ha fatto scegliere
definitivamente di proseguire nella mia carriera di
doppiatrice – è stata meravigliosa ed entusiasmante, anche
perché mi sono sentita vicinissima al personaggio di quella
straordinaria e coraggiosissima principessa che è Merida;
non vado pazza per i riflettori e ho ben compreso per quale
motivo sono stati presi in considerazione molto più i talent
scelti per il cast di voci, composto da moltissimi
“non-doppiatori” e che hanno fatto davvero un bel lavoro. Ho
avuto l’onore non solo di conoscere Noemi, che a mio parere
ha reso meravigliose le canzoni della versione italiana, ma
anche lo stesso regista di Ribelle, Mark Andrews,
cosa che mi ha emozionata tantissimo. Per questo non posso
dire di essermi sentita sminuita, ho ottenuto una
grandissima gratificazione personale».
Dove potremmo “ascoltarla” prossimamente?
«Nell’ultimo periodo non ho avuto modo di lavorare a grandi
film, tranne per quanto riguarda quelli recentemente già
usciti nelle sale come: Miss Peregrine e la casa dei
ragazzi speciali, dove ho prestato la voce ad Olive;
Proprio Lui?, con gli straordinari James Franco e Bryan
Creanston, dove ho doppiato Barb, la fidanzata del pazzoide
e dolcissimo Laird; e Fallen, una saga fantasy
originariamente scritta da Lauren Kate e della quale sono
fan accanita, dove ho avuto la fortuna di doppiare proprio
la protagonista, Luce, interpretata da Addison Timlin. In
compenso sono elettrizzata all’idea dell’uscita della serie
televisiva Girlboss, che presto dovrà uscire su
Netflix, dove presto la voce a Britt Robetson; una
lavorazione strepitosa, diretta da Rossella Acerbo».
Cosa farà da grande?
«Sperando di non crescere mai davvero, in realtà cerco di
non fare mai progetti troppo a lungo termine. Mi piace
pensare che fin quando amerò il doppiaggio, fin quando
questo lavoro mi emozionerà così tanto da farmi tornare a
casa stanca, ma con il sorriso, allora rimarrò a Roma e
continuerò a dare tutto il mio cuore a ogni ruolo che mi
verrà proposto». |
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Beatrice
Fiaschi, l’amore per gli animali la mia ispirazione
di Tiziana Cazziero
Beatrice Fiaschi e le sue passioni: gli animali e la scrittura.
Due amori uniti da un progetto interessante e lodevole, leggete
per scoprire di cosa si tratta.
Ciao Beatrice e grazie per aver accettato questo invito:
come nasce La leggenda del cane rosso?
«Il libro nasce da un insieme di input emotivi raccolti negli
ultimi anni: tra tutti la presenza nella mia vita di due
fantastici setter irlandesi, cani dalla bellezza disarmante,
dal carattere affettuoso e dalla eccezionale espressività.
Soprattutto la femmina, India, a cui è dedicato il romanzo, mi
ha completamente cambiato la vita: salvata da una situazione
disagevole, doveva restare in stallo da me solo per un mese in
attesa di un nuovo padrone, una persona fidata che avevo già
contattato. Poi l'amore ha travolto ogni cosa: la sua necessità
di essere amata da me, di abbandonarsi completamente alle mie
cure, di fidarsi senza rete di quello che io potevo offrirle mi
ha fatto sentire così onorata della sua presenza nella mia casa
e nella mia vita da non potermene più separare. Ho iniziato ad
avvertire che era proprio lei quella parte di me che non
conoscevo e che avevo bisogno di accettare. Ho capito che
esistono parti di noi che un tempo sono state violate e che
abbiamo così deciso di mettere da parte per non affrontarne di
nuovo il dolore e India, con tutto quello che aveva subito nei
primi anni di vita, rappresentava quella mia parte e curando
lei avrei curato me. Il nostro è diventato un rapporto
empatico, una condivisione totale di sofferenza così come di
gioia attraverso il quale avrei trovato un nuovo senso, un
nuovo valore. Insieme siamo anche tornate in un paesino marino
legato alla mia infanzia e anche quei luoghi, intrisi per me di
ricordi, hanno acquisito un nuovo significato e ciò che in quel
mare era imbrigliato è finalmente uscito fuori, offrendomi
un'ambientazione ideale per il mio romanzo, permettendomi di
rendere protagonista uno scenario che per me e per la mia
crescita è stato importante. Un romanzo pieno di elementi che
amo dunque: il mare, gli animali, i ricordi. E molti
riferimenti anche al mio percorso di avvicinamento al core
sciamanism».
