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Telegiornaliste anno XII N. 34 (507) del 23 novembre2016
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Raffaella
Iuliano. Gli insegnamenti di mio padre
di Giuseppe Bosso
Il giornalismo nella sua vita fin dall'infanzia; figlia di Carlo
Iuliano, storico e indimenticato capo dell'ufficio stampa - primo in
assoluto in Italia, a partire dal 1967 - del Napoli calcio per oltre
trent'anni, scomparso nel 2013, incontriamo
Raffaella Iuliano, tra i
ricordi del passato e le prospettive del futuro.
Qual è stato l’insegnamento, giornalistico, che ti ha lasciato tuo
padre?
«La lealtà e la correttezza nell’informazione, dire le cose per come
sono realmente senza camuffarle. Concretezza e coerenza sono valori in
via di estinzione nel giornalismo, valori che restano nella vita.
Essendo cresciuta nel mondo del giornalismo fin da bambina ho sognato di
farne parte».
Per te è stato più difficile inserirti nel mondo del giornalismo in
quanto donna o in quanto figlia di Carlo Iuliano?
«Questa dicotomia uomo-donna non l’avverto nel giornalismo, forse
nell’ambiente sportivo un po’di più visto che il calcio è ancora
considerato un argomento prettamente maschile. Ma a Napoli ci sono tante
colleghe che di calcio ne sanno parlare e ne capiscono, come
Sonia Sodano e
Adriana De Maio. Nel giornalismo comunque non ho avvertito
difficoltà se non quelle che tutti stiamo vivendo a causa del momento di
crisi che non ci consente di trovare un’occupazione stabile».
Ritieni che il Napoli possa diventare una big a livello europeo,
capace di puntare a un successo in Champions League?
«Per il futuro le prospettive sono buone; quest’anno le premesse erano
buone ma l’infortunio di Milik è stato un colpo che ha tagliato le
gambe, ponendo problematiche che hanno portato a un ridimensionamento
degli obbiettivi. Ma bisogna essere ottimisti, guardare con fiducia al
lavoro di Sarri e della squadra, che col tempo porteranno a risultati».
Hai messo come immagine di copertina su Facebook una tua foto da
bambina in braccio nientemeno che a Diego Maradona: quali sono i tuoi
ricordi del fuoriclasse argentino che ha fatto sognare i tifosi
napoletani?
«Bellissimi, di un carissimo amico di famiglia a cui voglio bene come un
fratello maggiore che ho amato e difeso nei momenti più diffiicli; si
sente troppo spesso dire ‘Maradona è stato un grande calciatore, ma
non come uomo’ e io a queste persone rispondo che non si può
giudicare senza conoscere da vicino; è una persone di grande cuore, di
generosità che porterò sempre nel cuore; era molto legato a mio padre, e
ciò mi ha dato la fortuna di viverlo da vicino ».
In occasione del premio giornalistico intitolato a tuo padre lo
scorso anno abbiamo assistito ad un acceso dibattito tra
Umberto Chiariello e Luciano Moggi: cosa hai provato?
«Polemica che non aveva motivo di esistere; Luciano, che per me è come
uno ‘zio’, era venuto al memorial intitolato a mio padre per ricordare
il suo carissimo amico. Purtroppo alcuni giornalisti tendono sempre a
cercare la polemica, ma il senso di quell'evento era ben diverso. Per
fortuna, lo stesso Chiariello se n'è reso conto, ed entrambi sono
rimasti per il piacere di ricordare una persona cara».
Quindi anche Moggi ha fatto parte della tua vita: il calcio italiano
avrebbe ancora bisogno di lui, a distanza di dieci anni da calciopoli e
da quel che ne è seguito?
