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Telegiornaliste anno XII N. 27 (500) del 28 settembre 2016
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Martina
Maltagliati, l'assoluzione di Nuzzi un segnale positivo per il nostro
lavoro
di Giuseppe Bosso
Ligure, da quattro anni in forza a
Tgcom 24 e a
Quarto Grado, incontriamo
Martina Maltagliati.
Come ti sei sentita alla tua prima conduzione delle news di Tgcom 24?
«Esperienza completamente diversa rispetto al lavoro che avevo fatto
fino a quel momento, per ritmi e modalità; è stato un completamento per
il mio percorso professionale, stare dietro minuto per minuto alla
notizia ed essere pronta a darle in tempo reale al pubblico cercando di
essere più completi e professionali possibili, sotto la supervisione del
direttore Paolo Liguori che scrupolosamente controlla che siamo sempre
pronti e attivi sul pezzo. È questo il privilegio di fare informazione,
anche se non mancano momenti di alta tensione come quelli che abbiamo
vissuto in estate».
Come ti sei sentita accolta in redazione, da colleghe e colleghi più
esperti?
«Come in una famiglia molto solida e unita, dove anche tra noi, tante
donne giovani e di bell’aspetto non c’è competizione, come è giusto che
sia con tempi di lavoro fatti di turni di otto ore che non consentono di
perdere tempo in stupidaggini; sono grata soprattutto a Manuela Boselli
che fin dall’inizio mi ha aiutata a capire il funzionamento del touch
screen, come alle altre colleghe veterane dalle quali apprendo ogni
giorno sempre cose nuove; soprattutto abbiamo la fortuna di poter far
riferimento su un capo redattore come Alberto Baracchini, e persone che
si vedono meno in video come Andrea Saronni, che fanno sì che ogni
giorno il miracolo delle lunghe direte si compia».
Quale deve essere il ruolo dell’informazione in un momento di grandi
emergenze come quello che stiamo vivendo?
«Anzitutto l’informazione non deve mai drogarsi di ‘panza’ e personali
idee politiche, essere l’occhio un po’più lungo del cittadino-spettatore
su quello che accade, la telecamera che racconta il mondo non solo per
analizzare un problema ma anche, se possibile, prevenirlo, dando una
notizia ‘filtrata’ esclusivamente per brevità di tempo e semplicità per
la comprensione delle persone».
Come hai vissuto il difficile periodo che ha attraversato Nuzzi?
«Gianluigi Nuzzi ha vissuto un anno davvero ‘impegnativo’, che però non
gli ha impedito di seguire con la professionalità e l’attenzione di
sempre l’andamento del programma, che ha chiuso con ottimi ascolti e
grandi consensi della critica. Abbiamo la fortuna di essere una
‘famiglia’ che oltre che su un ‘papà’ come lui – entrato in corsa al
posto di
Salvo Sottile senza farlo mai rimpiangere – può contare su
una ‘mamma’ come
Siria Magri, che sei anni fa ha progettato questo programma e
lo porta avanti con entusiasmo. È un bene che la sua esperienza si sia
chiusa con un’assoluzione che gli permette di continuare ad avanti a
testa alta nella missione massima del giornalista, raccontare sempre la
verità, anche se ci si può imbattere in una corte o un tribunale che ti
intimano di non farlo. I momenti di paura e di tensione non sono
mancati, ma Gianluigi rimane un esempio e un monito da seguire per noi».
Segui accorgimenti dal punto di vista del look?
«Un aspetto che sto cercando di sistemare – ride, ndr – visto che ai
tempi in cui ero inviata non prestavo particolare attenzione a cosa
mettermi per andare in strada… lavorando a Quarto Grado, con
situazioni e momenti di grande dolore. Da mezzobusto il discorso è
diverso, eleganza e pulizia sono indispensabili per ‘entrare in casa’
della gente che ti guarda, quindi giacche mai troppo scollate e
assolutamente vietato far vedere le spalle».
Che idea ti sei fatta di Telegiornaliste?
«Siete molto importanti per noi che facciamo questo lavoro, dandoci
anche modo di parlare di noi e del nostro lavoro». |
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Leotta, regina della Serie B e dei social
di Lisa Pinto
È bastato poco a Diletta Leotta, volto di
Sky Sport, per conquistare i tifosi del
campionato di calcio di serie B, e non solo.
Nata a Catania, nel 1991, subito dopo la laurea in
giurisprudenza, ha iniziato a lavorare in tv: per 5 anni
infatti è stata una ‘meteorina’ per il meteo di Sky Tg24
per poi passare alla redazione di
Sky Sport24, diventando un volto di punta
della redazione; assieme a
Gianluca Di Marzio infatti, ogni sabato è la
padrona di casa della Serie B, dove ogni settimana si
affrontano analisi e commenti nei pre e
post partita.
