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	Telegiornaliste anno XIII N. 19 (529) del 31 maggio 2017
 
	
		
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			Agnese 
		Virgillito, tgista con la valigia 
		di Giuseppe Bosso 
 Incontriamo Agnese Virgillito, inviata di programmi delle reti Mediaset 
		quali Mattino Cinque e Pomeriggio Cinque.
 
 Com’è nato il tuo amore per la criminologia e come ti sei trovata a 
		diventare giornalista di questo campo?
 «Nasce sin da piccola; crescendo poi ho studiato in modo sempre più 
		pregnante e ho iniziato a lavorare come giornalista imbattendomi in 
		alcuni casi di cronaca nera, relativi a persone scomparse, omicidi, 
		suicidi, "omicidi vestiti da suicidi" e viceversa. Ho sempre cercato di 
		approfondire l'argomento e di migliorarmi senza lasciarmi condizionare 
		da pregiudizi; valutando i casi senza prendere aprioristicamente una 
		sola strada per giungere alle conclusioni, con il rischio di commettere 
		errori».
 
 Cos’hai provato nel ricevere la
		lettera di Veronica Panarello e cosa credi l’abbia portata a 
		rivolgersi proprio a te?
 «Per me è stata una sorpresa; sapevo tramite il suo avvocato che 
		Veronica Panarello seguiva Mattino Cinque, che nel momento in cui 
		mi scrisse la trasmissione dedicava una finestra quotidiana al suo caso, 
		tragedia immane perché ne è vittima un bambino di soli otto anni… 
		probabilmente, almeno credo, lei avrà intravisto in me una persona alla 
		quale poter lanciare il suo ‘grido’, il suo ‘allarme’ se lo vogliamo 
		così definire, uno sfogo qual è sostanzialmente la lettera nel suo 
		contenuto».
 
 Si parla troppo di delitti nei tg e nei programmi secondo te?
 «Bisogna vedere entrambe le facce della medaglia: esagerare non va bene, 
		non porta da nessuna parte; ma va anche detto che l’attenzione mediatica 
		intorno a questi casi può essere utile per far luce e aiutare il lavoro 
		degli inquirenti; per esempio mi è capitato di occuparmi di un caso di 
		suicidio apparente, quello di Valentina Salamone: una diciannovenne 
		catanese, trovata impiccata in una villetta di campagna. Ho lavorato 
		indagando a fondo senza avere a disposizione i mezzi degli 
		investigatori, a braccetto con loro però; grazie a questo, 
		all’attenzione della famiglia, al lavoro anche di organi di informazione 
		come il quotidiano La Sicilia e la trasmissione Quarto Grado 
		che hanno dedicato al caso molta attenzione, siamo arrivati dopo sei 
		anni di indagine al processo, a maggio, che ha accertato come la verità 
		fosse in realtà legata ad un omicidio. Oppure potrei dirti quanto è 
		importante l’attenzione mediatica relativamente ai casi di persone 
		scomparse, persone che non hanno davvero voce, persone che cercano 
		proprio l’attenzione mediatica perché i loro casi non restino solo delle 
		cartelle aperte sulla scrivania di un magistrato».
 
 Mediaset per te punto d’arrivo o nuovo inizio?
 «È sempre un nuovo inizio, qualunque tipo di lavoro (non solo nel 
		giornalismo) è una finestra dove puoi affacciarti sul mondo; i 
		cambiamenti repentini sicuramente rivoluzionano la vita, ma ben vengano 
		se c’è sempre passione e dedizione. E onestà soprattutto».
 
 Fin dove ti spingeresti per uno scoop?
 «Non è una cosa che mi interessa, altrimenti avrei fatto altro; quello 
		che faccio – nonostante si possa pensare il contrario – è indirizzato ad 
		andare sempre in fondo, da giornalista investigativa quale mi 
		definiscono, che non deve lasciare nulla di intentato quando le si 
		prospetta un caso nuovo. Anche per quei risvolti sociali che possono 
		legarsi al mio lavoro, facendo vivere quello che seguo al telespettatore 
		(ma potrebbe essere anche l’ascoltatore radio o il lettore di un 
		giornale) e anche qui posso citarti un esempio, piccolo ma 
		significativo: con i colleghi di Mattino Cinque abbiamo seguito 
		il caso di una famiglia poverissima che da anni viveva in uno scantinato 
		in condizioni inimmaginabili per i nostri tempi; appena trasmesso il 
		servizio la redazione viene contattata da una persona che si è offerta 
		di ospitare queste persone in una casa che stava cercando di affittare 
		dicendo purché non vivano più in quelle condizioni».
 