«Luciano rimane uno dei più grandi intenditori di calcio che siano mai
esistiti; il processo Calciopoli l’ho seguito dal vivo, nelle udienze
che si sono svolte al tribunale di Napoli, e anche se qualcuno non mi
crederà dico che è stato uno dei più grandi imbrogli della cronaca
giudiziaria italiana, perché si è cercato di individuare una
responsabilità penale dove un reato non c’era; rimane il fatto che in
quei giorni venne nominato un commissario straordinario in Guido Rossi,
che assegnò lo scudetto all’Inter a tavolino, guardacaso appena uscito
dal cda nerazzurro; tante cose non sono state dette, è stato per me un
modo per fa fuori un personaggio che essendo molto abile nel suo
mestiere era riuscito a costruire qualcosa di grande; tanto per dirne
una, proprio nel 2006 la finale di Coppa del Mondo fu disputata tra
Italia e Francia con in campo nove undicesimi della Juventus dell’epoca,
una delle squadre più forti del mondo di allora».
Hai presentato Spakkanapoli, programma e magazine, dicendo di
voler difendere la città da stereotipi e pregiudizi: missione riuscita o
ancora in corso?
«I luoghi comuni su Napoli ci saranno sempre, la notizia raramente viene
dalle cose positive; da napoletana innamorata della sua città e della
sua cultura, con voglia di restituire quella storia ‘rubata’ e nascosta,
credo che Napoli meriti programmi come questo, che senza effetto
vogliono semplicemente dimostrare che ci sono tante cose belle da
raccontare, di far conoscere, sia a livello paesaggistico, storico,
culinario… abbiamo un grande patrimonio, conosciuto in tutto il mondo,
come del resto tante cose che costituiscono il cosiddetto made in Italy
abbiano proprio radici qui. Certo le brutture esistono, ma non devono
essere evidenziate al punto da oscurare questo bello che ti dicevo; non
c’è un limite all’argomentazione, ho anche parlato di calcio in date
legate a Maradona, una mini inchiesta sul campo Paradiso, storico centro
sportivo dove non solo Diego ma anche altri grandissimi campioni si sono
allenati in quegli anni d’oro e che ora è purtroppo abbandonato a se
stesso… ma anche i templi di Paestum, i tesori nascosti di tante chiese,
la tradizione gastronomica; c’è tanto da vedere, non so quante edizioni
ci vorrebbero per raccontare pienamente tutta la città. Ogni napoletano
avrebbe il dovere di conoscerla questa storia, scoprirebbe cose che
anch’io non immaginavo, come il fatto che la forchetta a quattro punte,
usata in tutto il mondo tranne forse in Asia l’abbiamo inventata proprio
noi napoletani alla corte di Re Ferdinando di Borbone. Adesso sono al
lavoro per organizzare la seconda edizione, la prima è andata in onda su
Canale 9, ma quest'anno non è più possibile. Spero di trovare un’altra
emittente per trasmetterla».
E Napoli è una città a misura di giornalista?
«Totalmente, ti dà notizie ogni giorno, anche se sei fermo in un bar
puoi vedere qualcosa che può fare notizia. Anche altre città, certo, ma
Napoli lo è a 360 gradi, il giornalista trova un mondo a parte che
altrove magari non trova».
Hai mai pensato di lasciare Napoli per cercare di affermarti altrove?
«Se potessi scegliere rimarrei qui a vita; l’idea di non vedere la mia
città, il Vesuvio, il lungomare, il sole che tramonta dietro Ischia
sarebbe difficile da affrontare; anche quando mi allontano per viaggi
soffro la mancanza di tutto, anche del cibo… se un giorno andassi via lo
farei per costrizione; ma la vita talvolta ti porta a queste scelte
quando c’è la necessità di trovare un lavoro stabile».
Il ritratto di Raffaella Iuliano.
«Una persona molto normale, coerente e testarda a cui non piace tanto
parlare ma agire. E innamorata del giornalismo, della sua città e della
maglia azzurra del Napoli, che va al di là dei giocatori e dei
presidenti. E innamorata ovviamente di suo padre».
Cosa vedi nel domani?
«Guardare avanti è un punto di partenza inevitabile, indietro non si
torna anche se a volte mi piacerebbe… negli ultimi tre anni tante cose
sono successe che non mi sarei aspettata. Questo mi ha portato a non
fare più progetti a lungo termine. Continuerò ad andare avanti ogni
giorno, seguendo sempre gli insegnamenti di mio padre». |
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TUTTO TV Diane Keaton-Suor Mary conquista l’Italia
di Lisa Pinto
È appena terminata la prima stagione (voci
insistenti danno in scrittura già la seconda) di
The Young Pope la serie evento
ideata, scritta e firmata dal regista napoletano Paolo
Sorrentino e giunta al “the end” dopo dieci
puntate trasmesse su Sky Atlantic, con record
d’ascolti ed il successo della critica per l’ennesima
perla di Sorrentino, reduce dal premio Oscar con il
lungometraggio La Grande Bellezza.