Notata in poco tempo per la sua delicata bellezza,
Diletta Leotta ha dato prova anche di competenza e
professionalità in un settore, quello sportivo,
sdoganato dalla collega
Ilaria D’Amico, in cui hanno dimostrato sul campo
come a masticare di calcio, e sport in genere, non
sia una prerogativa prettamente maschile.
L’ambito sportivo infatti, non è nuovo per la Leotta
che, oltre alla conduzione delle edizioni del Tg Sport
di Sky è ben felice di dedicarsi alle presentazioni delle
realtà sportive richiamando un gran numero di fan
e tifosi che la seguono anche sui social network;
cliccatissimi e seguitissimi infatti anche i suoi
profili social che Diletta aggiorna costantemente con
foto e dettagli. Un aspetto che ci tiene a
curare personalmente e dove non mancano scatti
dove la ritraggono nella sua quotidianità o poco
prima di andare in onda; copiatissimi e fonte di
ispirazione sono anche i suoi outfit che mettono
in risalto le sue curve con eleganza e
raffinatezza.
Una carriera, quella di Diletta Leotta, in rapida
ascesa e che è riuscita ad imporsi nel panorama
sportivo nazionale con rapidità e con grandi
soddisfazioni. |
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Intervista
all’autrice Silvana Sanna, ci parlerà del suo ultimo romanzo
Nella valle dell’Eden
di Tiziana Cazziero
Ciao Silvana e grazie per aver accettato il mio invito.
Cominciamo con l’ultimo lavoro, Nella valle dell’Eden
edito da
Le
Mezzelane: di cosa parla questa storia?
«Grazie a te, Tiziana! Con Nella valle dell’Eden ho
voluto dare un seguito alla storia di Anna e Biagio narrata nel
racconto Maschio e femmina li creò, che terminava poco
prima che i due protagonisti rientrassero dalla montagna, il
luogo magico, la valle dell’Eden appunto, che aveva visto la
nascita del loro amore; la prima parte del romanzo riprende
dunque il racconto, anche se ridimensionato con il taglio di
molte scene e modificato con l’introduzione di altre per
adattarlo a ciò che avverrà in seguito, e prosegue con la
descrizione dell’impatto, tragico se vogliamo, con la realtà
che attende i due ragazzi al loro rientro a casa; siamo nei
primi anni ‘60, quando l’amore e la sessualità erano visti con
un ottica ben diversa da quella dei nostri giorni e i rapporti
tra maschi e femmine erano regolati da norme rigide e ben
codificate, rivolte soprattutto alle ragazze. È infatti Anna
quella che subisce le conseguenze maggiori di aver avuto il
coraggio di ribellarsi alla bigotta moralità corrente: io li
rammento bene quegli anni, erano quelli della mia giovinezza,
quando la vita delle giovani donne era governata dai genitori e
la libertà personale era a volte solo un miraggio, una
situazione pesante, specie se esasperata come in molti casi; e
tuttavia rimpiango il concetto che si aveva allora dell’amore e
della sessualità, la convinzione dell’esclusività del rapporto,
dell’importanza del sesso come ‘valore’ e dono reciproco,
concetti che oggi paiono troppo spesso superati».
Quando hai cominciato la tua attività con la scrittura?
«Prima di essere una “scrittrice” - e lo metto tra virgolette
perché non oso definirmi tale, sono solo una che si diverte a
raccontare delle storie senza prendersi troppo sul serio - sono
da sempre una lettrice appassionata: l’amore per le parole
scritte mi ha conquistata subito, quando a sei anni ho imparato
a leggere, e da allora non ho più smesso, sono una divoratrice
di libri con gusti molto eclettici; la scrittura è arrivata
presto come conseguenza, ma per molti anni tutto ciò che
scrivevo rimaneva relegato nel famoso cassetto, al limite
partecipavo a qualche concorso letterario, risultando sempre
tra i vincitori, un divertimento che ho tralasciato da un bel
pezzo. La svolta è arrivata diciassette anni fa quando ho
iniziato a collaborare con racconti e romanzi con due noti
settimanali femminili».
Sei autrice di diversi racconti, alcuni di questi hanno
interesse anche personale, come il romanzo Un nome inventato,
con fotografie di famiglia se non sbaglio: come mai questa
scelta? Vuoi parlarcene?