 Non viaggio mai senza me stessa, scrivi sulla
		tua pagina twitter: e dove ti porta il prossimo passo?
 «Non lo so, ed è questo che mi piace: c’è sempre una valigia da 
		preparare per i viaggi che faccio di continuo; non so dove andrò, ma 
		quello che conta è avere come ti ho detto passione. Vivo in prima 
		persona tutto quello che faccio».
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			| TUTTO TV Virginia 
					Raffaele conquista la prima serata su Raidue tra risate ed 
					imitazioni di 
			Lisa Pinto 
 Grande successo di pubblico e critica 
					per lo show televisivo di Virginia Raffaele in 
					onda in prima serata su Raidue; Facciamo 
					che io ero è un concentrato di risate e 
					divertimento, dove non mancano spunti di riflessione 
					e satira, in cui la Raffaele racchiude il meglio dei 
					suoi personaggi più amati ed esilaranti.
 
 Romana, classe 1980, Virginia Raffaele, cresciuta in una 
					famiglia di circensi, ha lo spettacolo nel sangue:
					canta, balla, recita, imita 
					passando con disinvoltura da un ruolo all’altro senza 
					il minimo sforzo; 37 anni ed un fisico che non ha nulla 
					da invidiare alle note show girl, la Raffaele vanta 
					numerose collaborazioni alle spalle e che dopo tanta 
					gavetta conquista uno show da solista, quasi una
					moderna versione del classico Varietà.
 
 Non è possibile trovare una definizione per racchiudere la
					poliedricità della Raffaele, attrice, presentatrice, 
					imitatrice, conduttrice radiofonica; ma i suoi personaggi 
					più amati hanno raggiunto il grande pubblico 
					proprio durante l’edizione 2016 del Festival di Sanremo, 
					quando è stata scelta da Carlo Conti come 
					co-conduttrice della kermesse assieme a Gabriel Garko 
					e Madalina Ghenea. Sul palco dell’Ariston Virginia 
					Raffaele ha portato in scena ogni sera un personaggio 
					diverso rendendo uniche le sue esibizioni: 
					Sabrina Ferilli, Carla Fracci, Donatella 
					Versace e Belen Rodriguez; vip eccentrici 
					ognuno con una spiccata personalità in cui l’artista 
					romana riesce sempre a rendere unica ogni imitazione 
					senza mai cadere nella banalità e volgarità.
 
 Un successo annunciato il suo anche grazie allo spettacolo 
					teatrale One woman Show, partito in giro per 
					l’ Italia nel 2015, in cui ha proposto le parodie delle sue 
					imitazioni più famose ed esilaranti, registrando un successo 
					strepitoso in tutti i teatri italiani.
 
 Impossibile non restare affascinati da quel che 
					Virginia Raffaele propone al suo pubblico, passando con 
					disinvoltura dalle battute a doppio senso della Ferilli 
					alla leggiadria di Carla Fracci, dalla voce 
					autentica e potente di Fiorella Mannoia a
					Bianca Berlinguer, 
					dalle minigonne di Belen Rodriguez alla stilista 
					Donatella Versace, solo per citare alcuni dei suoi 
					personaggi più riusciti ed apprezzati dal grande pubblico.
 
 Non ha perso la sua semplicità, il suo 
					sorriso contagioso ed emozionato traspare in ogni 
					puntata di Facciamo che io ero in cui la Raffaele non 
					rinuncia a far emergere un po’ di sé con tatto ed 
					eleganza; uno show che è stata capace di cucirsi 
					perfettamente addosso e che segue le sue linee facendolo 
					diventare un autentico momento di alto intrattenimento, 
					destinato ad avere sempre più successo in termini di 
					popolarità ed audience.
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			Emanuela 
				 Damasio, ogni voce un’emozione diversa di 
			Giuseppe Bosso 
 Incontriamo
				 
				 Emanuela Damasio, apprezzata doppiatrice.
 
 Dove potremo ‘ascoltarla’ prossimamente?
 «Sono diverse le cose che stanno andando in onda, da Gypsy 
				 nella serie Flash, a Scarlett O’Connor in Nashville, 
				 a Dulcinea nel catone animato Le avventure del gatto con gli 
				 stivali; è uscito il 18 maggio nelle sale cinematografiche 
				 il film spagnolo La notte che mia madre ammazzò mio padre, 
				 commedia che mi sono divertita davvero molto a doppiare; e poi 
				 mi si sente sempre comunque negli spot della Ford, di cui sono 
				 la voce femminile nazionale da più di 3 anni!».
 
