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Telegiornaliste anno XII N. 13 (486) del 13 aprile 2016
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Lilly
La Fauci:
ho una predilezione per il giornalismo di cuore
di Antonia Del Sambro
Lilly La Fauci è bella giovane e ha le idee molte chiare. Determinazione
e grinta che la portano ad essere una giornalista a tutto campo che ama
la sua terra ma si strugge anche per essa e per le poche opportunità che
regala ai giovani. Una giornalista che fa emozionare e che si emoziona
passando con garbo e agilità dal racconto della carta stampata al
racconto televisivo.
Lilly tu passi agevolmente dal lavoro di ufficio stampa, a quello di
giornalista del settore fino alla cronista locale: ma dove ti senti più
ispirata e maggiormente coinvolta e perché?
«Credo che, oggi più che mai, il giornalista debba sapersi muovere in
tutti i settori e attraverso tutti i canali di comunicazione: nell’epoca
delle nuove tecnologie è fondamentale, soprattutto per i giovani, saper
utilizzare tutti gli strumenti disponibili, dalla carta stampata al web
passando per la tv, strumenti che, tra l’altro, vanno nella direzione
della convergenza. Il giornalista “di settore”, a mio avviso, non esiste
più; scrivere soltanto di un determinato ambito è un lusso che non
possiamo più permetterci, anche se ovviamente è normale avere un settore
nel quale si opera principalmente. Il lavoro di addetto stampa, invece,
ha una sua precisa specificità, necessita di un’apposita preparazione e
anch’esso risulta particolarmente stimolante. Pur trovando affascinante
davvero a 360 gradi quello che, a mio avviso, è il lavoro più bello del
mondo, e cercando di svolgerlo in tutte le aree a me possibili, ho una
predilezione per quello che mi piace definire il “giornalismo di cuore”;
che non è certamente la cronaca rosa, ma quel giornalismo col quale si
raccontano storie di vita vera. Negli ultimi anni, mi è capitato di
raccontare storie che mi hanno particolarmente colpita e coinvolta,
talvolta purtroppo per la loro tragicità, talvolta, invece, per il loro
straordinario messaggio di speranza: ho visto madri perdere i loro
figli, donne perdere i loro compagni o raccontare di aver subito
violenze ed abusi, ma anche ragazze che hanno perso l’uso delle gambe e
hanno continuato a danzare, persone che hanno trovato la forza di
ricominciare anche quando tutto sembrava perduto. Nel raccontare queste
storie sono cresciuta, insieme con (spero) la mia penna. Ed è bellissimo
poterlo fare sia attraverso la carta stampata, che consente la
descrizione di dettagli ed emozioni che è impossibile narrare con il
linguaggio televisivo di per sé sintetico, che con la tv, che grazie
alla potenza delle immagini e alla possibilità di inserire sottofondi
musicali permette una totale “immersione” del telespettatore nella
storia. Si tratta, inoltre, a mio avviso, dell’unico tipo di giornalismo
sul quale, nell’epoca di internet, si può puntare per dare alla gente
motivo di comprare un giornale o accendere la tv: la notizia, ormai, in
versione più o meno approfondita, arriva quasi a tutti in tempo reale
attraverso i siti web, risorsa fondamentale. E solo scuotendo le anime,
i cuori, le coscienze dei cittadini si possono tenere in vita i mezzi di
comunicazione tradizionali».
Tu sei ancora molto giovane eppure hai già maturato molta esperienza,
come hai cominciato e cosa ti ha spinto a intraprendere questo percorso?
«Il mio più grande pregio-difetto è quello di aver sempre avuto le idee
molto chiare. E non mi lascio scoraggiare facilmente: sono sempre stata
portata per la scrittura; e come mia madre ama raccontare, ai tempi
delle scuole elementari, scrivendo il tipico tema su “Cosa vuoi fare da
grande”, ho scritto che avrei voluto frequentare il liceo classico,
laurearmi in Lettere e poi diventare giornalista. E poi ho fatto davvero
tutte queste cose, spinta da una grande passione. Avevo persino
specificato che mi sarebbe piaciuto lavorare alla Gazzetta del Sud
e nella sua tv,
Rtp.