«Non so se Un nome inventato sia il mio lavoro più
bello, come alcuni mi hanno detto, ma certo è quello che io amo
di più: è la storia autentica, anche se un po’ romanzata, della
mia famiglia di origine, una piccola saga familiare
strettamente legata alla terra e ai suoi riti. Difatti le mie
radici affondano proprio nella terra e tutto ciò che riguarda
la civiltà contadina mi ha sempre affascinata; così come da
bambina mi affascinava la storia, per certi versi molto
particolare, dei miei bisnonni e dei miei nonni, costellata di
episodi a volte buffi e teneri, altri tragici, che io ascoltavo
raccontati dalle zie quando d’estate andavo a trascorrere le
vacanze alla cascina; episodi narrati a spizzichi e a bocconi,
che a volte mi confondevano invogliandomi a saperne di più. Con
questo romanzo mi sono presa il divertimento di raccontare la
storia dall’inizio e tutta di fila; la spinta mi è venuta dal
rinvenimento del libretto militare di mio nonno, che aveva
partecipato alla prima guerra mondiale, dove ho trovato
conferma di alcuni particolari solo sentiti dire; e siccome i
personaggi sono reali ho voluto inserire le foto di famiglia
che li ritraggono; solo nell’ultima parte ho rimescolato un po’
le carte e, lo confesso, ho pure inventato attingendo alla mia
fantasia. Io abito ancora in quel paesetto sulla collina, una
scelta fatta qualche anno fa, un ritorno dettato dall’amore che
sento per questa campagna e questi luoghi».
Da cosa trai ispirazione per le tue storie? C’è un evento
particolare, un sogno o cosa, che fa scattare l’attimo che
decreta l’inizio di un nuova avventura letteraria?
«Ho avuto una vita abbastanza movimentata: ho vissuto in
diversi posti, anche se ora abito in Piemonte ho trascorso, ad
esempio, la fanciullezza in Toscana, figlia di madre piemontese
e di padre sardo, militare per di più, due mentalità diverse
che non sempre si trovavano d’accordo; sono anzianotta e ho
buona memoria, a volte per tessere una storia mi basta
attingere a ciò che ho vissuto, come accade ad esempio in
Nella valle dell’Eden o La mia casa sulla collina;
altre volte l’ispirazione mi viene da un fatto di cronaca o da
quello che mi raccontano amici e conoscenti, e poi ho tre figli
e capita che lo spunto mi arrivi da loro o dai loro amici;
quando mia figlia abitava ancora con noi e venivano le compagne
a trovarla (ho messo a tavola nella mia vita valanghe di
gente…) diceva loro ridendo “non raccontate a mia madre i
fatti vostri che poi vi ritrovate in una novella o in un
romanzo!”. E loro, ovviamente, me li riferivano di
proposito… è difficile che io inventi di sana pianta, mi piace
raccontare la quotidianità, quella delle persone reali, delle
donne soprattutto: persone normali costrette magari ad
affrontare situazioni straordinarie, ma nelle quali ciascuna
lettrice possa identificarsi. Attingo alla mia fantasia solo
quando scrivo racconti per ragazzi che contengono un mistero,
ma anche qui parto sempre da situazioni realistiche».
Autrice self e coneditore: come definiresti questi due
metodi di pubblicazione, pro e contro? Ti va di raccontarci il
tuo punto di vista?
«Mi trovo bene sia come self che con l’editore:
l’autopubblicazione mi lascia molta libertà, anche perché
faccio tutto da sola (a parte un aiuto necessario per il
controllo del testo) compresa la copertina; avere un editore mi
regala qualcosa in più, una certa sicurezza visto che si
occupano di tutto, e anche, data la mentalità corrente, un
certa importanza… eh, inutile negarlo: chi ha alle spalle un
editore viene considerato di più e risulta forse più credibile;
personalmente non ho mai mandato un mio lavoro a una casa
editrice nella speranza di essere pubblicata; se ho un romanzo
in cartaceo e un secondo che uscirà a metà ottobre, lo devo più
a una fortuita combinazione che alla ricerca personale, non
sono ambiziosa e in fondo la scrittura per me è soprattutto un
divertimento. Con il self vado benissimo, ho colto parecchie
soddisfazioni, il prezzo basso degli ebook se fa intascare
cifre irrisorie, dà all’autore la possibilità di arrivare a
tanti lettori ed è questo che mi interessa, che qualcuno mi
legga. Perché è inutile dire che scriviamo per noi stesse, è
vero anche questo, ma la soddisfazione viene dai lettori e dai
loro commenti. Quando in una recensione il lettore scrive che è
rimasto coinvolto nella storia, che si è commosso, che ha riso,
che si è divertito, io sono contenta come una Pasqua! Il
problema è che purtroppo ormai nel calderone del self ci
finisce di tutto, lavori che a volte fanno rizzare i capelli in
testa per la banalità delle storie e soprattutto per una forma
sciatta e infarcita di errori. Ed è un peccato, perché questo
finisce per sminuire anche autori e autrici di valore. E ce ne
sono molti, davvero, che meriterebbero un successo maggiore».
Grazie della chiacchierata. Dove possono contattarti i
lettori?
«Sono negata per qualunque iniziativa di tipo tecnologico, ho
una famiglia pesante e ben poco tempo a disposizione; mi limito
ad avere una
pagina Facebook a mio nome, dove ogni tanto promuovo
i mie lavori e rispondo sia privatamente che sulla pagina agli
amici che mi contattano. Grazie a te Tiziana e un abbraccio a
tutti!». |
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