 Ricorda il suo primo doppiaggio?
 «Come quasi tutti ho iniziato con piccole cose, facendo la 
				 cosiddetta “gavetta” ma venivo da anni di teatro e mi diedero 
				 subito qualche piccolo personaggio. Non ricordo ora il 
				 primissimo doppiaggio, ma dei primi anni a Roma ricordo 
				 l’emozione, il silenzio della sala, la gentilezza dei direttori 
				 che cercavano di mettermi a mio agio e la mia caparbietà nel 
				 cercare, grazie alle loro indicazioni, le sfumature più sottili 
				 di ogni intonazione… un lavoro creativo, ma chirurgico… 
				 affascinante! Non era facile. Ogni tanto uscivo fiera e 
				 soddisfatta, ma la maggior parte delle volte tornavo a casa 
				 ripensando alle scene doppiate, se c’era qualcosa che non avevo 
				 colto pienamente e come avrei potuto dare di più… Ascoltavo con 
				 ammirazione i “mostri sacri” del doppiaggio che mi permettevano 
				 di assistere mentre incidevano, ero affascinata e grata di 
				 poter stare lì e ho imparato molto ascoltando. Entravo in sala 
				 in punta di piedi, sempre con la paura di disturbare, mi sedevo 
				 in un angolino e aspettavo in silenzio il mio turno a leggio».
 
 Quali sono i personaggi o le attrici che ha sentito 
				 maggiormente vicini al suo modo di essere?
 «Non ce n’è uno in particolare: sicuramente mi divertono i 
				 personaggi un po’ pasticcioni o un po’ svampiti o addirittura 
				 folli perché puoi osare e giocare di più a mio avviso, ma allo 
				 stesso tempo mi piacciono anche i personaggi molto drammatici, 
				 che vivono storie intense e dolorose. Trovo anche affascinanti 
				 i personaggi molto determinati e che sono dediti ad un ideale o 
				 ad una missione, e sì, in effetti, quelle che ho descritto sono 
				 tutte corde che conosco molto bene e in cui mi ci posso 
				 rispecchiare anche personalmente. Poi ogni personaggio non ha 
				 mai solo un aspetto, ma è un insieme di tante sfumature, come 
				 gli esseri umani d’altronde… tra i personaggi che mi sono 
				 rimasti nel cuore nella mia carriera posso citare ad esempio 
				 tra “i duri” Emma in The Following o Cameron in The 
				 Sarah Connor Chronicles; tra gli svampiti o i folli mi 
				 viene in mente ora per esempio Dori Lawrence in uno dei primi 
				 film da protagonista State Side; ma di certo non vado in 
				 giro ad ammazzare persone né sono rinchiusa in una casa di 
				 cura… per fortuna! Meraviglioso è stato dare la voce a Gwen 
				 Stacy in The Amazing Spiderman, a parte il piacere di 
				 doppiare un’attrice bravissima come Emma Stone, lei nella 
				 coppia è la mente che risolve i problemi difficili, che non 
				 rinuncia alla sua vita e ai suoi studi, pur amando intensamente 
				 Peter Parker. Non è la classica bella da salvare…. sarà 
				 forse per questo che infatti alla fine muore! Poi c’è anche il 
				 mio lato romantico e sognatore che vuole la sua parte e sono 
				 tanti i ruoli in cui emerge, da Scarlett O’Connor in 
				 Nashville in cui alla fin fine è sempre il cuore a 
				 spingerla a muoversi e a fare delle scelte, giuste o sbagliate 
				 che siano, a Peggy Olson in Mad Man, donna che cerca di 
				 emanciparsi negli anni ’60 ma che in poi si ritrova in storie 
				 sentimentali assurde, o anche a Rachel in Master of None 
				 serie televisiva che per tutta la prima stagione è veramente il 
				 racconto dell’evoluzione di una storia d’amore in tutte le sue 
				 fasi… tra le attrici, a parte quelle dei personaggi citati, amo 
				 anche molto per la sua naturalezza e la sua dolcezza Natalia de 
				 Molina un’attrice spagnola che ho doppiato in due film La 
				 vita è facile ad occhi chiusi e Kiki & i segreti del 
				 sesso».
 