Ricordo che da bambina passavo davanti a quel bellissimo palazzo blu che
si trovava non lontano da casa mia, immaginavo i vari giornalisti
impegnati a scrivere le pagine del giornale e a confezionare i servizi
giornalistici per il tg, e sognavo di poter essere, un giorno, una di
loro; nel 2010, dopo la pubblicazione del mio primo libro, sono stata
scelta per presentare una serie di eventi della mia città. In prossimità
della laurea in Lettere classiche, nel 2011, ho iniziato a lavorare per
un giornale on line; nel 2013, a venticinque anni, collaborando con Rtp,
ho preso il tesserino di giornalista».
Tu puoi essere definita una giornalista made in Sud per il tuo
percorso e per le tue origini; è più difficile fare informazione o
cercare di crescere professionalmente nelle regioni del sud dell’Italia?
«L’essere una giornalista made in Sud (bellissima definizione) è
allo stesso tempo un grande orgoglio e una condanna. Un orgoglio perché
amo la mia terra, nella quale finora ho scelto di restare pur avendo
avuto delle opportunità di lavoro al nord, e poter cercare, per ciò che
è in potere della stampa, di contribuire al suo progresso ed al suo
miglioramento, fa parte della “missione” ed è grande stimolo per i
giornalisti che scelgono di operare principalmente nel loro territorio,
nel quale diventano inevitabilmente dei veri e propri punti di
riferimento per la collettività. È, però, purtroppo, anche una condanna
perché, ovviamente, in Sicilia le strutture adatte a formarsi
adeguatamente e soprattutto gli sbocchi occupazionali sono davvero
pochi. Io ho avuto la fortuna di formarmi e di lavorare in una delle più
importanti realtà giornalistiche del sud Italia, ma so che tanti altri
giovani validi sono costretti a lasciare Messina per poter fare i
giornalisti e questa è una delle più gravi perdite intellettuali per il
nostro territorio».
Cosa ti piace di più di quello che fai e cosa cambieresti?
«Croce e delizia di chi fa il giornalista, soprattutto in tv, è
il rapporto con la gente: essere fermati per strada dalle persone che
hanno seguito i nostri servizi in tv o le nostre trasmissioni televisive
e ci fanno i loro più sinceri complimenti, o ancora meglio poterle
aiutare concretamente attraverso quello che è il più potente mezzo di
comunicazione, è motivo di grande soddisfazione e gioia. E rappresenta
l’essenza del giornalismo televisivo. I social network permettono di
avere piena contezza del consenso che si ha da parte del pubblico e
soprattutto di interagire con esso; per quanto mi è possibile, io cerco
di rispondere a tutti coloro che mi scrivono cercandomi attraverso la
mia pagina o il mio profilo Facebook. La possibilità di interazione col
pubblico, però, è un’arma a doppio taglio: perché purtroppo, chi si
trova ad essere molto in vista, può essere, e spesso è, soggetto a
critiche feroci. Devo dire che personalmente ho avuto di gran lunga più
esperienze positive che negative in tal senso. Inevitabilmente i
commenti negativi, soprattutto se palesemente gratuiti, mettono
tristezza, ma finché a fronte di ognuno di essi ce ne sono centinaia
positivi, vuol dire che si è sulla strada giusta e vale sempre la pena
andare avanti. È alla gente che noi giornalisti dobbiamo sempre
rivolgerci, con umiltà, chiarezza e semplicità. E la critica, così come
il consenso, fa parte del gioco. Quindi non cambierei nulla. Verrebbe da
dire, è la televisione, bellezza». |
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Il
mondo del giornalismo piange un grande cronista: Emiliano
Liuzzi di Crilly
È andato via troppo presto. La regola vuole
che il famoso coccodrillo venga elaborato quando un
personaggio famoso, uno statista, una
persona nota ai più si accinge a passare a miglior
vita vuoi per l’età, vuoi per altre cause.
Scrivere della dipartita di Emiliano Liuzzi non è
semplice.
Un collega stimato, bravo, professionale,
attento ad ogni dettaglio: una fine penna che
racchiudeva, in se, quel poco che è rimasto del
giornalismo che conta; un giornalismo serio,
fatto di parole e accadimenti concreti senza
speculazioni di sorta.
Liuzzi è andato via stroncato, a soli 46 anni, da un
attacco cardiaco; il suo cuore si è fermato nella sua
abitazione romana.