L’amore per gli animali ha ispirato questa storia? Di cosa
parla e cosa devono aspettarsi i lettori?
«L'amore per gli animali ha ispirato questa storia e ispira
ogni giorno la mia esistenza: per me gli animali sono una
grande passione e sin da piccola ho avuto la fortuna di poterci
vivere insieme. Quello che mi ha sempre colpito è la loro
immediatezza, la loro vicinanza alla natura e l'assenza di
quelle sovrastrutture che invece sono tipiche della mente
umana; questo aspetto mi ha sempre fatto vivere gli animali
come porta privilegiata all'essenziale e nel tempo,
avvicinandomi sempre più emotivamente a loro, ho capito quanto
possano insegnarci sul non detto, sull'inconscio,
sull'ancestrale, su tutto quello che a causa dei
condizionamenti sociali siamo costretti a lasciare da parte nel
vivere quotidiano. Gli animali presenti in questo romanzo sono
creature leggendarie che pongono i protagonisti Valerio e
Cristina a diretto contatto con quelle parti di loro più
profonde e viscerali che fino a quel momento sono rimaste
inascoltate. La metafora principale è quella del fiuto: così
come i cani usano il naso per ricavare indizi laddove sembra
non ce ne siano, allo stesso modo i protagonisti – che non a
caso sono due poliziotti – devono cercare di affinare la loro
sensibilità, dare voce al sesto senso, mettere per un attimo da
parte il razionale, abbandonandosi al flusso di informazioni
che la natura può fornire se solo si riesce a stabilire un
contatto profondo con essa. Sullo sfondo di questo importante
percorso di ricerca si fa riferimento all'esperienza del
viaggio sciamanico, un'esperienza che da un paio d'anni sto
vivendo io stessa e che mi sembrava importante citare perché mi
ha consentito di riprendere contatto con il mio occhio interno,
trovando nuove energie ed eliminando blocchi emotivi che mi
condizionavano. Cristina intraprenderà – inizialmente senza
sapere a cosa va incontro - un percorso interiore di questo
tipo e imparerà così a vedere ciò che rimane celato agli occhi
dei più e a trovare risorse dentro se stessa che non credeva di
avere per affrontare al meglio un caso molto difficile».
Il libro è legato a una causa lodevole, vuoi parlarcene?
«Da sempre sono vicina ad associazioni animaliste che si
occupano da vicino del sostegno e della cura di animali in
difficoltà, impegnandosi in cause sociali importanti. È venuto
da sé pensare che anche questo libro potesse contribuire alla
causa animalista, trattando appunto da vicino il mondo animale:
è un modo per me di dire che i libri non sono lettera morta e
che possono rappresentare la strada sia per chi li legge di
intraprendere un viaggio senza bagaglio verso mondi che non
conosce, sia avere uno scopo più materiale, strettamente
connesso al sociale, in questo caso contribuendo economicamente
alla causa di chi cerca di salvare molti amici pelosi vittime
di abbandoni, stenti, violenze, povertà. Sto organizzando
pertanto tutta una serie di eventi – il Cane Rosso
promotional tour – dapprima su Roma e provincia, mio
territorio di appartenenza, e a partire dal nuovo anno in tutta
Italia, durante i quali sarà venduto il romanzo e parte del
ricavato sarà destinato alle diverse associazioni di mia
conoscenza, tra le quali la
Lega
Nazionale per la difesa del Cane, realtà che non ha
bisogno di presentazioni per il gran lavoro svolto in tutta
Italia, non ultimo durante il periodo dei tragici terremoti;
l'associazione
Cane Sicuro che opera su Roma occupandosi, tra le
altre cose, di seguire gli animali domestici di persone anziane
e disabili che hanno difficoltà nel farlo, con una doppia
azione sociale, e l'associazione
Silent
Wings che porta avanti un delicato lavoro di pet
therapy e con la quale sto collaborando su un progetto di
avvicinamento al cane da parte di persone con disabilità
psichica che seguo per lavoro. C'è tanto da fare e il mio
Cane Rosso vuole aiutare concretamente: chi volesse
contattarmi per iniziative di questo tipo spero che leggendo
questa intervista lo farà».