 Ha doppiato anche Anna Favella, emergente attrice della 
				 nuova generazione, nella serie di successo Terra ribelle: 
				 essere doppiati, confrontarsi con una voce diversa, può essere 
				 un momento formativo per un attore italiano?
 «Penso di sì… ma forse bisognerebbe chiederlo a lei! Venne ad 
				 assistere alcune volte al doppiaggio della serie, sempre carina 
				 e attenta. Il fatto è che, come in ogni mestiere, ci sono 
				 sempre alcune cose tecniche che si imparano con l’esperienza… 
				 probabilmente la parte, come dire, ”fisica” è molto più diretta 
				 e istintiva di quella “vocale” che richiede invece in certi 
				 contesti tanto studio e tanta pratica. In un discorso molto 
				 generale, è vero che è importante vivere il personaggio, ma, 
				 come mi disse un giorno una mia insegnante, "la tecnica è il 
				 trampolino di lancio per andare oltre, per permettere che ciò 
				 che senti arrivi davvero al pubblico" e con quella non ci 
				 si nasce…bisogna applicarsi costantemente con un grandissimo 
				 impegno. Ma Anna è una donna intelligente e determinata e sono 
				 sicura che oggi non abbia più bisogno di nessuno che le presti 
				 la voce».
 
 Cosa comporta passare dal doppiaggio di un film intenso come
				 Manchester by the Sea a contesti più leggeri come 
				 Cenerentola o varie serie che ha avuto modo di doppiare?
 «Non è che comporti qualcosa di specifico… è forse la bellezza 
				 di questo lavoro: la possibilità di spaziare, di dar voce in 
				 ogni momento ad emozioni diverse, da quelle più ilari e leggere 
				 a quelle più intense e profonde. Certo magari in una giornata 
				 mi ritrovo a passare da una cosa all’altra nel giro di 
				 pochissimo tempo e a qualcuno potrà sembrare un lavoro da 
				 schizofrenici, ma in realtà è solo il rendersi disponibili a 
				 quello che c’è sullo schermo, a seguirlo e a lasciarsi 
				 semplicemente guidare dalla situazione e dal personaggio 
				 andando ad attingere dal quel grande pozzo di variabili 
				 possibili che ognuno ha nella propria pancia».
 
 Tanti giovani si stanno avvicinando al doppiaggio: come 
				 vivono il rapporto con i colleghi più esperti, almeno per 
				 quello che ha modo di constatare lei direttamente?
 «Molti si avvicinano per gioco, perché qualcuno ha detto loro 
				 che “hanno una bella voce”... poi dopo un po’ si accorgono che 
				 non è un gioco e che non basta avere una bella voce… anzi la 
				 varietà di voci differenti fa la musicalità di un film, quindi 
				 la voce bella può servire, ma fino ad un certo punto. Ma questi 
				 soggetti in realtà così come vengono spariscono in poco tempo… 
				 altri invece hanno veramente il desiderio di imparare e con 
				 gentilezza e umiltà chiedono di poter assistere ai turni di 
				 doppiaggio. Alcuni colleghi non amano avere gente in sala ed è 
				 comprensibile, si lavora con ritmi abbastanza veloci e c’è 
				 bisogno di molta concentrazione… io personalmente non ho mai 
				 problemi a far assistere, se non lo avessero permesso a me ai 
				 tempi, oggi non sarei qui a parlarvi e non sarei riuscita a 
				 fare della mia passione il mio lavoro… quindi mi piace pensare 
				 che tra le persone che magari si siedono al buio ad ascoltare 
				 ci sia qualcuno che sta facendo esattamente quello che ho fatto 
				 io un tempo appena arrivata a Roma e a loro auguro davvero 
				 tanta fortuna».
 
 Negli ultimi anni sono purtroppo venuti a mancare molti suoi 
				 colleghi, come Laura Latini, Gaetano Varcasia e Vittorio De 
				 Angelis per citarne alcuni: cosa ricorda di loro?
 «Che domanda difficile… appena li nomini mi appare davanti agli 
				 occhi il loro volto in uno dei momenti in cui abbiamo lavorato 
				 insieme o magari abbiamo chiacchierato e scherzato prima di 
				 entrare in sala… a volte mi sembra che non se ne siano mai 
				 andati, forse perché è doloroso pensarci o forse perché sono 
				 ancora nel cuore di tutti. Fatto sta che se anche la vita va 
				 avanti, un vuoto da qualche parte c’è e si sente. Un aggettivo 
				 per ognuno sarebbe limitante per descriverli».
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