A spiccare la figura, come attore, di Jude Law, nei
panni del “Papa giovane”, Lenny Belardo, ma
anche quella del partenopeo Silvio Orlando, nelle
vesti del Cardinale Voiello; ma a rappresentare il
mondo ecclesiastico “in rosa” al meglio è stata
certamente Diane Keaton, Suor Mary per coloro
che hanno seguito la serie televisiva.
Un cast, come si evince dai nomi, di primissimo
livello e che hanno reso davvero un evento The Young
Pope; per l’attrice il ruolo della suora statunitense
che ha cresciuto e aiutato Lenny ad arrivare al
pontificato, ma non solo, divenendo una sorta di
madre oltre che tutrice trasferendosi, per volere di
Papa Pio XIII in Vaticano, seguendo passo dopo passo
tutta la sua attività prima di venire dirottata in
Africa a supporto dei bambini poveri.
Eccellente la sua interpretazione, con Diane Keaton (nome
d’arte di Diane Hall), nata nel 1946 che porta a termine
l’ennesima perla della sua carriera, con un
debutto che risale al teatro, luogo dove conosce
il suo futuro marito, Woody Allen, venendo scritturata
per affiancarlo nel celebre spettacolo Provaci ancora,
Sam (che poi diventerà anche un film,
interpretato proprio da Allen e dalla Keaton).
Il sodalizio con Woody Allen sarà fondamentale,
tanto che Diane Keaton per un po' è una presenza fissa
nei suoi film, da Il dormiglione a Manhattan,
passando per Amore e guerra, Interiors
e soprattutto per la popolarissima commedia Io e Annie,
grazie alla quale si porta a casa il primo e finora unico,
premio Oscar come miglior attrice protagonista. Ma
ancor prima dei film di Allen, nel 1972 a lanciarla
come star del cinema è il ruolo di Kay Adams, la
fidanzata e poi moglie di Michael Corleone (Al
Pacino) ne Il padrino di Francis Ford
Coppola; Diane Keaton tornerà a vestire i suoi panni
anche nel prosieguo della saga, nei sequel
Il Padrino - Parte II e Il Padrino - Parte
III.
Nel "post Allen" Diane Keaton si consola subito
lavorando con Warren Beatty in Reds
(seconda nomination agli Oscar su quattro della sua
carriera); nei decenni successivi è protagonista in
alcune delle più fortunate commedie del periodo, da
Baby Boom a Tutto può succedere,
passando per Il padre della sposa e Il
club delle prime mogli. Ma non disdegna ruoli
drammatici, ad esempio nel film del 1996 La stanza
di Marvin, terza nomination agli Oscar a cui segue
quella per il già citato Tutto può succedere.
Ora l’attesa è tutta per capire se e quando verrà
realizzata la seconda stagione di The Young
Pope, augurandosi anche un ritorno di Diane
Keaton versione “Suor Mary” in Italia, a Roma,
all’interno del Vaticano. |
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Isabella
Vanini racconta la sua vita da autrice
di Tiziana Cazziero
Ciao Isabella, grazie per aver accettato questo invito: come
nasce L’Isabella autrice? Quando hai deciso che la scrittura
sarebbe diventata parte importante della sua vita
professionale?
«Ciao, Tiziana, grazie a te: all'inizio, in effetti, ho dato
retta alla mia passione di scrivere e ho usato il vero nome,
poi sostituito dal ben più conosciuto pseudonimo di Evelyn
Storm; ma, dato che Facebook mi ha "obbligata" a mettere il
vero nome e che, in futuro, progetto di tornare a scrivere
anche così, ti rispondo come Isabella. Per quanto riguarda la
seconda domanda, diciamo che a tredici anni ho sperato di
diventare scrittrice, ma ho iniziato a esserlo passati i
venticinque».