Hai trovato delle difficoltà nella stesura della storia, se
sì quali e perché?
«Fortunatamente per me scrivere non è mai difficile, anzi è un
divertimento, uno scarico di energia, una necessità e una
catarsi: la storia è venuta giù di getto e si è andata
organizzando praticamente in totale autonomia sul foglio
bianco, in quanto forse decantava da tempo nel mio inconscio.
La difficoltà reale che c'è nello stendere un romanzo sta poi
nella sua correzione e revisione, poiché lo scrittore è molto
innamorato di ciò che scrive e fatica a eliminare scene e
passaggi e in generale a mettere in discussione ciò che ha
creato. Il processo creativo in sé è liberatorio, ma saperci
fare i conti non è semplice: spesso nel rileggere quanto
scritto ci si destabilizza perché si incontrano emozioni
credute perse e con le quali invece occorre fare i conti.
Occorre mettersi in gioco in tutto e per tutto, mettere le mani
nude dentro le proprie viscere, toccare nervi scoperti,
relazionarsi a quel Sé più selvaggio che non sempre si conosce
bene e che dunque si può tenere. A volte la Beatrice che non
conoscevo si è affacciata con forza alla pagina e accoglierla
non è stato così scontato, ma una volta sentito il processo di
crescita che avrei potuto affrontare nel portarla alla luce,
allora e solo allora ne ho avvertito la necessità e ogni
difficoltà è stata accettata e provata a superare. A volte ci
sono riuscita, altre volte meno, ma ogni passo ha segnato una
nuova possibilità per me di comprendermi e accettarmi, di
crescere e propormi sempre nuovi obiettivi. In questo senso per
me scrivere è terapeutico».
Come sei arrivata alla pubblicazione? Oggi il panorama
editoriale è ricco di libri, com’è stato il tuo percorso?
«È vero, oggi il panorama editoriale è ricco di libri e ci sono
molte più possibilità rispetto al passato di pubblicare, tra
cui il self-publishing e le case editrici che lavorano
esclusivamente sugli e-book. Personalmente devo dire che sono
una romantica e rimango ancora parecchio legata all'idea
dell'editoria tradizionale e del romanzo cartaceo. Per cui da
subito ho escluso qualsiasi altra via: inoltre come secondo
lavoro sono editor e valutatrice di testi per agenzie
letterarie e case editrici, dunque ho una buona conoscenza
rispetto alle nicchie di riferimento di ogni piccolo e medio
editore. Così già nel momento dell'invio del mio manoscritto
avevo ridotto molto il campo, escludendo anche gli editori
troppo grandi, quelli troppo piccoli e quelli a pagamento. Nei
mesi ho ricevuto almeno cinque proposte di pubblicazione, tutte
abbastanza serie, e alla fine ho scelto Rapsodia Edizioni
perché editore romano col quale sarebbe stato più facile
interfacciarmi di persona e perché mi sono sentita subito in
sintonia con l'editore, la signora Lo Nigro, con la quale ci
siamo a lungo confrontate sulle potenzialità del romanzo e
sulle modalità più giuste per editarlo e poi in seguito
promuoverlo, notando un'attenzione per i dettagli che mi ha
lasciato ben sperare per il futuro».