Giornalista del
Fatto Quotidiano, Liuzzi, nei giorni scorsi,
aveva accusato dei malesseri, monitorati dai medici. Poi,
intorno alle ore 3:30 della notte la chiamata al 118,
ma una volta giunti sul posto, i sanitari non hanno potuto
fare altro che constatare il decesso del giornalista.
Intensa la sua carriera: nato a Livorno il 2
novembre del 1969, figlio di Livio Liuzzi ex
condirettore del Tirreno, dopo le prime
esperienze di cronaca giudiziaria per il Corriere
di Belluno e per l’Alto Adige era
passato al Tirreno nel lontano 1997; aveva conseguito
un master in giornalismo alla Columbus University.
È stato autore di articoli di caratura eccelsa anche
sull’Espresso, Panorama e
Diario.
Nel 2006, poi, ha diretto il Corriere di
Livorno prima del trasferimento a Roma, nel
2009 al Fatto Quotidiano; si occupava del
numero del lunedì del quotidiano, dopo aver seguito la
redazione dell’Emilia Romagna; dal 2014 Liuzzi
collaborava anche come opinionista alla trasmissione
Domenica Live, condotta da Barbara D’Urso.
Venerdì scorso, alle ore 18:00 nella chiesa degli Artisti
a Roma, amici e colleghi lo hanno omaggiato; sabato,
invece, si sono tenuti i funerali nella sua Livorno;
la cerimonia, ha avuto luogo alle ore 16:00 nella chiesa
di Santa Lucia di Antignano. |
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Sara
Bilotti e il suo Oltraggio
di Daniela D'Angelo
L'oltraggio, La colpa, Il perdono: tre
parole che accostate possono formare un nudo di donna
semisdraiato in posizione prona ma anche un'avvincente trilogia
sexy ambientata in un borgo alle porte di Firenze. L'autrice
della trilogia che, edita da Einaudi, sta spopolando in Italia
è Sara Bilotti, originaria di Quarto (Na) e già autrice di una
raccolta di racconti "neri" intitolati Nella carne.
Una trilogia che potrebbe far concorrenza a 50 sfumature
di E. L. James: come è nata in lei l’idea di questa serie di
romanzi erotici?
«In realtà non c’è mai stata in me l’intenzione di scrivere
romanzi che seguissero il filone delle 50 sfumature, pur
invidiando il successo mondiale della James. Ho scritto una
storia lunga, in cui la ricerca del lato oscuro che
caratterizza ogni mio romanzo si fonde con l’amore e la
passione; tale storia si prestava bene a essere divisa in tre
parti, secondo la moda delle trilogie».
Lei è anche autrice di una raccolta di racconti noir
Nella carne, da cosa o chi trae ispirazione?
«Ho imparato molto tardi che le persone indossano una maschera
per presentarsi al mondo. Quando l’ho scoperto, intorno ai
quarant’anni, la rivelazione ha ispirato tantissime storie,
molte delle quali si trovano in quella raccolta. Storie di
maschere elaborate, che nascondono il marcio, il male, la
follia. Quanto più una maschera è complessa, tanto più profondo
è l’abisso che cela, e io mi diverto a raccontarlo».
Cosa ne pensa delle scrittrici che stanno capovolgendo il
mondo dell’eros e degli stereotipi con il potere della penna?
«Non posso che pensarne bene: credo che le donne abbiano un
talento speciale nel descrivere ciò che non si scopre con
un’occhiata superficiale: stati d’animo, tormenti, ossessioni.
La nostra penna incide come un bisturi, può fomentare
rivoluzioni».
Il suo romanzo e scrittore-scrittrice preferita?
«Donna Tartt, Dio di illusioni».
Cosa consiglierebbe alle tante donne che hanno una passione
per la scrittura e che vorrebbero pubblicare un romanzo?
«Oggi scriviamo in tanti, e di certo gli editor non possono
leggere tutti i manoscritti che arrivano in casa editrice: la
prima cosa che consiglio di fare, sempre, dopo aver scritto un
romanzo, è trovare una buona agenzia letteraria; un agente che
creda in noi è essenziale, ed è un canale importante per
arrivare alle case editrici più adatte al genere della nostra
scrittura, alla nostra ispirazione».
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