Qual è il genere che preferisci? C’è stato forse qualche
autore che ha influito sul tuo stile e genere letterario
trattato?
«Il genere che preferisco è il romance in tutte le sue
varianti, compreso il paranormal romance. Sul come mai lo
preferisco è perché il sentimento più grande è l'amore e quindi
non deve mai mancare nei miei scritti, nemmeno in altri generi
meno romantici. Diciamo che, quando voglio essere proprio tanto
romantica, prendo spunto da William Shakespeare e il suo
Romeo e Giulietta».
Quanto c’è di te nei tuoi scritti?
«C'è parecchio, ma non tutto. Mi piace alternare realtà a
fantasia; o quello che vorrei accadesse a me. Tipo, mi sarebbe
piaciuto vivere quello che è capitato a Sofia Bellini in
Affari di cuore a Madrid, la storia che più mi ha presa tra
le mie».
Qual è l’ultima tua opera? Parlaci di questo testo e come è
nata l’idea per realizzarla?
«In realtà, dopo Evanescent Appearances, mi sono
ributtata su Don't leave me for Christmas, dato che ho
trovato una cover che mi sembrava più appropriata per il libro.
Poi, dato che c'ero, ho rimesso a posto l'interno e ho fatto lo
stesso con tutte le mie storie. Sto però ancora aspettando che
Amazon e Createspace pubblichino tutte le versioni aggiornate.
Per finire, ho preso tre delle mie storie più brevi, Tu,
come una valanga; il già citato Don't leave me for
Christmas e Una notte a Londra e li ho riuniti
proprio oggi in una mini-antologia. Sto aspettando esca».
Quali sono i tuoi progetti attuali?
«A parte aspettare le uscite aggiornate dei miei libri per
farne degli eventi, sto scrivendo un nuovo libro per una casa
editrice. Ho altri progetti, ma riguardano la grafica e
l'illustrazione. Quindi, tralascio di parlarne».
Esperienza di auto pubblicazione contro quella con editore,
com’è stata la tua esperienza a tal proposito?
«Devo essere sincera? Preferisco il self publishing, perché ho
piena libertà di agire, ma in quanto a pubblicità, è dura farsi
un nome in mezzo a tutta la concorrenza e considerando che, più
di un tot di ore al giorno, non posso collegarmi per impegni
vari. Però una nota di merito mi sento di darla a Delos: ho
pubblicato con loro Incontriamoci allo Sweet Temptations
e devo dire di non aver avuto problemi, anzi. Difatti
ripubblicherò con loro, spero. Penso anche che qualche altra
casa editrice meriti di essere tenuta in considerazione, in
modo da alternare le due cose: case editrici e self
publishing».
Quanto tempo dedichi alla scrittura?
«Non ho un orario fisso: c'è il periodo in cui scrivo tanto e
tante ore al giorno e il periodo in cui non scrivo quasi
niente; poi dipende; a volte, se messa sotto pressione, scrivo
un sacco, tipo se voglio propormi a qualche casa editrice e il
tempo stringe perché c'è una scadenza; ecco, in quel caso,
volo; altre cose permettendo».
Recensioni, un argomento ostico per gli autori: come
reagisci a quelle negative e cosa provi quando invece ne ricevi
una positiva?
«Ultimamente non è così semplice avere delle recensioni. Magari
faccio eventi o giveaway, aspettandomi in cambio almeno una
recensione, che poi magari non arriva comunque, nonostante mi
sia stato assicurato di sì. In ogni caso, alle recensioni
negative reagisco in due modi: se mi aiutano a capire i miei
sbagli e sono costruttive, le considero. Se messe lì solo per
offendere, tento di passarci sopra e di andare avanti per la
mia strada. Specialmente se poi trovo la stessa recensione che
hanno scritto a me anche sotto i libri di altre autrici. Come
dire che l'hanno copiata e incollata senza tenere conto del
libro».
Quanti romanzi hai scritto e quali sono le tematiche che ti
piace trattare?
«Tralasciando i libri fuori commercio che non considero
proprio, ho scritto dieci libri. Anche se ne sto aspettando uno
da mesi che esca con una casa editrice di cui non ho notizie». |
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