Chi è Beatrice Fiaschi nella vita di tutti i giorni?
«Bella domanda, non c'ho mai pensato davvero: sono sicuramente
una donna iperattiva che non sta un attimo con le mani in mano
e mentre fa una cosa ne sta pensando altre duecento. Sono una
persona all'apparenza tranquilla ma che dentro è un vulcano ed
è molto inquieta. Lavoro tanto perché mi piace ciò che faccio,
sono nel settore dei servizi alla persona e seguo alcuni utenti
con disabilità mentale, ospiti in una comunità alloggio a Roma.
Nel tempo libero mi dedico a lunghe passeggiate con i miei due
cani, Scotch e India, e amo tutti gli animali, ho anche un
gatto e un serpente. Mi piace fare sport, pratico da anni la
danza e seguo il calcio da tifosa sfegatata della Ss Lazio;
sono una grande fan dei supereroi, dei film di azione e di
quelli di fantascienza; leggo i classici e poi scrivo in
continuazione. Sono una persona che sa stare in gruppo, ma che
vive con serenità i momenti di solitudine; anzi a volte mi
piace isolarmi, stare in silenzio e aprirmi al mio mondo
interiore che so ormai essere ricco di importanti stimoli e
possibilità riflessive».
Hai progetti per il futuro? Un seguito magari per La
leggenda del cane rosso?
«Sinceramente non amo molto scrivere sequel perché non amo
leggerne: ogni volta che l'ho fatto sono rimasta un po' delusa.
La leggenda del cane rosso probabilmente rimarrà un unicum come
pure il mio precedente romanzo, a meno che non ci siano
richieste esplicite e irrinunciabili; sono convinta che gli
elementi caratterizzanti di uno scrittore ricorrano comunque
anche non scrivendo sequel ma inventando storie nuove e dunque
preferisco che i temi a me cari possano essere lasciati liberi
di fluire e ripresentarsi attraverso nuovi volti e nuove trame.
Sto già scrivendo un terzo romanzo, un giallo poliziesco puro
stavolta, e già mi sto affezionando ai nuovi protagonisti; per
il resto continuo sempre a scrivere anche poesie e racconti
brevi e ora sono del tutto presa dal Cane Rosso promotional
tour».
Cosa pensano le persone a te vicine, del tuo percorso da
scrittrice?
«Le persone a me vicine sono molto fiduciose, forse più di me,
rispetto al percorso da scrittrice che è praticamente nato con
me e che negli ultimi anni sta divenendo sempre più serio e
impegnativo: i miei genitori hanno sempre creduto in me e mi
hanno dato tutte le possibilità di studiare quanto e ciò che
volessi per stimolare la mia fantasia e mi hanno soprattutto
lasciata libera anche di sbagliare; mia zia pure è una mia
grande fan e devo dire che fa di tutto per farmi ottima
pubblicità. Poi ci sono gli amici che aspettano sempre con
ansia il prossimo romanzo e tante altre persone che ho
conosciuto in modo casuale grazie al precedente romanzo e che
mi sono rimaste accanto, anche iniziando insieme un percorso
artistico congiunto in cui la mia scrittura ha incontrato altre
arti, come la fotografia, la pittura e la danza, dando vita a
fecondi connubi. La scrittura è un modo per me di mettere da
parte la timidezza e di espormi di più, con felici sorprese;
non so cosa gli altri pensino del mio percorso di scrittrice,
forse è anche difficile far comprendere all'altro il lavoro
pesantissimo che si fa su se stessi, perché crescere come
scrittrice significa innanzitutto crescere come persona. Però
devo dire che fin qui chi ha letto il romanzo La leggenda
del cane rosso è rimasto favorevolmente colpito e ha
segnalato una crescita rispetto al primo romanzo, che mi fa
piacere si noti in quanto è stato il frutto di un importante
periodo di ricerca e di lavoro su me stessa, sia a livello
stilistico che di sensibilità artistica». |
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